Gioia e tristezza

 

Dalla predica di Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury, la mattina di Natale del 1170, nel testo teatrale “Assassinio nella Cattedrale” di T. S. Eliot.  

 



Considerate ancora una cosa alla quale forse non avete mai pensato. Non soltanto noi nella festa di Natale celebriamo insieme la nascita di Nostro Signore e la sua morte: ma nel giorno che segue noi celebriamo il martirio del suo primo martire, il beato Stefano.

È per caso, voi credete, che il giorno del primo martire segue immediatamente quello della nascita di Cristo? Assolutamente no. Proprio come noi ci rallegriamo e rattristiamo insieme, per la nascita e la passione di Nostro Signore, così anche – fatte le debite proporzioni – noi ci rallegriamo e rattristiamo insieme per la morte dei martiri.

Noi ci rattristiamo per i peccati del mondo che li ha martirizzati; ci rallegriamo  perché un’altra anima si annovera tra i santi in Paradiso, a gloria di Dio e per la salvezza degli uomini. Diletti figli, noi non consideriamo un martire semplicemente un buon cristiano che è stato ucciso perché è cristiano: questo ci farebbe soltanto rattristare. Né lo consideriamo semplicemente un buon cristiano che fu eletto tra le schiere dei santi: perché questo ci farebbe soltanto rallegrare: e mai il nostro rattristarci e il nostro rallegrarci sono come quelli del mondo.

Un martirio cristiano non avviene mai per caso, perché non si diventa santi per caso. Un martirio è sempre un disegno di Dio, per il suo amore per gli uomini, per avvertirli e guidarli, per riportarli sulla sua strada. Non è mai un disegno dell’uomo; perché il vero martire è colui che è diventato lo strumento di Dio, che ha perduto la sua volontà nella volontà di Dio, e che non desidera più niente per se stesso, neppure la gloria di essere un martire.

Sicchè, come sulla terra la Chiesa si rattrista e si rallegra insieme, in un  modo che il mondo non può capire, così in paradiso i santi stanno molto in alto proprio perché qui, su questa terra, sono stati molto in basso; e si contemplano non come noi li vediamo, ma nella luce della divinità dalla quale essi traggono il proprio essere.

 


 

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