Introduzione e commento ai misteri del rosario

Nell'anno in cui il papa Giovanni Paolo II ci ha donato la lettera Rosarium Virginis Mariae, invitando la Chiesa intera a riscoprire il valore della preghiera e la fiducia nella presenza materna di Maria e la sua preghiera di intercessione per la Chiesa ed il mondo intero, stimolata da tutto questo, la parrocchia di S.Melania ha proposto a tutti di incontrarsi ogni venerdì al pomeriggio, alle ore 16.00, od ogni sabato al mattino, alle ore 9.00, per meditare, uno a settimana, i 20 misteri del rosario, quelli della gioia, quelli della luce, quelli del dolore e quelli della gloria.
I testi che seguono sono, con alcune integrazioni, quelli che sono stati proposti alla meditazione silenziosa della comunità parrocchiale, dinanzi alla presenza dell'eucarestia, prima della recita della decina di Ave Maria. Già dal numero di citazioni tratte da Il rosario, di Hans Urs von Balthasar, Jaca Book, Milano, 1978, è possibile comprendere il valore che attribuiamo alle sue meditazioni. Molti dei misteri sono stati meditati durante il precipitare della situazione internazionale e della guerra in Iraq ed i testi sono stati scelti e commentati come invocazione a Dio e preghiera per la pace.

d.Andrea Lonardo


Indice


Introduzione ai misteri

-Ascolto della Parola di Dio
Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo,
per essere santi e immacolati al suo cospetto nella
carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi
per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà.
E questo a lode e gloria della sua grazia,
che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione
mediante il suo sangue,
la remissione dei peccati
secondo la ricchezza della sua grazia.
Egli l'ha abbondantemente riversata su di noi
con ogni sapienza e intelligenza,
poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà,
secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito
per realizzarlo nella pienezza dei tempi:
il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose,
quelle del cielo come quelle della terra.
In lui siamo stati fatti anche eredi,
essendo stati predestinati secondo il piano di colui
che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà,
perché noi fossimo a lode della sua gloria,
noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo.
In lui anche voi,
dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza
e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo
che era stato promesso,
il quale è caparra della nostra eredità,
in attesa della completa redenzione di coloro
che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria (Ef 1, 3-14).

-Testi di meditazione
La parola “misteri” ha avuto, nella tradizione cristiana, due accezioni fondamentali: una storica e una sacramentale. Nell' accezione storica , misteri sono gli eventi stessi, prima prefigurati nell'Antico Testamento e poi realizzati da Cristo nel Nuovo, in quanto sono carichi di un significato salvifico che trascende lo spazio e il tempo. Indicano dunque il fatto , più il significato del fatto. “Discese dal cielo per la nostra salvezza”, “morì per i nostri peccati”, “risorse per la nostra giustificazione”: queste frasi ed altre analoghe – formate da un verbo che indica l'evento e da un completamento che indica il significato dell'evento – entrarono ben presto a far parte dei simboli di fede. Esse designano quello che si intende… per “misteri della vita di Cristo”. Nell' accezione sacramentale , la parola “misteri” ( mysteria ) indica invece i riti sacri o i segni, attraverso i quali quegli avvenimenti storici vengono rappresentati e attualizzati nella liturgia della Chiesa… Si tratta, evidentemente, di accentuazioni diverse e complementari, perché è chiaro che il mistero cristiano, completo e integrale, comprende l'una e l'altra cosa insieme (p.R.Cantalamessa).

C'è un racconto "storico" degli avvenimenti accaduti una volta per sempre (semel) e che non si ripeteranno mai più… la liturgia ci rende, nello Spirito, contemporanei degli eventi; fa di "quel giorno" il "giorno di oggi" (hodie) (p.Raniero Cantalamessa)

Se fosse avvenuto mille volte, ma non adesso, ma non in te, tu saresti ancora perduto (p. de la Potterie su S.Giovanni Climaco)

"Ecclesia vel anima" - cioè: ciò che si può attribuire alla Chiesa si può attribuire all'anima e viceversa (antico assioma patristico)

I mistero della gioia:
contempliamo Colui che tu, o Vergine, hai concepito per opera dello Spirito santo

-Ascolto del vangelo
Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio ». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei ( Lc 1, 26-38) .

-Testi di meditazione
Un fatto, qualche cosa che è accaduto, che si è verificato. “Kai egeneto”. “E accadde che”. I racconti evangelici, d'altra parte… si rivelano a questo riguardo preoccupati di collocare i fatti nel loro contesto storico e geografico: “in quel tempo”, “in quel luogo”. Pensate soltanto all'inizio del racconto dell'Annunciazione, secondo Luca ovviamente: “Fu mandato un angelo ad una vergine di nome Maria, sposata ad un uomo di nome Giuseppe, in una città della Galilea di nome Nazareth”. I nomi! Tutto è preciso, tutto è determinato. Dicevo che il rapporto concreto, con la concretezza della terra che si calpesta, che si vede, dell'atmosfera che si respira, deve darci - molto più di quanto non lo abbiamo avuto in passato - il senso di questa concretezza. Quello che conta è che qualcosa sia accaduto. E quello che è tutta la nostra speranza, tutta la realtà della nostra fede, il motivo della nostra vita è l'effetto di questo fatto, ciò che questo fatto ha prodotto: una realtà, non un'idea. Non un'idea che troppo spesso, troppo facilmente, può degenerare in ideologia, cioè in un sistema umano, costruito al fine di rendere accettabili certe proposte, certe dottrine, certe prospettive, certi insegnamenti, certe realizzazioni e concretizzazioni storiche. Il cristianesimo non è un'idea, meno che mai un'ideologia. Non è un ideale, lo diventa, ma secondariamente. E' un fatto che è successo - piaccia o non piaccia. Scusate la quasi brutalità di questa affermazione. Bello o non bello – “è così bello che sia così”, a me piace quando uno parla in questo modo, anche a me succede abitualmente, è ovvio, perché così lo sento. Ma, e se fosse brutto? E' bello! Ma non è perché è bello che io lo credo, non è perché è bello che lo racconto. Non è la sua ragione di bellezza che mi convince. La cosa importante è che sia accaduto. E' un fatto (U.Neri).

Si parla del significato del Cristo e del significato del cristianesimo, spesso impropriamente, comunque con gravi rischi di fraintendimento. Il Cristo non è rapportato ad un significato che gli sia ulteriore. “C'è il Cristo, e poi che cosa significa il Cristo? C'è l'evento della resurrezione e poi che cosa significa l'evento della resurrezione?” Che significa questo? A che cosa rimanda il Cristo? A nessuno, a se stesso. A che cosa rimanda l'evento della resurrezione? A nessuno, a se stesso, il Cristo non ha un'ulteriorità. E' l'evento, è il fatto. Tutto ha significato in rapporto al Cristo. Non dobbiamo cercare il significato del Cristo in rapporto al resto, se non al Padre, se non al Padre, con il quale il Cristo è uno. Contro questo fatto non vale nessun “ma”. Rispetto a questo fatto appaiono estremamente tenui e insignificanti tutte le divagazioni dei nostri discorsi, delle nostre fantasie, delle nostre preoccupazioni, dell'accettabilità, dell'attualizzazione, del “veniamo con i piedi in terra”, “Allora che cosa vuol dire?”. Che cosa vuol dire? Niente, non vuol dire niente. Dio è venuto in terra. Il Figlio di Dio è morto ed è risorto. Qui! In quel tempo! Questa concretezza! Mi piaccia o non mi piaccia! Perché in certi momenti può piacermi moltissimo, in certi altri momenti niente affatto e posso essere messo radicalmente in crisi rispetto alle mie concezioni, alle mie speranze, alle mie idee, alle immagini che mi faccio dell'umanità, della storia e della mia storia all'interno dell'umanità e della storia umana, da ciò che “debbo” credere, da ciò che “è” accaduto. Ma è accaduto! Io non posso farci niente. Geremia qualche volta era contentissimo del suo rapporto con il Signore, qualche volta da questo rapporto con il Signore era messo totalmente in crisi, radicalmente in questione e diceva: “O Signore, tu sei diventato per me come un torrente infido, appari e scompari e quello che mi metti sulla bocca è ciò che io non vorrei dire e che nessuno vuole ascoltare da me”. Ma c'è, ma c'è! “La tua parola è divenuta come un fuoco divorante” (U.Neri).

Tutto il passato è stato un avvio, una preparazione; adesso è il compimento. Poiché il Figlio del Padre si lascia portare dallo Spirito in un grembo umano, il cielo si apre in un modo nuovo e rivela la vita trinitaria di Dio; tutto procede dal Padre, che rimane invisibile sullo sfondo, non si incarna, ma manda il Figlio eterno; il Figlio, però, si lascia inviare, perciò è all'opera lo Spirito Santo che compie la volontà del Padre e porta il Figlio là dove questa volontà può compiersi “come in cielo così in terra”. Nell'incarnazione la vita intima di Dio si rivela con perfetta chiarezza nella triplice apostrofe dell'Angelo: “Il Signore (il Padre) è con te”. “Darai alla luce il Figlio dell'Altissimo”. “Lo Spirito Santo stenderà su di te la sua ombra”(von Balthasar).

Che tutto procede dal “libero beneplacito” ( eudokia ) del Padre ce lo ricorda il “Padre nostro”, che ritorna sempre a lui tra le decine delle “Ave Maria”. A lui spetta la benedizione originaria: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelto prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto” (Ef 1, 3-6). Questa effusione della bontà originaria del Padre è detta il mysterium (Ef 1, 9), in quanto trabocca copiosamente, in Gesù Cristo, su tutti gli uomini (von Balthasar).

Ma il Figlio, che vuole rendere comprensibile al mondo la bontà originaria del Padre, non dà principio ad alcuna opera di propria iniziativa, perché un atto del genere metterebbe in luce solo lui, anziché il Padre. Al principio di ogni attività sta l'obbedienza. La disponibilità a essere inviato dal Padre, secondo la sua volontà. Il non mettersi avanti dell'uno rispetto agli altri, l'abbandono, l'indifferenza. Già la traiettoria dal seno del Padre eterno al grembo della Madre temporale è un cammino nell'obbedienza, il più difficile e ricco di conseguenze, ma che viene percorso nella missione da parte del Padre: “Ecco io vengo per fare la tua volontà” (Eb 10, 7).
Chi lo porta e lo sospinge è lo Spirito. Lo Spirito del Padre, che manda, e del Figlio, che obbedisce, e quindi lo Spirito che nel portare e nel sospingere, è tanto attivo quanto obbediente. Egli presenterà al Figlio la volontà del Padre lungo tutto il tragitto attraverso il mondo e così parteciperà all'obbedienza del Figlio nel suo modo spirituale. La bontà diffusa del Padre - la grazia - e l'accoglimento riconoscente di questa bontà e grazia sono comunicati e unificati nella sua persona. Ma il Verbo deve diventare uomo, l'intero evento della salvezza non è un affare interno della divinità. Incarnarsi significa diventare Figlio di una Madre, che deve pronunciare il suo pieno consenso umano alla concezione del seme divino. In nessun modo e sotto nessun riguardo, l'uomo viene sopraffatto e forzato da Dio, non può né deve essergli imposto qualcosa, con le cui possibili conseguenze egli non sia d'accordo preventivamente, pur con conoscendole. Non solo adesso, ma anche più tardi, quest'uomo non deve poter elevare contro Dio alcuni rimprovero per essere stato “ingannato” e “raggirato” da lui, come Geremia rinfaccia al suo Dio: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre: mi hai fatto forza e hai prevalso” (Ger 20, 7). Piuttosto la Madre deve accettare anticipatamente il contegno del Figlio suo, non solo per un certo tempo, ma per sempre, in rappresentanza di lui: per essere una pura risposta al comando del Padre (von Balthasar).

Le grandi esperienze di Dio raggiungono una profondità ed essenzialità che le accomuna tutte. Anche Isaia, quando ebbe quella straordinaria visione della maestà e della gloria di Dio, di colpo prese coscienza di se stesso, di che cos'era in verità, ed esclamò: Ohimé! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono (Is 6,1 ss.). Siamo davanti al sentimento creaturale. Maria non confessa la sua “impurità”, perché in lei non c'è impurità, ma riconosce ugualmente la sua nullità di creatura. La stessa esperienza troviamo nella vita di Francesco di Assisi. Una notte, il suo intimo compagno e confidente, frate Leone, volle spiarlo per vedere come pregava e vide che passava lunghe ore ripetendo alternativamente, con la faccia e le mani levate al cielo: “Chi sei tu, o dolcissimo Iddio mio? Chi sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?” ( Consid. sacre stimmate , III; FF [= Fonti Francescane ] 1915). Chi sei tu? Chi sono io? In questa duplice domanda sta tutta la sapienza cristiana che consiste nel conoscere Dio e se stessi.
Anche sant'Agostino pregava dicendo a Dio: “Che io conosca te e che io conosca me” (“Noverim te, noverim me”) (S.Agostino, Sol. II,1,1; PL 32,885). Nessuna delle due conoscenze può fare a meno dell'altra: la conoscenza di Dio senza la conoscenza di sé genererebbe presunzione, la conoscenza di sé senza la conoscenza di Dio genererebbe disperazione (R.Cantalamessa).

II mistero della gioia:
contempliamo Colui che tu, o Vergine, hai portato ad Elisabetta

-Ascolto del Vangelo
In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore». Allora Maria disse: « L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore , perché ha guardato l'umiltà della sua serva . D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata… Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua (Lc 1, 39-56) .

-Testi di meditazione
"Maria va lì per rendersi utili; il fatto che in ciò ci sia occasione di conoscere la grazia concessa a entrambe e comunicarsi la reciproca gioia risulta accessorio. Per prima cosa Maria pensa che Elisabetta è gravida e, andando da lei, porta in sé il proprio Figlio. Nel consenso era sola come ognuno di noi nella missione decisiva nella sua vita deve stare solo davanti a Dio e pronunciare il suo sì per essere, soltanto da quel momento, inviato nuovamente alla comunità. E precisamente nella comunità di coloro che devono, a loro volta, dire di sì, che hanno essi pure un mandato da Dio, ossia nella comunità ecclesiale".
"Tutte le generazioni la loderanno e non cesseranno di guardare a lei, ma, da parte sua, ella guarda solo a Colui "che ha soccorso Israele suo servo", ricordandosi della sua misericordia, come promesso ai nostri padri, ad Abramo e a tutta la discendenza".
"Ogni bambino deve cominciare col farsi portare. E proprio questo Bambino, anche quando sarà cresciuto, non uscirà mai dal suo stato di infanzia; anche nella maturità si lascerà portare e sospingere dalla volontà del Padre, così come gliela presenta lo Spirito. Adesso si tratta del suo primo esercizio, dell'addestramento fisico, in quanto egli viene portato in giro corporalmente, come in un noviziato in cui siamo mandati di qua e di là come bimbi. E' il primo addestramento in quello che ogni cristiano dovrà sempre poter fare: lasciarsi docilmente portare "là dove tu non vuoi" (come dirà Gesù a Pietro). Il bambino nel grembo non sa dove lo portano. Neanche Gesù nello Spirito Santo vuol sapere dove questo lo sospinge (Mc 1, 12); per esempio nel deserto e nella tentazione. Questo lasciarsi portare e sospingere si compirà perfettamente nell'eucarestia, nella quale il Figlio si abbandonerà allo Spirito Santo e non santo della Chiesa per essere messo a disposizione di uomini che non sono pronti ad accoglierlo come colui che è, né a lasciarsi condizionare dalla sua grazia, dal suo atteggiamento di obbedienza. Adesso da bambino, più tardi da uomo e infine come ostia, il Figlio si lascerà come una cosa di cui si dispone, lui, che pure porta il peccato del mondo e quindi il mondo stesso. Ma c'è uno che vede tutto: il Padre nel cielo, dove è stato deciso il decreto trinitario della salvezza. Il Figlio è in cammino in Maria, comincia a essere portato in giro per il mondo e nessuno, neanche il Padre, può richiamarlo indietro. Egli lo ha affidato alla responsabilità della Madre e dovrà abbandonarlo nelle mani degli uomini, che faranno con lui cose che non sono nel beneplacito salvifico di Dio… il quale tuttavia abbraccia tutto, anche queste opposizioni. Il destino del mondo e di Dio stesso si è messo in moto e nessuno può arrestarlo". (da von Balthasar)

III mistero della gioia:
contempliamo Colui che tu, o Vergine, hai dato alla luce

-Ascolto del Vangelo
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo. C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama». Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro (Lc 2, 1-20) .

-Testi di meditazione
Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, in questi giorni che sono gli ultimi, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo (Eb 1, 1-2).

Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1, 9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2, 18; 2 Pt 1, 4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1, 15; 1 Tm 1, 17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33, 11; Gv 15, 14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3, 38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé (DV 2).

Parlerò al suo cuore (Os 2, 16)… anzi la traduzione esatta di questo testo… suonerebbe con un realistico "le parlerò sul cuore". Parlare "sul cuore", "in grembo", "sul petto" della persona amata è il modo tipico della comunicazione che si accompagna all'intimità fisica: dunque una comunicazione connotata da un massimo di fiducia, di confidenza, di abbandono, di comunione. E' quella dell'uomo con la sua donna, della madre con il suo bambino. Qui di Dio stesso con i suoi… Viene il momento in cui è necessario che proprio noi diciamo la cosa che va detta. E che la diciamo in quel preciso modo che soltanto a noi è possibile, che esattamente a noi è richiesto. E' vero, infatti, che spesso noi siamo gelosi, e non vogliamo che la persona che ci sta a cuore si confidi e parli anche con altri, pur sapendo che potrebbe trarne vantaggio. Ma è pure vero che, spesso, si verifica pure l'atteggiamento contrario: che noi siamo un po' vili quando si tratta di affrontare personalmente il momento di chiarire la difficile situazione… Qualche volta c'è bisogno proprio di questo: che tu dica a me quello che vuoi dire a me, invece di dirlo ad un altro perché arrivi a me (P.Sequeri).

La relazionalità che si raggiunge nella testimonianza appartiene alla sfera più profonda della conoscenza interpersonale perché, sul terreno del contenuto testimoniato, due persone permettono la conoscenza del proprio essere. Il testimone, infatti, a seconda della fedeltà del suo esprimersi rivela e permette all'altro la conoscenza della veracità – o falsità – del proprio essere; il recettore, da parte sua, giudicando il grado di sincerità del testimone, esprime la capacità d'uscire da se stesso per fidarsi dell'altro. Rischio tra i più alti della sfera personale, perché impone ad ognuno di immettersi in un sentiero di relazionalità che condiziona inevitabilmente l'esistenza personale. Nell'uno come nell'altro caso, la forma di conoscenza che si attua è da inscrivere nell'orizzonte della partecipazione all'intimità di una persona; in una parola, la testimonianza si qualifica come l'unica vera conoscenza che raggiunge i gradi più alti della comunicazione interpersonale.
La testimonianza, come si vede, non può essere relegata ad una semplice comunicazione di fatti; essa diventa, al contrario, impegno definitivo – a volte fino alla morte – con il quale ognuno pretende di essere accolto come veritiero. Con questa categoria, insomma, ognuno dispone di se stesso con un atto tra i più espliciti ed estremi di libertà: la capacità di conoscere l'intimo e la radicalità dell'essere personale in ciò che ha di più prezioso: la propria credibilità. Come dice il significato tedesco: zeugnis si traduce “testimone”, ma zeugen indica anche “generare”; insomma, il vero testimone genera e crea! (mons.R.Fisichella).

Maria dovrà essere madre fisicamente e spiritualmente, nutrendo il Bambino con il suo latte, educandolo e introducendolo nel modo degli uomini e soprattutto nel mondo di Dio. Con la nascita egli si è staccato da lei, iniziando il suo ritorno al Padre, attraverso il mondo. La Madre non tratterrà il Figlio presso di sé, ma lo cederà e lo inizierà alla rinuncia. Verrà il tempo, molto presto e poi di continuo, nel quale a sua volta il Figlio addestrerà la Madre alla rinuncia al di là di tutte le misure umane: "Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?". "Chi è mia madre e i miei fratelli?". "Donna, ecco tuo figlio". Egli le mostra fino a qual punto un assenso senza riserve può essere guidato da Dio e fuori di sé… Dall'atteggiamento della Madre deriva l'atteggiamento della Chiesa. Questa non è un assemblea di persone riunite da una finalità comune, ma una realtà a noi preesistente alla quale siamo obbligati per Dio e per la sua benevolenza. Nessuno si prende i sacramenti da sé, ma essi gli vengono amministrati come una grazia. Il battesimo, mediante il quale si è "generati da Dio" (Gv 1, 13), è anche, e in un senso molto reale, una nascita dalla Chiesa. Secondo i Padri, la Parola di Dio, proclamata dalla Chiesa, viene, al pari dei sacramenti, succhiata dalle sue mammelle, dalle quali tutti siamo nutriti, come Gesù bambino dal petto di sua Madre. La chiesa ha, davanti a Dio, una responsabilità nei nostri confronti: noi dobbiamo essere educati nel suo Spirito puro e santo e non nel nostro. E poiché la nostra nascita dalla Chiesa non è carnale, essa può metterci sulla via che porta a Dio, ma non può e non deve abbandonarci su questa strada, perché, quanto più ci maturiamo come cristiani, tanto più diventiamo "anime ecclesiali", che devono diventare, a loro volta, ecclesialmente feconde (von Balthasar).

IV mistero della gioia:
contempliamo Colui che tu, o Vergine, hai presentato al Tempio

-Ascolto del Vangelo
Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre. Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore ; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi , come prescrive la Legge del Signore. Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2, 21-35) .

-Testi di meditazione
La presentazione al tempio del Bambino da parte della Vergine Madre contiene in se' tre diversi aspetti, che corrispondono tutti e tre alla comune legge ebraica, a cui ogni primogenito di sesso maschile e ogni madre devono assoggettarsi e tutti e tre acquistano in questi riti usuali un'importanza unica. Essi sono: la circoncisione del bambino, la purificazione legale della madre e il riscatto del primogenito… L'evangelista riunisce insieme questi tre momenti, pur salvaguardando la distanza cronologica tra la circoncisione e la purificazione. Il significato di tutte e tre le azioni simboliche è la restituzione sacrificale a Dio di quello che gli appartiene. E ciò in obbedienza alla "legge di Mosè" o "del Signore", come Luca ripete per ben cinque volte con un'insistenza impressionante. Neanche i non abbienti ne sono dispensati; al posto di un animale costoso, Giuseppe porta l'offerta del povero, costituita da una coppia di colombi. Il primo sangue scorre, immacolato; è la caparra del sangue della passione mediante il quale si compirà la vera e unica "purificazione", il vero e solo "riscatto". Tutto quello che era figura, simbolo, rito, viene superato fin da ora, interiormente, dalla realtà vissuta che era stata prefigurata nei molto sacrifici… A questo mira precisamente il mistero della "presentazione", in cui il Bambino viene offerto (come più tardi il Signore della Chiesa sarà presentato da quest'ultima nella messa), e il Bambino "immola" ritualmente sua Madre e la sua famiglia, in quanto Maria-Chiesa… Nella Messa la Chiesa restituisce il dono di Dio, sacrificandoglielo, per riottenerlo da Lui potenziato, come Isacco, e nella stessa messa la Chiesa impura - in noi, sue membra - viene purificata per potersi offrire a sua volta insieme con il suo Capo e Signore "per la vita del mondo", la cui colpa viene riscattata da lei. E tutto l'elemento esistenziale in questo sacrificio rimarrà nascosto sotto il velo di un povero rito…. La nuova luce sgorga dal sacrificio vissuto; è una luce centrale dell'obbedienza alla volontà del Padre. In questa obbedienza c'è l'assoluta disponibilità a Dio come si esprime nella verginità delle tre persone della sacra Famiglia e ha per conseguenza quella povertà del sacrificio di due colombe, che si è lasciata depredare da Dio e dagli uomini (von Balthasar).

Se tu credi che Cristo è morto per te, sei salvo (un ragazzo disturbato mentalmente, ma saggio!)

Ci viene detto che Cristo è stato ucciso per noi, che la Sua morte ha redento i nostri peccati, e che, morendo, Egli ha reso impotente la morte stessa… Questo è il cristianesimo, ed è questo ciò che deve essere creduto…Se Dio era disposto a perdonarci, perché mai non l'ha fatto? Che senso c'era a punire, invece, un innocente? Io non ne vedo alcuno se pensiamo ad una punizione in senso giudiziario. D'altra parte se pensiamo ad un debito, è molto sensato che una persona provvista di mezzi lo paghi a nome di chi non ne ha. O ancora, se all'espressione "pagare la penale" non attribuiamo il significato di subire un castigo, ma quello più generale di "far fronte a un impegno" o di "saldare un conto", è un'esperienza comune che quando uno si è messo in qualche impiccio, il disturbo di tirarlo fuori tocchi di solito ad un buon amico.
Ebbene, in quale "impiccio" si era messo l'uomo? Aveva cercato di agire per conto proprio, di comportarsi come se appartenesse a se stesso. In altri termini, l'uomo caduto non è soltanto una creatura imperfetta che ha bisogno di migliorarsi: è un ribelle che deve deporre le armi. Deporre le armi, arrendersi, chiedere scusa, capire che ci si è messi su una strada sbagliata ed essere pronti a ricominciare la vita dalle fondamenta: è questo l'unico modo di uscire dall' "impiccio". Questa operazione di resa - questo fare macchina indietro a tutta forza - è ciò che il cristianesimo chiama pentimento. Ora, il pentimento non è un gioco da ragazzi. E' una cosa molto più ardua che cospargersi il capo di cenere. Vuol dire disimparare tutta la presunzione e la caparbietà cui da migliaia di anni siamo avvezzi. Vuol dire uccidere una parte di sé, subire una specie di morte. In realtà, per pentirsi occorre essere persone buone davvero. E qui viene l'intoppo. Solo una persona cattiva ha bisogno di pentirsi: e solo una persona buona può pentirsi perfettamente. Peggiori siamo, più abbiamo bisogno di pentirci e meno ne siamo capaci. La sola persona che potrebbe farlo perfettamente sarebbe una persona perfetta - e non ne avrebbe bisogno. Badate bene: questo pentimento, questo volontario sottomettersi all'umiliazione e a una specie di morte, non è qualcosa che Dio esige da noi prima di riaccoglierci, e da cui potrebbe esimerci se volesse; è semplicemente una descrizione di ciò in cui consiste l'atto di tornare a Lui. Se chiedi a Dio di riaccoglierti senza questo atto, Gli chiedi in realtà di lasciarti tornare senza tornare. (C.S.Lewis, Il cristianesimo così com'è)

I Sam 1, 26 Anna disse: «Ti prego, mio signore. Per la tua vita, signor mio, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Perciò anch'io lo dò in cambio al Signore: per tutti i giorni della sua vita egli è ceduto al Signore».

La passione delle pazienze (di Madeleine Delbrêl)

La passione, la nostra passione, sì, noi l'attendiamo.
Noi sappiamo che deve venire, e naturalmente intendiamo
viverla con una certa grandezza.
Il sacrificio di noi stessi: noi non aspettiamo altro che
ne scocchi l'ora.
Come un ceppo nel fuoco, così noi sappiamo di dover
essere consumati. Come un filo di lana tagliato
dalle forbici, così dobbiamo essere separati. Come un giovane
animale che viene sgozzato, così dobbiamo essere uccisi.
La passione, noi l'attendiamo. Noi l'attendiamo, ed essa non viene.

Vengono, invece, le pazienze.
Le pazienze, queste briciole di passione, che hanno lo
scopo di ucciderci lentamente per la tua gloria, di
ucciderci senza la nostra gloria.

Fin dal mattino esse vengono davanti a noi:
sono i nostri nervi troppo scattanti o troppo lenti,
è l'autobus che passa affollato,
il latte che trabocca, gli spazzacamini che vengono,
i bambini che imbrogliano tutto.
Sono gl'invitati che nostro marito porta in casa
e quell'amico che, proprio lui, non viene;
è il telefono che si scatena;
quelli che noi amiamo e non ci amano più;
è la voglia di tacere e il dover parlare,
è la voglia di parlare e la necessità di tacere;
è voler uscire quando si è chiusi
è rimanere in casa quando bisogna uscire;
è il marito al quale vorremmo appoggiarci
e che diventa il più fragile dei bambini;
è il disgusto della nostra parte quotidiana,
è il desiderio febbrile di quanto non ci appartiene.

Così vengono le nostro pazienze, in ranghi serrati o in
fila indiana, e dimenticano sempre di dirci che sono il martirio preparato per noi.

E noi le lasciamo passare con disprezzo, aspettando –
per dare la nostra vita – un'occasione che ne valga la pena.
Perché abbiamo dimenticato che come ci sono rami
che si distruggono col fuoco, così ci son tavole che
i passi lentamente logorano e che cadono in fine segatura.
Perché abbiamo dimenticato che se ci son fili di lana
tagliati netti dalle forbici, ci son fili di maglia che giorno
per giorno si consumano sul dorso di quelli che l'indossano.
Ogni riscatto è un martirio, ma non ogni martirio è sanguinoso:
ce ne sono di sgranati da un capo all'altro della vita.

E' la passione delle pazienze.

V mistero della gioia:
contempliamo Colui che tu, o Vergine, hai ritrovato nel Tempio

-Ascolto del Vangelo
I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini (Lc 2, 41-50).

-Testi di meditazione
Maria non aveva donato il Figlio completamente a Dio? Non aveva detto loro il profeta che non si trattava di un sacrificio qualsiasi, ma definitivo? Ma la novità che porta Gesù è talmente unica che solo lui, solo l'esperienza che facciamo con lui, può iniziarci ad essa. E il primo stadio di questa iniziazione sarà sempre un "non comprendere" (Lc 2, 60) ciò che lui dice… Lo trovarono, dunque, nel tempio, ossia in un luogo dove c'è Dio e in cui non si può abitare umanamente; là non si trova né una mensa, né un letto. Ma il Figlio di Dio vi dimorerà sempre, perché riposa nella volontà del Padre, che gli viene presentata dallo Spirito, perché prosegue nella maniera umana dell'obbedienza ciò che ha sempre fatto dall'eternità: essere "presso Dio", "nel seno del Padre" (Gv 1, 2. 18)… Per il momento, finché si trova nel tempio, abita in esso, poiché il santuario è la casa simbolica di Dio nel mondo. Ma di esso non rimarrà pietra su pietra. Allora il Figlio, che fa la volontà del Padre così in cielo come in terra, sarà l'unico Tempio di Dio nel mondo… Egli sarà il luogo di Dio nel mondo e, poiché distribuirà nell'eucarestia se stesso a tutto il mondo e il suo corpo, distribuito, edificherà la sua Chiesa, questo luogo sarà accessibile ovunque. Ma accessibile nel rito, nella commemorazione attualizzante della sua morte e resurrezione, del suo smarrimento e ritrovamento. Là, nel mistero dei tre giorni, bisognerà cercarlo, come lo ritrovano, dopo tre giorni di vane ricerche, anche sua madre e il suo padre putativo. Cercarlo la dove non è: nei peccatori, nei lontani da Dio, nella solidarietà con i nemici, con i perduti, dove egli si fa riconoscere al terzo giorno. "Figlio, perché ci hai fatto ciò? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo". Egli non può risparmiare ai genitori questa sofferenza. Solo nella ricerca si può trovare il Cristo, in una ricerca così seria, come se dal ritrovamento di questo Ricercato dipendesse tutto. Non c'è altra istruzione cristiana per la vita all'infuori di questo insegnamento intuitivo che Gesù si trova là dove si è donato - e viene donato - a Dio… Quanto più un "trovare" è cristiano, tanto più è una spoliazione. Le due espressioni: "Tuo padre e io" e "il Padre mio" sono in stridente contrasto fra loro. Gesù non può avere due padri… Non è un ragazzetto emancipato che vanta un incarico speciale di fronte ai genitori, che non lo capiscono. Rivela solo la sua verità: egli è il Figlio di Dio che non può essere messo a confronto con nessun altro, e il Figlio di una Madre vergine. Come tale viene restituito ai genitori nella gioia del ritrovamento. Non è solo prestato, ma ridonato, però a condizione che essi lo ricevano come colui che egli è in verità. Davanti a Dio non c'è volontà di possesso, poiché lui stesso non vuole possedere. Anzi dona il Figlio suo a tutti, irrevocabilmente. Solo così può averlo. Non si può essere ricchi in Dio se non si vuole partecipare alla povertà divina. Poiché adesso il Figlio ritorna con loro, Maria e Giuseppe devono imparare cosa significa "possedere, come se non si possedesse" (1Cor 7, 30), essere pronto, a ogni istante, a lasciare che quanto ci è più caro passi dalla parte di Dio e ci trascini addirittura con sé su questa via del distacco… A Maria e Giuseppe viene concessa qui non una gioia puramente soprannaturale, ma affatto umana; come lo stesso Gesù obbedisce loro non solo per motivi soprannaturali ma con un amore e un rispetto genuini. Le virtù soprannaturali che scaturiscono dalla vita intima di Dio, come la fede, la speranza e la carità, stanno per assumere nell'incarnazione di Gesù una forma veramente umana. Nella sacra Famiglia questa umanità non è difficile… Naturalmente la Chiesa ha il dovere di esercitare i fedeli nell'obbedienza, che forma il suo mistero più intimo. Esercitarli anche mediante l'obbedienza se stessa, nella sua obbedienza specifica a Dio… Tutto ciò che è gerarchico procede dall'amore personale, ma tutto l'amore personale deve lasciarsi dilatare al di là di sé stesso e della sua portata dalla forma oggettiva dell'amore, che è l'autorità. Lo Spirito Santo è tutte e due le cose nell'unità: amore soggettivo e oggettivo, sentito e non sentito, familiarità e autorità, ispirazione e sottomissione (von Balthasar).

Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì (Eb 5, 8).

Liturgia laica (di Madeleine Delbrêl)

Tu ci hai condotto stanotte in questo bar che ha nome "chiaro di luna".
Volevi esserci Tu, in noi,
per qualche ora, stanotte. Tu hai voluto incontrare,
attraverso le nostre povere sembianze,
attraverso il nostro miope sguardo,
attraverso i nostri cuori che non sanno amare,
tutte queste persone venute ad ammazzare il tempo.

E poiché i Tuoi occhi si svegliano nei nostri
E il tuo Cuore si apre nel nostro cuore,
noi sentiamo il nostro labile amore aprirsi in noi
come una rosa espansa,
approfondirsi come un rifugio immenso e dolce
per tutte queste persone,
la cui vita palpita intorno a noi.

Allora il bar non è più un luogo profano,
quell'angolo di mondo che sembrava voltarti le spalle.
Sappiamo che, per mezzo di Te, noi siamo diventati
La cerniera di carne,
la cerniera di grazia,
che lo costringe a ruotare su di sé,
a orientarsi suo malgrado
e in piena notte
verso il Padre di ogni vita.

In noi si realizza il sacramento del Tuo amore.
Ci leghiamo a Te
Con tutta la forza della nostra fede oscura,
ci leghiamo a loro
con la forza di questo cuore che batte per Te,
Ti amiamo,
li amiamo,
perché si faccia di noi tutti una cosa sola.

In noi, attira tutto a Te…
Attira il vecchio pianista,
dimentico del posto in cui si trova,
che suona soltanto per la gioia di suonare;
la violinista che ci disprezza e offre in vendita
ogni colpo d'archetto,
il chitarrista e il filarmonicista
che fan della musica senza saperci amare.
Attira quest'uomo triste, che ci racconta storie cosiddette gaie.
Attira il bevitore che scende barcollando
la scala del primo piano;
attira questi esseri accasciati, isolati dietro un tavolo
e che son qui soltanto per non essere altrove;
attirali in noi perché incontrino Te,
Te cui solo è il diritto di aver pietà.
Dilataci il cuore, perché vi stiano tutti;
incidili in questo cuore,
perché vi rimangano scritti per sempre.

Tu fra poco ci condurrai
Sulla piazza ingombra di baracconi da fiera.
Sarà mezzanotte o più tardi.
Soli resteranno sul marciapiede
Quelli per cui la strada è il focolare,
quelli per cui la strada è la bottega.
Che i sussulti del Tuo cuore affondino i nostri
Più a fondo dei marciapiedi,
perché i loro tristi passi
camminino sul nostro amore
e il nostro amore
gl'impedisca di sprofondare più a fondo
nello spessore del male.

Resteranno, intorno alla piazza,
tutti i mercanti di illusioni,
venditori di false paure, di falsi sports,
di fase acrobazie, di false mostruosità.
Venderanno i loro falsi mezzi di uccidere la noia,
quella vera, che rende simili tutti i volti scuri.
Facci esultare nella Tua verità e sorridere loro
Un sorriso sincero di carità.
Più tardi saliremo sull'ultimo metrò.
Delle persone vi dormiranno.
Porteranno impresso su di sé
Un mistero di pena e di peccato.
Sulle banchine delle stazioni quasi deserte,
anziani operai,
deboli, disfatti, aspetteranno che i treni si fermino
per lavorare e riparare le vie sotterranee.

E i nostri cuori andranno sempre dilatandosi,
sempre più pesanti
del peso di molteplici incontri,
sempre più grevi del Tuo amore,
impastati di Te,
popolati dai nostri fratelli, gli uomini.
Perché il mondo
Non sempre è un ostacolo a pregare per il mondo.
Se certuni lo devono lasciare per trovarlo
E sollevarlo verso il cielo,
altri visi devono immergere
per levarsi
con lui
verso il medesimo cielo.
Nel cavo dei peccati del mondo
Tu fissi loro un appuntamento:
incollati al peccato,
con Te essi vivono
un cielo che li respinge e li attira.
Mentre Tu continui
A visitare in loro la nostra scura terra,
con Te essi scalano il cielo,
votati a un'assunzione pesante,
inguaiati nel fango, bruciati dal Tuo spirito,
legati a tutti,
legati a Te,
incaricati di respirare nella vita eterna,
come alberi con radici che affondano.

I mistero della luce:
contempliamo con Maria Colui che è stato battezzato nel Giordano

-Ascolto del Vangelo
Quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come di colomba, e vi fu una voce dal cielo: «Tu sei il mio figlio prediletto (amato), in te mi sono compiaciuto» (Lc 3, 21-22).

-Testi di meditazione
Gesù si fa battezzare, non perché abbia bisogno di fare penitenza - Giovanni stesso glielo ricorda - ma per assumere fino in fondo la nostra condizione, per prendere su di sé la miseria degli uomini che era come sedimentata nelle acque mortifere del Giordano, in fondo alle quali la simbologia dell'icona mostra le forze del nulla che in esse si celano. Con questo suo stesso gesto egli schiaccia loro il capo, la sua umiltà trionfa sul loro orgoglio: è una nuova tappa nella ricreazione della nostra natura, un nuovo tassello nell'opera di restituzione agli uomini della loro dignità. Immerso nella creazione ottenebrata, Gesù riemerge liberandola dal male. “Chinando il capo dinanzi al Precursore”, canta la liturgia bizantina, “tu hai schiacciato il capo ai demoni. Scendendo in mezzo ai flutti, hai illuminato l'universo perché ti renda gloria”… Tuttavia, il senso più profondo della festa, che le è valso il nome di “Teofania”, è la prima manifestazione della Trinità. Gesù vede i cieli aprirsi e lo Spirito discendere su di lui “come una colomba”. Risuona la voce del Padre: “Questi è il Figlio mio, l'amato, nel quale mi sono compiaciuto”, secondo Matteo; “Oggi ti ho generato”, secondo una variante di Luca. Con questo non si vuol dire che Gesù fu semplicemente un uomo “adottato” da Dio in quel momento, perché quell' “oggi” è eterno. L' “adozionismo” fu respinto dalla chiesa, che in reazione a esso diede maggior rilievo alla celebrazione del Natale. Al Giordano, del quale partecipa l'acqua del nostro battesimo (in Etiopia, si mescola ancor oggi per davvero qualche goccia d'acqua del Giordano all'acqua impiegata per ogni battesimo), il Padre esprime tutta la sua tenerezza per il Figlio, sul quale fa riposare il suo Spirito. “Ecco, alla porta delle acque la Tenerezza chiama ogni giorno coloro che sono perduti”, dice Efrem il Siro. E poi aggiunge: “Gioia per i corpi! Essi sono liberati dal male, e nelle acque ritrovano tutta la loro gloria” (Efrem il Siro, Inni sull'Epifania 13). (da O.Clément)

Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco (Gen 22, 2)

Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?». Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro!» (Gv 8, 31-38).

Gesù riprese a parlare e disse: «In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati (Gv 5, 19-20).

Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui (Gv 8, 28-30).

Il figlio è riconosciuto. L'eudochia! “Ecco il figlio che ho amato, nel quale mi riconosco”. Guardate che questo è il gesto dell'eternità, della pienezza: il figlio che viene riconosciuto e per l'eternità. E' il destino del nostro cammino: essere riconosciuti dal Padre. Ma pensate che meraviglia! Essere riconosciuti dal Padre: “Questo è il figlio che amo. Mi ritrovo in lui, mi riconosco in lui”. E' intraducibile quella cosa lì. E quindi tutto il nostro impegno che si dice ascetico, tutta la nostra disciplina, tutto quello che facciamo: non vogliamo che quella porta - come spesso c'è nel Vangelo - si chiuda. Dice: “Non so chi sei”. Pensate un po': “Non so chi sei”. Il figlio non riconosciuto. Questo è l'inferno - sapete. Perché tu rimani figlio, ma non riconosciuto. L'inferno lo si può attraversare - bellissima anche quella dimensione lì, in cui Von Balthasar ha visto nella trilogia dei tre giorni, che si può attraversare l'inferno - perché in fondo c'è l'abbraccio del Padre. Splendido! Tu puoi entrare, lo attraversi, perché sotto c'è proprio l'abbraccio, ci sono le mani del Padre che ti accolgono nel seno. Come in fondo ad ogni dolore, in fondo alla morte, c'è il riconoscimento del figlio (d.Achille Tronconi).

II mistero della luce:
contempliamo con Maria Colui che si è rivelato come lo sposo nelle nozze di Cana

-Ascolto del Vangelo
Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà». Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le giare»; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un pò brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono». Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni ( Gv 2, 1-12) .

-Testi di meditazione
Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola . Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito (Ef 5, 21-33).

"Io non sono degno di sciogliere il legaccio dei sandali". Nella bellissima interpretazione di Alonso Schokel, basata sull'uso del sandalo nella legge del levirato, Giovanni rifiuta con ciò di essere lo sposo. Così l'hanno interpretato molti Padri della Chiesa antica. Citiamo, ad esempio, Gregorio Magno: “Era costume, presso gli antichi, che se uno non voleva prendere come sposa la ragazza destinata a sé, allora chi, per diritto di parentela, sarebbe stato lo sposo, lui gli scioglieva i calzari. Come, dunque, apparve Cristo tra gli uomini, se non come Sposo della Santa Chiesa? Di Lui ancora Giovanni dice: “Chi ha la sposa è lo sposo”. Dato però che gli uomini ritennero che Giovanni fosse il Cristo – cosa da lui negata – opportunamente egli si dichiarò indegno di sciogliere il legaccio dei sandali di Lui. Intendeva così dire: Non posso mettere a nudo i passi del nostro Redentore, perché non intendo usurparne il titolo di sposo”. L'evangelista Giovanni espliciterà: “Io sono l'amico dello sposo”. Il rifiuto cristiano della seduzione, del “condurre a sé”. Il messaggero indica “Colui che è più forte”, il Figlio. Il più piccolo di coloro che sono con Lui, è più grande del più grande dei profeti. “Il Signore esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa” (Sof 3, 18).
Non voler usare troppo il registro della emotività per conquistare. Non voler saturare ogni attesa. Ogni mancanza non è necessariamente causa delle inadeguatezze altrui, ma è segno della creaturalità che attende lo sposo, il Signore. Piuttosto scavare in queste mancanze, in questi vuoti perché siano coscienza che niente e nessuno fra le creature è “sposo” in senso pieno, se non Colui che discende dall'alto. D'altro canto egli è l'amico che, con voce forte, invita alle nozze. Non rifugge dalla sua autorità. Sa di essere sentinella in mezzo al popolo (Ez 3) e non chiama male il bene e bene il male. “Guai a coloro che chiamano bene il male e bene il male, che cambiano le tenebre il luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro” (Is 5, 20) (un sacerdote).

Sarà il primo segno o segnale (semeion) di Gesù nella serie del vangelo. E' un segnale, perché è un miracolo e ancor più perché segnala in una duplice direzione. Avviene il sesto giorno del racconto evangelico: il sesto giorno è il giorno della creazione dell'uomo e della donna. Tende un arco verso la croce: con la menzione dell' "ora" e chiamando la madre "donna"; anche, con minor evidenza, con la relazione vino-acqua/acqua-sangue… Ogni festa nuziale ebraica rendeva presente l'alleanza e assicurava la benedizione della fecondità, la continuità del popolo; e questo fino a quando sarebbe arrivato il Messia… Il vino è il tema centrale dell'episodio: è richiamato cinque volte; Maria è testimone della sua mancanza, il maestro di tavola testimone della sua qualità, gli inservienti della sua origine, i discepoli testimoni consapevoli del miracolo; è l'oggetto del primo segno di Gesù. E' innegabile il suo valore simbolico. Anzitutto la mancanza, perché risalti la presenza. Poi lo sfondo dell'Antico Testamento. Il vino e la vite inaugurano nuove ere: dopo il diluvio Noè pianta una vigna, inventa il vino, si ubriaca, rimane scoperto (Gen 9, 20); prima della conquista della terra promessa, questa si presenta ai pellegrini come uno stupendo e gigantesco grappolo - più che un luogo ove scorrono latte e miele - (Nm 13, 23); quando sarà inaugurato il regno definitivo del Signore, egli offrirà a tutti i popoli, "un banchetto di cibi succulenti, un banchetto di vini di qualità, cibi succulenti, vini generosi" (Is 25, 6); riferendosi alla propria resurrezione, Gesù dice: "Vi dico che d'ora innanzi non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio" ( Mt 26, 29)… A Cana il primo segno di Gesù annunzia che è giunta l'era messianica. Lo sposo è presente, ma le nozze sono rinviate perché saranno nozze di sangue, quando arriverà l'ora (Alonso Schoekel).

Egli è lo sposo che prende con sé la Chiesa come sposa, della quale spiritualmente nasceranno figli (Cipriano a Quirino)

Maria, già immagine della Chiesa che si prende cura e che intercede, si rivolge al Figlio; ciò è strano perché non ha visto di lui nessun miracolo esterno. Ma a lei basta sapere della sua interiore santa potenza. Gesù, nella coscienza che il suo miracolo di cui è dal Padre incaricato sarà la croce, non vuole essere spinto nel ruolo di un taumaturgo, di cui d'ora in poi lo caricherà il popolo insaziabile. Ed ecco ora le più belle parole di Maria, che affidano a lui tutto e che al tempo stesso dirigono i servitori nell'obbedienza di lui: "Fate quello che vi dirà". Veramente, osservato da nessuno, l'illuminarsi della gloria di lei (von Balthasar).

III mistero della luce:
contempliamo con Maria Colui che ha annunciato il Regno di Dio chiamando alla conversione e alla sequela

-Ascolto del Vangelo
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo». Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti. Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono (Mc 1, 14-20 ) .

-Testi di meditazione
Ef 1, 15-23 Perciò anch'io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell'amore che avete verso tutti i santi, non cesso di render grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l'efficacia della sua forza che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose.

Ef 2, 11-22 Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani per nascita, chiamati incirconcisi da quelli che si dicono circoncisi perché tali sono nella carne per mano di uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito.

Col 1, 15-28 Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui.
Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.
E anche voi, che un tempo eravate stranieri e nemici con la mente intenta alle opere cattive che facevate, ora egli vi ha riconciliati per mezzo della morte del suo corpo di carne, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili al suo cospetto: purché restiate fondati e fermi nella fede e non vi lasciate allontanare dalla speranza promessa nel vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunziato ad ogni creatura sotto il cielo e di cui io, Paolo, sono diventato ministro. Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso di voi di realizzare la sua parola, cioè il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi, ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani, cioè Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo con ogni sapienza, per rendere ciascuno perfetto in Cristo.

Due racconti di vocazione che potremmo dire schematizzati su questi tre momenti: la situazione, la chiamata, la risposta. E' come se uno stesso schema narrativo si riproponesse con immediata successione per due volte, quasi sacrificando originalità narrative, che pure avranno individuato l'una vicenda rispetto all'altra. Il racconto viene schematizzato fino al punto che le due narrazioni di vocazione possono essere quasi perfettamente sovrapponibili. E' come se una stessa vicenda si riproponesse. Naturalmente i biblisti corrono subito a gridare al genere letterario; siamo di fronte al genere letterario di vocazione. Questi tre momenti sono momenti caratteristici di un racconto di un genere letterario: il genere letterario di vocazione e quando noi diciamo "genere letterario" immediatamente, forse scontatamente, riduciamo la vicenda a un fatto letterario. Diciamo: è un genere letterario, è un abito e trattiamo il tutto come se fosse un abito, dimenticando che quell'abito veste un corpo e perdendo di prospettiva e di visione il corpo, interessati all'abito. Siamo di fronte al genere letterario di vocazione, ma che cosa è un genere letterario? Un genere letterario non è dare una forma letteraria magari ripetitiva, standardizzata, ma non è dare una forma letteraria al nulla. E' invece, tipicizzare un evento, è in un certo senso rendere aperto un evento, renderlo paradigmatico, per cui siamo di fronte a uno schema di chiamata che già in questo inizio di vangelo di Marco si ripropone identicamente, in modo tale da poterlo sovrapporre per due volte per dirci che questo avvenimento è un avvenimento aperto, che tende a riproporsi lungo l'asse evolutivo della storia di Gesù, così come lungo l'asse evolutivo della storia della Chiesa ed è la chiamata ad essere discepoli. Un racconto, uno schema narrativo aperto, quasi per dire al lettore, quasi per dire a te: "Guarda! Questo evento può accadere nella tua vita". In questo avvenimento tu puoi entrare. (mons. Mansueto Bianchi, vescovo di Volterra)

IV mistero della luce:
contempliamo con Maria Colui che si è trasfigurato sul monte, dinanzi a Pietro, Giovanni e Giacomo

-Ascolto del Vangelo
Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!». E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro (Mc 9, 2-8) .

-Testi di meditazione
Questa luce che investe il Cristo, che non è la luce riflessa dalla nube - è importantissimo! - è la luce che sgorga dal Cristo, di dentro, e tutto lo trasfigura, la sua carne e i suoi stessi abiti, è la luce intrinseca del Cristo, che il Cristo possiede, è la luce primordiale, è la luce stessa di Dio “avvolto di luce, come di un manto”, che è nel Cristo. Non c'è modo più esplicito per chi ragiona con categorie bibliche, con immagini bibliche e con termini rivelati da Dio, non c'è modo più esplicito per dire che quell'uomo è Dio.
Questa luce che lo avvolge e lo trasfigura - e questo è il paradosso - senza consumarlo. Qualcuno potrebbe dire: “Sì a quel punto scompare l'uomo e appare solo Dio”; lo scandalo sarebbe almeno parzialmente risolto, se le cose stessero così. Ma no! E' una luce che nascendo dal di dentro, lo investe, lo avvolge, trasforma tutto, ma lo lascia, lui, uomo. Lui, uomo! Con la sua carne, con i suoi stessi abiti. Una luce che investe tutta la sua umanità, totalmente, e che coesiste con l'apparire manifesto della sua umanità, perché in lui inabita tutta la pienezza della divinità, “somatikos”, corporalmente. Quindi il Cristo non è soltanto un rivelatore, non è soltanto qualcuno che manifesta Dio, come per luce riflessa lo manifestano tutti i santi, come per luce riflessa lo manifesta in modo mirabile la regina dei santi, la Vergine. Non è questo! Non è soltanto un profeta, né il più grande dei profeti, né colui nel quale Dio, per riflesso, appaia meglio che in qualsiasi altro e più che in qualsiasi altro nella storia del mondo. E' Dio! Ma come l'uomo? “Erat lux”. “Erat lux vera”. La luce vera. E' la vita, è la luce, è l'unigenito Dio, come dice il testo da recepirsi nel prologo di San Giovanni, che in se stesso ci rivela Dio. “Dio nessuno l'ha mai visto, l'unigenito Dio che è nel seno del Padre egli lo ha narrato”, perché chi vede lui vede Dio. E' Dio (d.Umberto Neri).

E poi lo scandalo si accresce, in un certo senso – non può andare al di là di questo - ma si precisa, si configura ancora nei suoi termini più precisi, contestuali: Gesù, Gesù, quest'uomo è il fine e il senso di tutta la storia. Ma come la storia così vasta, con tante linee, la storia non raccontata, la storia dell'umanità? E' chiaro che è un'utopia una storia universale - si possono fare diversi capitoli, ma non si può fare una storia universale, perché non c'è nessuno che possa vedere le concatenazioni compiute di tutta la storia globalmente - la storia universale è semplicemente un'utopia, un paradosso, è un'impostura? Ebbene Gesù è la sintesi di tutta la storia: tutte le cose sono state fatte per lui e tutte le cose convergono a lui e tutta la storia è per lui, pensa a lui, si protende a lui, desidera lui, vuole lui, parla con lui. Ne è il centro, ne è il vertice, ne è il perno. Questo vuol dire - fra le altre cose, stupendo, sarebbero tante – che Mosè ed Elia sono la storia nei suoi vertici del popolo eletto, quindi la storia della storia, quindi il livello più alto, la cresta dell'onda di tutta la storia dell'umanità, perché tutto è in funzione di Israele, tutto è per quella storia di quel popolo, il popolo eletto. Mosè ed Elia – perché Mosè ed Elia parlano - sono per lui, hanno parlato con lui, vedevano lui e ne gioivano, di lui parlavano in tutte le Scritture, lui attendevano tutti i profeti e tutti i giusti, protendendosi al momento del suo apparire.
Ma è possibile, è possibile che un uomo concentri in sé le linee innumerevoli, sconfinate, di tutto il manifestarsi turbolento, mirabile, tragico, della storia segreta del mondo. Come, se crediamo - e crediamo in Dio! - dobbiamo dire sì al Dio che si nasconde, così, poiché crediamo, dobbiamo dire sì a quell'uomo. E' tutta la storia. Non c'è una riga che non gli appartenga, non c'è un segmento che sfugga. Come? La storia è per lui (d.Umberto Neri).

E poi è il luogo unico - quest'uomo che è Dio - è il luogo unico della comunicazione di Dio agli uomini e degli uomini a Dio. “Questo è il mio Figlio, il diletto, ascoltate lui. Lui ascoltate”. Rispetto alla stessa preparazione, rispetto agli stessi vertici della storia dell'Antico Testamento che lo attendeva, lo preannunciava, ai vertici della santità che Dio stesso aveva creato in seno al suo popolo - ed è la rivelazione, nessun uomo mai fu come Mosè al quale Dio parlò faccia a faccia, ed Elia, il profeta tipo di tutti i profeti - eppure rispetto a questi stessi è il Cristo, lui, l'unico, l'unico luogo nel quale Dio pone il suo compiacimento: “E' lui in cui mi sono compiaciuto”. E se si è compiaciuto nel suo popolo è stato per lui, per riflesso rispetto al compiacimento in lui e se ci ha amati ed ha amato tutte le creature - perché nulla avrebbe fatto se non lo avesse amato - le ha amate in lui. In Cristo siamo stati scelti, in Cristo sono state create tutte le cose, nulla è amato se non lui (d.Umberto Neri).

Come parlare, nelle circostanze attuali, di giustizia e insieme di perdono quali fonti e condizioni della pace? La mia risposta è che si può e si deve parlarne, nonostante la difficoltà che questo discorso comporta, anche perché si tende a pensare alla giustizia e al perdono in termini alternativi. Ma il perdono si oppone al rancore e alla vendetta, non alla giustizia. La vera pace, in realtà, è « opera della giustizia » ( Is 32, 17)… La vera pace, pertanto, è frutto della giustizia, virtù morale e garanzia legale che vigila sul pieno rispetto di diritti e doveri e sull'equa distribuzione di benefici e oneri. Ma poiché la giustizia umana è sempre fragile e imperfetta, esposta com'è ai limiti e agli egoismi personali e di gruppo, essa va esercitata e in certo senso completata con il perdono che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati. Ciò vale tanto nelle tensioni che coinvolgono i singoli quanto in quelle di portata più generale ed anche internazionale. Il perdono non si contrappone in alcun modo alla giustizia, perché non consiste nel soprassedere alle legittime esigenze di riparazione dell'ordine leso. Il perdono mira piuttosto a quella pienezza di giustizia che conduce alla tranquillità dell'ordine, la quale è ben più che una fragile e temporanea cessazione delle ostilità, ma è risanamento in profondità delle ferite che sanguinano negli animi. Per un tale risanamento la giustizia e il perdono sono ambedue essenziali (Giovanni Paolo II).

V mistero della luce:
contempliamo con Maria Colui che ha istituito l'eucarestia

-Ascolto del Vangelo
Quando fu l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E preso un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio». Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi». «Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola (Lc 22, 14-21).

-Testi di meditazione
Gesù “avendo amato i suoi… li amò fino alla fine”. Dobbiamo vedere l'eucaristia come il dono pieno e totale di Gesù al Padre ( sacrificium ) e a noi ( communio ): un donarsi totale e pieno. Un legame di communio che niente e nessuno potranno mai spezzare perché Cristo lo realizza.
“3Fate questo in memoria di me”: è con queste parole di S.Agostino che possiamo comprendere il senso della memoria eucaristica: "Se vuoi comprendere il corpo di Cristo, ascolta l'apostolo che dice ai fedeli: Voi però siete il corpo di Cristo, le sue membra (1 Cor 12, 27). Se voi, dunque, siete il corpo di Cristo e le sue membra, sulla mensa del Signore viene posto il vostro sacro mistero: il vostro sacro mistero voi ricevete. A ciò che voi siete, voi rispondete “Amen” e, rispondendo, lo sottoscrivete. Odi infatti: "Il corpo di Cristo" e rispondi: "Amen". Sii veramente corpo di Cristo, perché l'Amen (che pronunci) sia vero!”
La memoria eucaristica nella nostra vita genera la trasmissione della fede. Dobbiamo vedere l'eucaristia come trasmissione viva della Parola e dell'agire di Cristo. Essa ci permette il permanere in una tradizione che ci fa vivere e che cresce con noi. “Il senso delle Scritture cresce con chi le legge” insegnano i Padri della Chiesa.
Così Cirillo vescovo di Gerusalemme (315-382) ha scritto: "Con certezza assoluta partecipiamo al corpo e al sangue di Cristo. Poiché sotto le specie del pane ti è dato il corpo e sotto le specie del vino, il sangue; affinché partecipando al corpo e al sangue di Cristo tu divenga un solo corpo e un solo sangue con lui. In tal modo noi diventiamo portatori di Cristo (cristofori), perché nelle nostre membra si diffonde il suo corpo e il suo sangue" (III-IV, 252).
In questo senso siamo anche chiamati a formare un solo corpo, come S.Paolo scrisse ai Corinzi. E S.Cipriano così commentò: "Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre… L'unità della Chiesa viene dalla stabilità divina. Chi non si tiene in questa unità, non si tiene nella fede del Padre, del Figlio e dello Spirito, non si tiene nella vita e nella salvezza. Questo mistero dell'unità, questo vincolo di pace, inseparabilmente coerente, ha una sua figura nella tunica di nostro Signore Gesù Cristo, la quale non fu divisa né stracciata, ma chi la tirò a sorte per vedere chi dovesse rivestire Cristo la ricevette integra e la possiede integra e indivisa. Cristo portava a noi l'unità procedente dall'alto, cioè dal Padre celeste; unità che non poteva essere assolutamente scissa da quelli che la ritenevano e possedevano perché aveva in sé una ferma e inscindibile compattezza. Ora, se qualcuno scinde e divide la Chiesa di Cristo, non può possedere la veste di Cristo" (mons.Rino Fisichella).

I mistero del dolore:
contempliamo con Maria Colui che ha pregato il Padre nel Getsemani

-Ascolto del Vangelo
Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione» (Lc 22, 39-46) .

-Testi di meditazione
La passione (patire, essere tradito) del Signore è, in realtà attività (consegnarsi, donarsi) (un sacerdote)

L'evoluzione dell'uomo verso la sua maturità religiosa presenterebbe tre mutazioni di desiderio:

a) Sia fatta la mia volontà.
b) Sia fatta la mia volontà con l'aiuto di Dio.
c) Sia fatta la tua volontà (A.Godin citando Th. Reik).

Non rare volte i Santi hanno vissuto qualcosa di simile all'esperienza di Gesù sulla croce nel paradossale intreccio di beatitudine e di dolore. Nel Dialogo della Divina Provvidenza Dio Padre mostra a Caterina da Siena come nelle anime sante possa essere presente la gioia insieme alla sofferenza: «E l'anima se ne sta beata e dolente: dolente per i peccati del prossimo, beata per l'unione e per l'affetto della carità che ha ricevuto in se stessa. Costoro imitano l'immacolato Agnello, l'Unigenito Figlio mio, il quale stando sulla croce era beato e dolente». Allo stesso modo Teresa di Lisieux vive la sua agonia in comunione con quella di Gesù, verificando in se stessa proprio il paradosso di Gesù beato e angosciato: «Nostro Signore nell'orto degli Ulivi godeva di tutte le gioie della Trinità, eppure la sua agonia non era meno crudele. È un mistero, ma le assicuro che, da ciò che provo io stessa, ne capisco qualcosa». È una testimonianza illuminante! Del resto, la stessa narrazione degli Evangelisti dà fondamento a questa percezione ecclesiale della coscienza di Cristo, quando ricorda che, pur nel suo abisso di dolore, egli muore implorando il perdono per i suoi carnefici (cfr Lc 23, 34) ed esprimendo al Padre il suo estremo abbandono filiale: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» ( Lc 23,46). (Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte 27)

Per quanto importanti fossero e rimangano le opere, gli insegnamenti e i miracoli della vita pubblica di Gesù, essi sono solo un'introduzione e un preludio all'azione decisiva con cui egli ha radunato in sé il peccato del mondo, che offende la bontà del Padre, per bruciarlo nel fuoco della sua passione… "Ecco l'agnello di Dio (il capro espiatorio), che porta via (nel deserto, nell'invisibile, e nell'inaccessibile) il peccato del mondo". Poiché il Figlio ha lasciato penetrare in se stesso la tenebra orrenda del peccato, è stato come privato della sua forza, si è "svuotato", per portare il carico insopportabile nella debolezza e quindi nello sfinimento (von Balthasar)

II mistero del dolore:
contempliamo con Maria colui che è stato flagellato per noi

-Ascolto del Vangelo
In quel tempo disse Pilato: «Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?». Tutti gli risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli aggiunse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora urlarono: «Sia crocifisso!». Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli». Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso (Mt 27, 22-26).

-Testi di meditazione
E tutti vogliono liberarsi dalla colpa: Giuda restituisce il prezzo del sangue. I Giudei si rifiutano di metterlo nel tesoro del tempio. Pilato se ne lava le mani. Nessuno vuole esserne colpevole. Nessuno pensa al Padre, alla cui bontà resiste apertamente, proprio perché questi offre agli uomini, nella sua mano tesa, quanto ha di più prezioso. Il colpo contro la mano di Dio percuote ciò che essa tiene. Lo percuote con una pioggia di colpi con cui l'umanità esprime a Dio la sua opinione… Quello che Dio Padre tiene nella sua mano tesa è l'Agnello di Dio, che prende su di sé i peccati del mondo, veramente e corporalmente. Qui si tratta, per così dire, di un sacramento perverso, che opera interiormente ciò che indica nel simbolo esteriore: i dolori inflitti al corpo di Gesù, sono veramente tutti i peccati del mondo, confitti in tutto il suo essere teandrico. Non solo l'uomo è un tutto: il suo spirito sente ciò che gli viene inflitto fisicamente. Anche l'Uomo Dio è un indivisibile e Dio sperimenta nella sua umanità che cos'è il peccato del mondo. Un tutto amorfo e immenso, che nello stesso tempo contiene, infinitamente differenziato, ogni peccato di ogni singolo uomo. Anche i miei che pure sono, a loro volta, innumerevoli. Quando un peccato, che è una realtà tangibile, viene rimesso con un'assoluzione, non si dissolve nel nulla ma nel dolore di Cristo grazie all'alchimia del dolore divino. Dio, dice Paolo, “trattò da peccato, in nostro favore, colui che non aveva conosciuto peccato” (2 Cor 5, 21), il che significa contemporaneamente due cose e cioè che lo tratto da personificazione dei peccati del mondo e da sacrificio espiatorio per essi… Tutto il cristianesimo è una continua incarnazione: di Dio in Cristo, del peccato dentro Cristo e di Cristo dentro la nostra esistenza. Lo Spirito Santo non è mai lo spirito della disincarnazione, anzi è lui che ripresenta continuamente al Figlio la volontà del Padre che egli si spinga sino nelle più profonde regioni del cosmo materiale (cfr. Ef. 4,9). Chi tende a elevarsi dal basso verso Dio deve, nello stesso tempo, lasciarsi rimandare da Dio in basso: dalle pure idee e immagini a una verità che penetra nelle ossa e vi mette radice… Naturalmente Maria, anche come pre-redenta, non è “redentrice” allo stesso livello del Figlio. Altrimenti sarebbe redentrice di se stessa. La sua missione è sempre quella del sì permissivo all'azione di Dio, anche alla più incomprensibile. Un sì che deve estendersi sempre più lontano. Nel caso della passione, si esige da lei che dia, per amore di Dio e dell'uomo, il proprio assenso alle torture inimmaginabili del Figlio suo. E questo è più doloroso che soffrirle lei stessa (von Balthasar).

III mistero del dolore:
contempliamo con Maria Colui che è stato incoronato di spine per noi.

-Ascolto del Vangelo
Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la coorte. Lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela misero sul capo. Cominciarono poi a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui. Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo (Mc 15, 16-20).

-Testi di meditazione
Dopo la flagellazione, lo scherno grossolano e diabolico: il manto regale, lo scettro, la corona, le genuflessioni e le parole di omaggio. Dio riconosciuto e rifiutato, nello stesso tempo, dall' homme revolté ; senza il riconoscimento, la bestemmia perderebbe il suo mordente. I quadri della passione si succedono, uno dopo l'altro, mostrando sempre nuovi aspetti dell'opera di salvezza, visti dall'esterno. Ma, per il Cristo paziente, tutto è in tutto: tutto è tradimento, tutto è consegna nelle mani dei pagani, tutto porta angoscia e ignominia, tutto è una mascherata beffarda… Né il peccato, né la redenzione sono frazionabili… Nella figura miserabile, mascherata da re, il mondo schernisce Dio che sembra troppo debole per manifestare la sia divinità nel mondo e nel medesimo tempo schernisce se stesso, perché così viene fuori la sua abiezione a lui ignota (von Balthasar)

Non pronuncerai invano il nome del Signore tuo Dio (Es 20, 7).

Il carattere provocatorio della sua maestà mette gli uomini di fronte alla scelta che Giovanni esprime con queste parole: "Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunciato lo condannerà nell'ultimo giorno" (Gv 12, 47 ss.). L'inesorabilità di questo dover scegliere consiste nel fatto che Gesù si è esposto così inerme, non per se stesso, ma per Dio Padre, per l'amore assoluto dell'origine di tutto. Attraverso la sua sublime bassezza traspare la sua luce originaria… La corona di spine gli viene calcata sulla testa, finché si è conficcata nella carne e nelle ossa. Le spine dello scherno penetrano ancora più in profondità. Sono composte di tutto quello che respinge il Dio del sublime abbassamento, della lavanda dei piedi, dell'eucarestia, donata senza risparmio; può essere una religione intesa come autoperfezionamento o come un baluardo contro Dio, come un ritualismo o una semplice tradizione, come una borghesia o una magia, può essere un ateismo tra i suoi due estremi, occidentale e orientale e, insieme, come comunismo, con tutte le forme del suo gioco. E' sempre il mondo che basta a se stesso, per il quale Dio, se c'è, diviene un mezzo per conseguire i propri fini (von Balthasar)

Anche Maria porta invisibilmente la sua corona di spine, che non è intrecciata solo con lo scherno inflitto al Figlio, ma anche con tutti gli insulti rivolti contro la maestà di lei… Solo da ultimo e indegnamente, incoraggiati dalla parola di Gesù, possiamo schierarci dalla parte di coloro che sono scherniti ingiustamente. "Se hanno chiamato Beelzebul il padrone di casa, quanto più i suoi familiari (Mt 10, 25)… Quanto è raro il caso in cui la Chiesa può qualificarsi davvero come perseguitata ingiustamente! "Beati voi, quando vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia" (Mt 5, 11), ma quando mentono davvero? Ci sono peccati secolari della Chiesa per i quali, forse, deve soffrire giustamente una generazione successiva, che non può farci niente. Se ci viene conficcata una spina del Signore nella fronte o nella nuca, pensiamo prima a un malinteso e, se lo avvertiamo più profondamente, recitiamo un "Signore, non son degno" (von Balthasar).

IV mistero del dolore:
contempliamo con Maria Colui che ha portato per noi il peso della croce.

-Ascolto del Vangelo
Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo. Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce. Condussero dunque Gesù al luogo del Gòlgota, che significa luogo del cranio, e gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese (Mc 15, 20-23) .

-Testi di meditazione
"Per noi": queste due parole compaiono in ogni mistero di questo ciclo doloroso, qui bisogna rifletterci in modo particolare. Questo "per noi" è la parola primordiale della fede cristiana, la radice da cui si è sviluppato tutto l'albero del Credo e della dogmatica. Per noi Gesù si è incarnato, per noi e per i nostri peccati è morto e risorto… S.Paolo, al momento della sua conversione, ha già trovato questo "per noi" nella fede della comunità primitiva e lo ha sviluppato ulteriormente. In ciò il cristianesimo si distingue dalle altre religioni, in ciò sta la sua singolarità. Nelle grandi religioni orientali ognuno vive per sé e si prende cura solo di sé, aspira alla liberazione dal dolore del mondo, possiede una tecnica per questo… Può accadere che ci si sacrifichi per un gruppo che ha la prevalenza sugli individui: il soldato si sacrifica in guerra per la nazione. Grandi tragedie esaltano questi sacrifici, tanto più se volontari. Oppure si sacrifica la vita per la propria convinzione, per la propria fede (come Socrate) e ciò è, senza dubbio, quanto di più spirituale possa compiere un uomo; così egli diviene un esempio per molti, ai quali, però, non può comunicare interiormente il suo spirito di sacrificio. In rari casi, dice Paolo (Rom 5, 7) uno si sacrifica per un caro amico, per salvargli la vita fisica (più di questo non è possibile) ma chi arriverebbe a dare la propria vita, fisica e spirituale, per persone che gli sono ostili? E chi potrebbe farlo a favore di tutta l'umanità nel nome di Dio, che viene misconosciuto e odiato, essendo stato inviato per questo da lui, non per una tirannia divina, che così vorrebbe restaurare il suo onore offeso, ma in un'inconcepibile intesa d'amore che presuppone precisamente il mistero della divina Trinità? (von Balthasar)

Se tu credi che Cristo è morto per te, sei salvo (un ragazzo disturbato mentalmente, ma saggio!)

Guai a me se non annuncio il vangelo! (S.Paolo)

Se l'ambito della moralità è definito nei termini del mio intimo rapportarmi con la mia coscienza, senza bisogno di altri elementi, allora in realtà io assumo una figura di coscienza morale che è radicalmente segnata dal negativo; è come pretendere di legittimare moralmente il disinteresse per l'altro. Questo significa centrare la propria moralità si se s tessi, cosa che è la radice dell'immoralità… Non occorre che io faccia un discorso, che io spieghi o difenda la possibilità di separare l'intimità della coscienza dal vivere pubblico: basta che io viva quella separazione e con ciò stesso la mia presenza sarà mediatrice di una comprensione dell'esistenza morale giustificante alla radice la possibilità di un "onesto disinteresse" dell'altro, cosa che in termini religiosi sarà il distinguere un sacro da un profano, paradossalmente mettendo sotto il termine "profano" l'uomo che è uscito dalle mani di Dio, facendo diventare profano-poco-importante quello che appartiene all'intenzionalità dell'Alleanza, cioè la solidarietà, la condivisione, la fraternità di vita (p.S.Bastianel S.J.)

In Paradiso entreremo insieme, o nessuno entrerà (un sacerdote).

V mistero del dolore:
contempliamo con Maria Colui che è morto sulla croce per noi.

-Ascolto del Vangelo
Dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò. Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso . E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19, 30-37).

-Testi di meditazione
"Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo giunta l'ora di passare da questo mondo al Padre, poiché aveva amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13, 1 ). Fino alla fine, che cosa significa? Fino alla fine della vita temporale? Oppure significa: fino alla fine d'ogni concepibile misura fino all'eccesso, fino all'inverosimile limite, a cui solo il cuore di Cristo poteva arrivare? Fino a dare se stesso con la totalità che il vero amore esige, e con l'effusione che solo un amore divino può concepire e attuare? (Paolo VI)

Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, dall'alto in basso ( Mc 15, 37-38).

Al forte grido della croce segue il silenzio. Nel sabato santo Dio si nasconde sottoterra, ultimo stadio della kenosi. Il tema fondamentale di questo giorno è quello della discesa agli inferi (cfr. At 2, 24-31; Rom 10, 6-10; Ef 4, 9; 1Pt 3, 19 ss.). Cristo, scrive Nikolaj Berdjaev, "scende all'inferno", nelle tenebre insondabili della libertà "meonica" (vale a dire la libertà consegnata al nulla, al mè on, le cose che non sono). Hans Urs von Balthasar commenta: "La missione propria di Gesù era di penetrare con tutto l'amore del Padre, nell'ora delle tenebre, nel totale vuoto d'amore", profondità che è da temerari sondare. "Forse c'era bisogno della disperazione dell'epoca moderna per potervisi avventurare" aggiunge Xavier Tilliette. La tradizione insiste sull'aspetto vittorioso di questa "discesa", di cui l'oriente cristiano ha fato la grande icona della resurrezione. A contatto con lui, i legami dell'inferno, che sono le catene dell'umanità, si consumano. Con braccia potenti, Cristo strappa l'Adamo degli innumerevoli volti alla roccaforte della sua solitudine. "Tutto è riempito di luce: il cielo, la terra e l'inferno", recita il mattutino greco di Pasqua. I due Adamo si incontrano e s'identificano in questa luce (O.Clément).

I mistero della gloria:
contempliamo con Maria Colui che è risorto dai morti.

-Ascolto del Vangelo
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane (Lc 24, 30-35).

-Testi di meditazione
Gli apostoli non hanno alcun presentimento di quello che potrebbe essere una resurrezione nel loro tempo, anziché nell'ultimo giorno… Ricevere lo Spirito di Cristo e del Padre significa, nello stesso tempo, ricevere il dono essenziale di Dio, il corpo e il sangue del Figlio… La recezione dello Spirito e l'eucarestia sono due aspetti di una medesima realtà. La dove Gesù sottolinea l'assoluta necessità di mangiare la sua carne e bere il suo sangue (Gv 6, 53), aggiunge: "E' lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla" (Gv 6, 63). Dopo che lo Spirito ha scortato l'incarnazione del Figlio e ha fatto, per così dire, in lui l'esperienza del mondo, rimane per sempre inseparabile dalla carne e dal sangue. Perciò la Chiesa, riunita a Pasqua, si incontrerà con Cristo, pieno dello Spirito, ma in carne e ossa: egli alita su di loro il suo Spirito (Gv 20, 22), ma vuole anche essere palpato affinché non si creda che egli sia uno "spirito" (Lc 24, 39)… La testimonianza che i discepoli ricevono e devono trasmettere è, secondo Giovanni, completa solo se sono insieme "l'acqua (battesimo), il sangue (eucarestia) e lo Spirito" (1 Gv 5, 7)… Non è che la Chiesa terreno-storica muoia solo per risorgere in un mero al di là, e neanche che essa progredisca in una vita di pura resurrezione, per cui la croce sarebbe solo un mezzo per un ulteriore sviluppo. La prima ipotesi equivarrebbe a un rinnegamento dell'incarnazione, mentre la seconda sarebbe una ricaduta in una speranza vetero-testamentaria (secolarizzata). La Pasqua è una realtà sulla terra, ma non allontana la croce, bensì riconduce sempre dentro di essa. Tutta la Pasqua, tutto il passaggio dalla morte alla vita è sempre attuale (von Balthasar).

Ecco la gioia di Pasqua.
La gioia di Dio ci è data nel Cristo, ma noi possiamo, per il momento, goderne solo in modo imperfetto e a sprazzi.
Questa gioia ci attende, attende l'umanità intera. Noi siamo tutti in cammino verso questa gioia, spesso come dei ciechi.
Credendo in Cristo noi crediamo alla gioia, abbracciando il Cristo Crocifisso noi abbracciamo la gioia senza saperlo, e la Croce aumenta in noi la capacità della felicità che verrà.
Come ci fa bene, nel grigiore delle nostre vite e in mezzo ai dolori, pensare con forza alle dimensioni che la nostra felicità raggiungerà.
La nostra felicità sarà non conoscere più la noia, perché tutto sarà nuovo in ogni istante, come nuova sarà la nostra facoltà di ammirare, perché questa ammirazione sarà sempre come quella di un bambino meravigliato dalla scoperta.
La nostra felicità sarà non invecchiare.
La nostra felicità sarà essere traboccanti di una vita senza fatica, senza malattia, nella gioia di essere quello che siamo; e la carne e i sensi non saranno più un peso né una causa di doppiezza, ma una parola articolata di lode. Noi saremo come Gesù.
La nostra felicità sarà moltiplicata da quella dei nostri fratelli. La moltitudine non sarà più un mostro anonimo che schiaccia, ma una fraternità di amici.
La nostra felicità sarà fatta dall'apertura totale del nostro cuore agli altri e dalla totale limpidezza dei nostri sguardi. Noi avremo la gioia immensa di essere perfettamente conosciuti, perché non avremo più nulla da nascondere, e questa totale trasparenza abolirà ogni egoismo, ogni rigidità, ogni gelosia, ogni sofferenza di essere dimenticati o incompresi.
Ognuno sarà il centro dell'ammirazione, della lode e della tenerezza fraterna di questa immensa moltitudine di cuori e di spiriti trasfigurati dalla partecipazioni alla Risurrezione gloriosa di Gesù (R.Voillaume).

II mistero della gloria:
contempliamo con Maria Colui che è asceso al cielo.

-Ascolto del Vangelo
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio (Lc 24, 50-53).

-Testi di meditazione
Come la discesa non fu un evento spaziale, ma qualcosa di molto più profondo, un assoggettarsi per obbedienza all'obbedienza, così la ascesa è la manifestazione rivelatrice che quell'obbedienza era solo libertà e amore e ora viene alla luce la sua fecondità… Poiché la patria a cui l'umanità anela è Dio… ma, di nuovo, non si tratta di uno spostamento spaziale, come se l'uomo dovesse uscire dal mondo per passare a Dio, bensì egli e il mondo che gli appartiene cambiano il loro stato, sono trasferiti in un modo di essere che è simile a quello del Figlio, ritornato al Padre, che placa l'anelito dell'uomo e mette termine al gemito di tutta la creazione, in uno stato in cui Dio è tutto in tutti… Per ora è il capo della Chiesa che viene innalzato preso Dio, affinché la Chiesa si addestri nella vastità… perché, da quel lato, viene creata una distanza che suscita e accresce l'anelito, ma questa distanza è già vissuta in Dio, nella fede, nella speranza e nella carità, sicché comporta una intensificazione della vita divina in coloro che sono rimasti quaggiù. E' una distanza che adesso non deve essere valicata. Per esempio dalla contemplazione pura. L'angelo rimanda indietro i discepoli che guardano al cielo: "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?". Il modo di essere vicino al Signore glorioso è un altro: "Come il Padre ha mandato me, così io mando voi"… Lo stato della Madre del Signore dopo l'Ascensione del Figlio è molto misterioso, ma esemplare per la Chiesa e per ogni credente. Che Maria, che la santa Chiesa giunga in cielo, che Maria-Chiesa sia perciò sicura della salvezza è indubitato. E' solo incerto se noi, singoli fedeli, vogliamo vivere entro questa fede e a norma di essa. Per Maria-Chiesa la fede, sicura della salvezza, è appagante in tutta la sua oscurità, perché dilata il cuore sulle dimensioni di Dio, perché non si può trovare alcuna opposizione tra il volo del desiderio verso Dio e il riposo in Lui (von Balthasar).

Questo bisogno, questa fatica di guardare in alto, io la leggevo dentro al cuore dell'uomo: è dall'alto che viene la salvezza, è dall'alto che viene la vita, è dall'alto che viene la legge. E noi sappiamo anche che Gesù è la nuova legge, il nuovo Mosè. Allora facevo questa riflessione. qualcosa che viene dall'alto porta con sè due caratteristiche. La prima è che ciò che viene dall'alto richiede un alzare lo sguardo, un guardare in alto. Bisogna decisamente guardare in alto. Ma questo guardare in alto non è così scontato, così facile, così continuo come dovrebbe essere. Si deve infatti guardare in alto non con uno sguardo perso nel cielo, ma si deve guardare in alto come si cerca una persona, come si cerca di individuare un volto, qualcuno che arriva, qualcuno che ci viene donato e che è, nello stesso tempo, una risposta e una domanda.
L'altra caratteristica di ciò che viene dall'alto è quella di travolgere, di prendere e di portare via con il suo peso, con la sua forza. Il discorso delle beatitudini, come discorso della nuova legge, deve travolgere con il suo peso. Non si può analizzare, studiare, decidere, valutare, pesare. Dal discorso delle beatitudini si è necessariamente travolti. La vita stessa viene presa completamente da questo discorso, da questa nuova legge. Ma perché? Forse perché questa nuova legge è bella, è commovente, è emozionante, è diversa dalle altre? Tutte storie! Storie che cadono poi sistematicamente con il confronto della vita! Perché allora devo lasciarmi travolgere da questa nuova legge? Semplicemente perché viene dall'alto. E' l'unica legge che mi cade addosso, che mi travolge; e quante volte abbiamo detto che dobbiamo essere vigilanti con noi stessi perché tutto sommato il peccato non è tanto il male che compiamo, ma è la resistenza che facciamo a questa forza che ci vuole veramente travolgere e che vuole travolgere ogni creatura, ogni persona. E di qui verrebbe poi tutto il discorso della missione, della Chiesa intesa come santa montagna. Le indicazioni sono quindi due. Da una parte lo sguardo deve essere rivolto verso l'alto, altrimenti non si può capire ciò che viene dall'alto. In secondo luogo dall'alto viene qualcosa che sappiamo travolgere tutta la nostra vita. Quindi noi dobbiamo alzare lo sguardo. Ed è bellissimo che i salmi ce lo ripetano continuamente. Come gli occhi della serva noi dobbiamo alzare lo sguardo: alzare lo sguardo per vedere Colui che hanno trafitto, perché anche lui sta in alto, anche lui è stato innalzato (d.Achille Tronconi, meditazione sul monte delle beatitudini).

III mistero della gloria:
contempliamo con Maria Colui che ci ha mandato lo Spirito santo.

-Ascolto del Vangelo
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 19-23).

-Testi di meditazione
Anche noi usiamo la formula "Gesù viene nel nostro cuore". Ma la sua portata è spesso assai ridotta: riveste facilmente una connotazione sentimentale, evoca soprattutto… una presenza rassicurante. La formula che dice: "Il Signore è il nostro maestro interiore" sottolinea il carattere "istruttivo" del rapporto, lo apre alla prospettiva di un dialogo "costruttivo"… Ci sono dei momenti (e forse nella vita contemporanea sono destinati a moltiplicarsi vertiginosamente), in cui noi stessi abbiamo come la sensazione di "non capire". Non tanto in rapporto a qualche evento o a qualche persona determinata, ma proprio in generale… Il card. Martini usa… una buona immagine: "non c'è nessun uomo sulla terra che sia così abbandonato dallo Spirito Santo da aver perso completamente ogni possibilità di discernimento"… I figli imparano a interrogarsi dal modo in cui noi li interroghiamo: è improbabile che possano raggiungere la maturità della valutazione che è loro richiesta se devono rendersi conto che, ai nostri stessi occhi, lo sguardo dei nostri vicini di casa è un criterio di discernimento più decisivo di quello del Padre nostro che sta nei cieli... La "cultura" giovanile si trova… in questo stato di sospensione… dei sentimenti: essi si depositano nella coscienza, possono anche ostruire tutte le uscite (o le entrate) ma non vengono assimilati, non metabolizzano. Manca educazione al discernimento… Molti non sanno più decifrare neppure i loro stessi sentimenti: non sanno se vogliono bene oppure no, non sanno di che cosa hanno paura, non sanno per che cosa sono euforici e talvolta depressi, non sanno neppure se credono o non credono. Provano tutti questi sentimenti ("esperienze" dicono, ma sono più che altro "esperimenti" che fanno con loro stessi) eppure non sono in grado di decifrarli. Non saprebbero assegnare loro un senso, una ragione, un contenuto preciso: essi vengono a loro come "dal di fuori", per "induzione", non per "educazione"… La nostra responsabilità epocale sembra essere oggi proprio questa: restituire fiducia nelle reali possibilità del discernimento. E ricostruire perciò la tradizione educativa dell'interiorità… E qual è questa grazia? Lo spiega proprio S.Paolo nella lettera ai Romani: la grazia è che noi non siamo sotto il dominio della carne (cioè del mondo, della storia, delle potenze aliene: non è l'ossessione del sesso che guida questo linguaggio!), ma sotto la guida dello Spirito. E in verità "tutti coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio" (P.Sequeri).

Noi dobbiamo fare in modo che tutte le nostre preghiere siano ispirate dallo Spirito. Poiché le preghiere sono parole nella lingua di Dio, che viene parlata e compresa in cielo. Un linguaggio… egoistico non può essere parlato, né compreso lassù… Non è difficile figurarsi se una preghiera, che io presento al Padre, sarebbe ammissibile sulle labbra del Figlio. Se lo è, essa non ha mai un carattere puramente privato, ma sempre ecclesiale. Non è imperniata su un singolo soggetto, ma su uno che, come membro della Chiesa, ossia in una missione ecclesiale e vivendo per essa, prega per ottenere i requisiti ad essa confacenti: la purezza e il coraggio, la chiarezza e la fiducia, la prudenza e il disinteresse, tutto quello di cui ha bisogno chi vuole essere un apostolo di Cristo... (von Balthasar).

IV mistero della gloria:
contempliamo Colui che ti ha accolta, o Vergine, in cielo

-Ascolto della Parola di Dio
Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l'efficacia della sua forza che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose (Ef 1, 17-23).

-Testi di meditazione
Gli uomini che si sono sottomessi completamente a Dio vengono anche pienamente assunti e perfezionati da Dio. La disponibilità di Maria fu tale che ella offrì, assieme con tutta la sua anima, anche tutto il suo corpo e Dio si servì di essi per attuare il suo piano salvifico. Quella che viene detta la pre-redenzione di Maria consiste appunto in ciò: fin dall'eternità - poiché il Figlio si offriva al Padre, il Padre accettava la sua offerta e lo inviava e lo Spirito Santo era pronto a fare da intermediario tra cielo e terra - Dio ha incluso nel suo disegno l'assenso di Maria come un elemento indispensabile. Per assumere un autentico corpo umano, il Figlio deve essere per un certo tempo, inscindibilmente, “una sola carne” con sua Madre, ma l'assunzione di questa carne attraverso il corpo materno non esige meno di questo assenso… Naturalmente tutto il suo essere e operare è al servizio del Figlio. Egli è al centro. Ma non può essere un uomo isolato, senza il prossimo, senza la compagna, un uomo isolato è una contraddizione in se stesso. E qui bisogna prendere in considerazione la particolarità del suo essere uomo: egli è colui nel quale gli altri devono trovare la salvezza. Il suo corpo ha ricevuto abbastanza spazio per prendere su di sé il peccato di tutti, egli ha aperto in sé anche uno spazio sufficiente per includervi la realtà degli altri nel mistero dell'eucaristia: la Chiesa, come corpo di Cristo, viene “edificata” mediante la partecipazione all'unico pane (1 Cor 10,17). Il corpo di Gesù è tutt'altro che un corpo privato: è, come la sua anima e il suo spirito, comunicato, disperso in tutto il mondo. E tale esso rimane tanto più in cielo, dove e da dove Gesù non solo manda lo Spirito suo e del Padre, ma distribuisce anche il suo corpo attraverso i secoli dei secoli. Questo diventare-una-sola-carne della Chiesa con lui, mediante l'eucarestia, ha però la sua origine nel fatto che egli è sempre stato una sola carne con Maria. E, in cielo, il principio e la fine sono una cosa sola.
Certo, Maria, grazie all'opera del Figlio suo si trasforma nella Chiesa, che egli crea da sé come la sua sposa immacolata (Ef 5,27), ma essa non scompare come l'individuo che è, bensì entra, nello stesso tempo, in questa Chiesa come un membro. E' la parte ed è il tutto che viene delineato secondo il suo modello e in virtù della sua santità. E' la singola donna ed è anche il manto sotto cui i cristiani si riuniscono a formare la Chiesa. E' la singola santa in cielo ed è, nel medesimo tempo, la Gerusalemme celeste, che sta già lassù, “pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Ap 21,2), per permettere a coloro che giungono in cielo di entrarvi. Come Maria è stata redenta preventivamente perché il Verbo potesse diventare carne, così d'ora innanzi - poiché con la morte e la resurrezione di Cristo il cielo è divenuto accessibile agli uomini - la santa Città, la Catholica , la Communio sanctorum è già perfetta lassù in modo che i santi possono esservi incorporati (von Balthasar).

Certo non si può dubitare che Maria sia morta realmente di una morte umana e non sia semplicemente trapassata da uno stato terreno a uno celeste… Maria discende corporalmente da Eva e perciò è soggetta alla legge della morte come membro del genere umano. Solo, nella sua morte non può esserci nulla di imposto violentemente. Mentre il peccatore è costretto, morendo, a rimettere il suo spirito nelle mani del suo Creatore e Padre, Maria ha compiuto da lungo tempo questa consegna spontanea: che le venga tolta la vita terrena è, nel suo spirito, solo l'ultima forma di abbandono: “Avvenga di me quello che hai detto”.
Perciò è giusto invocare la Madre proprio per quest'ora decisiva del nostro trapasso: “Adesso e nell'ora della nostra morte”. Dal suo primo assenso in poi, essa è morta quotidianamente per Dio, ha talmente praticato la donazione di sé che è divenuta, per così dire, la grande esperta della morte cristiana. E' vissuta in un continuo trapasso dalla vita in sé alla vita in Dio… Se impariamo a morire con lei, che ha imparato a morire al modo del Figlio suo, non abbiamo bisogno di preoccuparci di quello che ne sarà, dopo la morte, della nostra totalità umana. Dio si prenderà cura che non giungiamo da lui per metà, ma da uomini completi. Con Cristo e con Maria il mondo creato già incamminato verso la trasformazione e la glorificazione, l'ultimo giorno è già iniziato (von Balthasar).

V mistero della gloria:
contempliamo Colui che Ti ha incoronata, o Vergine, in cielo.

-Ascolto della Parola di Dio
In quel tempo Maria disse: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre» (Lc 1, 46-55).

-Testi di meditazione
La funzione di accompagnatrice svolta dalla Madre presso il Figlio è discreta, addirittura espressamente occultata nelle ripulse da parte di lui; solo un evangelista menziona la presenza di lei sotto la croce e la sua relazione con il discepolo prediletto, solo uno riferisce, quasi di passaggio, la partecipazione di lei alla preghiera della Chiesa. Poi essa scompare completamente… E adesso dalla corona scende una luce su questo lungo, nascosto, apparentemente insignificante, anzi inutile, quotidiano. Su tutte le piccole e minute faccende domestiche: lavare, cucinare, cucire, spazzare la casa (come la donna della parabola, che certo rispecchia la Madre), provvedere ai bisogni degli uomini, avere rapporti con un vicinato forse non sempre amabile. Nella vita dei santi la più gran parte è grigio quotidiano. Ma ciò che viene ignorato dal mondo può essere raccolto da Dio come la cosa più preziosa e messo sul moggio. "Ha rovesciato i potenti dai troni", canta Maria, "ha innalzato gli umili"… Ciò che di lei viene svelato, è manifestato per amore del Figlio, per illustrare nella Madre la natura e anche la sequela di lui. E tutte le volte che la luce cade su di lei, ella appare come l'ancella, la collaboratrice. Lo è persino da regina, poiché chi è incoronato riceve onori e oneri regali. Maria viene esaltata come colei che è piccola e umile. Viene detta regina degli angeli, perché, con il Figlio, è discesa al di sotto di loro nel servire l'umanità e nella sofferenza per essa. Viene detta regina degli apostoli, perché si è impegnata per l'opera del Figlio, per la Chiesa, più profondamente e più radicalmente di loro… E' regina di tutti i santi, perché la sua "piccola via", la sua vita nella fede semplice, ma radicale, diviene l'unità di misura per la valutazione di tutte le grandissime e piccolissime vie della santità, di tutti i mistici e i martiri, di tutti i carismatici e i missionari, di tutti i cristiani di ogni ordine e di tutto il mondo (von Balthasar).

Una regina gode di pieni poteri, anche nei confronti del re. I pieni poteri di Maria si esprimono nella sua intercessione e nella sua mediazione della grazia, per cui noi riceviamo sempre tutte le grazie personali di Dio e di Cristo come membri della santa Chiesa e, quindi, anche come figli di Maria. Ma lo stesso Re è l'onnipotente avvocato dei peccatori presso il Padre (Eb 8, 6 ss.; 1 Gv 2, 1), per cui Cristo e il suo corpo, la santa Chiesa, formano un unico principio di mediazione. Perciò non possiamo immaginarci come se Cristo fosse solo il giudice e Maria - forse insieme con altri santi - colei che intercede. Un po' questa raffigurazione può essere conservata, in quanto il Figlio ha ricevuto effettivamente dal Padre tutto il potere di giudicare (Gv 5, 27) ed egli stesso ne ha espresso più volte la consapevolezza. Però Gesù non potrà mai scindere la sua funzione di giudice da quella di redentore, perciò Maria e la Chiesa, nella loro intercessione, non prendono posizione contro di lui, ma stanno sempre al suo fianco. Cristo stesso, con la dispensazione del suo Spirito e del suo corpo, è la sorgente della communio sanctorum , la quale non è altro che il potere di ogni uomo che ama di far pervenire agli altri, bisognosi, il proprio patrimonio di doni divini… Ma in Maria ciò che rappresenta per noi la comunione dei santi ci diviene più chiaro che in qualsiasi altro caso. Poiché, se in ogni dono di Dio c'è anche la sua preghiera ed esigenza che si accolga il dono e gli si corrisponda, in Maria la corrispondenza tra dono e missione, recezione e impegno, è perfetta… Maria-Chiesa non tiene per sé nessuna grazia, la riceve per trasmetterla. Così fa una madre. I figli della sua fecondità siamo noi e la sua fecondità le viene donata nella recezione della fecondità del suo Sposo e nel compimento di questa. Ma ciò obbliga anche noi a essere la stessa Chiesa e inserirci nel ciclo della recezione e dell'ulteriore donazione (von Balthasar).


[Preghiere e proposte di lettura]