Dialogo con i figli
da
Il figlio
di
Giuseppe Angelini
I
genitori di oggi pensano spesso che tutto è ancora possibile, se si mantiene
il dialogo con i figli, mentre tutto è compromesso quando quel dialogo è interrotto;
e appunto per mantenere aperto questo fatidico dialogo essi rinunciano spesso
a dire o comunque ad attestare molte verità che potrebbero diventare motivo
di dissenso e incomprensione. Accade in realtà che in tal modo il vero dialogo
sia di fatto interrotto prima di cominciare; che dialogo infatti può essere
quello nel quale pregiudizialmente si taccia di ogni verità suprema, di ogni
verità che per natura sua si sottragga a ogni patteggiamento tra le parti? Se
proprio questo silenzio dovesse essere il prezzo del dialogo, allora occorrerebbe
concludere che non c’è alcuna differenza tra padri e figli: tutti diverrebbero
soltanto come mercanti ‘democratici’, sempre disposti a trattare il prezzo di
ogni scambio.
Per avere un vero dialogo con i figli, i padri devono invece avere proprio una verità ‘intrattabile’, una speranza sicura da annunciare. Soltanto all’ombra di una tale verità essi potranno camminare insieme ai loro figli.
Condizione
necessaria perché sia possibile un tale disinteresse è anzi tutto che il genitore
non dipenda dal figlio. Non c’è infatti soltanto il rischio di una dipendenza
del figlio dal genitore, ma anche quello di una dipendenza del genitore dal
figlio. Quando il loro rapporto sia di qualità riduttivamente emotiva, è ineluttabile
che si produca questa duplice e perversa dipendenza. Il genitore non dipende
dal figlio, non vive in attesa ansiosa della sua approvazione, soltanto quando
cerchi e trovi autorizzazione per la vita tutta volgendosi a un orizzonte più
grande e più obiettivo, la cui verità non è fata dipendere dalla approvazione
del figlio. Soltanto la libertà che viene appunto da questo orizzonte più grande,
consente al genitore di essere effettivamente al servizio del figlio.
Il
disinteresse o anche l’oggettività del genitore, cioè il suo riferirsi a una
verità e a un ordine della vita che non ha bisogno di essere cercato guardando
il figlio negli occhi, non ha certo da essere inteso come distacco o spassionatezza,
come già si notava; è piuttosto testimonianza di un credito (o di una fede)
concesso insieme alla verità e al figlio: la verità ha di che imporsi da sola
agli occhi del figlio, e il figlio d’altra parte può e anzi alla fine deve scegliere
da solo la verità.