Vigilate

dal commento di padre Raniero Cantalamessa predicatore della Casa Pontificia, al Vangelo della I Domenica di Avvento 27 novembre 2005 (Marco 13, 33-37).


“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Vigilate, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà: se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all’improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!”.

Questo modo di parlare di Gesù sottintende una visione ben precisa del mondo: il tempo presente è come una lunga notte; la vita che vi conduciamo somiglia a un sonno; l’attività frenetica che in essa svolgiamo è, in realtà, un sognare. Uno scrittore spagnolo del Seicento, Calderon de la Barca, ha scritto un famoso dramma su questo tema: “La vita è un sogno” (Vida es sueño).

Del sogno, la nostra vita riflette anzitutto la brevità. Il sogno avviene fuori del tempo. Nel sogno le cose non durano come nella realtà. Situazioni che richiederebbero giorni e settimane, nel sogno avvengono in pochi minuti. È un’immagine della nostra vita: giunti alla vecchiaia, uno si guarda indietro e ha l’impressione che tutto non sia stato che un soffio.

Un’altra caratteristica del sogno è la irrealtà o vanità. Uno può sognare di essere a un banchetto e di mangiare e bere a sazietà; si sveglia e si ritrova con tutta la sua fame. Un povero, una notte, sogna di essere diventato ricco: esulta nel sonno, si pavoneggia, disprezza perfino il proprio padre, facendo finta di non riconoscerlo, ma si sveglia e si ritrova povero come era prima! Così avviene anche quando si esce dal sonno di questa vita. Uno è stato quaggiù ricco sfondato, ma ecco che muore e si viene a trovare esattamente nella posizione di quel povero che si sveglia dopo aver sognato di essere ricco. Cosa gli resta di tutte le sue ricchezze, se non le ha usate bene? Un pugno di mosche.

Una caratteristica del sogno non si applica alla vita ed è l’assenza di responsabilità. Tu puoi aver ucciso o rubato nel sogno; ti svegli, non resta traccia di colpa; la tua fedina penale non è macchiata. Non così nella vita, lo sappiamo bene. Quello che uno fa nella vita, lascia traccia, e quale traccia! È scritto infatti che “Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere” (Rom 2, 6).

Sul piano fisico ci sono delle sostanze che “inducono” e conciliano il sonno; si chiamano i sonniferi e sono ben noti a una generazione, come la nostra, malata di insonnia. Anche sul piano morale, esiste un terribile sonnifero. Si chiama l’abitudine. L’abitudine è come un vampiro. Il vampiro – almeno stando a quello che si crede – si attacca alle persone che dormono e, mentre succhia loro il sangue, contemporaneamente inietta in esse un liquido soporifero che fa sperimentare ancora più dolce il dormire, sicché il malcapitato sprofonda sempre più nel sonno e il vampiro può succhiare sangue finché vuole. Anche l’abitudine al vizio addormenta la coscienza, per cui uno non sente più neppure il rimorso, crede di star benone e non si accorge che sta morendo spiritualmente.

L’unica salvezza, quando questo “vampiro” ti si è attaccato addosso, è che qualcosa venga improvvisamente a destarti dal sonno. Questo è quello che si prefigge di fare con noi la parola di Dio con quei gridi di risveglio che ci fa ascoltare così spesso durante l’Avvento: “Vigilate!” Terminiamo con una parola di Gesù che ci apre il cuore alla fiducia e alla speranza: Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà svegli! Si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli” (Lc 12, 37).


 

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