Creature
e figli
da Il mistero dell’eterna generazione del Figlio
di Massimo Serretti
Il
Creatore nella sua liberalità ha deciso di correre il rischio di affidare
l’uomo all’uomo nella vicenda delicata e misteriosa della consegna
della vita. Ogni uomo che il Signore ha deciso debba abitare la terra viene
dunque dato in consegna all’unità che Egli stesso ha costituito
“in principio” tra il maschio e la femmina. Tale consegna nobilita
l’uomo sia per il credito che il Creatore gli rilascia, sia per la qualità
del dono che in tal modo gli viene offerto. La consegna della vis generativa
[1] e quindi della fecondità è una consegna reale di “qualcosa”
ovvero di “qualcuno” che ha un valore immenso e quindi il rischio
in cui si incorre in questo atto di fiducia è un rischio reale e di proporzioni
commisurate alla grandezza e alla preziosità di ogni singola persona
umana.
Si parla di consegna perché è Dio che crea l’uomo ed è
Egli stesso a dotarlo di quella potenza generativa. Si parla inoltre di consegna
perché si ritiene che nel concepimento di ogni singolo uomo ci sia l’intervento
di un atto creativo di Dio che lo rende partecipe del suo proprio “soffio”
e lo intesse come un essere spirituale fin dal suo primo formarsi nelle viscere
materne [2]. “Le tue mani mi hanno plasmato e mi hanno fatto... di pelle
e di carne mi hai rivestito, d’ossa e di nervi mi hai intessuto”
(Gb 10, 8-11), “ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio”
(Sal. 138,14).
In virtù del disegno divino è dunque la paternità e la
figliolanza umana a rappresentare esperienzialmente e quindi vitalmente il tramite
con il mistero della generazione in tutta la sua portata ed estensione. Il “generare”
e l’ “essere generati” fanno parte, per decreto divino, dell’ordinarietà
dell’ “essere uomini”. Anzi, l’ “essere generati”
costituisce la premessa ineludibile e incontrovertibile di ogni “essere
uomini” ed è quindi ad esso coessenziale. Il discorso sull’uomo
resta irrimediabilmente monco di un suo presupposto fondamentale quando salta
o trascura di soffermarsi sul mistero dell’essere come essere generati.
A Karl Marx non era sfuggita questa verità quando annotava che l’interrogativo
metafisico sulla propria origine rinvia necessariamente alla coppia genitoriale
[3]. Analogamente la domanda sulla natura rinvia a quella sull’origine
della natura e fin quando l’uomo non potrà concepire la natura
stessa come esito della sua opera trasformatrice, sostiene Marx, si porrà
sempre la domanda metafisica e religiosa del principio di tutto ciò [4].
All’esperienza della generazione e alla natura della generazione è
dunque collegato qualcosa che richiede un’indagine sull’origine
sia come ciò che ci precede e ci sostanzia, sia come ciò che ci
dà sussistenza. All’inimicizia che il mondo occidentale di oggi
vive nei riguardi della paternità, della figliolanza e della generazione
è associata di fatto una più o meno conscia avversione nei riguardi
del principio, dell’origine, del Padre, che nella storia d’Europa
negli ultimi due secoli è passata attraverso un rifiuto ideologico e
programmatico sempre più acuto del Figlio. Infatti che rifiuta Cristo
rifiuta il Padre (cfr. Gv 13, 20). Già alcuni decenni fa Gabriel Marcel
notava che “alla radice di questa crisi palese della paternità
[dell’uomo] e dell’autorità paterna, sta un crollo d’ordine
metafisico, la rottura del vincolo nuziale tra l’uomo e la vita”
[5]. Ma non è possibile rompere il vincolo nuziale con la vita senza
compromettere quello con l’Autore della vita, con Colui dal quale “ogni
paternità prende nome” (Ef 3, 14) [6].
[1]
La facoltà di generare è data creaturalmente nella relazione tra
l’uomo e la donna e quindi nell’amore come modalità appropriata
di tale relazione. Non si può separare, se non ad alto prezzo, il dato
ontologico connesso alla vis generandi dal dato relazionale, per cui essa può
attuarsi rettamente solo nell’amore personale.
[2] S.Tommaso d’Aquino, S.th I q. 75 a.6; q. 79 a.4; q.90 aa.2-3.
[3] “Un ente si stima indipendente solo appena sta sui suoi piedi, e sta
sui suoi piedi appena deve la propria esistenza a se stesso. Un uomo che vive
per grazia di un altro si considera un essere dipendente. Ma io vivo completamente
per grazia di un altro quando non solo gli sono debitore del mantenimento della
mia vita, bensì anche quando è esso che ha creato la mia vita,
quando esso è la fonte della mia vita; e la mia vita ha necessariamente
un tale fondamento fuori di sé quando essa non è mia propria creazione.
La creazione è quindi una rappresentazione molto difficile da scacciare
dalla coscienza popolare. La sussistenza per opera propria (Durchsichselbstein)
della natura e dell’uomo le è inconcepibile perché contraddice
tutte le evidenze della vita pratica” (Manoscritti economico-filosofici
del 1844, in Opere filosofiche giovanili, tr.it., Roma 1971, p. 234). Le sottolineature
sono di Marx stesso. La logica che si afferma in questo brano del giovane Marx
è quella che è diventata di dominio comune ed assioma fatto proprio
da gran parte della coscienza occidentale contemporanea. Il problema che Marx
pone è quello della relatio: è possibile ammettere una relazione
di dipendenza che non solo non comporti una alienazione, ma un incremento di
identità del soggetto? Il nostro studio pretende rispondere a questo
interrogativo radicale e fondamentale per tutto il pensiero moderno mostrando
tra l’altro come la coppia dialettica ‘dipendenza\indipendenza’
non possa essere assunta come sufficientemente comprensiva.
[4] “Ora è facile, in verità, dire al singolo individuo
ciò che dice già Aristotele: tu sei generato da tuo padre e tua
madre, dunque l’accoppiamento di due esseri umani, un atto generatore
di uomini, ha prodotto l’uomo in te. Vedi dunque che l’uomo è
debitore, anche fisicamente, della sua esistenza all’uomo. Tu non devi,
perciò tener d’occhio soltanto uno dei due aspetti, il progresso
all’infinito, per cui poi chiedi di chi abbia generato mio padre, e chi
suo nonno, ecc. Tu devi anche ritenere il movimento circolare ch’è
visibile in quel progresso, e secondo cui l’uomo nella generazione ripete
se stesso, e dunque l’uomo resta sempre il soggetto. Ma tu mi risponderai:
concessoti questo movimento circolare, concedimi il progresso che mi porta sempre
più oltre, fino a che mi domando: chi ha generato il primo uomo e la
natura in genere? Io posso soltanto risponderti: che la tua domanda stessa è
un prodotto dell’astrazione. Domanda a te stesso come tu sia giunto a
quella domanda; domandati se la tua domanda non provenga da un punto di vista
a cui non posso rispondere perché assurdo. Domandati se quel progresso
come tale sussista per un pensiero razionale. Quando tu t’interroghi sulla
creazione della natura e dell’uomo, tu fai astrazione, dunque, dall’uomo
e dalla natura. Tu li poni come non-esistenti, e tuttavia esigi che io te li
dimostri esistenti. Io ora ti dico: rinuncia alla tua astrazione, e rinuncia
così alla tua domanda...” (K.Marx, op.cit., pp.234-235). Marx non
ammette che una domanda formulata in termini razionali possa avere la sua motivazione
in un livello dell’essere personale che non sia quello della ragione stessa.
In secondo luogo, conseguentemente, egli non vede come la domanda sull’origine
non sia esterna alla relazione reale con un padre e una madre reali, ma interna
alla realtà di quella relazione e come sorga da un impulso ad un inveramento
di quel che già in quella relazione è obiettivamente dato e quindi
non vada in direzione dell’astrazione ma della realtà umana. Qui
si palesa il tratto surrettiziamente antiumanistico del pensiero marxiano.
[5] Il voto creatore come essenza della paternità, in Homo viator, tr.it.,
Roma 1980, p. 139.
[6] E’ la conclusione cui giunge coerentemente la riflessione marxista:
“Tu puoi replicare: io non voglio l’annullamento della natura ecc.;
io t’interrogo circa il suo atto d’origine, come interrogo l’anatomico
sulla formazione delle ossa, ecc. Ma poiché, per l’uomo socialista,
tutta la cosiddetta storia universale non è che la generazione dell’uomo
dal lavoro umano, il divenire della natura per l’uomo, così esso
ha la prova evidente, irresistibile, della sua nascita da se stesso, del suo
processo d’origine. Poiché è divenuto praticamente sensibile
e visibile l’uomo per l’uomo come esistenza naturale e la natura
per l’uomo come esistenza umana, risulta praticamente impossibile la questione
di un ente estraneo, di un ente al di sopra della natura e dell’uomo;
questione che implica l’ammissione dell’inessenzialità della
natura e dell’uomo. L’ateismo, come negazione di questa inessenzialità,
non ha più senso, perché esso è una negazione di Dio e
pone l’esistenza dell’uomo mediante questa negazione. Ma il socialismo
come tale non abbisogna più di questa mediazione; esso parte dalla coscienza
sensibile teorica e pratica dell’uomo e della natura come l’essenziale.
Esso è la positiva coscienza di sé, non più mediata dalla
soppressione della religione...” (K.Marx, op.cit., p.235). Marx ha ben
compreso che l’ateismo avrebbe perso senso per l’uomo integralmente
emancipato, ma non poteva prevedere che proprio questo tipo d’uomo è
quello che oggi più facilmente si presta all’inganno spiritistico
e settario. La domanda torna, ma in una forma regredita.