Ordinazione delle donne: la questione (da J. Ratzinger)
da J. Ratzinger, Il sale della terra, Un colloquio con Peter Seewald, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1997, pp. 238-241
Credo che siano necessarie alcune precisazioni. La prima è che san Paolo ha compiuto qualcosa di nuovo in nome di Cristo e non a titolo personale. Ha anche posto in risalto molto chiaramente che chi riconosce valida la rivelazione veterotestamentaria, ma, d’altro canto, varia qualcosa di propria iniziativa, non agisce correttamente. Il Nuovo è potuto arrivare, perché Dio ha posto il Nuovo in Cristo. E come servitore di questo Nuovo, egli sapeva che non si trattava di una propria invenzione, ma che ciò derivava dalla novità di Gesù Cristo stesso.
Questa, a sua volta, poneva dei vincoli, e su questo egli era molto severo. Pensi, per esempio, al racconto dell’ultima cena, in cui Paolo così scrive: «Io stesso ho ricevuto ciò che vi ho trasmesso». Paolo afferma, quindi, di essere vincolato molto chiaramente a ciò che il Signore ha fatto l’ultima notte e che gli è stato trasmesso. Pensi ancora all’annuncio della resurrezione, in cui egli ripete ancora: «L’ho ricevuto e l’ho anche incontrato personalmente». Così noi insegniamo e così lo insegniamo noi tutti; chi non lo fa, si allontana da Cristo. Paolo distingue chiaramente tra il Nuovo che deriva da Cristo, e il legame con Cristo, l’unica cosa che lo possa legittimare a mettere in pratica questo Nuovo. Questo è il primo punto.
Il secondo è che, difatti, in tutti quei campi, in cui non sono stati posti vincoli o direttamente dal Signore o per tramite della tradizione apostolica, avvengono – anche oggi – continui mutamenti. La domanda è, appunto, se una certa realtà viene dal Signore o no, e da che cosa sia possibile capirlo. La risposta, confermata anche dal papa, che noi, come Congregazione per la Dottrina della Fede, abbiamo dato in merito al problema dell’ordinazione delle donne non dice che ora il papa ha posto un atto dottrinale infallibile.
Egli ha piuttosto constatato che la Chiesa, i vescovi di ogni luogo e tempo, hanno sempre insegnato questo e hanno sempre agito in questo modo. Il concilio Vaticano II dice: dove accade che vescovi nel corso di un tempo molto lungo convengano su una dottrina e attuino una condotta unitaria, si tratta di un insegnamento infallibile, che è espressione di un vincolo, che non hanno creato loro stessi. La nostra risposta si riferisce proprio a questo passo del concilio (Lumen gentium, 25).
Non si tratta dunque, come detto precedentemente, di un atto di infallibilità posto dal papa, ma il suo carattere vincolante si basa sulla continuità della tradizione. Infatti questa continuità dall’origine è già qualcosa di molto importante. Tanto più che allora non era affatto una cosa ovvia. Infatti, le antiche religioni conoscevano l’istituzione delle sacerdotesse, e lo stesso avveniva anche nei movimenti gnostici. Uno studioso italiano ha recentemente scoperto che nei secoli V-VI, in Italia meridionale alcuni gruppi avevano istituito delle sacerdotesse, suscitando l’immediata opposizione dei vescovi e del papa. La tradizione non è nata dal mondo circostante, ma dall’interno del cristianesimo.
Ora, però, vorrei aggiungere un’altra informazione, che mi sembra estremamente interessante. Si tratta di una diagnosi fatta da Elisabeth Schüssler-Fiorenza, una delle femministe cattoliche più importanti. È una tedesca, una esegeta importante che ha studiato esegesi a Münster, dove ha sposato un italoamericano, e ora insegna in America. Ha partecipato in modo convinto alla lotta a favore dell’ordinazione delle donne, ma ora pensa che quello sia stato un obiettivo sbagliato. L’esperienza dei sacerdoti-donna nella Chiesa anglicana l’ha portata a concludere che ordination is not a solution, che l’ordinazione sacerdotale non è una soluzione, non è quello che volevamo. Ella ne spiega anche il motivo: ordination is subordination, l’ordinazione significa subordinazione – inserimento organico e dipendenza, è proprio ciò che non vogliamo. Si tratta davvero di una diagnosi corretta.
Entrare in un ordo significa sempre entrare in un rapporto di inserimento organico e dipendenza. Nel nostro movimento di liberazione, dice la signora Schüssler-Fiorenza, non vogliamo entrare né in un «ordine», né in una «subordinazione», ma superare proprio questa realtà. La nostra lotta non deve mirare all’ordinazione delle donne, bensì alla eliminazione dell’ordinazione in quanto tale perché la Chiesa diventi una società di uguali, in cui ci sia solo una shifting leadership, un avvicendamento nella guida.
Dal punto di vista delle motivazioni interne, che stanno all’origine della lotta per l’ordinazione delle donne, e che, di fatto, mirano alla condivisione del potere e alla liberazione dalla dipendenza, la signora Schüssler-Fiorenza ha visto le cose in modo coerente. Il punto cruciale è, infatti, dato dalla domanda: che cosa è il sacerdozio? Siamo qui di fronte a un sacramento oppure abbiamo solo a che fare con un avvicendamento nella guida nel quale a nessuno è consentito accedere stabilmente al «potere»? In questo senso, credo che negli anni a venire anche il dibattito su questo tema sarà impostato in modo diverso.
Credo che siano necessarie alcune precisazioni. La prima è che san Paolo ha compiuto qualcosa di nuovo in nome di Cristo e non a titolo personale. Ha anche posto in risalto molto chiaramente che chi riconosce valida la rivelazione veterotestamentaria, ma, d’altro canto, varia qualcosa di propria iniziativa, non agisce correttamente. Il Nuovo è potuto arrivare, perché Dio ha posto il Nuovo in Cristo. E come servitore di questo Nuovo, egli sapeva che non si trattava di una propria invenzione, ma che ciò derivava dalla novità di Gesù Cristo stesso.
Questa, a sua volta, poneva dei vincoli, e su questo egli era molto severo. Pensi, per esempio, al racconto dell’ultima cena, in cui Paolo così scrive: «Io stesso ho ricevuto ciò che vi ho trasmesso». Paolo afferma, quindi, di essere vincolato molto chiaramente a ciò che il Signore ha fatto l’ultima notte e che gli è stato trasmesso. Pensi ancora all’annuncio della resurrezione, in cui egli ripete ancora: «L’ho ricevuto e l’ho anche incontrato personalmente». Così noi insegniamo e così lo insegniamo noi tutti; chi non lo fa, si allontana da Cristo. Paolo distingue chiaramente tra il Nuovo che deriva da Cristo, e il legame con Cristo, l’unica cosa che lo possa legittimare a mettere in pratica questo Nuovo. Questo è il primo punto.
Il secondo è che, difatti, in tutti quei campi, in cui non sono stati posti vincoli o direttamente dal Signore o per tramite della tradizione apostolica, avvengono – anche oggi – continui mutamenti. La domanda è, appunto, se una certa realtà viene dal Signore o no, e da che cosa sia possibile capirlo. La risposta, confermata anche dal papa, che noi, come Congregazione per la Dottrina della Fede, abbiamo dato in merito al problema dell’ordinazione delle donne non dice che ora il papa ha posto un atto dottrinale infallibile.
Egli ha piuttosto constatato che la Chiesa, i vescovi di ogni luogo e tempo, hanno sempre insegnato questo e hanno sempre agito in questo modo. Il concilio Vaticano II dice: dove accade che vescovi nel corso di un tempo molto lungo convengano su una dottrina e attuino una condotta unitaria, si tratta di un insegnamento infallibile, che è espressione di un vincolo, che non hanno creato loro stessi. La nostra risposta si riferisce proprio a questo passo del concilio (Lumen gentium, 25).
Non si tratta dunque, come detto precedentemente, di un atto di infallibilità posto dal papa, ma il suo carattere vincolante si basa sulla continuità della tradizione. Infatti questa continuità dall’origine è già qualcosa di molto importante. Tanto più che allora non era affatto una cosa ovvia. Infatti, le antiche religioni conoscevano l’istituzione delle sacerdotesse, e lo stesso avveniva anche nei movimenti gnostici. Uno studioso italiano ha recentemente scoperto che nei secoli V-VI, in Italia meridionale alcuni gruppi avevano istituito delle sacerdotesse, suscitando l’immediata opposizione dei vescovi e del papa. La tradizione non è nata dal mondo circostante, ma dall’interno del cristianesimo.
Ora, però, vorrei aggiungere un’altra informazione, che mi sembra estremamente interessante. Si tratta di una diagnosi fatta da Elisabeth Schüssler-Fiorenza, una delle femministe cattoliche più importanti. È una tedesca, una esegeta importante che ha studiato esegesi a Münster, dove ha sposato un italoamericano, e ora insegna in America. Ha partecipato in modo convinto alla lotta a favore dell’ordinazione delle donne, ma ora pensa che quello sia stato un obiettivo sbagliato. L’esperienza dei sacerdoti-donna nella Chiesa anglicana l’ha portata a concludere che ordination is not a solution, che l’ordinazione sacerdotale non è una soluzione, non è quello che volevamo. Ella ne spiega anche il motivo: ordination is subordination, l’ordinazione significa subordinazione – inserimento organico e dipendenza, è proprio ciò che non vogliamo. Si tratta davvero di una diagnosi corretta.
Entrare in un ordo significa sempre entrare in un rapporto di inserimento organico e dipendenza. Nel nostro movimento di liberazione, dice la signora Schüssler-Fiorenza, non vogliamo entrare né in un «ordine», né in una «subordinazione», ma superare proprio questa realtà. La nostra lotta non deve mirare all’ordinazione delle donne, bensì alla eliminazione dell’ordinazione in quanto tale perché la Chiesa diventi una società di uguali, in cui ci sia solo una shifting leadership, un avvicendamento nella guida.
Dal punto di vista delle motivazioni interne, che stanno all’origine della lotta per l’ordinazione delle donne, e che, di fatto, mirano alla condivisione del potere e alla liberazione dalla dipendenza, la signora Schüssler-Fiorenza ha visto le cose in modo coerente. Il punto cruciale è, infatti, dato dalla domanda: che cosa è il sacerdozio? Siamo qui di fronte a un sacramento oppure abbiamo solo a che fare con un avvicendamento nella guida nel quale a nessuno è consentito accedere stabilmente al «potere»? In questo senso, credo che negli anni a venire anche il dibattito su questo tema sarà impostato in modo diverso.