Ebraismo e cristianesimo
dal Discorso del papa Giovanni Paolo II,
nella sinagoga di Roma il 13 aprile 1986
Siamo tutti consapevoli che, tra le molte ricchezze di questo numero
4 della dichiarazione Nostra Aetate, tre punti sono specialmente rilevanti...
Il
primo è che la Chiesa di Cristo scopre il suo “legame” con l’ebraismo “scrutando
il suo proprio mistero”. La religione ebraica non ci è “estrinseca”, ma in un
certo qual modo, è “intrinseca” alla nostra religione. Abbiamo quindi verso
di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun altra religione: Siete i nostri
fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli
maggiori.
Il secondo punto rilevato dal concilio è che agli ebrei come popolo,
non può essere imputata alcuna colpa atavica o collettive, per ciò “che è stato
fatto nella passione di Gesù”. Non indistintamente agli ebrei di quel tempo,
non a quelli venuti dopo, non a quelli di adesso. E’ quindi inconsistente ogni
pretesa giustificazione teologica di misure discriminatorie o, peggio ancora,
persecutorie. Il Signore giudicherà ciascuno “secondo le sue opere”, gli ebrei
come i cristiani.
Il terzo punto che vorrei sottolineare nella dichiarazione conciliare
è la conseguenza del secondo; non è lecito dire, nonostante la coscienza che
la Chiesa ha della propria identità, che gli ebrei sono “reprobi o maledetti”,
come se ciò fosse insegnato o potesse venire dedotto dalle Sacre Scritture,
dell’Antico come del Nuovo Testamento. Anzi, aveva detto prima il concilio,
in questo stesso brano della Nostra Aetate, ma anche nella costituzione dogmatica
Lumen Gentium, citando san Paolo nella lettera ai Romani, che gli ebrei “rimangono
carissimi a Dio”, che li ha chiamati con una “vocazione irrevocabile”.