N.B. All'interno del testo sono riprodotti i brevi, ma significativi, commenti agli affreschi
masacceschi preparati dalla Diocesi di Firenze per l'ordinazione episcopale di mons. Claudio Maniago, avvenuta l'8
settembre 2003, nella Cattedrale di S.Maria del Fiore, in Firenze. Da tali commenti sono stati omessi i riferimenti
relativi alla liturgia di quel giorno. Vogliamo ringraziarlo anche per averci permesso di metterli a disposizione
on-line.
Le immagini sono state acquisite da http://www.kfki.hu/~arthp/tours/brancacc/index.html .
Restiamo a disposizione per l'immediata rimozione se il nostro uso di tali immagini non fosse gradito a qualcuno
degli aventi diritto.
Masaccio nasce il 21 dicembre 1401 a S.Giovanni Valdarno. Proprio in quel giorno il calendario
liturgico della Chiesa celebrava, allora, la festa di S.Tommaso apostolo. Tommaso, detto Didimo, che in greco
significa il "gemello" (probabilmente era nato in un parto gemellare) è appunto l'apostolo che ha voluto
"toccare" il Signore risorto, colui che è la vita e la verità, ed ha voluto essere rassicurato e
confermato nella realtà della salvezza.
Quel nome, Tommaso, proprio per essere nato in quel giorno, dettero i suoi genitori al pittore che sarà il
maestro della Cappella Brancacci. Il suo nome verrà poi storpiato nel soprannome Tommasaccio (da cui Masaccio)
- ci dice il Vasari - non per i suoi cattivi modi, ma per la trascuratezza con cui conduceva la sua vita. Il Vasari
scrive, infatti, che vestiva male, era sempre intento a dipingere, perennemente a corto di soldi, si dimenticava di
passare a ritirare l'incasso alla fine del lavoro. Queste le parole testuali (G.Vasari, Le vite, 1568):
Fu persona astrattissima e molto a caso, come quello che, avendo fisso tutto l'animo e la volontà alle cose dell'arte sola. Si curava poco di sé e manco d'altrui. E perché e' non volle pensar già mai in maniera alcuna alle cure o cose del mondo, e non che altro al vestire stesso, non costumando riscuotere i danari da' suoi debitori, se non quando era in bisogno estremo, per Tommaso che era il suo nome, fu da tutti detto Masaccio. Non già perché e' fusse vizioso, essendo egli la bontà naturale, ma per la tanta straccurataggine; con la quale niente di manco era egli tanto amorevole nel fare altrui servizio e piacere, che più oltre non può bramarsi.
Anche il nome del suo maestro d'arte, Masolino, è soprannome che viene dallo stesso nome
apostolico, Tommaso, attraverso i passaggi di Tommasino e Tommasolino.
Proprio nell'anno della nascita di Masaccio, il 1401, si suole indicare l'inizio del Rinascimento, con il concorso
per la porta del Battistero di Firenze. I primi grandi artisti rinascimentali lavoreranno tutti a Firenze e saranno
appunto Masaccio (nella pittura), Donatello (nella scultura), Filippo Brunelleschi (nell'architettura).
Alla trascuratezza della realtà nella vita quotidiana del Masaccio, almeno a stare alle fonti del Vasari, fa da contrappunto il realismo della sua opera. Con Masaccio appare in pittura la rappresentazione dell'ombra. Nella cappella Brancacci incontriamo le prime ombre vere della storia della pittura [1] ; l'ombra testimonia anche l'ora del giorno in cui sta avvenendo un fatto. L'ombra è segno di storia! Il testo di Atti 5, 15, “perché quando Pietro passava anche solo la sua ombra coprisse uno di loro”, viene storicizzato dalla pittura del Masaccio, guadagnando tutta la realtà dell'evento. Il versetto rappresentato da Masaccio nell'affresco "San Pietro risana con l'ombra", appartiene alla pericope degli Atti degli Apostoli 5, 12-15:
Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; degli altri, nessuno osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava. Intanto andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro.
Qualcuno potrebbe interpretare questa novità pittorica - come analogamente è avvenuto per il nuovo uso rinascimentale della prospettiva - come distacco da una visione cristiana della vita, come pura aderenza alla realtà constatabile dei sensi, che nulla più lascia alla presenza di Dio nella storia. Non così è nella cappella Brancacci. Anzi, l'uso pittorico dell'ombra nasce proprio dal bisogno di aderenza, di fedeltà al testo biblico. E' veramente l'uomo Pietro che cammina e fa ombra, ma, in lui, è il Signore che opera i miracoli di guarigione degli Atti, rappresentati nella cappella Brancacci. Non è possibile non notare che, anche nell'opera di Masolino (sempre contrapposto al Masaccio, nella storia della pittura) sempre nella stessa cappella, e precisamente nell'affresco "La guarigione dello zoppo e la risurrezione di Tabita" troviamo la presenza dell'ombra. Qui essa è utilizzata per esprimere l'ora del giorno in cui avviene l'incontro ed il miracolo:
Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio. Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta «Bella» a chiedere l'elemosina a coloro che entravano nel tempio (At 3, 1-2).
Ecco allora che il realismo, la storia, possono essere compresi come rifiuto della trascendenza o,
come nella Cappella Brancacci (ma è poi corretto storicamente contrapporre un umanesimo ed un rinascimento non
più cristiani ad un medioevo invece tale o non è piuttosto una lettura ideologica della storia?), come
la concretezza dell'avvenimento cristiano.
Il Vasari scrisse che prima di Masaccio le figure “stavano in punta di piedi”, mentre con lui sono
“coi piedi in sul piano” e che Masaccio fece “gli scòrti”, cioè diede alle
figure una profondità reale. La rivoluzione della prospettiva non ha, così, quella connotazione
astratta e intellettualistica con cui talvolta viene interpretata. Per Masaccio la prospettiva è un mezzo, non
un fine. Tutto deve essere chiaro, non ambiguo, svuotato di retorica, semplice. Tutto tende a rendere l'avvenimento
cristiano, nella sua realtà oggettiva [2] .
Per orientare lo sguardo nella Cappella Brancacci dobbiamo dare una chiave di lettura complessiva degli affreschi della Cappella.
E' evidente - possiamo asserirlo fin dall'inizio - che, in opere come queste, si incontrano
l'opera creativa degli artisti e l'intelligenza teologica dei committenti, spesso con l'intervento di precise
personalità ecclesiastiche, capaci di suggerire ed eventualmente rettificare i temi ed i motivi che saranno
poi rappresentati. Se non abbiamo fonti che ci testimoniano con precisione tale procedimento per la cappella
Brancacci, lo possiamo desumere a posteriori, per la precisione dei rimandi che sono evidenti e che pian piano
indicheremo. Con questa semplice osservazione vogliamo rivendicare una lettura teologica dell'opera in questione,
poiché di un'opera di questo tipo si tratta, ben sapendo che proprio da una corretta attenzione ai
preponderanti aspetti cristiani ovviamente raffigurati - siamo in una Cappella! - conseguono profondi valori
umanistici e civili.
Il tema della cappella è la raffigurazione delle storie petrine. I brani pittorici raffigurano brani tratti
dai vangeli, dagli Atti degli apostoli o da testi apocrifi, ma sempre con riferimento alla figura dell'apostolo
Pietro. Solo due affreschi si distanziano da questo: tali affreschi sono "I progenitori nel Paradiso terrestre" e "La
cacciata".
Essi incorniciano, come una inclusione, le storie che sono raccontate all'interno della cappella. E' evidente, a chi
ha anche un minimo di formazione teologica, che tale inclusione indica che la storia di Pietro, che è la
storia della Chiesa che nasce dalla vicenda di Gesù, ha relazione con l'intera vicenda umana, che trae origine
dal grande giorno della creazione, a motivo della volontà divina che esista l'uomo, oscurato dal giorno in cui
l'uomo volle come dimenticare il suo essere originato da Dio e come pretendere di essere generato da se stesso, di
avere consistenza e dignità in se stesso, a prescindere dalla libertà divina che lo aveva pensato e
donato a se stesso.
Sempre Adamo ed Eva sono presenti, nell'iconografia cristiana, dove poi è raffigurata la storia della salvezza. Prima ancora che le differenze fra lo stile di Masolino e di Masaccio, questo è importante rilevare. Forse fu proprio il diverso stile dei due pittori a far sì che a Masaccio fosse affidata la scena che mostra la disgrazia causata dal peccato, la bruttezza che ricade sul corpo dell'uomo, dopo esser entrata nel suo cuore, e che a Masolino fosse affidata la scena dell'uomo e della donna ancora non toccati dal male, nello splendore di bellezza dei loro corpi, espressione della bellezza della comunione che li univa e li legava a Dio.
Una domanda è lecito porsi qui: poiché, come risulterà evidente, tutti gli affreschi sono a coppie e, nella coppia, il primo è a sinistra ed il secondo a destra del visitatore della Cappella, come mai in questa prima coppia, quello che è cronologicamente primo è, invece, a destra? Certo questa distonia, lascia almeno intuire che a quella bellezza originaria si potrà tornare, poiché non appartiene solo al passato, ma, nel dono dell'Incarnazione e della vita della Chiesa, da Pietro rappresentata, è data all'uomo la via per recuperare la bellezza originaria dei progenitori [3] .
Solo un'ipotesi può, invece, essere indicata per l'affresco che doveva chiudere iconograficamente, il percorso che stiamo seguendo. Il nuovo altare che ha rovinato l'unità pittorica della cappella ha distrutto la parete di fondo e non sappiamo più cosa vi fosse rappresentato. Nessuna delle fonti letterarie antiche ci aiuta in questo. Dai restauri recenti è emerso solo un frammento di pittura, a destra, che rappresenta evidentemente l'armatura di un soldato romano. L'interpretazione che si è affermata correntemente vi ha voluto vedere allora un soldato presente alla crocifissione di Pietro a testa in giù ed ha, così, poi interpretato l'affresco ora visibile della crocifissione dell'apostolo, come un'idea successiva, volta ad integrare ciò che era scomparso per la nuova sistemazione architettonica. Questa ipotesi non ci appare per niente necessaria. L'affresco poi realizzato successivamente da Filippino Lippi della crocifissione di Pietro poteva ben esser stato pensato fin dall'inizio ed il soldato, unica figura rimasta della parete di fondo, essere un romano partecipe della crocifissione di Cristo al Golgota. L'apertura ad inclusione con Adamo ed Eva, lascia aperta, infatti, la strada alla centralità della Pasqua che, nel mistero della croce, opera la salvezza dell'uomo e da origine alla storia della Chiesa che, sotto la croce, riceve l'acqua ed il sangue dei sacramenti del Cristo. Nell'assenza di altri dati letterari ed artistici ci sembra questa l'ipotesi iconograficamente più semplice e convincente, che ci permettiamo di proporre.
Ai due pannelli della Genesi, seguono Il tributo di Masaccio (alla parete sinistra della Cappella) e La guarigione dello zoppo e la resurrezione di Tabita (alla parete destra) di Masolino da Panicale. Il tributo è l'opera con cui ogni storia dell'arte si misura, nel presentare la figura di Masaccio. Non ci sembra particolarmente convincente il riferimento spesso addotto alla situazione storica fiorentina di allora, come se Il tributo volesse quasi essere un invito, una approvazione al gesto esattoriale. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che nell'episodio evangelico riprodotto non si tratta del problema delle tasse civili.
Il tema della tassazione è, invece, un aspetto del più noto brano evangelico del "Date a Cesare quel che è di Cesare" che, comunque, è espressione che, nel testo evangelico, prelude all'invito finale, con il quale il Cristo capovolge la domanda iniziale, rivolto ad ogni uomo perché, se con tanta facilità è disposto ad obbedire a qualsiasi potere terreno, usando la sua monetazione e le successive tassazioni, sia piuttosto teso al servizio di Dio, al "rendere a Dio quel che è di Dio", lui che un potere ben maggiore di Cesare ha sulla vita degli uomini. Nella pericope del tributo si tratta, piuttosto, della tassa dovuta al Tempio - un parallelo, ma non di questo si tratta, potrebbe essere piuttosto addotto per una offerta rivolta alla Chiesa! Il brano evangelico è tutto teso a mostrare che Gesù è il Figlio di Dio, e perciò anche il padrone del Tempio. Il testo evangelico afferma, infatti, che ai figli non è mai chiesta una tassa dal proprio padre (siamo all'interno di una affermazione cristologica decisiva: la coscienza che traspare chiaramente dai vangeli che Gesù ha di essere differente da qualsiasi profeta o inviato precedente e successivo di Dio, poiché è il figlio, il prediletto, l'erede, il signore del tempio, cioè del rapporto fra Dio e gli uomini). E' solo per non scandalizzare che Gesù acconsente a provvedere all'offerta per il culto del Tempio, attraverso il miracolo della moneta presa dalla bocca del pesce. Ci orienta allora ad una lettura iconografica complessiva il pannello di destra, quello dipinto da Masolino da Panicale, con la guarigione dello zoppo e la resurrezione di Tabita.
Premettiamo che è assolutamente errata la lettura, proposta da alcuni studi, come se il primo episodio fosse quello della guarigione di Enea, che precede negli Atti l'episodio di Tabita; infatti, la costruzione a sinistra dell'affresco è chiaramente la riproduzione, in forma di facciata di una chiesa, dell'antico Tempio di Gerusalemme ed i due apostoli sono Pietro e Giovanni che:
salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio. Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta «Bella» a chiedere l'elemosina a coloro che entravano nel tempio. Questi, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l'elemosina. Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: «Guarda verso di noi». Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa. Ma Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!». E, presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi camminava; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio. Tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio e riconoscevano che era quello che sedeva a chiedere l'elemosina alla porta Bella del tempio ed erano meravigliati e stupiti per quello che gli era accaduto (At 3, 1-10).
L'episodio nella destra dell'affresco è, invece, quello di At 9, 36-43:
A Giaffa c'era una discepola chiamata Tabità, nome che significa «Gazzella»,
la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine. Proprio in quei giorni si ammalò e morì. La
lavarono e la deposero in una stanza al piano superiore. E poiché Lidda era vicina a Giaffa i discepoli, udito
che Pietro si trovava là, mandarono due uomini ad invitarlo: «Vieni subito da noi!». E Pietro
subito andò con loro. Appena arrivato lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le
vedove in pianto che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra loro. Pietro
fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi rivolto alla salma disse: «Tabità,
alzati!». Ed essa aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. Egli le diede la mano e la fece
alzare, poi chiamò i credenti e le vedove, e la presentò loro viva. La cosa si riseppe in tutta Giaffa,
e molti credettero nel Signore. Pietro rimase a Giaffa parecchi giorni, presso un certo Simone conciatore.
I tre episodi hanno in comune, ad un primo livello iconografico, il tema dell'elemosina.
Gesù, nel Tributo, accetta che sia pagata una offerta per il Tempio per sé e per il primo degli
apostoli, benché egli sia ben più di questo dono, essendo egli il Figlio stesso di Dio, il vero erede e
padrone del Tempio. Pietro e Giovanni hanno da offrire ben più che una offerta, poiché donano nel nome
di Gesù la stessa guarigione. Tabità, lei che faceva molte elemosine, riceve ora in dono la
resurrezione.
Ma ciò che è sottolineato altresì è la continuità fra la storia di Gesù e
la vita della Chiesa. Il Tributo è, evidentemente, l'ultimo episodio narrato nella cappella Brancacci del
rapporto fra Pietro e Gesù, prima della morte e della resurrezione del Signore. Terminano i riferimenti
iconografici al Vangelo e cominciano quelli agli Atti degli Apostoli. Con ciò il ciclo pittorico della
Cappella Brancacci afferma che la vita della prima Chiesa non è realtà diversa, ma continuazione di
quel rapporto. Pietro continua a donare ciò che il Signore continua a dargli ed il dono non si è
interrotto al momento dell'offerta del tributo al Tempio.
Il Tributo stesso appare così non un inno alla tassazione fiorentina, piuttosto una confessione della
figliolanza divina di Cristo, colui che è di casa nel Tempio.
Ecco il testo di Matteo 17, 24-27:
Venuti a Cafarnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?». Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?». Rispose: «Dagli estranei». E Gesù: «Quindi i figli sono esenti. Ma perché non si scandalizzino, và al mare, getta l'amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d'argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te .
Il legame con Simon Pietro è dato proprio dal coinvolgimento con il quale Simone è fatto partecipare alla testimonianza di Gesù. Masaccio nell'allineare il gesto delle braccia destre distese del Maestro e del suo discepolo mostra visivamente l'obbedienza e la fiducia del capo degli apostoli verso il suo Signore, fiducia che, appunto, proseguirà nella testimonianza petrina nella Chiesa, narrataci dagli Atti. Qui ben vede l'Argan il cuore del Tributo:
Un fatto miracoloso in cui il protagonista è Cristo e Pietro non fa che obbedire. Masaccio elimina dalla rappresentazione dei miracoli ogni aspetto episodico sia pure ammirativo. Il miracolo è per lui il fatto storico per eccellenza, perché è fatto umano che attua una decisione divina… ciò che vale è sempre e soltanto la realtà, il solo giudizio possibile è quello di reale-non reale.. Ciò che Masaccio intuisce è la grave responsabilità che deriva all'uomo dal solo fatto di essere nel mondo, di dovere comunque affrontare la realtà. La storia non è uno sviluppo dal passato al presente, ma la realtà come un blocco. Dal punto di vista della narrazione nel Tributo vi sono tre tempi: Cristo, a cui il gabelliere chiede il pedaggio, ordina a Pietro di andare a prendere la moneta nella bocca del pesce; Pietro prende la moneta; porge l'obolo al gabelliere… Spesso nella narrazione continua romanica o gotica la stessa persona appariva più volte nella stessa figurazione, come nel Tributo. Ma perché qui non c'è successione cronologica e il primo tempo è al centro, il secondo a sinistra, il terzo è a destra? E' chiaro che Masaccio non vuole la successione, ma la simultaneità, perché tutti i fatti dipendono dal gesto imperativo di Cristo. La sua volontà diventa istantaneamente la volontà di Pietro… Il miracolo, naturalmente, è la moneta trovata nella bocca del pesce, ma il pittore relega a un estremo del dipinto e lo accenna appena con un breve tratto di sponda e la piccola figura di Pietro ridotta a un sintetico, ma duplice schema di moto: è appena arrivato, si china, sta per riprendere la corsa in senso inverso. Il vero contenuto dell'opera non è il fatto miracoloso, ma la volontà di Cristo, a cui sono solidali gli Apostoli che gli formano intorno un cerchio compatto, e la delega a Pietro.
Questo, a conclusione delle osservazioni sul Tributo, il commento del libretto dell'ordinazione episcopale di mons. Claudio Maniago:
Nell'affresco di Masaccio, il volto mite e forte di Cristo costituisce il centro prospettico di
tutta la composizione e il suo gesto, calmo e deciso, ordina di andare a pescare. Pietro ripete il gesto in segno di
pronta obbedienza. La dignità degli Apostoli è suggerita dalle loro figure monumentali, in contrasto
con quella contorta e agitata dell'esattore delle tasse. Disposte a semicerchio intorno o Cristo, sovrastano la breve
pianura, marcata prospetticamente dalle ombre e dagli alberi, chiusa sullo sfondo dalle colline disseminate di case e
di arbusti e più lontano dalle montagne nevose, sotto il chiarore e l'azzurro di un cielo attraversato da nubi
grigie e bianche.
I volti degli Apostoli, di aspetto rude e popolare, con la fronte corrugata e gli sguardi intensi e mobili, sono
tutti concentrati in attesa di ciò che accadrà in virtù della parola e del gesto di Cristo,
dalla cui presenza sembrano ricevere anch'essi grande energia di pensiero e di azione. Pare vogliano ricordarci che
la cosa più necessaria per compiere la missione è rimanere sempre uniti a Cristo e in ascolto della sua
parola.
La figura calma e maestosa di Cristo è il centro intorno al quale trovano la loro posizione e
identità gli Apostoli, le persone e tutte le realtà che costituiscono lo spazio vitale degli uomini.
Mentre i volti degli Apostoli sono ritratti realistici di rudi popolani, il volto di Cristo ha una forma di
perfezione ideale, ma è egualmente vivo, concreto e palpitante. Il plastico volume è costruito con
pennellate rapide e sicure e ben definito dalla luce che scorre sulle superfici nitide e compatte della faccia e
sulle nervature del collo. Volto singolarissimo che esprime, in egual misura, energia e mitezza, decisione e calma
sovrana.
Così Il tributo è l'unico episodio sopravvissuto alla difficile storia
architettonica della Cappella che ritragga le storie evangeliche antecedenti la Pasqua. Dai restauri recenti, per il
rinvenimento di due sinopie, sappiamo che almeno altre due scene evangeliche erano state dipinte - e cioè
“Il pianto di Pietro”, dopo il triplice rinnegamento del Signore ed il “Pasci i miei
agnelli”, nell'incontro con il Signore risorto - al di sopra della “Predica di Pietro” e del
“Battesimo dei neofiti”. Nella volta e nei lunettoni dovevano essere altresì affrescate le scene
ancora antecedenti iconograficamente de “La chiamata di Pietro e di Andrea” e de “La
navicella”, la barca degli apostoli in mezzo al lago di Tiberiade in tempesta, ma di esse non è stato
possibile recuperare neanche le sinopie.
Ci è così oggi negato dalle diverse modifiche che hanno alterato nei secoli la
cappella di conoscere gli affreschi iconograficamente antecedenti al Tributo. Possiamo invece seguire lo sviluppo
successivo.
Gli affreschi, infatti, continuano a narrare, una volta confermato il nesso fra la vita del Cristo e quella di
Pietro e della Chiesa, la storia del primo degli apostoli. I due affreschi iconograficamente successivi, in
parallelo, hanno per tema “La predica di Pietro” ed “Il battesimo dei neofiti”. L'opera del
Cristo permane nella predicazione apostolica, nella parola e nei discorsi di Pietro e nei suoi gesti sacramentali,
qui, segnatamente, il battesimo.
La predica è opera di Masolino, con il suo intrecciarsi di antichi e di contemporanei, Il battesimo è
di Masaccio, con gli straordinari particolari dell'acqua che bagna i capelli del battezzato e scorre fra le sue
ginocchia e con il giovane nudo che tremante assiste al nuovo battesimo.
L'opera assegnata dal Cristo è quella di predicare, insegnando tutto ciò che lui ha
comandato e battezzare nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28, 19-20).
L'episodio della predica di Pietro rappresenta gli avvenimenti di At 2, 14-18, subito dopo la Pentecoste:
Allora Pietro, levatosi in piedi con gli altri Undici, parlò a voce alta così: «Uomini di Giudea, e voi tutti che vi trovate a Gerusalemme, vi sia ben noto questo e fate attenzione alle mie parole: Questi uomini non sono ubriachi come voi sospettate, essendo appena le nove del mattino. Accade invece quello che predisse il profeta Gioele: Negli ultimi giorni, dice il Signore, Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno.
Il battesimo ci mostra la reazione di coloro che ascoltano il discorso di Pietro, come ci descrive At 2, 37-41:
All'udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri
apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». E Pietro disse: «Pentitevi e ciascuno di voi si
faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello
Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti
ne chiamerà il Signore Dio nostro». Con molte altre parole li scongiurava e li esortava:
«Salvatevi da questa generazione perversa». Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e
quel giorno si unirono a loro circa tremila persone.
Anche qui ecco il commento all'affresco nel libretto dell'ordinazione episcopale di mons. Claudio Maniago:
In questo affresco l'Apostolo Pietro, dopo aver predicato il Vangelo, battezza i convertiti.
Con una ciotola sta versando l'acqua sulla testa di un giovane inginocchiato in mezzo alla corrente di un fiumicello:
l'acqua, cadendo sulla testa, fa bollicine, inzuppa i capelli, sgocciola fino a terra. Intanto un altro giovane, che
si è spogliato, attende il suo turno e trema di freddo. Un poco più indietro un uomo con la barba,
già battezzato, ha ancora i capelli bagnati e sta terminando di allacciare sul petto i bottoni dello sua veste
azzurra. Da ogni parte le persone vengono al limpido torrente, nella quieta valletta tra i monti inondata di luce
mattutina, per rinascere alla vita nuova.
Sono iconograficamente successive le due scene, come sempre parallele, di “Pietro che risana con l'ombra” e della “Distribuzione dei beni e morte di Anania”. Entrambe sono di Masaccio. Abbiamo già commentato la prima, quella che fa apparire l'ombra nella pittura italiana. Aggiungiamo solo che Pietro è seguito dall'apostolo Giovanni e che l'uomo con il berretto è, secondo i primi commentatori, il ritratto di Masolino da Panicale.
Aggiungiamo anche il commento all'opera tratto dal libretto dell'ordinazione episcopale di mons. Claudio Maniago:
In questo affresco Pietro, seguito da Giovanni, avanza maestoso per una via della città,
avvolto nel suo ampio mantello giallo sulla tunica azzurra, tutto assorto nei suoi pensieri, camminando leggero quasi
in punta di piedi.
Passa accanto ad alcune persone sofferenti allineate lungo i muri alla sua destra: un vecchio di nobile aspetto;
un uomo barbuto con un copricapo rosso che osserva pensieroso appoggiato al bastone; un altro che supplica a mani
giunte; un altro genuflesso, seminudo, con le braccia incrociate sul petto, in attesa fiduciosa; infine un altro
carponi a terra che trascina le gambe rattrappite e piagate, bramoso di guarigione.
Tutte queste persone sono vestite alla maniera moderna e anche la strada, con un palazzo a bugnato, le case a
sporti e, in fondo, la chiesa e il campanile è tipicamente fiorentina. Con ciò si suggerisce che la
carità dei pastori e della comunità cristiana verso i sofferenti e gli oppressi è sempre
attuale.
All'opera di salvezza degli apostoli si contrappone, simmetricamente, la benedizione della distribuzione dei beni e la maledizione della morte di Anania. Più volte il testo degli Atti mostra la disponibilità a condividere i beni nei sommari della vita della prima comunità cristiana – così in At 2, 44-45,
“Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” ed in At 4, 34-35 “Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno”.
Pietro sta distribuendo questi beni alla donna che reca sulle spalle un figlio.
Ma a terra giace morto Anania, il cui peccato non è tanto quello di non aver dato i suoi beni – nessuno
era obbligato, nel racconto degli Atti, a farlo – quanto quello di aver voluto l'inganno di far credere che
tutto era stato, da lui e da sua moglie, donato, mentre altra era la verità. Così il testo di At 5,
1-6:
Un uomo di nome Anania con la moglie Saffira vendette un suo podere e, tenuta per sé una
parte dell'importo d'accordo con la moglie, consegnò l'altra parte deponendola ai piedi degli apostoli. Ma
Pietro gli disse: «Anania, perché mai satana si è così impossessato del tuo cuore che tu
hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno? Prima di venderlo, non era forse tua
proprietà e, anche venduto, il ricavato non era sempre a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor
tuo a quest'azione? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio». All'udire queste parole, Anania cadde a terra e
spirò. E un timore grande prese tutti quelli che ascoltavano. Si alzarono allora i più giovani e,
avvoltolo in un lenzuolo, lo portarono fuori e lo seppellirono.
Ecco anche qui il commento tratto dal libretto per l'ordinazione episcopale di mons. Claudio Maniago:
In una piazzetta all'incrocio di più strade, come si può trovare in qualche borgo
del contado fiorentino, l'apostolo Pietro, fermo in piedi, accompagnato da Giovanni e da altre persone, sta
distribuendo il denaro della comunità cristiana ai poveri.
A lui si accostano donne e uomini di diverse età, persone bisognose, ma ancora dotate di vigorosa e
austera dignità.
Lo spigolo nitido della luminosa casa bianca, che risalta come casa moderna tra altre tipicamente medievali,
indirizza l'attenzione verso il gesto di Pietro, compiuto con atteggiamento profondamente assorto, quasi l'apostolo
ricordasse che Gesù ha assicurato una sua speciale presenza nei poveri.
Il lavoro della Cappella Brancacci, lasciato incompiuto, fu affidato successivamente all'opera di
Filippino Lippi, figlio di fra' Filippo Lippi e della monaca Lucrezia Buti.
Non c'è accordo fra gli studiosi sugli anni che videro Filippino Lippi al lavoro, ma, di certo, l'arco
cronologico è quello compreso fra il 1481 ed il 1488.
Sotto i due affreschi di Masaccio e Masolino su Adamo ed Eva furono così rappresentate due scene relative a
Pietro in prigione.
La prima è la raffigurazione di At 12, 1-11:
In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece
uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che questo era gradito ai Giudei, decise di arrestare anche
Pietro.
Erano quelli i giorni degli Azzimi. Fattolo catturare, lo gettò in prigione, consegnandolo in custodia a
quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua.
Pietro dunque era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui. E in
quella notte, quando poi Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro piantonato da due soldati e legato
con due catene stava dormendo, mentre davanti alla porta le sentinelle custodivano il carcere. Ed ecco gli si
presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro,
lo destò e disse: «Alzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. E l'angelo a lui:
«Mettiti la cintura e legati i sandali». E così fece. L'angelo disse: «Avvolgiti il
mantello, e seguimi!». Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si era ancora accorto che era
realtà ciò che stava succedendo per opera dell'angelo: credeva infatti di avere una visione.
Essi oltrepassarono la prima guardia e la seconda e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città: la
porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l'angelo si
dileguò da lui. Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora sono veramente certo che il Signore
ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei
Giudei».
Nel secondo affresco simmetrico Filippino Lippi dipinge la visita di S.Paolo a S.Pietro in carcere, ad Antiochia.
I fatti che riguardano la presenza di Pietro ad Antiochia provengono dagli Atti apocrifi degli apostoli, secondo differenti versioni. Questo il testo secondo la versione della Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze (o da Varagine), compendio medioevale di tutte le notizie storiche e di tutte le leggende conosciute nel Medioevo sulle vite dei santi, ordinate secondo i calendario liturgico, testo che, per la sua diffusione larghissima, è alla base di moltissime delle scelte iconografiche a lui successive:
Quando san Pietro stava predicando presso Antiochia, Teofilo, che era a capo della
città, gli disse:
Pietro, per qual motivo vuoi gettare scompiglio fra il mio popolo?
Pietro gli predicò la fede cristiana e quello lo fece mettere in catene, lasciandolo senza cibo né
acqua. Quando Pietro era ormai allo stremo, raccolte le ultime forze, alzò gli occhi al cielo e disse:
Gesù Cristo, che aiuti chi soffre, aiutami, non reggo più a questi tormenti.
Il Signore gli rispose:
Pietro, credi che io ti abbia abbandonato? Tu fai torto alla mia bontà se hai timore di dirmi queste cose:
ecco che già qualcuno viene in tuo soccorso.
Dell'incarcerazione di Pietro venne a conoscenza Paolo, che andò da Teofilo dicendo di essere un grande
artista, di saper scolpire legno e tavole, dipingere padiglioni e far mille altre cose. Così Teofilo
insisté perché rimanesse alla sua corte.
Trascorsi pochi giorni, Paolo di nascosto si introdusse nella prigione dov'era Pietro, e vedendolo quasi privo di
vita e ormai consunto, pianse con infinita pena, e mentre lo abbracciava quasi veniva meno dal pianto. Poi, rompendo
il silenzio, disse:
Pietro, fratello mio, gloria mia, gioia mia, metà dell'anima mia, sono arrivato: prendi forza!
Pietro aprì gli occhi, lo riconobbe e si mise a piangere, ma non riusciva a parlargli. Paolo si
avvicinò, gli socchiuse la bocca e lo rianimò dandogli del cibo. Quando Pietro rifocillato ebbe ripreso
un po' di forza si gettò fra le braccia di Paolo, lo baciò e piansero insieme.
Il testo della Leggenda Aurea continua, riprendendo sempre gli Atti apocrifi degli Apostoli e di Pietro in particolare, raccontando della successiva liberazione di Pietro e del miracolo della resurrezione del figlio di Teofilo. E' il testo iconograficamente, raffigurato dal Masaccio nella cappella Brancacci, su cui intervenne per alcuni rifacimenti successivi, la mano del Lippi.
Poi sempre di nascosto, Paolo se ne andò, e disse a Teofilo:
Buon Teofilo, la tua fama, e anche la tua gentilezza sono grandi e amiche dell'onestà, ma tu sai che anche
un piccolo male è sufficiente a corrompere tutto il bene fatto: ricordati di ciò che hai fatto a
Pietro, quell'uomo che venera Dio, e sappi che è qualcosa di grande. Cencioso, tutto sfigurato, consunto dagli
stenti, è ormai ripugnante alla vista, ma ancora risplende nella sua parola. E' giusto mettere in carcere un
uomo così? Se fosse libero come prima, sì che potrebbe esserti utile: di lui dicono che guarisce i
malati e resuscita i morti.
Queste che dici, Paolo, son favole - rispose Teofilo.
Se sapesse resuscitare i morti, saprebbe anche uscire da solo di prigione. Ma Paolo ribatté:
Anche il suo Cristo che risorse, così dicono almeno, non volle scendere dalla croce, e Pietro, così
pure dicono i cristiani, seguendo questo esempio, non si libera e non ha paura di soffrire per Cristo.
Digli allora che resusciti mio figlio - disse Teofilo - che è morto già da quattordici anni, e lo
lascerò andare libero e incolume.
Entrando nella cella Paolo disse che aveva promesso di far resuscitare il figlio di Teofilo.
Hai promesso una cosa enorme, ma molto facile con l'aiuto del Signore.
Pietro fu condotto fuori dal carcere e fu aperta la tomba. Egli pregò per il ragazzo, che immediatamente
resuscitò. Va detto che questo miracolo non sembra del tutto verisimile, sia perché Paolo si sarebbe
giovato di una vera e propria furbizia fingendo di saper fare tutte quelle cose, sia perché l'anima del
giovane risulterebbe non essere stata giudicata per quattordici anni. Allora Teofilo e tutto il popolo di Antiochia e
anche molti altri credettero nel Signore e costruirono una chiesa molto venerata, nel cui centro posero un'alta
cattedra su cui fecero salire Pietro perché potesse essere visto e ascoltato da tutti. Pietro la occupò
per sette anni. Ma la Chiesa celebra la prima elezione, perché allora per la prima volta si iniziò a
onorare i capi della Chiesa con una sede, un potere e un titolo.
Il Vasari afferma che l'opera del Masaccio non fu terminata per la sua morte – Masaccio morì giovanissimo a Roma, all'età di 26 anni, nel 1428, qualcuno dice per avvelenamento, ma la cosa non ha prova certa, e fu sepolto proprio nella Chiesa del Carmine, sebbene la sua tomba non sia stata individuata – e che Filippino Lippi è così l'autore delle parti mancanti. Anche molte delle figure della Resurrezione del figlio di Teofilo e di S.Pietro in cattedra sono di sua mano.
Varie ipotesi sono state fatte, per motivare la partenza del Masaccio per Roma a lavori non
finiti. Nel 1905 il Sortais propose problemi finanziari del committente od una paga più remunerativa promessa
a Roma. Nel 1930 il Brockhaus fece l'ipotesi di una damnatio memoriae successiva alla condanna di Felice Brancacci
[4] , sostenendo che erano già state dipinte in questo affresco
le figure dei Brancacci e siano state poi volutamente sostituite con le attuali. La fine delle fortune del Brancacci
sembra essere un fatto ormai storicamente sicuro e l'esitazione della mano definitiva del Lippi è evidente nel
gruppo dei cinque astanti alla sinistra dell'affresco dove le cinque teste sono sostenute solo da otto piedi!
Al centro della scena è la guarigione del figlio di Teofilo. Teofilo è raffigurato in trono, vestito
alla maniera turca.
Al miracolo di Pietro fa seguito, alla destra dell'affresco, la rappresentazione della cattedra petrina di
Antiochia. Iconograficamente alla cattedra di Teofilo, vista lateralmente, si contrappone la cattedra ecclesiale di
Pietro che siede come primo vescovo della città, dopo la resurrezione del giovanetto. A ragione è stato
sottolineato il raffronto con la statua di S.Pietro il cui piede i pellegrini sono soliti baciare o toccare nella
basilica Vaticana in Roma. Dai recenti restauri è emerso chiaramente il gesto di uno degli astanti di destra
che toccava con riverenza, prima del ripensamento coloristico del Lippi, il piede del primo degli apostoli. Masaccio
e Brunelleschi erano stati insieme a Roma per celebrare il Giubileo del 1423 ed avevano probabilmente loro stessi
compiuto tale gesto.
Secondo le successive identificazioni del Meller, del Berti, del Salmi, le quattro figure che venerano la cattedra
di S.Pietro sono il Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Masaccio e Masolino. Alla sinistra di Pietro sono invece
frati dell'ordine carmelitano, i frati della Chiesa di cui la cappella Brancacci è parte, vestiti del loro
abito.
Questo, a conclusione delle osservazioni su S.Pietro in cattedra, il commento del libretto dell'ordinazione
episcopale di mons. Claudio Maniago:
La cattedra indica che il Vescovo è maestro della fede e fondamento visibile della
comunione: insegna, fa discernimento, orienta all'autenticità della vita cristiana ed ecclesiale. Ciò
vale in moda singolare per il Papa, successore di Pietro.
In questo affresco l'Apostolo è rappresentato seduto su un seggio addobbato con un semplice drappo verde,
ma assai alto, in piena luce, solido come il bianco edificio alle sue spalle. I fedeli delle diverse vocazioni che lo
circondano, sacerdoti religiosi e laici, inginocchiati davanti a lui o in piedi ai suoi lati esprimono una profonda
venerazione, che egli a sua volta, con le mani giunte e il bel volto levato al cielo, sembra voler indirizzare verso
il Signore.
L'Apostolo indossa una tunica e un manto alla maniera classica antica, ma tutti gli altri vestono abiti moderni;
anzi sono veri e propri ritratti di persone contemporanee (tra le quali Brunelleschi Alberti, Masolino, Masaccio
stesso): ciò sta a indicare la perenne attualità del ministero apostolico.
Se la Resurrezione del figlio di Teofilo era incompleta e Filippino Lippi dovette terminarla, l'affresco che gli è di fronte non fu neanche iniziato dal Masaccio ed il Lippi ne è integralmente l'autore. Esso rappresenta La disputa con Simon Mago e la crocifissione di Pietro. Il personaggio di Simone il Mago è un personaggio storico che incontriamo negli Atti degli Apostoli, al cap. 8, 9-25:
V'era da tempo in città un tale di nome Simone, dedito alla magia, il quale mandava in visibilio la popolazione di Samaria, spacciandosi per un gran personaggio. A lui aderivano tutti, piccoli e grandi, esclamando: «Questi è la potenza di Dio, quella che è chiamata Grande». Gli davano ascolto, perché per molto tempo li aveva fatti strabiliare con le sue magie. Ma quando cominciarono a credere a Filippo, che recava la buona novella del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo, uomini e donne si facevano battezzare. Anche Simone credette, fu battezzato e non si staccava più da Filippo. Era fuori di sé nel vedere i segni e i grandi prodigi che avvenivano. Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samaria aveva accolto la parola di Dio e vi inviarono Pietro e Giovanni. Essi discesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora sceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo. Simone, vedendo che lo Spirito veniva conferito con l'imposizione delle mani degli apostoli, offrì loro del denaro dicendo: «Date anche a me questo potere perché a chiunque io imponga le mani, egli riceva lo Spirito Santo». Ma Pietro gli rispose: «Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai osato pensare di acquistare con denaro il dono di Dio. Non v'è parte né sorte alcuna per te in questa cosa, perché il tuo cuore non è retto davanti a Dio. Pentiti dunque di questa tua iniquità e prega il Signore che ti sia perdonato questo pensiero. Ti vedo infatti chiuso in fiele amaro e in lacci d'iniquità». Rispose Simone: «Pregate voi per me il Signore, perché non mi accada nulla di ciò che avete detto». Essi poi, dopo aver testimoniato e annunziato la parola di Dio, ritornavano a Gerusalemme ed evangelizzavano molti villaggi della Samaria.
Tale brano non è, però, raffigurato nella Cappella Brancacci – peraltro è proprio da questo brano di Atti che ha origine il termine “simoniaco”, cioè la qualità di chi cerca di acquisire con denaro ciò che è un dono di Dio. Gli Atti apocrifi di Pietro (redatti negli anni 180-190 d.C. circa) ricordano, invece, insieme ad altri scritti apocrifi, un nuovo scontro di Simone il Mago e di Pietro ad Antiochia e la lotta finale dei due dinanzi all'imperatore Nerone a Roma. La tradizione riportata da questi testi vuole appunto che i due siano comparsi insieme davanti all'imperatore per difendere l'opposta verità della magia e del cristianesimo. L'episodio più noto della disputa racconta che Simon Mago ad un certo punto, per opera della sua magia, riuscisse a volare, ma Pietro, in nome della fede cristiana, lo facesse poi cadere in terra, proprio nei luoghi dei Fori Romani, al cospetto dell'Imperatore. Filippino Lippi affresca, invece, un episodio diverso. Vediamo una statua rovesciata ai piedi dell'Imperatore. E' la statua di Cesare, simbolo imperiale, che cade a terra dinanzi a S.Pietro, senza essere toccata, per l'intervento di Dio. Alla cattedra di Pietro fa eco il trono imperiale, ma il suo potere è così effimero, da poter essere rovesciato con una sola parola dell'apostolo Pietro. L'imperatore, irato, decide la crocifissione del primo degli apostoli.
La Leggenda Aurea dichiara le parole dette da Pietro, secondo la tradizione, con le quali afferma di voler essere crocifisso a testa in giù, non solo a motivo di umiltà, ma ancor più come segno del rovesciamento del mondo operato dal peccato originale e della discesa del Cristo nell'incarnazione per la salvezza dell'uomo. Queste le parole di Pietro, secondo Jacopo da Varagine:
Poiché il mio Signore discese dal cielo in terra e fu alzato sulla croce diritta, per me, che il Signore si è degnato di chiamare in cielo voglia la mia croce mostrare il mio capo rivolto a terra e i piedi verso il cielo. Perciò, se non sono degno di essere messo in croce così come fu messo il mio Signore, rivoltate la mia croce, e crocifiggetemi a testa in giù... Signore, ho voluto seguire il tuo esempio, ma non ho preteso di essere crocifisso eretto. Tu sei sempre eretto, eminente e alto: noi invece siamo figli del primo uomo, che mise il capo sotto la terra, e con la sua caduta ha dato l'immagine della nascita dell'uomo: nasciamo di modo che pare che siamo riversati proni sulla terra: Con questo si rovescia la realtà: il mondo crede che sia destro ciò che è sinistro. Tu, Signore, per me sei tutto, e tutto ciò che sei, lo sei per me, e non c'è altro oltre a te solo. Rendo grazie al tuo spirito, grazie al quale vivo, comprendo, e parlo.
Filippino Lippi si ritrasse nella figura di astante all'estrema destra dell'opera e ritrasse anche
Sandro Botticelli al centro del gruppo dei tre personaggi a destra della crocifissione di Pietro.
Come più sopra abbiamo scritto, non ci pare confortata da alcuna prova l'ipotesi che la crocifissione di
Pietro non fosse in realtà prevista in questo luogo, ma fosse, invece, affrescata sopra l'altare della
cappella. Tutto lascerebbe, invece, far ritenere che il Lippi abbia semplicemente completato l'impianto iconografico,
così come era nelle intenzioni originarie della committenza teologica della Cappella Brancacci e che le storie
di Pietro, aperte dai due pannelli simmetrici della grazia e del peccato originale di Adamo ed Eva, si concludessero
poi con la crocifissione di Cristo, nuova apertura universale del senso della storia di tutta la Chiesa,
rappresentata dalle storie del primo degli apostoli.
E' nel 1460, probabilmente, che i frati, per trasferire nella cappella l'icona duecentesca della Madonna del popolo,
opera di Coppo di Marcovaldo, distrussero l'affresco in questione, punto terminale di tutte le storie della cappella.
Essa, iconograficamente, reinserisce la storia di Pietro e della Chiesa nella globalità della storia della
salvezza, ma grande è il danno artistico che fu prodotto dall'imperizia dei frati di allora.
[Nota 1] Per la datazione dell'opera, i dati in possesso degli
storici dell'arte sono gli anni degli inizi della collaborazione fra Masolino e Masaccio (fine 1423-inizio 1424), il
mese della partenza di Masolino per l'Ungheria (settembre 1425), la presenza costante a Pisa di Masaccio nel corso
dell'anno 1426, la partenza definitiva per Roma nel luglio 1427. All'interno di questi avvenimenti si collocano gli
affreschi della Cappella Brancacci.
[Nota 2] G.C.Argan, in Storia dell'arte italiana, vol. II, Sansoni, Firenze 1977,
così scriveva, in riferimento alla Crocifissione del Polittico di Pisa (ora a Napoli, al Museo di
Capodimonte): “Masaccio da' alla luce dell'oro valore di infinito e poi la impegna in un rapporto proporzionale
con una figura umana. E' questa che dà alla spazialità infinita una consistenza, una misura, una forma.
Con la sola sua presenza o col suo gesto: nella Crocifissione il gesto disperato delle braccia della Maddalena
è senza dubbio la più alta nota drammatica espressa in pittura dopo Giotto; eppure quel gesto
tragicamente umano misura esattamente la distanza dal primo piano al fondo d'oro e lega al Cristo le due figure
dolenti della Madonna e di S.Giovanni. Uno spazio fatto dagli uomini non può che essere interamente coinvolto
nel loro dramma” e, commentando la Trinità di Masaccio, giustamente affermava: “La Trinità
è una idea-dogma: e non c'è dogma senza rivelazione, non c'è rivelazione senza forma. Nella sua
eternità il dogma è anche storia: perciò le figure, anche quella del Padre, sono figure reali e
storiche che “occupano uno spazio”
[Nota 3] G.C.Argan, in Storia dell'arte italiana, vol. II, Sansoni, Firenze 1977,
pp. 143-144 affermava riferendosi a Masolino: “il bello naturale non è indiscriminatamente diffuso nelle
cose, ma ha la sua espressione suprema nella persona umana, nella forma che Dio le ha dato e cioè nella forma
che aveva prima del peccato originale. Bisogna dunque ritrovare quella forma, che era armonia e proporzione: e la si
ritrova eliminando tutto ciò che è contrasto: nella linea, nel rilievo, nel chiaroscuro, nel
colore”. Invece “Masaccio risponde polemicamente dipingendo a riscontro… Adamo ed Eva dopo aver
perduto la bellezza originaria della cosa creata, conosciuto il dolore, portato il peso della responsabilità.
Il loro lungo passo è il primo passo dell'umanità nella storia… Masaccio contrappone la forma
dell'uomo-nella-storia alla forma dell'uomo-nella-natura”. Tale interpretazione non ci appare convincente;
dando rilievo ad una presunta opposizione natura-storia e trascurando di approfondire la tensione grazia-peccato e la
conseguente tradizione iconografica di rappresentazione di bellezza e deformità prima e dopo il peccato di
origine.
[Nota 4] Felice Brancacci fu il patrono della cappella dal 1422 (e fino almeno al
1436), come risulta dal testamento che egli scrisse prima di partire per il Cairo, come ambasciatore fiorentino.
Titolare di una società di traffici di seta, fu uomo ricco e potente nella compagine politica della Firenze di
allora, finché, caduto in disgrazia politica, dovette andare in esilio sin dal 1436 e fu, infine, dichiarato
ribelle nel 1458.
Per altri articoli e studi sui rapporti tra arte e fede presenti su questo sito, vedi la pagina Arte nella sezione Percorsi tematici