Educare oggi

 

Dall’articolo Il tradimento degli educatori

di Giuseppe Angelini



Obiettivo primo e più qualificante della scuola non può certo essere quello di realizzare una perfetta funzionalità rispetto alla dinamica civile complessiva. La scuola invece può e deve divenire luogo privilegiato a procedere dal quale chiarire e correggere la patologia dei rapporti tra individuo e società nella civiltà di massa. Suo obiettivo qualificante dev’essere la cura dell’anima, per esprimerci nella lingua di Socrate; non può invece in alcun modo essere la semplice abilitazione sociale del cittadino. In ogni caso, è ragionevole attendersi che proprio la riflessione di quanti si sono impegnati nella scuola offra un contributo originale e prevedibilmente critico alla comprensione della dinamica civile; non produca invece stanche e tautologiche ripetizioni dei luoghi comuni della cultura di massa….

Una figura di alunno oggi abbastanza diffusa, e anche assai inquietante, è quella dell’alunno diligente e annoiato; fin scrupoloso nell’adempimento dei suoi compiti scolastici, e tuttavia sostanzialmente privo di interesse per la “cosa” che fa. Questa figura di studente è uno dei molti indizi che legittima un dubbio radicale: il rilievo maggiore della scuola, nella parabola esistenziale del minore, è oggi davvero quello connesso all’apprendimento scolastico, o non è invece quello connesso al fatto che la scuola è momento privilegiato della socializzazione tra pari?

Ancora, sussiste un contenzioso tacito e tuttavia indubitabile, tra la scuola e la famiglia: esso meriterebbe d’essere approfondito, perché costituisce documento privilegiato per intendere la stessa dinamica educativa del minore. Con significativa frequenza, i genitori assumono nei confronti della scuola, e in particolare di fronte agli insegnanti, atteggiamenti rivendicativi, quasi di tutela sindacale dei figli. E’ facile intuire che alla radice di tali atteggiamenti stia una sostanziale estraneità dei genitori stessi nei confronti dei fini propri della scuola, legata al difetto di cultura personale, ma anche al difetto di comunicazione con la scuola. Rimediare ad una tale estraneità, e prima di tutto comprenderne le determinanti, dovrebbe essere momento non marginale di una riforma effettivamente attenta al compito educativo della scuola.

Per altro lato, la scuola assume con frequenza ancora una volta significativa il rilievo di fattore di distorsione nei rapporti tra genitori e figli; il rifiuto dello studio da parte dei figli in molti casi pare proprio essere l’esito di una loro tacita protesta: essi rifiutano cioè d’essere giudicati dai genitori unicamente o comunque prevalentemente in base al loro rendimento scolastico. In questo, essi hanno ragione. Di tale questione non dovrebbe occuparsi la stessa riforma della scuola?

Scuola e famiglia non possono certo essere rappresentate come istituzioni concorrenziali; soprattutto, esse non debbono essere vissute così. E invece proprio questo di fatto troppo spesso accade. E accade soprattutto a motivo di un difetto di comunicazione. Esso ha alla sua base per un lato la clandestinità della famiglia affettiva: e per altro lato l’elusione del tema educativo da parte della cultura pubblica, di quella scolastica in specie. Spiegare il conflitto tra scuola e famiglia per riferimento al fattore ideologico (tipicamente il conflitto laici/cattolici) pare decisamente insufficiente, e anzi spesso francamente pretestuoso. Spiegazioni più pertinenti paiono però impedite dal difetto di elaborazione culturale a proposito della questione educativa.

L’obiettivo educativo, pure inteso in termini tanto dubbi, è in ogni caso preso in considerazione unicamente per riferimento alla scuola primaria. Nel caso della secondaria la scuola rinuncia a troppo ambiziosi obiettivi di educazione, si assesta invece su semplici obiettivi di abilitazione sociale, soprattutto professionale. Siccome poi saperi e abilità richieste oggi dall’attività professionale conoscono una vorticosa accelerazione, per rapporto alla stessa istruzione sono giudicati meno importanti i contenuti materiali, e assai più i metodi. La scuola riformata minaccia di mirare alla produzione di un soggetto che sia soprattutto “versatile”, suscettibile cioè – così tendenziosamente interpreto – di essere facilmente “versato” in sempre nuovi ruoli sociali.

Le ragioni che convincono a tale modestia di obiettivi si possono facilmente intuire. Sono raccomandati anzitutto dalla necessaria “laicità” della scuola. Mirare ad obiettivi più alti di quelli dell’abilitazione sociale e professionale significherebbe esporsi, inevitabilmente, alla necessità di un cimento con le massime questioni: a proposito di esse appare insuperato e insuperabile il conflitto delle interpretazioni; meglio dunque evitare di riaccendere antichi steccati. Il nostro Paese in particolare sconta a tale riguardo fino ad oggi il retaggio del conflitto storico particolarmente aspro tra cattolici e “laici” e magari anche tra comunisti e liberali. Non stupisce così vadano le cose a livello di comunicazione pubblica, o di retorica pubblica. Su un tema di tanta consistenza, non è ormai possibile un confronto argomentato tra coloro che pensano e hanno a cuore la questione educativa, senza che sfocate ideologie lo debbano impedire?


 

 

TORNA ALL'INDICE