Rosso, colorato: cos’è un vero dialogo? (da Antonio Spadaro)

Rosso, colorato: cos’è un vero dialogo?
dall’Editoriale del novembre 2006
del sito www.bombacarta.it,
di Antonio Spadaro


Rosso. Coloratus in latino significa tanto «rosso» quanto «colorato». Così lo spagnolo tinto.

Sembra che il colore per eccellenza sia il rosso. Perchè?

I pigmenti rossi pare che siano i più disponibili in natura e d'altra parte il rosso è un colore non non si trova facilmente nell'ambiente come invece il verde o il blu o il marrone... Rosso è il colore del potere ma anche il colore della rivoluzione; è il colore dell'imperatore e della prostituta; è il colore del martirio e quello della lussuria. Tutto questo fa riflettere. Il colore per eccellenza è quello che si distingue, che segna una discontinuità, una frattura.

Perchè mi rendo conto che una cosa è colorata? Perchè si distingue. In genere non mi accorgo che la gente per strada è vestita a colori. Non ci penso. Mi accorgo però se una persona indossa vestiti di colore sgargiante, acceso. E cosa c'è di più acceso del rosso, il colore del fuoco? "Nel rosso si dispiega il fuoco", ha scritto Goethe. Esso "agisce nell'interiorità in modo vitalissimo, vivace e irrequieto", prosegue W. Kandinsky.

Insomma pare che "colore" sia ciò che si distingue e si staglia su uno sfondo, ciò che infrange l'omogeneo, l'indistinto, il neutro. Il colore individua, mi fa prendere coscienza dell'esistenza di altro da me. Sveglia la mia coscienza e mi impone ciò che altro da me. Ed è proprio il rosso – in quanto colore squillante, sonoro, capace di richiamare o addirittura di destare (cioè "svegliare") l'attenzione – che ci aiuta a fare questa considerazione più generale.

In un colore non ci si può incontrare: lo si può contemplare, amare, odiare. Lo si può ascoltare. Il colore rompe dunque la nostra solitudine e ci fa gioire o dolere di una presenza. Il rosso, in particolare, non ammette indifferenze, a meno che non lo si stemperi con altro, come ad esempio con il nero, che lo attutisce e lo appiattisce, spegnendolo. Non ci aiuta però a dialogare, a venire a patti. A meno che il dialogo non sia inteso non come una fusione di colori e accentuazioni differenti, bensì come un patchwork, un accostamento di pezze di colore differente.

Ma che cosa significa parlarsi, dialogare? Significa trovare una zona di colore tenue, attutita, umile, di incontro o viver un accostamento, talora brusco e sorprendete o addirittura spiazzante, di colori ancora del tutto accesi?


 

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