Obbedienza della fede
di Hans Urs von Balthasar
(da Chi è il cristiano?)
La
libera obbedienza d’amore è il punto in cui le cose incomparabili
si toccano fino ad identificarsi. Da parte dell’uomo questa obbedienza
d’amore porta il nome distintivo di fede. Questa fede, in quanto atto
dell’uomo, è un tentativo iniziale di consegnarsi (“credo,
Signore, aiuta la mia incredulità”), che da parte del Signore
viene raccolto benignamente nella sua propria obbedienza, nella forza del
suo esempio e modello, anzi viene già suscitato nel primo tentativo,
stimolato, sostenuto, portato a successo (gratia praeveniens et consequens).
Allo stesso modo che nel campo puramente umano la fiducia, la dedizione, il
sì definitivo di una ragazza, può essere provocato e portato
fino all’ultimo compimento dalla forza d’amore di un giovane.
Ora l’arrendersi umano, per quanto si creda illimitato, conserverà
forse sempre in qualche punto dei limiti inconsci, ad esempio quando l’uomo
a cui ci si è dati, si trasformi completamente in infedele, disamorato,
malvagio, e un legame con lui non sia più oltre sopportabile. Invece
la fede in Cristo ha la sua prova esattamente nella completa sconfinatezza
della dedizione: poiché ogni infedeltà da parte di Cristo rimane
esclusa, persino quando la sua fedeltà divenisse a noi invisibile nelle
tenebre di un completo abbandono; poiché la fedeltà di Dio per
essenza è senza fine e senza pentimento, anche l’atto di dedizione
amorosa, obbediente, come risposta ed affidamento alla forza della grazia
di Dio che lo permette e rende possibile, può essere incondizionato
ed illimitato. E’ l’atto che nella sua pienezza si chiama fede
– amore - speranza: fede amorosa che tutto spera, od amore speranzoso
che tutto crede, o speranza credente che ama tutto ciò che Dio vuole.
E’ l’atto che pone il nucleo fondamentale dell’essere cristiano,
per modo che insperatamente abbiamo trovato la risposta alla nostra domanda:
“Chi è il cristiano?”. Cristiano è l’uomo
che ‘vive di fede’ (Rom. 1,17), che cioè ha regolato tutta
la sua esistenza sull’unica possibilità apertagli da Gesù
Cristo, il Figlio di Dio, obbediente per noi tutti fino alla croce: quella
di partecipare al sì obbediente, che redime il mondo, detto a Dio.
Da parte di Cristo è l’atto di obbedienza per amore che fonda
l’esistenza, poiché il Figlio di Dio non entra nell’esistenza
‘a modo di chi è gettato’, (geworfenerweise), ma ‘a
modo di chi è inviato’ (gesendeterweise). Il fatto che egli in
genere esista, ed esista in tal modo, dice già manifestazione dell’amore
di Dio Padre per noi, che ‘dà’ il suo Figlio per noi. Nel
Verbo c’è già l’idea di sacrificio ed in questo
il consenso della vittima, dell’obbedienza. Nell’esistenza del
Figlio obbediente risplende quindi chiarissimamente anche il mistero della
Trinità divina. Tuttavia il Figlio non obbedisce a se stesso, bensì
ad un altro, ma per un amore eterno, che è il fondamento della possibilità
di una simile obbedienza e nello stesso tempo l’unità di colui
che comanda e di colui che obbedisce. Infatti, se il Figlio fosse obbediente
in ragione di una naturale subordinazione a Dio Padre, obbedendo, non farebbe
che il suo dovere, e in ciò non apparirebbe l’amore di Dio assolutamente
libero. Ma se egli obbedisce senza motivo, cioè per puro amore, allora
in colui che è dato appare l’amore infondato di colui che dà
per noi peccatori, un amore così infondato che Paolo non esita a chiamarlo
insensato. E se, dopo il compimento del segno di amore che Dio inscrive nella
storia umana, se, dopo la vita, morte e risurrezione della vittima, il comune
Spirito del Padre e del Figlio sarà inviato come testimone perpetuo
dell’evento nella Chiesa e nel mondo, allora questo Spirito non potrà
mai essere ed attestare altro se non appunto l’amore infondato-insensato,
di cui perciò gli uomini non potranno mai disporre e servirsi per le
loro prudenti macchinazioni.
Infatti, ciò che dell’essenza di questo amore appare nell’esistenza
del Figlio è la rinuncia a disporre di sé. Soltanto questa rinuncia
dà all’attuazione del suo mandato l’inaudita forza esplosiva.
Egli ha rinunciato ad ogni prudenza, ha lasciato l’intera provvidenza
al Padre che manda e dirige, e ciò lo esonera da ogni dovere di calcolo,
di dosaggio, di diplomazia; gli conferisce lo slancio infinito che non ha
bisogno di curarsi dei muri di contraddizione, di dolore, di fallimento e
di morte, perché il Padre lo dirige e lo afferra all’estrema
fine della notte. Mediante l’atto di obbedienza totale il Figlio è
quindi giunto alla totale libertà; tutto l’infinito spazio di
Dio, sia della morte, della notte eterna, sia della vita eterna, è
aperto alla sua azione. Fin dal principio egli è al di là dell’
‘affanno’ (“per il domani, di quel che si mangerà
e berrà, di che si indosserà” Mt. 6,25) e nella tranquillità
di colui che può lasciare tutto una volta e per sempre alla provvidenza
del Padre.