Paternità e sacerdozio
da
Alzatevi, andiamo!
di Giovanni Paolo II
Sappiamo
che Cristo si rivolgeva a Dio con la parola “Abba”: una parola
cara e familiare, quella con cui i figli della sua nazione si rivolgono ai
loro padri. Probabilmente con la stessa parola, come gli altri bambini, egli
si rivolgeva anche a san Giuseppe. E’ possibile dire di più del
mistero della paternità umana? Come uomo, Cristo stesso sperimentava
la paternità di Dio attraverso il suo rapporto di figliolanza con san
Giuseppe. L’incontro con Giuseppe come padre si è inscritto nella
rivelazione che Cristo ha poi fatto del paterno nome di Dio. E’ un mistero
profondo? Cristo come Dio aveva la propria esperienza della paternità
divina e della figliolanza nel seno della Santissima Trinità. Come
uomo sperimentò la figliolanza grazie a san Giuseppe. Questi, da parte
sua, offrì al Bambino che cresceva al suo fianco il sostegno dell’equilibrio
maschile, della chiarezza nel vedere i problemi e del coraggio. Svolse il
suo ruolo con le qualità del migliore dei padri, attingendo la forza
dalla somma sorgente dalla quale “ogni paternità nei cieli e
sulla terra prende nome” (Ef 3,15). Allo stesso tempo, in ciò
che è umano egli insegnò molte cose al Figlio di Dio, al quale
costruì e offrì la casa sulla terra. La vita con Gesù
fu per san Giuseppe una continua scoperta della propria vocazione a essere
padre. Lo era diventato in un modo straordinario, senza dare il corpo al suo
Figlio. Non è forse questa la realizzazione della paternità
che viene proposta a noi, sacerdoti e vescovi, come modello? Di fatto, tutto
quanto facevo nel mio ministero lo vivevo come manifestazione di tale paternità:
battezzare, confessare, celebrare l’Eucaristia, predicare, richiamare,
incoraggiare, era per me sempre una realizzazione della stessa paternità.
Alla casa costruita da san Giuseppe per il Figlio di Dio bisogna pensare,
in modo particolare, quando si tocca il tema del celibato sacerdotale ed episcopale.
Il celibato, infatti, dà la piena possibilità di realizzare
questo tipo di paternità: una paternità casta, consacrata totalmente
a Cristo e alla sua vergine Madre. Il sacerdote, libero dalla sollecitudine
personale per la famiglia, può dedicarsi con tutto il cuore alla missione
pastorale. Si capisce pertanto la fermezza con cui la Chiesa di rito latino
ha difeso la tradizione del celibato per i suoi sacerdoti, resistendo alle
pressioni che nel corso della storia si sono, di tempo in tempo, manifestate.
E’ una tradizione certo esigente, ma che si è rivelata singolarmente
feconda di frutti spirituali. E’ tuttavia motivo di gioia constatare
che anche il sacerdozio uxorato della Chiesa cattolica orientale ha dato ottime
prove di zelo pastorale. In particolare, nella lotta contro il comunismo,
i sacerdoti orientali sposati non sono stati meno eroici dei celibi. Come
osservò una volta il cardinale Josyf Slipyf, nei confronti dei comunisti
essi mostrarono lo stesso coraggio dei loro colleghi celibi. Occorre poi sottolineare
che, a favore del celibato, ci sono profonde ragioni teologiche. L’enciclica
Sacerdotalis caelibatus, pubblicata nel 1967 dal mio venerato predecessore
Paolo VI, le sintetizza nel modo seguente (cfr. nn. 19-34):
Vi è innanzitutto una motivazione cristologica: costituito Mediatore
fra il Padre e il genere umano, Cristo è rimasto celibe per dedicarsi
totalmente al servizio di Dio e degli uomini. Chi ha la sorte di partecipare
alla dignità e alla missione di Cristo è chiamato a condividerne
anche questa donazione totale.
Vi è poi una motivazione ecc!esiologica: Cristo ha amato la Chiesa,
offrendo tutto se stesso per lei al fine di farsene una Sposa gloriosa, santa
e immacolata. Con la scelta celibataria il sacro ministro fa proprio questo
amore verginale di Cristo per la Chiesa, traendone soprannaturale vigore di
fecondità spirituale.
Vi è, infine, una motivazione escatologica: alla risurrezione dei morti,
ha detto Gesù, “non si prende né moglie né marito,
ma si è come angeli di Dio in cielo” (Mt 22,30). Il celibato
del sacerdote annuncia l’avvento degli ultimi tempi della salvezza e
anticipa in qualche modo la consumazione del Regno, affermandone i valori
supremi che un giorno rifulgeranno in tutti i figli di Dio.
Nell’intento di contestare il celibato, a volte si trae argomento dalla
solitudine del sacerdote, dalla solitudine del vescovo. Sulla base della mia
esperienza, respingo decisamente tale argomento. Personalmente non mi sono
mai sentito solo. Oltre alla consapevolezza della vicinanza del Signore, anche
umanamente ho sempre avuto intorno a me numerose persone, ho coltivato molti
contatti cordiali con i sacerdoti - prefetti, parroci, vicari parrocchiali
- e con laici di ogni categoria.