Maturità e obbedienza
da Chi è il cristiano?
di H. U. von Balthasar
La vita di libertà
al servizio di Dio può essere designata come esistenza nella missione.
Per venirne a capo, bisogna consacrarvi una volta per sempre. La irrevocabilità
è sacramentalmente il battesimo ed il suo carattere indelebile, ma
esso esige una ratifica esistenziale. In Dio non c’è impiego
ed incarico ‘a termine’. L’impiego fisso è il fondamento
perché il servo possa ricevere incarichi particolari sempre nuovi ed
inaspettati. Egli è continuamente di guardia: “Signore, che vuoi
che io faccia?” (Atti 9,6). Nessun servo può andarsene definitivamente
nella persuasione di aver compreso pienamente il suo incarico e di non aver
più bisogno, per eseguirlo, di ulteriori domande, di comunicazioni
con la volontà del Signore. Le forze, di cui egli vive, non sono infatti
quelle della vita presente, ma del mondo futuro; egli stesso è una
esistenza escatologica, il suo uomo nuovo si fonda totalmente sugli atti di
fede (in Cristo), di speranza (in ciò di cui non può ancora
disporre), di amore (per Dio e per il prossimo nella rinuncia di sé).
L’eterno movimento di questo triplice atto tiene il servo continuamente
sul piede di partenza, in un continuo ricorso a Dio.
Si aggiunge una seconda cosa. Il cristiano è tale soltanto come membro
della Chiesa. Il battesimo è un atto della Chiesa, che incorpora nella
comunità della Chiesa. Nessuno è cristiano di propria iniziativa.
E lo Spirito santo, che rende maggiorenne l’uomo se egli lo vuole, è
in primo luogo e soprattutto lo Spirito della Chiesa. Essa è il corpo
santo di Cristo e la sua sposa immacolata. Qui Chiesa non significa clero,
ma neppure una società qualsiasi, in cui si possa entrare pagando una
piccola quota di associazione. Lo Spirito della Chiesa è lo Spirito
di santità. Lo Spirito di Maria, degli Apostoli, dei santi provati,
che son fatti dal Signore “colonne nel tempio del mio Dio” (Ap
3,12). Immaturo è il cristiano che non vuole e non si sforza di far
suo questo Spirito. La sua attenzione viene richiamata su di esso da ‘educatori’,
gli si propongono mezzi e pratiche perché egli cresca in esso, perché
elimini il rapporto esteriore e lo trasformi in interiore. Finché egli
resta estraneo di fronte a questo Spirito, anche le pratiche gli appariranno
estranee e legali, ed egli si lagnerà del formalismo della Chiesa.
Deve attribuire queste sensazioni alla sua immaturità. Se egli si decide
una volta per sempre ad identificarsi con lo Spirito della Chiesa, diviene
cristiano maturo, e assumendo la piena corresponsabilità, non può
più concedersi il lusso di agire come un estraneo e di star di fronte
ad osservare e a registrare.
Poiché l’individuo è membro della Chiesa, spirito e vita
gli vengono dal Cristo totale come capo e corpo, la sua missione cristiana
è sempre anche un carisma ecclesiastico (servizio – incarico
della grazia). Paolo designa la ripartizione delle grazie ecclesiastiche da
parte dello Spirito Santo tra i membri della Chiesa secondo le necessità
di tutto l’organismo come “misura della fede” o “analogia
della fede” (Rom 12,3-6). La misura della missione assegnatami, cristianamente
considerata, non è in me; la devo ricevere come qualcosa che mi è
dato, e questa è l’obbedienza ecclesiastica fondamentale del
membro, che è più profonda e più radicale che non l’obbedienza
del laico al clero, in quanto questo costituisce una funzione esterna di ordine
ed una mediazione ufficiale per conservar pura e trasmettere la dottrina ed
i sacramenti. Il rapporto del membro con l’assegnazione dell’incarico,
in quanto fondato sulla rivelazione, è un rapporto così oggettivo
e nello stesso tempo così spirituale-vivo, che la sua concretizzazione
in un rapporto carismatico-ufficiale di obbedienza nei confronti di un superiore
(nel cosiddetto consiglio evangelico dell’obbedienza) sta completamente
nella linea di ciò che è presupposto. In questo modo gli apostoli,
che avevano lasciato tutto per amore di Cristo, gli hanno obbedito come a
uomo che concretizzava per essi la volontà di Dio, molto prima di avere
la certezza che quest’uomo era Figlio di Dio in senso stretto. In questo
modo anche Paolo esige dalle sue comunità (ad esempio nella seconda
lettera ai Corinti) un’obbedienza che, nelle sue drastiche ed improvvise
esigenze, nella varietà ed intensità del suo esercizio, trascende
di molto la semplice funzione ufficiale di ordine del clero ordinario. Perciò
non si può affatto supporre come dimostrato, dal tono di queste intimazioni
all’obbedienza, che la comunità di Corinto sia stata fondamentalmente
immatura. Nei confronti degli immaturi (caratterizzati da un attaccamento
pseudo-maturo alle proprie idee) Paolo, nella piena consapevolezza di essere
dotato dello Spirito (1Cor 7,40), sa non di rado comportarsi con ironica superiorità.
“Ve ne prego: che non debba, presente, mostrarmi audace con quell’ardire
con cui ho in animo di affrontare certa gente, la quale ci considera come
se regolassimo la nostra condotta secondo criteri terreni... Le armi della
nostra milizia non sono deboli; anzi hanno la forza di abbattere fortezze
per la causa di Dio. Con esse riduciamo al nulla ogni macchinazione e superbia
che si elevi contro la conoscenza di Dio e facciamo prigioniero ogni intelletto
perché obbedisca a Cristo, pronti a punire ogni disobbedienza, quando
la vostra obbedienza sia piena” (2Cor 10,2-6). Infatti soltanto allora,
così pensa Paolo, la comunità avrà raggiunto mediante
l’obbedienza quella maturità, che le apre gli occhi per la legittimità
e giustezza del suo intervento punitivo. Chi non comprende l’unità
di maturità e di obbedienza cristiano-ecclesiastica, è ben lungi
dall’essere maturo. Ma i nessi li scorge soltanto chi prega con fede
viva, e senza questo presupposto tutto si perde in chiacchiere superficiali
e pericolose. Perciò nell’usare il concetto di maturità
si dovrebbe essere molto parsimoniosi ed accurati. La maggioranza di coloro
che lo hanno continuamente in bocca, non conosce evidentemente l’accento
dato dalla Scrittura; parlano, avendo Dio dietro le spalle, di cose che (vox
temporis vox Dei) pretendono siano richieste dalle circostanze dei tempi e
dalla struttura dell’uomo moderno. Non si domandano che cosa Cristo
esige. Pensano di essere all’altezza della loro missione, ritengono
di conoscere il modo migliore di servire il regno di Dio e perciò non
si peritano neppure di amputare per il loro letto di Procuste le parti di
più vitale importanza della rivelazione, quando queste parti non si
adattano al loro concetto moderno. Questo modo di procedere si chiama demitizzazione.