Verità della relazione: la samaritana
Una donna viene al pozzo. Non perché c’è Gesù, ma perché c’è il pozzo e lei ha bisogno d’acqua. Gesù le chiede da bere. La donna non manca di notare che colui che le chiede da bere è un giudeo e non perde l’occasione per una battuta (che ha motivo di pensare a suo favore) prendendo spunto dalle cattive relazioni esistenti fra giudei e samaritani. Non è il contenuto della richiesta, s’intende, che meraviglia, ma il fatto di chiedere un favore: un chiedere che significa supporre o creare un rapporto di benevolenza, anzi di attesa di benevolenza da parte dell’altro. Tu, uomo e giudeo, chiedi da bere a me che sono donna e samaritana? Ciò non capita tutti i giorni tra giudei e samaritani, nota la donna. E il testo lo conferma, poco dopo, dicendo che i discepoli al loro arrivo si meravigliano al vedere che Gesù “stesse a discorrere con una donna” (v.27). Ciò che suona nuovo agli orecchi della samaritana è che una persona stabilisca un rapporto con un’altra sulla base della semplice oggettività delle condizioni personali. Un uomo ha sete ed è vicino ad un pozzo dove c’è una donna che ha con sé uno strumento per attingere l’acqua. L’uomo ha bisogno dell’aiuto della donna e lei è in grado di darglielo: la cosa più normale, quindi, è che lui le chieda da bere e lei gliene dia. Ma le relazioni tra gli uomini sulla terra non sono solitamente regolate così. Lo sguardo sull’altro è ‘normalmente’ filtrato da pregiudizi; questa donna, invece, si sente interpellata come persona e non come ‘donna e samaritana’... Gesù piega l’itinerario del suo discorso a quello della samaritana, ossia cerca di condurla alla verità di se stessa attraverso la sensibilità e la misura di disponibilità di cui essa è attualmente capace. La risposta alla questione posta dalla samaritana è insieme una risposta al vero problema spirituale dell’interlocutrice: per tutti, dunque anche per te, il problema non è quello del luogo esteriore in cui adorare il Padre: ciò di cui anche tu hai bisogno è di riconoscere Dio come Padre, di riconoscerlo in piena trasparenza interiore, in quella sincerità del cuore che diventa verità della vita personale perché “i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (v.23).