La presenza di Melania in Africa ed il problema della sua enorme ricchezza,
desiderata dai cristiani di Ippona, nell'epistolario di S.Agostino |
Tre lettere dell'epistolario di S.Agostino ci fanno conoscere alcuni aspetti della vita di Melania la giovane, che ci resterebbero altrimenti sconosciuti. Nella prima, la lettera 124, scritta nella primavera del 410-411, Agostino, vescovo di Ippona, si scusa con Albina, Piniano e Melania di non essere ancora venuto a Tagaste a salutarli. Alipio, vescovo di Tagaste, aveva accolto i tre nella sua città. Agostino adduce a motivo del suo ritardo nella visita "una tribolazione tanto grande" che ha colpito i cristiani di Ippona. Possiamo pensare o alla paura di una invasione Gotica (i Goti avevano già preso Reggio Calabria e l'avevano data alle fiamme), oppure all'agitazione dei Donatisti. Questo il testo di questa prima lettera: |
LETTERA 124 (scritta nella primavera del
410-411) |
AGOSTINO, INVIA CRISTIANI SALUTI AD ALBINA, A PINIANO E A MELANIA, SUOI ILLUSTRI SIGNORI E FRATELLI NEL SIGNORE, CARISSIMI E AMATISSIMI PER LA LORO SANTITA' |
(Viva brama
di incontrare gli amici) |
1. Pur non potendo sopportare il freddo
per il mio cagionevole stato di salute o per la mia costituzione naturale, tuttavia
non ho mai avuto da soffrir tanto ardore quanto in quest'inverno rigidissimo
per la pena che non m'è stato possibile, non dirò venire ma correre
da voi per i quali avrei dovuto varcare a volo i mari dal momento che risiedete
tanto vicino e venite da tanto lontano per vedere noi. La Santità vostra
forse potrebbe credere che la rigidezza dell'inverno sia stata davvero l'unica
causa della mia pena; ma non è così, miei dilettissimi. Quali
disagi e molestie e perfino quali rischi inerenti a siffatte piogge dirotte
io non avrei dovuto affrontare e sopportare per recarmi da voi i quali mi siete
di tanto conforto in sì gravi sciagure? Voi, dico, i quali, in mezzo
a questa generazione sviata e pervertita, splendete come luci fiammanti, accese
da Colui ch'è la luce superna, sublimi per aver accettato l'umiltà
e più splendenti per aver disprezzato lo splendore mondano! Io avrei
goduto ad un tempo della gioia spirituale della mia patria carnale, che ha meritato
di godere anche della vostra presenza. Essa, mentre voi eravate assenti, nel
sentir parlare di quel che siete per nascita e di quel che siete poi diventati
per grazia di Cristo, sebbene lo credesse spinta dalla carità, nondimeno
non osava forse divulgarlo per timore che non venisse creduto.
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(I fedeli d'Ippona
sobillati dagli scismatici) |
2. Vi dirò dunque perché non son potuto venire e da quali avversità sono stato impedito dal provare una si grande felicità; ve lo dirò per meritare non solo il vostro perdono ma anche, per mezzo delle vostre preghiere, la misericordia di Colui in virtù del quale voi vivete al suo servizio. I fedeli d'Ippona, al cui servizio m'ha assegnato il Signore, i quali in gran parte o quasi nella totalità sono così deboli da rischiare d'ammalarsi gravemente per un'afflizione anche più lieve, sono ora colpiti da una tribolazione tanto grande che, quand'anche non fossero tanto deboli, potrebbero a malapena sopportarla con fortezza di spirito. Solo quando son tornato, li ho trovati scandalizzati della mia assenza con loro gravissimo pericolo. Grazie alle vostre assennate parole (e mi rallegro nel Signore della vostra vigoria spirituale) i fedeli d'Ippona comprendono ciò ch'è stato detto: Chi si ammala senza che mi ammali anch'io? Chi si scandalizza senza che anch'io mi senta bruciare di dolore? Sono afflitto soprattutto perché vi sono qui molti i quali, col distoglierci l'animo di tutti coloro dai quali ci par d'essere amati, tentano di farli insorgere contro di noi per preparare nel loro cuore un posto per il diavolo. Mentre poi sono sdegnati contro di noi, che facciamo ogni sforzo per condurli a salvezza, hanno l'ambizioso disegno di punirci, che in realtà è per essi voluttà di morire non già nel corpo ma nell'anima, dove la morte spirituale si avverte segretamente per il suo fetore ancor prima che venga avvertita dal nostro pensiero. Voi senza dubbio perdonerete volentieri questa mia ansiosa preoccupazione, specialmente perché, se vi adiraste e desideraste vendicarvi, non trovereste forse un tormento maggiore di quello che soffro io sapendovi a Tagaste senza potervi vedere. Io però spero che, aiutato dalle vostre preghiere, quando non vi saranno più gli ostacoli che ora me lo impediscono, mi sarà concesso di venire al più presto da voi in qualunque parte dell'Africa vi troviate, salvo che questa città, nella quale provo tanti travagli, non sia degna di allietarsi con me della vostra presenza, poiché neppure io oso crederla degna. La seconda e la terza lettera affrontano
un problema molto grave che si era verificato, per la presenza in Africa dei
tre. Piniano, recatosi ad Ippona, era stato acclamato dalla folla e, forse per
timore, aveva promesso che, se si fosse deciso a farsi ordinare prete, sarebbe
rimasto nel clero di Ippona e non avrebbe più lasciato la città.
Allontanatosi poi dalla folla, aveva probabilmente insinuato (ed alla sua voce,
si era aggiunta esplicitamente quella di Albina) che il popolo di Ippona, la
città di cui era vescovo Agostino, lo voleva prete solo per poter avere
stabilmente gli aiuti economici che certamente sarebbero arrivati, se Piniano
fosse diventato presbitero della città, data l'immensa ricchezza di cui
godevano i due sposi Melania e Piniano e data la loro decisione di distribuirli
alle Chiese, ai monasteri ed ai poveri che pian piano visitavano. Piniano aveva
così dichiarato di essere stato costretto, per paura della folla, a fare
quel giuramento. Agostino difende invece i cristiani della sua diocesi ed invita
Piniano a tener fede alla parola che aveva dato davanti a tutti. L'episodio
ci mostra, comunque, quanto grande fosse la popolarità di Melania e di
Piniano e quanto grandi le ricchezze che avevano deciso di lasciare, secondo
l'invito evangelico. Ecco le due lettere, indirizzate la prima, la 125, ad Alipio,
per informarlo della sua versione dei fatti, e la seconda, la 126, ad Albina,
per difendere l'operato degli abitanti di Ippona e richiamare Piniano al suo
dovere.
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LETTERA 125
(scritta nella primavera del 411) |
IO AGOSTINO E I MIEI CONFRATELLI SALUTIAMO NEL SIGNORE TE, ALIPIO, SIGNORE BEATISSIMO E VENERABILMENTE CARISSIMO FRATELLO E COLLEGA NEL SACERDOZIO COI TUOI CONFRATELLI |
(Le spine dei
sospetti) |
1. Siamo bensì molto afflitti e
non ci è possibile dar poco peso al fatto che i fedeli di Ippona abbiano
lanciato ad alta voce delle ingiurie contro la Santità tua; ma molto
più delle ingiurie lanciate al tuo indirizzo c'è da dolersi, mio
buon fratello, che certi sospetti siano stati concepiti sul conto nostro. Infatti
dal momento che s'insinua che vogliamo trattenere dei servi di Dio per brama
di denaro e non già per amore di giustizia, non è preferibile
forse che coloro che hanno questa convinzione manifestino ad alta voce i segreti
del loro cuore e che escogitino, se è possibile, dei rimedi tanto più
gravi, anziché i fedeli vadano in rovina senza manifestare i funesti
sospetti da cui sono avvelenati? Occorre quindi che, secondo quanto dicevamo
prima che accadesse questo scandalo, ci adoperiamo a persuadere le persone,
alle quali abbiamo l'obbligo di offrirci a modello di opere buone , che i sospetti
da esse nutriti sono falsi, piuttosto che pensare al modo come redarguire coloro
i quali, con mormorazioni e parole, hanno manifestato i loro sospetti.
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(Gli Ipponesi
non bramano le ricchezze) |
2. Per questo io non me la prendo con
quella santa donna di Albina né penso che si debba redarguirla per questo,
ma che è necessario venga guarita di un tale sospetto. Essa non ha lanciato
direttamente contro la mia persona quelle medesime recriminazioni, ma facendo
vista di lamentarsi degli Ipponesi, perché avrebbero manifestato la loro
cupidigia (dicendo) ch'essi avrebbero voluto trattenere presso di sé
non per amore dell'ordine sacro, ma del denaro, il suo facoltoso genero, dispregiatore
e largitore di un'immensa ricchezza, ha tuttavia fatto capire molto bene, quasi
proclamandolo ad alta voce, quello che pensava di me, e non essa sola, ma anche
i suoi ottimi figli, che nel presbiterio mi dissero lo stesso giorno le medesime
cose. Orbene, come ti ho detto, io penso che costoro, piuttosto che esserne
redarguiti, debbano essere guariti da sospetti di questo genere. Quando mai
infatti ci sarà procurata o arrecata sicurezza e pace esente di tali
sospetti che ci pungono come spine, dal momento che sono potute germogliare
ai nostri danni in anime così sante e a noi tanto care? Poiché
così ha sospettato di te il volgo ignorante, ma di noi hanno sospettato
illustri personaggi della Chiesa, sicché comprendi di che cosa ci si
debba dolere maggiormente. Eppure io sono d'avviso che né l'uno né
gli altri meritino di esser accusati ma guariti, poiché sono uomini e
nutrono per i loro simili dei sospetti che, benché falsi, possono tuttavia
esser creduti veri. Tali individui infatti non sono cosi sciocchi da credere
che i fedeli bramino il loro denaro, specialmente quando hanno già visto
per esperienza che né i fedeli di Tagaste né di conseguenza quelli
di Ippona ne. hanno ricevuta la benché minima parte. Ma tutto questo
loro malanimo ribolle solo contro i membri del clero e special. mente contro
i vescovi, il cui potere sembra loro che sorpassi ogni limite poiché
si pensa che possano usufruire e godere dei beni della Chiesa come possessori
e padroni. Dio ci guardi, mio caro Alipio, che a questa brama dannosa e mortifera
siano mai trascinati dal nostro esempio, se è possibile, coloro che sono
deboli. Ricorda ciò che dicemmo prima che capitasse questa prova che
ci spinge maggiormente a farlo. Sforziamoci perciò di provvedervi con
l'aiuto del Signore parlandone in pubblico e non accontentiamoci della testimonianza
della nostra coscienza, poiché non si tratta d'una faccenda in cui debba
bastare essa sola. Se infatti siamo servi di Dio non reprobi, se in noi arde
ancora un po' di quel fuoco per cui la carità non cerca le cose che
sono di interesse personale dobbiamo preoccuparci di fare il bene non solo
al cospetto di Dio, ma anche al cospetto degli uomini affinché, mentre
beviamo acqua limpida nella nostra coscienza, non siamo accusati di far si,
con i nostri passi incauti, che le pecore del Signore bevano acqua torbida.
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(Il giuramento
di Piniano è valido) |
3. Quanto a ciò che mi hai scritto,
cioè di un genere di giuramento estorto con la violenza, dato che ne
discutiamo fra noi, ti scongiuro che la nostra discussione non renda oscure
cose chiarissime. Se infatti si fosse minacciato di sicura morte un servo di
Dio, per costringerlo a giurare di commettere un'azione illecita e nefanda,
sarebbe stato suo dovere morire piuttosto che giurare, per non adempiere il
giuramento con un delitto. Ora però si trattava solo dello schiamazzo
prolungato ed ostinato dei fedeli, che non costringevano quell'uomo ad alcun
sacrilegio ma ad una azione che, se fosse stata compiuta, sarebbe stata lecita.
S'aveva anche paura che alcuni facinorosi, i quali per lo più si mescolano
anche tra i buoni, colta l'occasione di una sommossa e quasi d'un giusto sdegno,
si abbandonassero a una scellerata violenza per brama di rapine, quantunque
tale paura fosse vaga e confusa. Chi potrebbe quindi credere che, per evitare
danni, non dico incerti, e qualsivoglia offesa del corpo, ma per evitare perfino
la morte, si debba commettere uno spergiuro non dubbio? Quel non so qual Regolo
non aveva sentito parlare affatto attraverso le Sacre Scritture dell'empietà
del falso giuramento, non aveva appreso nulla della falce di Zaccaria , eppure
aveva giurato ai Cartaginesi non per santità dei sacramenti di Cristo,
ma per le immondezze e le oscenità dei demoni, eppure non tremò
di fronte alle torture che senz'alcun dubbio avrebbe dovuto subire e alla pena
esemplare di una orribile morte sicché giurasse costretto da forza maggiore
ma, per non essere spergiuro, affrontò quelle sventure con la medesima
libertà di spirito e col medesimo coraggio con cui aveva giurato. I severi
censori romani di allora non vollero tenere, non dico nel numero dei santi,
ma neanche dei senatori, non dico nella gloria celeste, ma neppure nella Curia
terrestre quei soldati che, per paura della morte e di orribili pene, avevano
preferito commettere uno spergiuro lampante, anziché tornarsene tra i
nemici crudeli. Essi non accolsero neanche un altro soldato che si era assolto
dalla colpa di spergiuro, perché dopo il giuramento era tornato indietro
sotto il pretesto di non so quale necessità. Pertanto quelli che lo espulsero
dal Senato, non tennero conto di ciò che egli aveva pensato quando giurava,
ma di ciò che si attendevano da lui le persone a favore delle quali aveva
giurato. Neppure avevano letto i versetti che spesso noi cantiamo: Chi giura
a favore del suo prossimo e non lo inganna Sono azioni, queste, che siamo
soliti esaltare con grande ammirazione anche a proposito di uomini privi della
grazia e del nome di Dio e poi crediamo che dobbiamo ancora indagare nei libri
divini se ci è permesso qualche volta di giurare il falso lecitamente,
mentre in essi ci è prescritto perfino di non giurare, per evitare di
cadere nello spergiuro qualora ci abituassimo a giurare!
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(Chi è
leale, chi spergiuro) |
4. Non metto in dubbio che sia giustissima
l'affermazione che la parola data col giuramento si adempie non alla stregua
dell'espressione orale di chi giura, ma di ciò che si aspetta la persona
per cui si giura ed è ben noto a chi fa il giuramento. Difatti le parole
di un giuramento, soprattutto quando sia formulato in modo conciso, difficilmente
esprimono per intero il pensiero di cui si esige il compimento da chi giura.
Per conseguenza sono spergiuri coloro che, pur attenendosi alle parole, deludono
l'attesa di coloro per cui è fatto il giuramento; non sono spergiuri
invece coloro che, anche senza attenersi alle parole, soddisfano a ciò
che si attendeva da essi quando giurarono. 'Insomma gli abitanti d'Ippona volevano
avere quel sant'uomo di Piniano non come uno condannato al domicilio coatto,
ma come un carissimo abitatore della loro città; benché dalle
sue parole non si riuscisse a comprendere molto, nondimeno si sa molto bene
quello che si aspettassero da lui: tant è vero che il fatto che adesso,
dopo il giuramento, egli non sia presente, non fa impressione a nessuno di quelli
che poterono ascoltare ch'egli si disponeva a partire per un motivo fondato
con la volontà di tornare. Per questo egli non sarà spergiuro
né sarà considerato tale da quelli, salvo che non ne abbia deluso
l'aspettazione. Ma non la deluderà a patto che non muti la volontà
di abitare con essi o un bel giorno se ne parta senza la disposizione di tornare.
Ma questo pensiero sia lontano dal carattere e dalla fedeltà dovuta a
Cristo e alla Chiesa ch'egli ancora conserva. Lasciando da parte ciò
che sai anche tu molto bene, quanto cioè sia tremendo il giudizio divino
sul giuramento falso, so di sicuro che non dobbiamo adirarci in seguito con
chi non crederà al nostro giuramento, se reputeremo che lo spergiuro
di un uomo tanto bravo non solo debba essere pazientemente sopportato, ma anche
difeso. Allontani da noi e da lui una simile iattura la misericordia di Colui,
che libera dalla tentazione coloro che sperano in Lui . Come dunque hai risposto
nel promemoria, egli adempia la sua promessa con cui promise di non andarsene
via da Ippona, allo stesso modo che non ce ne andiamo via né io né
gli Ipponesi, con la sola differenza che quelli che non sono legati da giuramento
hanno pienamente la facoltà di trasferirsi per sempre altrove e di non
tornare senza macchiarsi di spergiuro.
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(Nessun monaco
ha ingiuriato Alipio) |
5. Non so se si possa comprovare che i
membri del nostro clero o fratelli residenti nel monastero siano stati veramente
partecipi o istigatori delle ingiurie contro di te. Difatti alle domande loro
fatte in proposito mi è stato risposto che solo un Cartaginese del monastero
avrebbe gridato insieme coi fedeli quando reclamarono Piniano per prete, non quando
si lanciavano contumelie contro di te. A questa lettera ho accluso la copia, della
dichiarazione di lui stesso trascritta dalla carta medesima da lui sottoscritta
e corretta sotto i miei occhi.
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LETTERA 126
(Scritta nella primavera del 411) |
AGOSTINO SALUTA NEL SIGNORE LA SANTA E VENERABILE SERVA DI DIO ALBINA |
(I fedeli reclamano
Piniano loro prete) |
1. E' giusto consolare, non accrescere
il dolore dell'animo tuo, (che, a quanto mi scrivi, non riesci a esprimere),
in modo da guarirti, se mi è possibile, dai tuoi sospetti, senza adirarmene
in favor mio per non turbare di più il tuo santo cuore consacrato a Dio.
Al santo fratello nostro e figlio tuo Piniano nessuna minaccia di morte fu lanciata
dagli Ipponesi, anche se egli temette qualcosa di simile: ché anch'io
ebbi paura che, ad opera di alcuni facinorosi, che spesso si mescolano alla
folla con segreta cospirazione, scoppiasse un violento tumulto, appena avessero
trovata un'occasione di sedizione provocata quasi da un giusto motivo di sdegno.
Ma, come mi riuscì di venire a sapere in seguito, nulla di simile fu
detto o tramato da alcuno. E' vero invece che contro il mio caro fratello Alipio
scagliarono urlando molte ingiurie, e Dio voglia che per le preghiere sue meritino
di essere assolti da una colpa tanto grave. Io poi, dopo le loro prime grida,
quando ebbi loro spiegato che non potevo ordinare sacerdote uno che non voleva
esserlo, legato com'ero da una precedente promessa, quando ebbi aggiunto che,
se avessero avuto lui come sacerdote facendomi violare la mia parola, non avrebbero
più avuto me come vescovo, lasciata la folla, me ne ero tornato al mio
seggio. Allora quelli, alla mia inattesa risposta, rimasti esitanti e un po'
turbati, come fiamma abbattuta per un attimo da una folata, presero poi a risvegliarsi
con un fremito molto più impressionante, credendo di potermi costringere
con la forza a non mantenere la promessa o, nel caso in cui io serbassi fede
alla promessa, a farlo ordinare prete da un altro vescovo. Io cercavo di dire
a coloro ai quali mi riusciva, cioè ai notabili e ai maggiorenti che
frattanto erano saliti fin da me sul coro, che né io potevo recedere
dalla santità della promessa né quello poteva essere ordinato
da un altro vescovo nella chiesa a me affidata, se non ne fossi stato richiesto
personalmente e non lo avessi permesso; che nondimeno, anche se lo avessi permesso,
avrei egualmente tradito la parola data. Aggiungevo altresì che essi
non volevano altro se non che quello, una volta ordinato contro sua voglia,
rinunziasse subito dopo l'ordinazione. Ma essi non credevano che ciò
potesse accadere. Frattanto la folla assiepata davanti ai gradini, persistendo
nella medesima volontà e gridando con un pauroso e ostinatissimo strepito,
ci rendeva dubbiosi e irresoluti sul da fare. Fu allora che presero a lanciare
vituperi contro il mio caro fratello; fu allora che da me si temette il peggio.
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(Riluttanza
di Piniano) |
2. Ma, benché fossi agitato da
una si grande sommossa dei fedeli e da tanto sconvolgimento della chiesa, benché
nient'altro avessi detto a quella massa di gente tranne che io non potevo ordinarlo
prete senza la sua volontà, nondimeno neppure in tale frangente fui indotto
a dargli qualche consiglio a farsi ordinare; poiché, se fossi riuscito
a persuaderlo, non sarebbe stato più ordinato sacerdote contro il suo
volere. Serbai fede all'una e all'altra promessa, non solo a quella che aveva
già manifestata ai fedeli, ma anche a quella a cui ero vincolato da un
unico testimone per quanto riguarda gli uomini. Serbai, dico, in un pencolo
così grave, la fedeltà della promessa, non del giuramento. Infatti,
quantunque i miei timori fossero infondati, come seppi in seguito, il pericolo,
se c'era, sovrastava a tutti egualmente e il timore stesso era comune e io,
temendo soprattutto per la chiesa nella quale mi trovavo, pensavo di allontanarmene.
C'era però da temere che, in mia assenza, un rispetto minore da parte
dei fedeli e un dolore più cocente provocassero qualche danno ben più
grave. Aggiungi che, se me ne fossi andato col fratello Alipio stipato in mezzo
ai fedeli, bisognava badare che qualcuno non osasse mettergli le mani addosso;
se poi me ne fossi andato senza di lui, in che conto mi avrebbero tenuto nel
caso che gli fosse capitato qualche incidente e avessi data l'impressione di
averlo abbandonato, per lasciarlo in balia dei fedeli furenti?
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(Promessa di
Piniano) |
3. Fra queste mie agitazioni e dolorose
angustie, che mi mozzavano il respiro e m'impedivano di prendere una decisione,
ecco che d'improvviso, senza che me l'aspettassi, il santo nostro figlio Piniano
mi manda un servo di Dio a dire di voler giurare avanti ai fedeli che avrebbe
lasciato definitivamente l'Africa qualora fosse ordinato prete a suo dispetto.
Credo che lo facesse con la persuasione che quelli, considerato che non poteva
certo spergiurare, non avrebbero gridato più oltre con un'ostinatezza
infruttuosa per cacciare via di qui una persona che avremmo dovuto avere almeno
vicina. Sembrando però a me che, dopo un simile giuramento, ci sarebbe
stato da temere un dolore più acuto da parte dei fedeli, rimasi senza
proferir verbo, e siccome Piniano mi aveva chiesto di recarmi anche da lui,
mi affrettai a farlo. Mi ripeté le parole di prima e aggiunse al medesimo
giuramento un'altra clausola, che mi aveva fatto conoscere per mezzo d'un secondo
servo di Dio, mentre mi affrettavo ad andar da lui, che cioè sarebbe
rimasto tra noi, se nessuno gli avesse imposto suo malgrado il pesante carico
del sacerdozio. Allora io, quasi rinfrancato da un alito di brezza in mezzo
a tante angustie, non gli risposi nulla, ma mi diressi a passi affrettati dal
fratello Alipio e gli riferii esattamente le sue parole. Ma egli, per evitare,
a quanto io penso, che in seguito a un suo consiglio nascesse qualche complicazione
da cui, a suo avviso, potevate essere offesi: " Su ciò esclamò,
nessuno chieda il mio parere ". Udita la sua risposta, corsi dai fedeli
tumultuanti e, imposto il silenzio, manifestai la promessa fattami con l'impegno
anche del giuramento. GI'Ipponesi però, che avevano solo in animo e desideravano
che divenisse sacerdote, non accettarono la proposta come io credevo, ma borbottando
a bassa voce per un certo tempo fra loro chiesero che alla promessa e al giuramento
si aggiungesse questa condizione: che, se mai a Piniano fosse piaciuto di dare
l'assenso ad abbracciare la carriera ecclesiastica, non acconsentisse a farlo
se non nella Chiesa d'Ippona. Lo riferii all'interessato; senza esitare egli
disse di si. Riportai l'ambasciata ai fedeli; fecero festa e richiesero subito
il giuramento promesso.
|
(Tolta la clausola
" in caso di forza maggiore ") |
4. Come tornai presso il figliuolo nostro,
lo trovai molto agitato ed esitante sulla scelta delle parole, con cui formulare
quella promessa giurata, per l'eventualità di bisogni urgenti che potevano
indurlo ad andarsene via. Mi manifestò contemporaneamente il suo timore
che potesse essere sferrato qualche assalto ostile, al quale dovesse sottrarsi
con la partenza. La pia serva di Dio Melania voleva che si aggiungesse anche
il motivo del clima malsano ma egli rispose rimproverandola. Io poi osservai
che da lui era stato avanzato bensì un motivo serio e nient'affatto disprezzabile
d'un bisogno urgente, capace di costringere anche i cittadini a trasferirsi,
ma se un tal motivo fosse stato esposto ai fedeli, c'era da temere che dessimo
l'impressione di essere profeti di sciagure; se poi la scusa fosse addotta sotto
il pretesto generico di " caso di forza maggiore ", non l'avrebbero
considerata se non come uno stratagemma per ingannarli. Si decise tuttavia di
saggiare a questo proposito l'animo dei fedeli e non si ebbe altro se non la
conferma di ciò che avevo pensato. Difatti, quando furono riferite le
parole sue dal diacono, piacquero tutte; ma appena risonò la parola "
caso di forza maggiore " che vi era stata inserita, subito si alzò
u n coro di proteste, non piacque più la promessa e il tumulto tornò
a farsi violento, poiché i fedeli credevano che in nessun altro modo
si volesse venire a patti con lui che con la frode. Come quell'ottimo figlio
nostro ebbe costatato questo, ordinò che si togliesse via il pretesto
di " caso di forza maggiore" e i fedeli tornarono di nuovo a rallegrarsi.
|
(Piniano sottoscrive
il giuramento) |
5. Benché mi scusassi dicendo d'essere
spossato, Piniano non volle presentarsi ai fedeli senza di me. Ci appressammo
insieme. Disse loro che le parole che avevano udite dal diacono le aveva fatte
pronunciare lui, ch'egli aveva giurato e avrebbe adempiuto la promessa; e ripeté
subito ogni parola nello stesso tenore con cui le aveva dettate. Fu risposto:
Deo gratìas, e si reclamò che l'intero scritto venisse
da lui firmato. Congedai i catecumeni e Piniano pose subito la firma sotto lo
scritto. Si cominciò in seguito a reclamare con grida non già
dai fedeli bensì dai notabili cristiani, sobillati però dai fedeli,
che firmassi anch'io, loro vescovo. Ma appena mi accinsi a sottoscrivere, la
pia serva di Dio Melania si oppose. Mi meravigliai come si fosse decisa così
tardi a opporsi, quasi che io, non sottoscrivendo, potessi rendere nulli la
promessa e il giuramento. Cionondimeno ubbidii, e così la mia firma rimase
in tronco né ci fu alcuno che stimò opportuno si dovesse insistere
più a lungo con me, perché sottoscrivessi.
|
(Piniano giurò
liberamente) |
6. Quali siano state poi le impressioni
e i commenti della gente il giorno dopo che si seppe della partenza di Piniano,
mi son preso cura, nella misura da me creduta sufficiente, d'informare la santità
vostra mediante una lettera. Chiunque vi ha per caso raccontato cose contrarie
a queste che vi ho narrate io, o dice bugie o s'inganna. Comprendo d'aver tralasciato
certi particolari che non mi sono parsi pertinenti al nostro ministero, ma ho
tuttavia la coscienza di non aver detto falsità di sorta. E' vero insomma
che il pio nostro figlio Piniano giurò alla mia presenza e col mio permesso,
ma è falso che giurasse per mia imposizione. Lo sa egli stesso, lo sanno
i servi di Dio, ch'egli m'inviò per primo il santo fratello Barnaba e
quindi Timasio, per mezzo del quale mi comunicò anche la promessa di
rimanere tra noi. I fedeli stessi con le loro grida lo costringevano al sacerdozio,
non al giuramento. Ma allorché questo gli fu offerto, non lo rifiutarono,
sia perché speravano che potesse maturare in lui medesimo, abitando presso
di noi, la volontà di consentire ad essere ordinato, sia perché
volevano evitarne la partenza, come egli aveva giurato, nel caso che prendesse
gli ordini forzatamente. Per questa ragione e per il servizio di Dio - poiché
anche la ordinazione di un sacerdote è servizio di Dio - gl'Ipponesi
innalzarono alti strepiti. Quanto al fatto poi che non si rallegrarono della
permanenza da lui promessa senza l'aggiunta che, qualora un giorno si disponesse
a prendere il sacerdozio, non vi assentisse se non nella Chiesa d'Ippona, è
abbastanza manifesto che speravano ch'egli sarebbe rimasto ad abitare presso
di loro e perciò non recedettero da quel desiderio del servizio di Dio.
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(Si brama Piniano
che disprezza il danaro) |
7. Come mai dunque affermi che essi abbiano
agito cosi per la turpe cupidigia del denaro? In primo luogo essa non può
riferirsi affatto ai fedeli. A quel modo che i fedeli di Tagaste non ricevono
dai beni che avete devoluti alla chiesa di Tagaste nient'altro che la gioia
della vostra buona azione, così avviene pure dei fedeli d'Ippona e di
qualsivoglia altro paese, dove voi avete già messo in pratica o dovunque
metterete in pratica i comandamenti di Dio intorno alla ricchezza dell'iniquità.
I fedeli non pretesero dunque da quella ragguardevole persona il proprio vantaggio
pecuniario sollecitandola con soverchio ardore per provvedere alla loro Chiesa
coi beni di un uomo così ricco, ma ebbero caro in voi il disprezzo del
denaro da parte vostra. Se i fedeli d'Ippona furono contenti d'aver sentito
dire a mio riguardo che, dopo aver rinunciato ad alcuni campicelli lasciatimi
da mio padre, mi ero consacrato a servire liberamente il Signore né invidiarono
riguardo a ciò la chiesa di Tagaste, che è la mia patria carnale,
anzi, mentre questa non mi aveva investito del sacerdozio, si precipitarono
essi, appena poterono, a impadronirsi di me, con quanto maggiore ardore poterono
esser contenti che il nostro Piniano avesse vinto e calpestato, con una conversione
così bella, tante passioni di questo mondo, tante ricchezze, tante speranze!
Secondo quanto pensano molti che si paragonano con se stessi , sembra che io non abbia
lasciato le ricchezze, ma che ci sia arrivato. Difatti il mio patrimonio paterno
si può a stento considerare una ventesima particella a paragone dei beni
della Chiesa, i quali ora si crede che io li possegga come se ne fossi padrone.
Ma in qualunque Chiesa, soprattutto dell'Africa, questo nostro Piniano potrà
essere non dico prete, ma vescovo, sarà poverissimo, se si paragona alle
sue ricchezze di prima, anche se si comporterà con l'animo di farla da
padrone. Molto più serenamente e sicuramente viene amata dunque la povertà
in quest'uomo, nel quale è impossibile immaginare una cupidigia di beni
maggiori. Questo fu il sentimento che accese gli animi dei fedeli, questo li
spinse a persistere nei loro strepiti ostinati e assordanti. Non accusiamoli
per giunta di turpe cupidigia ma lasciamo che quel bene, che essi non hanno,
lo amino almeno in altri senza colpa. Ammesso pure che in questa folla fossero
mescolati dei poveri o mendicanti, che gridavano con gli altri e speravano dalla
vostra venerabile sovrabbondanza un aiuto alla loro miseria, neppure questa,
io credo, è turpe cupidigia.
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(Agostino respinge
la accusa di cupidigia) |
8. Resta dunque solo la possibilità
che questa accusa di turpissima cupidigia del danaro è rivolta indirettamente
contro i membri del clero e in modo particolare contro il vescovo. Si crede
infatti che noi siamo padroni dei beni della Chiesa e che godiamo dei loro frutti.
Ma a dirla in breve, qualunque sia la parte che di essi abbiamo ricevuta, o
la possediamo ancora o l'abbiamo distribuita come ci è parso più
opportuno; nulla di questi beni abbiamo largito ai fedeli che non erano membri
del clero o del monastero, ma solo a pochissimi bisognosi. Non dico che simili
calunnie dovettero essere dette da voi proprio contro di noi, ma dico solo che
poterono essere dette in modo credibile solo contro di noi. Che fare dunque?
Con quale argomento ci potremo giustificare almeno presso di voi, se non lo
possiamo presso i nemici? Si tratta di una questione di coscienza, tutta interiore,
completamente lontana dagli occhi dei mortali, nota solo a Dio. Che ci rimane
dunque se non chiamare a testimone Dio, al quale solo è nota? Se così
pensate di noi, voi non ci raccomandate (cosa che sarebbe molto meglio e che
tu hai creduto dovermi rinfacciare come una colpa nella tua lettera) ma ci obbligate
assolutamente a giurare, non incutendoci la paura della morte corporale, come
si è creduto che avessero fatto i fedeli di Ippona, ma incutendoci paura
della morte della nostra reputazione, che è da preporre senz'altro anche
alla vita di questa carne a difesa dei deboli, ai quali ci sforziamo di offrirci
come esempio di buone opere in tutti i contatti con essi.
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(Come Agostino
amministra i beni della Chiesa) |
9. Nondimeno noi non ci sdegniamo con
voi come voi vi sdegnate con gli Ipponesi, sebbene ci obblighiate a giurare.
Voi infatti a guisa di uomini che giudichino altri uomini, credete bensì
a ciò che in noi non è, mentre non credete a ciò che in
noi non può essere. Queste vostre debolezze devono essere guarite, non
accusate, e la nostra reputazione deve tornare pura presso di voi, come la coscienza
lo è - almeno lo suppongo - presso il Signore. Egli, come io e il mio
fratello Alipio dicemmo in un colloquio prima che capitasse questa prova, forse
mi concederà che risulti ben chiaro non solo a voi, carissimi membri
come noi di un sol corpo, ma anche agli stessi nemici più accaniti che
negli affari concernenti la Chiesa non ci lasciamo giammai macchiare da cupidigia
per il danaro. In attesa di questa grazia, finché il Signore non ce la
concederà, per adesso intanto facciamo ciò a cui siamo costretti
per non rimandare neppure per un brevissimo tempo la medicina per l'anima vostra.
Mi è testimone Dio che tutta questa amministrazione dei beni ecclesiastici,
sul quali si crede che amiamo, farla da padroni assoluti, io la sopporto, non
la desidero, per il servizio che devo alla carità verso i fratelli e
al timore di Dio. Per conseguenza, se lo potessi senza venir meno al mio dovere,
vorrei disinteressarmene. Non diversamente penso nei riguardi del mio confratello
Alipio e me ne è testimone Dio stesso. Eppure contro di lui, pensando
di lui proprio il contrario, i fedeli, e ciò che più addolora,
proprio quelli di Ippona, proruppero in tante ingiurie. Ma voi pure, santi e
pieni di profondi sentimenti di misericordia, prestando fede a simili infamie,
parlando solo dei fedeli, che non hanno niente a vedere con una imputazione
siffatta di cupidigia, avete voluto pungermi e rimproverarmi per correggermi,
s'intende, non per odio, il che non penso affatto di voi. Per conseguenza non
devo adirarmi ma ringraziarvi, perché non avreste potuto comportarvi
con maggior delicatezza e franchezza, non rinfacciando a un vescovo quasi con
insolenza i vostri sentimenti, ma lasciandoglieli capire indirettamente.
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(I fedeli di
Agostino non bramano le ricchezze) |
10. Non vi sia molesto nemmeno reputarvi
in certo modo afflitti per aver io creduto che si dovesse giurare. Infatti l'Apostolo
non voleva affliggere né amava poco coloro ai quali diceva: Non abbiamo
usato mai parole di adulazione, come ben sapete, in mezzo a voi né abbiamo
cercato occasione di cupidigia. Dio mi è testimone . Per un fatto manifesto
prese a testimoni gli stessi fedeli, ma per una faccenda occulta chi altro poteva
prendere a testimonio se non Dio? L'Apostolo aveva giustamente timore che degli
individui ignoranti potessero nutrire sentimenti così ignobili sul conto
di lui, la cui fatica era palese a tutti, tant'è vero che non prendeva
nulla per i suoi bisogni personali, se non in caso di estrema necessità,
dalle elemosine dei fedeli ai quali dispensava la grazia di Cristo, ma tutto
il resto che gli era necessario per vivere se lo procurava con le proprie mani;
quanto più noi dobbiamo adoperarci che si presti fede a nei, che per
merito di santità e virtù d'animo siamo di gran lunga inferiori
a Paolo né possiamo procurarci con le nostre mani alcunché per
sostentare questa vita , ed anche se lo potessimo, ne saremmo impediti del tutto
da tante occupazioni, quante credo ne abbiano dovuto sopportare al loro tempo
gli Apostoli stessi! Non si rinfacci dunque più oltre in questo caso
ai fedeli cristiani, che sono la Chiesa di Dio, la bruttissima cupidigia di
danaro. Se questa accusa fosse lanciata contro di noi, sui quali sarebbe potuto
cadere il sospetto, sebbene falso ma tuttavia verosimile di tal vizio, sarebbe
più sopportabile che quando è lanciata contro coloro che, si sa
bene, sono alieni da una cupidigia e da un sospetto così volgari.
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(Obbligo d'osservare
i giuramenti) |
11. Non è lecito a persone che
hanno una qualsiasi fede, tanto meno se hanno la fede cristiana, rinnegare il
giuramento, non dico affermare alcunché di contrario, ma dubitarne minimamente.
Su tale argomento ho esposto il mio pensiero con la maggiore chiarezza possibile
- almeno lo credo - nella lettera scritta al mio fratello; la Santità
tua mi ha scritto domandandomi " se io o gl'Ipponesi crediamo che si debba
osservare un giuramento estorto con la violenza". Che ne pensi tu stessa?
Ti piacerebbe che, anche sotto la minaccia di morte sicura e imminente, minaccia
che allora era temuta senza motivo, un cristiano si servisse del nome del Signore
Dio suo per ingannare? Che un cristiano prendesse a testimone per la sua falsità
il suo Dio? In realtà, se un cristiano, indipendentemente dal giuramento,
fosse costretto dalla morte imminente a una falsa testimonianza, dovrebbe aver
paura di macchiare anziché di terminare la propria vita. Eserciti fra
di loro nemici ed armati combattono certo sotto la minaccia evidentissima di
morte e, tuttavia, quando si legano con giuramento reciproco, li approviamo
se osservano la parola data, ma se non la mantengono, giustamente li detestiamo.
Ma che cosa ha spinto i due eserciti a giurare, se non il timore d'essere tagliati
a pezzi o presi prigionieri l'uno dell'altro? IF, perciò se non si rispetta
il giuramento estorto col timore della morte o della prigionia, se non si mantiene
la parola data nel giuramento, sono colpevoli di sacrilegio e di spergiuro anche
siffatti individui che temono più di spergiurare che di uccidere un altro
individuo, ed ecco che noi, quasi dovessimo discuterlo, ci poniamo il problema
se si debba adempiere un giuramento estorto ai servi di Dio e ai monaci, superiori
agli altri per il dono della santità, che corrono verso la perfezione
dei comandamenti di Cristo anche col distribuire i propri beni?
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(Piniano non
sia spergiuro) |
12. Orbene, ti scongiuro, perché
mai il domicilio nella nostra città promesso da Piniano è reso
odioso col chiamarlo esilio o deportazione o relegazione? lo sono convinto che
il sacerdozio non è un esilio. Il nostro amico dovrebbe dunque preferire
l'esilio al sacerdozio? Non sia mai che si dica che quel santo uomo a noi carissimo
preferì l'esilio al sacerdozio o lo spergiuro all'esilio. Direi ciò,
se io o i fedeli gli avessimo veramente estorto di giurare la promessa che sarebbe
rimasto fra noi. E' vero al contrario che il giuramento non gli fu estorto mentre
si rifiutava di farlo, ma fu accettato quando venne spontaneamente offerto;
e ciò, coi-ne ho detto poco prima, nella speranza che, qualora Piniano
fosse rimasto fra noi, potesse cedere al desiderio dei fedeli e acconsentire
ad assumere la dignità clericale. Alla fine, checché si pensi
di me o degli Ipponesi, ben diversa è la responsabilità di coloro
che lo hanno costretto a giurare da quella di coloro che lo hanno, non dico
costretto, ma persuaso a spergiurare. Lo stesso Piniano, di cui si tratta, non
rifiuti di considerare se sia più grave il giuramento sotto la spinta
d'un timore qualunque o lo spergiuro, quando non sussiste più il timore.
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(Piniano deve
stare a Ippona) |
13. Ringraziamo Dio perché gl'Ipponesi
pensano che la promessa nei loro riguardi non è adempiuta in nessun altro
modo se non nel senso che egli stia tra loro col proposito di fissare la sua
residenza ad Ippona, libero d'andare dove sarà necessario, ma animato
dal proposito di tornare. Se invece dovessero badare alle parole del giuramento
ed esigerne l'esecuzione, in nessun modo il servo di Dio si sarebbe dovuto allontanare,
in nessun modo spergiurare. Ma sarebbe per gl'Ipponesi delittuoso trattenere
in una tale schiavitù, non dico una persona di tanto riguardo, ma chiunque
altro; essi invece hanno dimostrato coi fatti ch'era la sola cosa che si aspettavano
quando si rallegrarono nell'udire che era partito ma con l'intenzione di tornare,
né un giuramento sincero esige per essi altro all'infuori di ciò
che sperarono dal giuramento stesso. Che significa poi ciò che si va
dicendo, che nel giuramento espresso con le sue parole egli aveva eccettuato
il caso di " forza maggiore "? Come se egli stesso non avesse ordinato
di propria bocca per la seconda volta che si cancellasse quella parola. Certo
l'avrebbe potuta inserire anche allora, quando parlò di persona al popolo.
Se l'avesse fatto, la risposta non sarebbe certo stata: Deo gratias,
ma sarebbero tornati alle grida di disapprovazione che si erano sollevate quando
la proposta fu letta con quella clausola dal diacono. Ma che importa che sia
stata inserita o no la scusa di " forza maggiore " d'una partenza?
Non ci si aspettò da lui altro che quanto ho detto poc'anzi. Chiunque
poi abbia deluso l'attesa di coloro per i quali si giura, non può non
essere spergiuro.
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(Piniano mantenga
la promessa) |
14. Si adempia dunque la promessa e si
guariscano le anime dei deboli affinché con un esempio così pericoloso
non siano spinti a imitare lo spergiuro quelli che lo approveranno,
né quelli che lo disapprovano abbiano il pieno diritto di dire che non
si deve credere a nessuno di noi non solo quando promettiamo, ma neppure quando
giuriamo. In ciò bisogna piuttosto guardarsi dalle lingue dei nemici,
di cui il nemico più forte, Satana, si serve come di frecce per uccidere
i deboli. Lontano da noi il pensiero di sperare per un'anima tanto cara se non
quello che ispira il timore di Dio e che consiglia la straordinaria eccellenza
della santità ch'essa possiede. Tu dici che io avrei dovuto impedire
un tal giuramento ma, lo confesso, non arrivai ad esser tanto saggio da preferire
di lasciare che la Chiesa che io servo fosse messa a socquadro da uno scompiglio
e scandalo si gravi anziché accettare l'offerta che ci veniva fatta da
una persona tanto rispettabile.
[Melania la Santa] - [Testimoni diretti] |