Il Tributo di Masaccio, nella Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine a Firenze: Gesù nella sua “compagnia”. Interpretazione ed iconografia di Gabriella Stabile Di Blasi

Il presente studio è stato scritto dalla prof.ssa Gabriella Stabile Di Blasi per il sito http://carabelta.free.fr come introduzione al significato iconografico dell’affresco più noto della Cappella Brancacci della Chiesa di Santa Maria del Carmine in Firenze. Per una presentazione dell’intero ciclo vedi, su questo stesso sito, l’articolo Masaccio o dell'uso cristiano dell'ombra. La Cappella Brancacci a Firenze ed il realismo dell'Incarnazione. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line del testo.

Il Centro culturale Gli scritti (12/10/2007)


A Firenze, in un edificio di gusto ancora barocco, ma già tendente ai canoni neoclassici, si può ammirare nella Cappella Brancacci, situata nel transetto destro della chiesa del convento di S. Maria del Carmine, il ciclo di affreschi quattrocenteschi che mette a tema la redenzione dell’uomo operata da Cristo, vista attraverso la storia della vita di S. Pietro apostolo.

Gli artisti che lavorarono presso questa cappella furono tre: Masolino, Masaccio e Filippino Lippi.
Tra tutti gli affreschi presenti nella cappella, "notabilissimo" –come dice il Vasari- è "Il tributo" di Masaccio che narra l’episodio tratto dal vangelo di Matteo (17, 24-27).

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Venuti a Cafàrnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: "Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?". Rispose: "Sì". Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: "Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?". Rispose: "Dagli estranei". E Gesù: "Quindi i figli sono esenti. Ma perché non si scandalizzino, va’ al mare, getta l’amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te".

Per descrivere quanto narrato dall’evangelista Matteo, che prima della vocazione era stato anch’egli esattore delle tasse, Masaccio usa una "historia figurata". Infatti l’affresco che è apparentemente composto da una scena sola, si può suddividere in tre tempi: al centro domina Cristo con i suoi apostoli e il gabelliere (quest’ultimo è visto di spalle ed indossa una tunica corta di tipo romano); a sinistra si vede Pietro, sulle rive del mare di Galilea, intento ad estrarre dalla bocca del pesce la moneta necessaria a pagare il tributo; a destra è raffigurato Pietro che paga la tassa al gabelliere.

L’area occupata da Cristo e dagli apostoli è pari a metà dell’intero affresco; quella riservata alla descrizione del miracolo occupa un sesto dell’intera opera; mentre la superficie destinata al pagamento del tributo è pari ad un terzo.

Perché il miracolo è relegato in secondo piano e in uno spazio così angusto? Per dare spazio a Cristo, miracolo dei miracoli, e alla compagnia che da lui nasce.

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Punto nodale dell’affresco è Cristo. Le leggi ottiche vengono da Masaccio usate per indirizzare la nostra attenzione a Cristo e sono rappresentate come sotto il suo controllo. Infatti le linee di fuga delle grondaie, delle finestre e degli scalini dell’edificio posto a destra dell’affresco conducono il nostro sguardo al loro punto di intersezione che coincide con il volto di Cristo. Masaccio considera la soluzione spaziale non come un problema esclusivamente geometrico, ma come un problema estetico, non come un mero insieme di regole da applicare, ma come un metodo espressivo del suo modo di concepire la vita e la storia. La prospettiva aiuta non solo a dare coesione all’intera opera, ma contribuisce a proporre una gerarchia di valori e a dare un accento di realismo all’avvenimento che viene descritto. Masaccio utilizza la prospettiva come metafora per comunicarci la sua concezione cristocentrica della vita, usa l’innovativo strumento prospettico per comunicarci l’Avvenimento di Cristo che giunge a noi attraverso la tradizione.

Per evidenziare il realismo dell’intero racconto che per Masaccio è storia e non mito, egli rappresenta Cristo e gli altri personaggi come persone concrete, in carne ed ossa, ben studiate anatomicamente, tanto umane da proiettare una consistente quantità di ombre sul terreno. Nel suo complesso, la scena risulta profondamente umana per via dei gesti ripetuti e degli sguardi drammatici. Gesti e sguardi inducono a pensare che l’affresco abbia un significato più profondo di quanto si riesca a cogliere a prima vista. I personaggi sono esseri umani ben caratterizzati singolarmente tanto che mai si ha l’impressione di avere davanti ai propri occhi una folla od un gruppo anonimo. Pur trattandosi di uomini semplici, Masaccio descrive gli apostoli come persone piene di dignità, familiari fra loro, perché hanno incontrato il significato dell’esistenza, Cristo, da cui originano la grandezza e la dignità dell’uomo, e l’amicizia tra le persone.

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S. Pietro appare tre volte nell’affresco; nella zona centrale ripete il gesto di Cristo, fissando lo sguardo in Lui.

Questa pronta immedesimazione coincide con la richiesta (re-petere, dal latino, vuol dire richiedere) che la sua umanità sia assimilata sempre di più a Cristo. Il suo sguardo infatti è carico di stupore per quell’uomo che, attraverso l’affezione, gli rivela l’inimmaginabile, cioè svela ciò a cui il suo cuore anela e che la sola ragione non può raggiungere.

Il gabelliere, costituendo un ostacolo imprevisto, con la sua robusta prestanza fisica e con un inconfutabile gesto, sbarra la strada a Cristo e ai Dodici; per loro la sua presenza, però, si rivela essere un’occasione propizia per un avvenimento imprevedibile. Si capisce quindi, perché Masaccio dà maggiore spazio alla descrizione di Gesù e dei suoi apostoli, piuttosto che soffermarsi sul miracolo che accade sulle rive del mare di Galilea: perché nella nostra vita quotidiana, in ogni istante di ogni ora, anche nei momenti di maggiore difficoltà, quando le cose non vanno come noi vorremmo, può accadere il miracolo di una Presenza eccezionale che riesce a dare senso alle nostre contrarietà, anzi le valorizza.

Dopo il recente restauro, nel complesso la scena appare cromaticamente caratterizzata dall’uso di tinte vivaci che ben si addicono a persone vive. E’ da notare la scelta dei colori dell’abbigliamento di Cristo che Masaccio deriva dalla tradizionale iconografia: tunica rossa e mantello azzurro. Il rosso, colore della regalità e della divinità, poggia direttamente sul corpo di Cristo; il blu, colore usato per indicare l’umanità, è posto sopra il rosso.
Cristo, pur essendo vero Dio, ha assunto su di Sé la natura umana.

Il paesaggio calmo, silente è costituito da tinte sobrie, chiare, luminose. L’atmosfera che si respira è quella di fine inverno, caratterizzata da un’aria fredda e cristallina. I monti riducono lo spazio in cui si svolge l’historia, rendendolo più limitato, perché non c’è fuga verso l’infinito, e quindi più reale.


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