Dialogo
Da Libertà e responsabilità nel vivere sociale.
Temi
di teologia morale di p. Sergio Bastianel S. J.
Dialogo
vuol dire capacità di parola e capacità di ascolto.
“Capacità
di ascolto” non vuol dire semplicemente la capacità di stare ad ascoltare, cioè
l’aver pazienza di sentire un altro che parla: questo talvolta può essere non
tanto facile, ma non è ancora la virtù di cui abbiamo parlato, perché anche
questo può essere fatto in maniera strumentale. Supponete che a me serva l’appoggio
di una persona: perciò la sto ad ascoltare, porto pazienza; lui si sfoga, io
mi mostro comprensivo, mi vede sorridente, mi vede attento; e al momento buono
questo ha i suoi risultati. Un tale “dialogo” si chiama “spada”, è un’arma.
Capacità d’ascolto vuol dire consegnare all’altro me e il mio tempo e le mie
capacità di comprendere, non è solo sentire ciò che l’altro dice, ma “ascoltare”;
significa voler essere in comunione con lui, attraverso la parola; accoglierlo
realmente così come egli è, non come vorrei che egli fosse, o nella misura in
cui è come io vorrei.
La
capacità di ascolto ha tutti i segni di quel consegnarsi… come momento originale-originante
della moralità positiva (= buona).
Capacità
di ascolto non è lo stesso che saper rispondere; anzi, spesso, il saper rispondere
appartiene a quella retorica che mi fa essere di fronte all’altro come colui
che in un duello è attento ai movimenti e alle mosse dell’avversario, per pararne
i colpi e intervenire con efficacia, sfruttando le sue debolezze; cioè, non
ascolto l’altro, ma ascolto me stesso, guardando l’altro in modo da sapere che
cosa dirgli, al fine di ottenere lo scopo.
Anche
questo è logica di prevaricazione.