I tre giovani del libro di Daniele in preghiera nella fornace (affresco dalle catacombe) |
E' ormai apparentemente “normale” che durante la preghiera del Padre nostro nella celebrazione eucaristica in Italia, molti si prendano spontaneamente per mano o spontaneamente allarghino le braccia al cielo.
Vorremmo sottolineare innanzitutto come la preghiera liturgica si differenzi profondamente dalla preghiera personale (pur essendo ovviamente ad essa legata), nel suo essere la preghiera di un “popolo unito”, la preghiera della Chiesa. L'Institutio generalis del Messale Romano (ossia il testo che accompagna, dando i motivi ed i principi, le parole ed i gesti del Messale con il quale ogni eucarestia è celebrata) così si esprime, al numero 20 e 21: “ Gli atteggiamenti comuni che tutti i partecipanti al rito devono assumere, sono un segno della comunità e dell'unità dell'assemblea: essi esprimono e favoriscono i sentimenti dell'animo dei partecipanti. Per ottenere l'uniformità nei gesti e negli atteggiamenti, i fedeli seguano le indicazioni che vengono date dal diacono o dal sacerdote o da un ministro, durante la celebrazione”.
Orante (affresco del III secolo dalle catacombe) |
Questa unità nei gesti aiuta ogni fedele a vivere la comunione
dell'azione liturgica, a non vivere la messa come una propria azione unicamente personale, ma
come la preghiera che è la più alta preghiera della Chiesa.
Per questo riteniamo sia allora da scoraggiare ogni forma di gesto, ben inteso durante la
liturgia divina, che non sia comune. Se qualcuno è abituato ad alzare le mani al cielo
durante la liturgia della sua parrocchia e si reca in un'altra, è bene che si astenga da
quel gesto perché il suo gesto non sia diverso da quello dei fratelli con i quali in quel
momento celebra la liturgia. E' compito di chi presiede, come abbiamo visto, indicare i gesti
che di volta in volta possono essere compiuti, se diversi dall'ordinario della messa.
Orante nelle catacombe di Priscilla |
Un secondo elemento importantissimo che vorremmo sottolineare è dato dal profondo significato che la tradizione della Chiesa ha dato al gesto di “levare le mani al cielo”. E' il gesto dell'“orante”, dell'uomo che prega Dio, che si rivolge al Padre.
Il vescovo S.Apollinare in preghiera, nel mosaico del catino absidale della basilica di S.Apollinare in Classe a Ravenna |
Lo troviamo già raffigurato nei primissimi affreschi paleocristiani
delle catacombe, come nel prosieguo della storia della Chiesa. Una nota del
1983 della C.E.I. (Conferenza Episcopale Italiana) - Precisazioni sulla celebrazione
eucaristica – proprio questo gesto
suggerisce, al numero 1: “Durante il canto o la recita del Padre nostro,
si possono tenere le braccia allargate; questo gesto, purché opportunamente
spiegato, si svolga con dignità in clima fraterno di preghiera”.
I vescovi erano a conoscenza dell'usanza di molte comunità di prendersi
per mano. Tuttavia non ne parlano e non lo consigliano (ci fu esplicito dibattito
su questo). Concordiamo totalmente, poiché il gesto della fraternità
viene vissuto poco dopo dall'assemblea nello scambio di pace. Il prendersi per
mano non solo vuol dire duplicarlo inutilmente, ma soprattutto distoglie l'attenzione
da quel “rivolgersi in alto” che è il fondamento della comunione.
E' questo esattamente uno dei punti fallaci che conduce all'attuale analfabetismo
sui sentimenti e sull'amore in cui la nostra cultura moderna si dibatte: senza
il “guardare in alto”, alla verità, all'amore che è creatore
e sorgente e redenzione di ogni sentimento umano, la persona umana facilmente
chiama “amore” ciò che è il suo contrario. Se Dio è
amore, ciò non vuol dire che il nostro amore sia Dio.
Lasciamo allora – e consigliamo – che le mani durante il Padre nostro
si levino in alto, che chiedano “che sia santificato il suo nome, che
sia fatta la sua volontà, che venga il suo regno, che Lui dia il pane,
il perdono, la forza dinanzi al male e la liberazione da esso”, per poter
poi scambiarci il segno fraterno della pace, radicando la carità nella
fede che nasce dall'alto. Aiutiamo il nostro contemporaneo e fratello a scoprire
“l'altezza e la profondità” (Ef 3, 18) insieme “all'ampiezza
e alla lunghezza” (ciò che il linguaggio comune chiama spesso il
“verticale” e l'“orizzontale”). Non restringiamo l'orizzonte
a quel buonismo sentimentale e a quell'infantilismo a cui tanta parte della
nostra cultura ci induce.