Incontriamo spesso raffigurazioni iconografiche della cosiddetta Messa di San Gregorio: mentre
il Padre celebra l’eucarestia per un defunto, l’anima di quest’ultimo viene accolta in Paradiso. Il
breve articolo di Silvano Sirboni – che, nell’originale nella rivista La Vita in Cristo e nella Chiesa,
ottobre 2006, pag.6, nella rubrica La parola ai lettori, porta il titolo Origine e prassi delle Messe gregoriane - ci
introduce al senso ed al limite della spiritualità e della prassi delle Messe gregoriane, che si ispirano a
questo episodio della vita di Gregorio I.
Per una riflessione più generale sul valore della grande tradizione
cattolica che invita a celebrare la Messa per i defunti ed a pregare per loro,
affermando così, di fatto, l’esistenza di ciò che è
chiamato Purgatorio e la possibilità per chi è ancora in terra
di amare i propri morti, facendo loro del bene nel momento in cui sono già
in cielo, cfr. su questo nostro stesso sito Purgatorio,
nell’ Antologia di testi
di Papa Benedetto XVI.
Il Centro culturale Gli scritti (8.12.2006)
Origine e prassi delle Messe gregoriane
L’origine di questa prassi (= 30 Messe consecutive in suffragio di un defunto) risale a san Gregorio Magno
(† 604). Nel IV libro dei Dialoghi, a lui attribuito, si narra di un monaco morto senza riconciliazione
con la Chiesa dopo aver commesso un grave peccato contro la povertà. Dopo trenta giorni durante i quali era
stata celebrata per lui una Messa quotidiana di suffragio apparve ad un confratello annunciando la sua liberazione
dalle pene del purgatorio (cfr. Dialoghi IV, 55).
Il racconto non sembra avere la pretesa di essere strettamente storico, ma ha piuttosto un carattere illustrativo,
esemplare, secondo un genere letterario assai diffuso nel medio evo. Esprime comunque una prassi che si è
diffusa soprattutto verso l’anno mille non senza ricadute negative sulla teologia e sulla prassi della Messa
che finì sovente di essere percepita in primo luogo come preghiera di suffragio (cfr. J.A.Jungmann,
Missarum Sollemnia, I, 111). Tant’è che persino al Concilio di Trento (Sess. XXII) le
“Messe gregoriane” appaiono fra gli abusi da correggere (cfr. Acta Conc. Trid. t. 8, p. 743 e
917). Non furono abolite soprattutto per rispetto verso san Gregorio Magno al quale ne veniva attribuita
l’istituzione e anche per la larga diffusione popolare. Si tratta di una prassi lecita e suggerita da autentica
fede e devozione, ma che rischia di legare la salvezza all’automatismo, cioè alla semplice e materiale
esecuzione delle trenta Messe consecutive.
Fin dal 1967 la Congregazione, per evitare questo malinteso con qualche sconfinamento verso la magia, ha previsto una
deroga nella successione ininterrotta di queste Messe per un improvviso impedimento o altra ragionevole causa (cfr.
testo completo in Enchiridion Vaticanum 2, 966).
Pur accettando questa pia e antica tradizione, che esprime una grande fede nel valore del sacrificio di Cristo, non
bisogna mai dimenticare che nulla possiamo sapere riguardo alle modalità applicative di questa grazia da parte
di Dio. Pertanto non si può affermare con certezza che dopo la celebrazione di trenta Messe il defunto sia
liberato dalle pene del purgatorio. Infine non dimentichiamo che il sacrificio di Cristo diventa pienamente efficace
per noi e i nostri defunti nella misura in cui la nostra esistenza diventa concreta partecipazione alla vita di
Cristo.