Contemplazione nelle strade
di Madeleine Delbrêl
(da Noi delle strade)
Noi delle strade
Ci
sono luoghi in cui soffia lo Spirito, ma c’è uno
Spirito che soffia in tutti i luoghi.
C’è
gente che Dio prende e mette da parte. Ma ce n’è altra che egli
lascia nella moltitudine, che non «ritira dal mondo». E’ gente
che fa un lavoro ordinario, che ha una famiglia ordinaria o che vive un’ordinaria
vita da celibe. Gente che ha malattie ordinarie, e lutti ordinari. Gente che
ha una casa ordinaria, e vestiti ordinari. E’ la gente della vita ordinaria.
Gente che s’incontra in una qualsiasi strada. Costoro amano il loro uscio
che si apre sulla via, come i loro fratelli invisibili al mondo amano la porta
che si è rinchiusa definitivamente sopra di essi.
Noialtri, gente della strada, crediamo con tutte le nostre forze che questa
strada, che questo mondo dove Dio ci ha messi è per noi il luogo della
nostra santità.
Noi crediamo che niente di necessario ci manca. Perché se questo necessario
ci mancasse Dio ce lo avrebbe già dato.
Il
silenzio
Il silenzio non ci manca, perché lo abbiamo. Il giorno in cui ci mancasse,
significherebbe che non abbiamo saputo prendercelo. Tutti i rumori che ci circondano
fanno molto meno strepito di noi stessi. Il vero rumore è l’eco
che le cose hanno in noi. Non è il parlare che rompe inevitabilmente
il silenzio. Il silenzio è la sede della Parola di Dio, e se, quando
parliamo, ci limitiamo a ripetere quella parola, non cessiamo di tacere.
I monasteri appaiono come i luoghi della lode e come i luoghi del silenzio necessario
alla lode. Nella strada, stretti dalla folla, noi disponiamo le nostre anime
come altrettante cavità di silenzio dove la Parola di Dio può
riposare e risuonare. In certi ammassi umani dove l’odio, la cupidigia,
l’alcool segnano il peccato, conosciamo un silenzio di deserto e il nostro
cuore si raccoglie con una facilità estrema perché Dio vi faccia
squillare il suo nome: «Vox clamans in deserto».
Solitudine
A noi gente della strada sembra che la solitudine non sia l’assenza del
mondo ma la presenza di Dio. E’ l’incontrarlo dovunque che fa la
nostra solitudine. Essere veramente soli è, per noi, partecipare alla
solitudine di Dio. Egli è così grande che non lascia posto a nessun
altro, se non in lui. Il mondo intero è come un faccia a faccia con lui
dal quale non possiamo evadere.
Incontro della sua causalità viva dove le strade si intersecano accese
di movimento.
Incontro con la sua orma sulla terra.
Incontro della sua Provvidenza nelle leggi scientifiche.
Incontro del Cristo in tutti questi «piccoli che sono suoi»: quelli
che soffrono nel corpo, quelli che sono presi dal tedio, quelli che si preoccupano,
quelli che mancano di qualcosa. Incontro con il Cristo respinto, nel peccato
dai mille volti. Come avremmo cuore di deriderli o di odiarli, questi infiniti
peccatori ai quali passiamo accanto?
Solitudine di Dio nella carità fraterna: il Cristo che serve il Cristo;
il Cristo in colui che serve, il Cristo in colui che è servito.
L’apostolato come potrebbe essere per noi una dissipazione o uno strepito?
L’obbedienza
Noialtri, gente della strada, sappiamo benissimo che sino a quando la nostra
volontà sarà viva non potremo amare davvero il Cristo.
Noi sappiamo che solo l’obbedienza potrà fondarci in questa morte.
E invidieremmo i nostri fratelli religiosi se non riuscissimo anche noi a morire,
ogni istante, un po’ di più. Le piccole circostanze della vita
sono dei « superiori » fedeli. Non ci lasciano un attimo, ed i «sì»
che dobbiamo dir loro si succedono gli uni agli altri.
Quando ci si abbandona ad esse senza resistenza, ci si ritrova meravigliosamente
liberati da se stessi. Si galleggia nella Provvidenza come un turacciolo di
sughero nell’acqua. E non facciamo gli orgogliosi: Dio non affida nulla
al caso; le pulsazioni della nostra vita sono sconfinate, perché egli
le ha volute tutte. Ci afferrano dall’attimo del risveglio. Il trillo
del telefono. La chiave che gira male nella toppa. L’autobus che non arriva,
che è zeppo, o che se ne va senza aspettarci. Il nostro vicino di sedile
che occupa tutto il posto, il vetro che vibra fino a stordirci. E’, ancora,
l’ingranaggio della giornata: una pratica che ne chiama un’altra,
un certo lavoro che non abbiamo scelto.
E’ il tempo con le sue variazioni raffinate perché assolutamente
pure da ogni volontà umana. E’ l’avere freddo o avere caldo,
l’emicrania o il mal di denti. La gente che si incontra. e conversazioni
che i nostri interlocutori scelgono. Il signore maleducato che ci urta sul marciapiede.
Le persone che hanno voglia di perdere tempo e che ci acchiappano.
L’obbedienza, per noi, gente della strada, è piegarci alle manie
della nostra epoca quando sono senza malizia.
È avere i vestiti di tutti, le abitudini di tutti, il linguaggio di tutti.
È, quando si vive in parecchi, dimenticare di avere un gusto e lasciar
le cose al posto che gli altri han dato loro. L’esistenza diventa così
una specie di grande film al rallentatore. Non ci dà la vertigine. Non
ci fa ansimare. Corrode a poco a poco, fibra per fibra, la trama dell’uomo
vecchio, una trama non più raccomandabile e che bisogna rinnovare totalmente.
Quando ci saremo abituati a consegnare la nostra volontà all’arbitrio
di tante piccole cose, non troveremo più difficile, all’occasione,
fare la volontà del nostro caposervizio, di nostro marito, dei nostri
genitori.
Allora possiamo sperare che ci sia facile anche la morte. Non sarà una
cosa grande, ma una successione di piccole sofferenze ordinarie accettate una
dopo l’altra.
L’amore
Noi delle strade siamo certissimi di poter amare Dio sin quando avrà
voglia di essere amato da noi.
Non pensiamo che l’amore sia una cosa che brilla, ma una cosa che consuma;
pensiamo che fare tutte le piccole cose per Dio ce lo fa amare altrettanto che
il compiere grandi azioni. D’altra parte pensiamo di essere molto male
informati sulla misura dei nostri atti. Non sappiamo che due cose: la prima,
che tutto quello che facciamo non può essere che piccolo; la seconda,
che tutto ciò che fa Dio è grande. Questo ci rende tranquilli
di fronte all’azione.
Sappiamo che ogni nostro lavoro consiste nel non gesticolare sotto la grazia,
nel non scegliere le cose da fare, e che Dio agirà per nostro mezzo.
Non c’è niente di difficile per Dio, e chi teme la difficoltà
si crede capace di agire. Poiché troviamo nell’amore un’occupazione
sufficiente, non abbiamo cercato il tempo per classificare gli atti in preghiere
e in azioni. Troviamo che la preghiera è un’azione e l’azione
una preghiera; ci sembra che l’azione veramente amorosa è tutta
piena di luce.
Ci sembra che di fronte ad essa l’anima è come una notte tutta
protesa verso la luce che sta per venire. E quando la luce si fa - il volere
di Dio chiaramente compreso - ecco l’anima viverla con dolcezza piena,
con pacatezza piena, guardando Dio animarsi e agire in essa. Ci sembra che l’azione
sia anche una preghiera d’implorazione. Non ci sembra che l’azione
c’inchiodi nel nostro terreno di lavoro, di apostolato o di vita.
Al contrario, ci sembra che l’azione perfettamente compiuta là
dove ci viene reclamata innesta noi in tutta la Chiesa, ci diffonde in tutto
il suo corpo, ci fa disponibili in essa.
I nostri passi camminano in una strada, ma il nostro cuore batte nel mondo intero.
E’ per questo che i nostri piccoli atti, nei quali non sappiamo distinguere
fra azione e preghiera, uniscono così perfettamente l’amore di
Dio e l’amore dei nostri fratelli.
Il fatto di abbandonarci alla volontà di Dio ci consegna nello stesso
istante alla Chiesa che da questa volontà medesima è resa costantemente
salvatrice e madre di grazia. Ciascun atto docile ci fa ricevere pienamente
Dio e dare pienamente Dio in una grande libertà di spirito.
Allora la vita è una festa. Ogni piccola azione è un avvenimento
immenso nel quale ci viene dato il paradiso, nel quale possiamo dare il paradiso.
Non importa che cosa dobbiamo fare: tenere in mano una scopa o una penna stilografica.
Parlare o tacere, rammendare o fare una conferenza, curare un malato o battere
a macchina. Tutto ciò non è che la scorza della realtà
splendida, l’incontro dell’anima con Dio rinnovata ad ogni minuto,
che ad ogni minuto si accresce in grazia, sempre più bella per il suo
Dio. Suonano? Presto, andiamo ad aprire: è Dio che viene ad amarci. Un’informazione?
...eccola: è Dio che viene ad amarci. E’ l’ora di metterci
a tavola? Andiamoci: è Dio che viene ad amarci.
Lasciamolo fare.