Il Concilio Lateranense IV (1215), San Francesco e l'eucarestia (da Benedetto XVI)
dal Messaggio di Benedetto XVI alla 62a Assemblea Generale della CEI ad Assisi, 4/11/2010
Come il nostro, anche il tempo in cui visse san Francesco era segnato da profonde trasformazioni culturali, favorite dalla nascita delle università, dallo sviluppo dei comuni e dal diffondersi di nuove esperienze religiose. Proprio in quella stagione, grazie all’opera di Papa Innocenzo III – lo stesso dal quale il Poverello di Assisi ottenne il primo riconoscimento canonico – la Chiesa avviò una profonda riforma liturgica. Ne è espressione eminente il Concilio Lateranense IV (1215), che annovera tra i suoi frutti il “Breviario”. Questo libro di preghiera accoglieva in se la ricchezza della riflessione teologica e del vissuto orante del millennio precedente. Adottandolo, san Francesco e i suoi frati fecero propria la preghiera liturgica del Sommo Pontefice: in questo modo il Santo ascoltava e meditava assiduamente la Parola di Dio, fino a farla sua e a trasporla poi nelle preghiere di cui è autore, come in generale in tutti i suoi scritti.
Lo stesso Concilio Lateranense IV, considerando con particolare attenzione il Sacramento dell’altare, inserì nella professione di fede il termine “transustanziazione”, per affermare la presenza reale di Cristo nel sacrificio eucaristico: “Il suo corpo e il suo sangue sono contenuti veramente nel Sacramento dell’altare, sotto le specie del pane e del vino, poiché il pane è transustanziato nel corpo e il vino nel sangue per divino potere” (DS, 802). Dall’assistere alla santa Messa e dal ricevere con devozione la santa Comunione sgorga la vita evangelica di san Francesco e la sua vocazione a ripercorrere il cammino di Cristo Crocifisso: “Il Signore – leggiamo nel Testamento del 1226 – mi dette tanta fede nelle chiese, che così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, poiché con la tua santa croce hai redento il mondo” (Fonti Francescane, n. 111). In questa esperienza trova origine anche la grande deferenza che portava ai sacerdoti e la consegna ai frati di rispettarli sempre e comunque, “perché dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente in questo mondo, se non il Santissimo Corpo e il Sangue suo che essi solo consacrano ed essi soli amministrano agli altri” (Fonti Francescane, n. 113). Davanti a tale dono, cari Fratelli, quale responsabilità di vita ne consegue per ognuno di noi! “Badate alla vostra dignità, frati sacerdoti – raccomandava ancora Francesco – e siate santi perché egli è santo” (Lettera al Capitolo Generale e a tutti i frati, in Fonti Francescane, n. 220)! Sì, la santità dell’Eucaristia esige che si celebri e si adori questo Mistero consapevoli della sua grandezza, importanza ed efficacia per la vita cristiana, ma esige anche purezza, coerenza e santità di vita da ciascuno di noi, per essere testimoni viventi dell’unico Sacrificio di amore di Cristo.
ll Santo di Assisi non smetteva di contemplare come “Il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi, per la nostra salvezza, in poca apparenza di pane” (ibid., n. 221), e con veemenza chiedeva ai suoi frati: “Vi prego, più che se lo facessi per me stesso, che quando conviene e lo vedrete necessario, supplichiate umilmente i sacerdoti perché venerino sopra ogni cosa il Santissimo Corpo e il Sangue del Signore nostro Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di Lui scritte che consacrano il corpo” (Lettera a tutti i custodi, in Fonti Francescane, n. 241).