Capitolo V


İzmir-Smirne: saluto di S.Ecc.mons. Giuseppe Bernardini, Arcivescovo di Smirne, prima della messa.

Siete nella chiesa di S.Policarpo, martire, patrono di Smirne. Non è la cattedrale. La cattedrale è dedicata a S.Giovanni Evangelista, maestro di S.Policarpo. Per questo io considero la diocesi, la chiesa di Smirne, come una delle poche chiese sicuramente apostoliche. La nostra comunità è piccola. Su una popolazione di oltre tre milioni di abitanti, noi cattolici siamo circa 1.250. Ho assistito nel tempo ad una diminuzione continua della presenza cristiana in Turchia, per motivi diversi, spesso sociali. Ci sono state partenze anche di interi gruppi di persone. La nostra comunità di Smirne è formata per oltre metà da persone di origine straniera. Sono quelli che noi di solito chiamiamo levantini, di origini occidentali, ma nati in Oriente. Alcune famiglie abitano qui da generazioni. Ci sono altri vescovi di altri riti, di rito armeno, di rito assiro, di copto.
Volete sapere se c’è libertà religiosa? Direi che forse non c’è quella libertà, così come la intendiamo noi, al 100 %. C’è libertà totale, completa, senza problemi, dentro i luoghi di culto. Per tutti. La Turchia è un Paese laico e questa laicità si concretizza appunto con questa legge sulla libertà di culto. Ma l’esternazione della propria religione è completamente libera solo nei luoghi di culto. Per questo noi siamo in abiti civili. In chiesa posso anche portare l’abito - problemi qui dentro non ce ne sono. All’esterno però non si può portare nessun segno manifesto delle religioni. E’ una libertà al 50%: c’è libertà di credere, ma non di parlarne. Infatti è proibito il proselitismo. Comunque la situazione è che noi ci siamo adattati, i nostri luoghi ci bastano per la pastorale. Possiamo andare a trovare i malati, portare loro la comunione; non ci sono problemi per questo. Il clero è quasi tutto formato da religiosi. Prima della Repubblica, sotto i sultani dell’800, c’era libertà di costruire chiese, scuole, ospedali, ma da quando c’è la Repubblica non si è più potuto costruire nessuna chiesa. Le nostre ci bastano, anche se, con lo sviluppo enorme delle grandi città, le persone si sono spostate di abitazione. I quartieri sono cambiati, ma le chiese sono rimaste dove erano ed ora sono magari in luoghi scomodi, difficili da raggiungere per le persone. Ci sono ancora scuole tenute da religiosi, salesiani ecc., ma sono delle istituzioni che erano già in attività quando è nata la Repubblica (1923), di nuove non ce ne sono. Sono tutte scuole private, ma sotto il controllo dello Stato. Anche se il direttore è un cristiano, il vice-direttore della scuola è sempre uno del governo. Queste scuole sono molto frequentate perché sono apprezzate ed il loro livello è alto. In tutta la Turchia i cattolici saranno circa 25.000 oggi ed i cristiani in totale 100.000/120.000, su una popolazione di settanta milioni. Siamo una goccia e, come dicevo, c’è una continua diminuzione. Però - c’è un però molto bello, un però che mi ricompensa, ci ricompensa delle costrizioni che noi sacerdoti per anni e anni abbiamo sofferto, nella condizione di non poter fare niente, anzi vedere diminuire la nostra presenza - da circa 15 anni si è manifestato un interesse sempre più forte e da parte di sempre più persone, turchi, musulmani, verso la religione cristiana. Sono molti quelli che bussano alla nostra porta e ci chiedono di spiegare loro il Vangelo. Noi non possiamo fare proselitismo, ma se sono loro che domandano, noi possiamo rispondere. La grazia di Dio ha fatto il resto e molti (non grandi numeri, ma per noi sono molti) hanno chiesto il battesimo. Non pochi sono arrivati ad essere battezzati. Uso il termine “arrivare” perché noi della chiesa cattolica chiediamo in questi casi un cammino di almeno tre o quattro anni. Altri, come alcuni gruppi protestanti, danno il battesimo in pochissimo tempo.
Per cui, se da una parte la presenza dei cristiani di origine straniera sta diminuendo, all’orizzonte si profila una presenza turca che sta crescendo. Per cui si può pensare ad una evoluzione in questo senso. Abbiamo la coscienza che la vostra presenza qui, come pellegrini, forse non è stata inutile e ne ringraziamo Dio. Siccome questo crescere della Chiesa è opera della grazia e non nostra, e la grazia si ottiene con la preghiera, vi chiedo di pregare per questa Chiesa nuova che sta nascendo qui. E non solo ora, ma anche quando farete ritorno in Italia. Voi, rappresentanti di una grande Chiesa, completamente libera, pregate per questa piccola chiesa di Smirne. Grazie.

İzmir-Smirne, basilica di S.Policarpo: il martirio di S.Policarpo

Questo posto, questa testimonianza del vescovo, parlano da sé. Nel senso che è una di quelle testimonianze non brillanti, non appariscenti all’esterno. Come spesso è la nostra vita! Andare in un posto, starci tanti anni, e vedere non solo non aumentare, ma diminuire addirittura il numero delle persone che frequentano la chiesa: che sentimenti avreste voi? Insieme abbiamo ascoltato ancora l’annuncio di questa speranza che è legata al Cristo.
Pensate al vangelo della messa di oggi, Gv5,1-18, a quest’uomo che aspetta 38 anni. Una persona malata che sta lì da 38 anni e non riesce a guarire! Finché poi non passa Gesù. Noi non siamo abituati - per noi stessi, per i nostri figli, per i nostri nipoti - a dire: “Guarda, forse tra 38 anni vedrai un frutto! Tu cammina, fatica, perché fra 38 anni succederà qualcosa, Dio si manifesterà e ti darà il premio!”. Pensavo a fratel Charles de Foucauld che è morto senza nessun discepolo – lui, una persona santa vissuta in quel modo! Noi a volte colleghiamo la santità con il successo: se uno è santo deve per forza avere migliaia di seguaci, migliaia di persone che si convertono, migliaia di discepoli che fondano una congregazione. Qui tutto ci parla di piccolezza, ma di una piccolezza che ci parla della presenza di Cristo stesso. Vedete, proprio Policarpo ci ricorda la piccolezza, la debolezza del martirio.

Voglio leggervi alcuni passi del racconto del suo martirio. E’ uno dei racconti di martirio più antichi di cui abbiamo notizia ed è scritto con sobrietà da chi ha visto ciò che accadde. Poi gli atti dei martiri diventeranno più leggendari, si coloreranno di particolari. Con gli Atti del martirio di Policarpo siamo ancora vicini alla descrizione dei fatti.

Probabilmente Policarpo ha conosciuto gli apostoli ancora viventi, è stato scelto direttamente da loro o, al massimo, da qualche loro successore. Deve essere nato intorno al 65–70 dopo Cristo ed è morto poi vecchissimo, forse all’età di novanta anni, intorno al 160, al tempo degli imperatori Antonini. Nel 154 era venuto a Roma, per parlare con il Papa di allora perché qui a Smirne si celebrava la Pasqua il 14 di Nisan, secondo l’usanza ebraica - usanza “quartodecimana”, si diceva allora, proprio a motivo del giorno 14, di modo che la Pasqua cristiana cadesse lo stesso giorno di quella ebraica e non necessariamente di domenica - mentre a Roma si celebrava sempre di domenica, come facciamo oggi. Anticamente, proprio per il rapporto strettissimo che c’era con l’ebraismo, era diverso. Policarpo si reca a Roma a dire che si doveva celebrare la Pasqua il 14 di Nisan. Discussero sulla datazione della Pasqua, ma, alla fine, ognuno restò della sua idea, ognuno continuò secondo le proprie usanze. Subito dopo questa permanenza romana tornò qui a Smirne e fu ucciso. Il testo che ora leggiamo ci riporta di nuovo al mistero della debolezza. Il martirio è proprio la testimonianza data attraverso l’apparente sconfitta, è il giungere a perdere tutto, a morire, perché si è pieni della certezza della fede che tutto vince.

Policarpo era scappato nelle campagne - sapete che il cristianesimo ha sempre affermato che il martirio non va cercato, ma va accolto quando Dio lo dà. Non c’è, nel cristianesimo, questa ansia di mettersi in mostra per essere martirizzati. Policarpo si era così allontanato nelle campagne. Dice così il racconto della sua Passio:

Di venerdì all’ora di pranzo, guardie e cavalieri, con le consuete armi conducendo giovani schiavi, partirono come se inseguissero un ladrone. Arrivando verso sera trovarono Policarpo coricato in una casetta, al piano superiore, anche di là avrebbe potuto fuggire in un altro podere, ma non volle dicendo: “Sia fatta la volontà di Dio”. Sentendo che erano arrivati, scese a parlare con loro, meravigliati della sua veneranda età, della sua calma e di tanta preoccupazione per catturare un uomo così vecchio. Subito ordinò di dar loro da mangiare, da bere, quanto ne volevano e chiese che gli concedessero un’ora per poter pregare tranquillamente. Lo concessero e stando in piedi cominciò a pregare pieno d’amore di Dio, tanto che per due ore non si poté interrompere. Quelli che lo ascoltavano erano stupiti e molti si pentivano di essere venuti a prendere un vegliardo così degno e santo. Quando terminò la preghiera, ricordandosi di tutti quelli che aveva conosciuto, piccoli e grandi, illustri e oscuri e di tutta la chiesa cattolica sparsa per la terra e giunse l’ora di andare, facendolo sedere su un asino lo condussero in città. Era il giorno del grande sabato. Il capo della polizia e il padre di costui, Niceta, gli vennero incontro ed i vicini gli dicevano, cercando di persuaderlo: “Che male c’è a dire: Cesare è Signore? Offrire incenso all’imperatore con tutto ciò che segue e salvarsi?” Dapprima non rispose loro. Poiché quelli insistevano disse: “Non voglio fare quello che mi consigliate”. Essi, avendo perduto la speranza di persuaderlo, gli rivolsero parole crudeli e lo spinsero in fretta, tanto che nello scendere dal cocchio si sbucciò uno stinco. Ma lui senza voltarsi, come se nulla fosse successo, allegro si incamminò verso lo stadio. Vi era un tumulto tale che nessuno poteva farsi ascoltare.

Immaginate anche lo stadio che abbiamo visto ieri, ad Afrodisia - questi stadi bellissimi, ma che, talvolta, hanno rappresentato il punto più basso raggiunto dalla civiltà romana, quando sono stati utilizzati per far lottare le persone con i leoni o per i gladiatori. Immaginate quello stadio pieno di persone e questo vecchio di 90 anni che entra per essere ucciso e tutta la gente che urla perché vuole vedere finalmente morire Policarpo!

Portato davanti al proconsole, questi gli chiese se fosse Policarpo. Egli annuì e il proconsole cercò di persuaderlo a rinnegare dicendo: “Pensa alla tua età”.

Noi diciamo “Pensa alla tua età” per dire a qualcuno di salvarsi! Invece lui reagisce dicendo: “E’ proprio la mia età che mi deve ancora di più rendere testimone splendido, allegro, gioioso, fiero di essere cristiano!”.

E le altre cose di conseguenza come si usa: "Giura per la fortuna di Cesare, cambia pensiero e di’: “Abbasso gli atei!”.

Questo è interessante: i cristiani venivano chiamati atei perché dicevano che gli dei pagani non erano veri dei - era Dio solo la Trinità! Quindi Artemide, Minerva, Poseidone, non erano veri dei. Chi li adorava, coltivava il nulla. Allora gli dicono di gridare: “Abbasso gli atei”, cioè i cristiani.

Policarpo, invece, con volto severo guardò per lo stadio tutta la folla dei crudeli pagani, tese verso di essa la mano, sospirò e guardando il cielo disse: “Abbasso gli atei!”. Il capo della polizia insistendo disse: “Giura e io ti libero. Maledici il Cristo”. Policarpo rispose: “Da ottantasei anni lo servo, e non mi ha fatto alcun male. Come potrei bestemmiare il mio re che mi ha salvato?”.

I suoi persecutori capiscono che Policarpo ha dato un significato diverso all’espressione “abbasso gli atei”, poiché per lui gli atei sono coloro che non riconoscono Cristo come Dio! Allora cominciano a chiedergli un nuovo pronunciamento:

Insistendo ancora gli disse: “Giura per la fortuna di Cesare!”. Policarpo rispose: “Se ti illudi che io giuri per la fortuna di Cesare, come tu dici, e simuli di non sapere chi io sono, sentilo chiaramente. Io sono cristiano. Se poi desideri conoscere la dottrina del cristianesimo, concedimi una giornata e ascoltami”. Rispose il proconsole: “Convinci il popolo”. Policarpo di rimando: “Te solo ritengo adatto ad ascoltarmi”.

Immaginate la scena: come se allo stadio Olimpico uno potesse parlare a tutti per spiegare cos’è il cristianesimo! Policarpo, che è furbo, dice: “Se vuoi lo spiego a te; ma che senso ha parlare davanti a tutti questi che vogliono solo vedermi morto?”

Ci è stato insegnato di dare alle autorità e ai magistrati stabiliti da Dio il rispetto come si conviene, ma senza che ci danneggi. Non ritengo gli altri capaci di ascoltare la mia difesa". Il proconsole disse: “Ho le belve e ad esse ti getterò se non cambi parere”. L’altro rispose: “Chiamale, è impossibile per noi il cambiamento dal meglio al peggio; è bene invece passare dal male alla giustizia”. Di nuovo l’altro gli disse: “Ti farò consumare dal fuoco, poiché disprezzi le belve, se non cambi parere!” Policarpo rispose: “Tu minacci il fuoco che brucia per un’ora e dopo poco si spegne e ignori invece il fuoco del giudizio futuro e della pena eterna, riservato agli empi. Ma perché indugi? Fa’ quello che vuoi!”
Nel dire queste ed altre cose era pieno di coraggio e di allegrezza e il suo volto splendeva di gioia. Egli non solo non si lasciò abbattere dalle minacce rivoltegli, ma lo stesso proconsole ne rimase sconcertato e mandò in mezzo allo stadio il suo araldo a gridare tre volte: “Policarpo ha confessato di essere cristiano”. Dopo questo proclama dell’araldo, tutta la moltitudine dei pagani e dei giudei abitanti a Smirne con furore incontenibile e a gran voce gridò: “Questo è il maestro d’Asia, il padre dei cristiani, il distruttore dei nostri dei che insegna a molti a non fare sacrifici e a non adorare”. Gridavano queste cose chiedendo all’asiarca Filippo che lanciasse un leone contro Policarpo. Egli, invece, rispose che non gli era lecito, poiché il combattimento contro le fiere era terminato. Allora concordemente si misero a gridare che Policarpo fosse arso vivo.
Il beato Policarpo ha testimoniato il secondo giorno di Santico, il settimo giorno prima delle calende di marzo, di grande sabato, all’ora ottava. Fu preso da Erode, pontefice Filippo di Tralli e proconsole Stazio Quadrato, re eterno nostro Signore Gesù Cristo. A lui gloria, onore, grandezza, trono eterno di generazione in generazione. Amen.

Vedete siamo dinanzi al martirio, alla testimonianza data dalla vita stessa. La vita appare debole, viene facilmente uccisa, ma non cessa di rendere gloria al Cristo! Questa vita, la vita di Policarpo, diviene così il luogo di testimonianza: il vero re, il vero governante, il vero signore - anche se questo non appare immediatamente alla moltitudine che urla - è veramente il Cristo Signore. E così sia.

İzmir-Smirne, nella zona archeologica dell’Agorà: Ap2,8-11

Avere davanti al nostro sguardo l’antica Agorà di Smirne, ci riporta al periodo della città nel quale S.Giovanni deve averla visitata. Raramente i pellegrinaggi sostano qui, per questi scavi non particolarmente vistosi. Ma, come sapete, il nostro stile è, invece, quello di soffermarci nei luoghi i quali, pur non permettendoci una identificazione con esattezza millimetrica di questo o di quell’evento, ci aiutano a visualizzare come erano gli ambienti dove si sono svolti gli eventi neotestamentari ed apostolici. L’evangelista sarà passato un po’ più a destra od un po’ più a sinistra di questa strada, ma, comunque siamo al centro della città antica di cui Giovanni ci parla nell’Apocalisse e dove hanno vissuto i membri di questa chiesa.
Leggiamo ancora la lettera nella sua interezza in Ap2,8-11:

8All'angelo della Chiesa di Smirne scrivi:
Così parla il Primo e l'Ultimo, che era morto ed è tornato alla vita: 9Conosco la tua tribolazione, la tua povertà - tuttavia sei ricco - e la calunnia da parte di quelli che si proclamano Giudei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di satana. 10Non temere ciò che stai per soffrire: ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in carcere, per mettervi alla prova e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita.
11Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte.

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Smirne, l'agorà con lavori di sistemazione archeologica

Come ci dice la lettera scritta da Giovanni, gli inizi della Chiesa di Smirne sono stati marcati dal segno della debolezza, come abbiamo già riflettuto a partire dalla testimonianza di Policarpo. E, forse, è stata così non perché questo sia il destino di Smirne – in altri periodi storici Smirne ha avuto una grande presenza cristiana, come ai tempi dell’impero bizantino e poi anche sotto l’impero ottomano, finché gli scontri seguiti alla fine della I guerra mondiale ed, in particolare, la guerra turco-greca degli anni 1921/22, hanno portato alla fuga di gran parte della numerosissima comunità cristiana-ortodossa che qui viveva - ma perché questo è il mistero della vita. Fin dall’inizio è stata una città di debolezza. “Tu sei povera, ti si crede povera, eppure tu sei ricca, dal punto di vista della fede”. Vedete che una comunità, una Chiesa, non si giudica dal numero delle persone, dalla forza d’impatto, dai successi, dai risultati. Il Signore ci invita attraverso i segni a volte miseri a vedere un mistero diverso e più grande.

Addirittura S.Giovanni, nella lettera dell’Apocalisse alla Chiesa di Smirne, annunzia che stanno per incarcerare alcuni, che addirittura sarà richiesta una fedeltà fino alla morte, che moriranno martiri, come morirà poi Policarpo. Però dice: “Questa persecuzione durerà dieci giorni”. E sapete che “dieci giorni” vuol dire “un tempo limitato”, a somiglianza del numero simbolico “mille”: qualcosa che non è infinito, che non ha la pienezza di Dio. C’è una bella espressione che si usa nel sud dell’Italia: “Il bel tempo ed il cattivo tempo non durano tutto il tempo”. Già questo proverbio della sapienza umana aiuta a capire che le cose stupende, come quelle brutte, non sono comunque tutto. Il bel tempo passa, ma passa anche il cattivo tempo; quando arriva la primavera, spunta il sole. La riflessione dell’Apocalisse non è, però, legata ad una valutazione umana, ma, soprattutto, ad una profonda fiducia nella presenza di Dio. Viene dato un senso alla testimonianza cristiana, non in base a ciò che si riesce storicamente a realizzare con successo, ma in virtù dell’opera di Dio che, per la sua potenza e la sua grazia, rende fruttuoso anche l’apparente insuccesso del martirio. E’ un modo totalmente diverso di vedere la storia, di avere fiducia, di avere speranza.

İzmir-Smirne, a Kadifekale, sul monte Pagos, dinanzi al panorama della città e del porto: Ignazio d’Antiochia e Smirne

Da questo punto panoramico, abbracciamo con lo sguardo l’intera città di Smirne ed il suo porto. A questo porto è arrivato e da qui è ripartito un personaggio importantissimo della Chiesa sub-apostolica, uno dei cosiddetti Padri apostolici, Ignazio di Antiochia.
Qui a Smirne Ignazio ha incontrato Policarpo, prima di ripartire alla volta di Roma. Siamo negli anni che vanno dal 110 al 130 d.C. La data più precisa potrebbe essere il 107 d.C., perché Eusebio la collega al decimo anno dell’imperatore Traiano, ma ci sono dubbi sulle fonti che Eusebio poteva avere a disposizione, per una così puntuale collocazione cronologica (Eusebio la riconnette al famoso Rescritto di Traiano a Plinio, prima legge imperiale che determina con precisione il comportamento persecutorio da tenere nei confronti dei cristiani).

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Smirne, panorama sul porto

Da qui Ignazio è poi ripartito per Roma dove, successivamente, è stato anche lui martirizzato in un luogo pubblico del quale non si ha notizia certa ma che, spesso, viene identificato con il Colosseo. La tradizione vuole che le reliquie di Ignazio siano custodite nella Basilica di S.Clemente, non distante appunto dall’Anfiteatro Flavio o Colosseo.

In quegli anni Smirne si rivela essere un luogo molto importante nelle vicende della Chiesa del II secolo. Abbiamo visto che era vescovo Policarpo che dice di aver conosciuto Giovanni. Discepolo di Policarpo era Ireneo di Lione, originario di Smirne e divenuto poi uno degli evangelizzatori della Gallia, vescovo e scrittore a Lione, città della Francia a sud di Parigi. Ignazio era, invece, vescovo ad Antiochia sull’Oronte che era, ai tempi di Roma imperiale, la terza città in ordine di importanza dopo Roma e Alessandria. Pian piano però per la sua posizione geografica divenne nei secoli sempre meno importante, fino ad essere poco conosciuta oggi.

Ignazio viene catturato sotto l’imperatore Traiano. E’ noto il famoso Rescritto, di cui parleremo più diffusamente a Nicea, nel quale l’imperatore risponde a Plinio che più o meno così gli aveva scritto: “Io sto perseguitando i cristiani in Bitinia – Plinio era governatore lì – e domando se faccio bene a ricercarli, incriminarli, sequestrare i loro beni ed, infine ucciderli”. Traiano risponde: “I cristiani non vanno ricercati. E nemmeno se ti giunge una denuncia anonima contro di loro, per la loro fede, fai bene a dare corso ad una persecuzione. Se, però, la denuncia contro i cristiani non è anonima, ma l’accusatore se ne assume la responsabilità, allora la persecuzione ha l’appoggio imperiale. Devi chiedere di rinunciare alla fede cristiana o altrimenti spogliare l’inquisito dei beni ed, infine, anche della vita”. Ignazio viene quindi, probabilmente, denunciato e, data l’importanza della sua persona, inviato direttamente a Roma per la causa contro di lui, che terminerà con il martirio.

Con le lettere scritte da Ignazio siamo, nuovamente, come nel caso degli Atti del martirio di Policarpo, dinanzi ad un documento storico di prima mano..
Possediamo, infatti, quattro sue lettere scritte proprio da Smirne, nel periodo della sua permanenza smirnese, una alla Chiesa di Magnesia sul Meandro, la lettera ai Magnesii, una seconda lettera alla Chiesa di Tralle, la lettera ai Tralliani, ed una terza alla comunità di Efeso. Una quarta lettera è scritta alla Chiesa di Roma, proprio in vista del suo arrivo nella capitale dell’Impero. Successivamente ne scriverà altre tre – ne possediamo in totale sette – quando, partito da Smirne e giunto a Troade, scriverà da lì alla Chiesa di Filadelfia, l’odierna Alaşehir, la lettera ai Filadelfiesi, ed invierà qui a Smirne due lettere, una indirizzata a tutta la Chiesa ed una, personale, per il vescovo Policarpo.
Notate com’è bello già questo: questi cristiani antichi che si scrivono tra loro, si raccontano, si mandano lettere! Vi introduco poi solo a due temi dell’epistolario di Ignazio, perché sono importanti. Il primo: in Ignazio è chiarissimo ed importantissimo il ruolo del vescovo. C’è già chiaramente un vescovo unico per ogni chiesa. Dice così:

Quando si inganna il vescovo, non si inganna il vescovo visibile, ma si mentisce a quello invisibile che è Cristo stesso. Non si parla della carne ma di Dio che conosce le cose invisibili. Bisogna non solo chiamarsi cristiani, ma esserlo. Alcuni parlano sempre del vescovo, ma poi agiscono senza di lui, questi non sembrano essere onesti perché si riuniscono non validamente contro il precetto (Ai Magnesii, III 2-IV).

Pensate alla forza con la quale Ignazio difende il vescovo, in quanto responsabile nel nome di Cristo.
Questa obbedienza al vescovo diventa - questa è la novità cristiana - più importante dell’obbedienza alla Legge nel suo senso letterale. Vi dicevo che la tradizione orale ecclesiale nasce proprio da questa fiducia nell’interpretazione spirituale della Bibbia. E, di questa interpretazione spirituale, è garante il vescovo, è garante la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo. Il testo scritto della Bibbia - che io vi obbligo a conoscere, guai se non lo conoscete bene voi, i vostri figli ed i vostri nipoti! - va letto seguendo un criterio: c’è una tradizione che lo interpreta. Per esempio Ignazio dice così dell’abbandono della celebrazione del sabato, pure prescritto dalla lettera della Bibbia, e della nuova celebrazione domenicale:

Quelli che erano per le antiche cose, sono arrivati ora alla nuova speranza e non osservano più il sabato, ma vivono secondo la domenica, in cui è sorta la nostra vita per mezzo di Lui – Cristo - e della sua morte che alcuni negano (Ai Magnesii, IX 1).

Senza Ignazio e la tradizione ecclesiale noi avremmo ancora come festività il sabato – alcuni gruppi protestanti vorrebbero ancora il primato del sabato, come, ad esempio, gli Avventisti del Settimo Giorno - e non la novità della domenica cristiana.
Ignazio ci mostra, invece, come i vescovi, riprendendo la tradizione apostolica della resurrezione di Gesù avvenuta il primo giorno dopo il sabato, hanno invitato tutti i cristiani a riunirsi di domenica, proprio ad indicare la novità dell’evento di Cristo. La parola che i vescovi dicono nello Spirito Santo è più importante della lettera dell’Antico Testamento che dice, invece: “Il sabato è il giorno consacrato al Signore”.

Un secondo aspetto che voglio sottolinearvi è come, in Ignazio, compaia per la prima volta l’esplicita affermazione del primato della Chiesa di Roma. Poiché Pietro, col suo martirio, ha dato la sua testimonianza definitiva proprio a Roma, ecco che la Tradizione cattolica ritiene che il vescovo di Roma sia il legittimo successore del Primo degli Apostoli. Ciò che Cristo dice di Pietro – “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”, ad esempio – non si perde con la morte di Cefa, ma perdura nei suoi successori, nei vescovi della chiesa di Roma. In S.Ignazio di Antiochia abbiamo la prima testimonianza diretta nella quale si afferma che la Chiesa di Roma ha ereditato il primato petrino (sebbene qualcosa di questo sia già in nuce nella lettera di Clemente). Ignazio scrive, infatti, nella lettera ai Romani (lettera scritta proprio da questa città di Smirne, scritta prima di lasciare questo porto che è sotto i nostri occhi):

Ignazio, Teoforo

cioè portatore di Dio

al vescovo che presiede nella terra di Roma, degna di Dio, di venerazione e di lodi, di successo, di candore, che presiede alla carità (Ai Romani I).

Questa espressione “che presiede alla carità” è stata banalmente interpretata da alcuni che non conoscono il greco e le lettere di Ignazio, come se la Chiesa di Roma avesse una presidenza nell’ordine dell’elemosina da fare, nell’ordine della testimonianza di una vita protesa all’aiuto dei più poveri.
In realtà la parola “carità”, in greco “agape”, è, nell’epistolario di Ignazio, un termine tecnico che indica la “comunione di tutte le chiese”. Ignazio sta affermando che la chiesa di Roma presiede alla comunione di tutte le chiese. La comunione delle Chiese, la loro unità, è definita con questo bellissimo termine, l’agape, la carità. La Chiesa di Roma ha il ministero di presiedere ad essa.
Il vescovo di Antiochia, prima di raggiungere Roma, si rivolge ai cristiani romani con questo saluto.

Tre ulteriori notazioni sui temi dell’epistolario ignaziano. Innanzitutto le lettere ci testimoniano una lotta contro un’eresia chiamata “docetismo”, dal greco “dokeo” che significa “apparire”, “sembrare”. Il docetismo è una eresia cristiana che rifiuta la realtà della carne di Cristo. La sua umanità, non degna di Dio, sarebbe così solo apparente. Sapete che Maometto ha probabilmente conosciuto il cristianesimo attraverso eretici. I cristiani di cui parla non erano probabilmente pienamente cattolici. Ma, come che sia, l’islam ha degli elementi tipicamente docetisti, pur essendo, nella sua globalità, una rilettura che tende piuttosto a negare non l’umanità, ma la divinità di Cristo. L’esempio più lampante di questo è nel rifiuto coranico della realtà della croce di Cristo. Il Corano nega la morte in croce di Cristo. Per il Corano Gesù non è mai morto in croce, ma, al suo posto, c’era Giuda o un fantasma o Pietro. “Sembrava” la morte di Cristo, ma in realtà era altro. Anche i docetisti, prima dell’Islam, hanno affermato la stessa dottrina: siccome il giusto non può soffrire ed essendo Gesù veramente giusto, allora la croce non è vera, perché sarebbe l’affermazione della sofferenza del giusto. I docetisti, in più, aggiungevano: poiché Gesù è Dio e poiché Dio non può soffrire, allora Gesù non può soffrire e la sua sofferenza e la sua croce sono solo apparenti.
La crocifissione, allora, per i docetisti non è mai avvenuta. Ignazio reagisce a queste posizioni e dice, riaffermando la fede cattolica:

Se come dicono quelli che sono atei e che sono senza fede,che egli, Gesù, soffrì in apparenza - essi che vivono in apparenza - perché io sono incatenato? Perché bramo di combattere contro le fiere? Inutilmente io morirei. Quindi dico menzogne contro il Signore (Ai Tralliani X).

Usa questo argomento per far riflettere: “Dite che Gesù non è morto? Ma allora perché debbo morire io? Perché il martirio, perché il soffrire dell’uomo?” La bellezza della fede che fa accettare ad Ignazio il martirio nasce proprio dalla verità, dalla realtà della morte di Cristo (e dalla realtà, perciò, della sua resurrezione!).
Oppure dice ancora:

Vi metto in guardia da queste belve in forma umana, che non solo non bisogna ricevere, ma, se possibile, neanche incontrare; bisogna solo pregare per loro perché si ravvedano, anche se è una cosa difficile. Se è un’apparenza quanto è stato fatto dal Signore, anche io sono in apparenza incatenato. Allora perché mi sono offerto alla morte? (Agli Smirnesi IV 2).

E spiega:

In realtà è per patire con lui che io tutto sopporto, dandomene lui la forza, lui che si è fatto uomo perfetto (Agli Smirnesi IV 2).

Poi dice:

Nessuno si lasci ingannare... considerate quelli che hanno un’opinione diversa sulla grazia di Gesù Cristo che è venuto a noi... non si curano della carità, né della vedova, né dell’orfano, né dell’oppresso, né di chi è prigioniero o libero, né di chi ha fame o sete (Agli Smirnesi VI 1-2).

La cura della realtà del corpo di Cristo, morto in croce, è realmente il motivo della cura del corpo dei fratelli in terra.
Come dice ancora:

Tutto questo soffrì il Signore, perché fossimo salvi. E soffrì realmente, come realmente resuscitò se stesso, non come dicono alcuni infedeli – essi che sono apparenza – che soffrì in apparenza. Come pensano, avverrà loro di essere incorporei e simili ai démoni (Agli Smirnesi II).

La seconda notazione: Ignazio viene a sapere, qui ad Efeso, che i cristiani di Roma stanno cercando di intercedere presso la casa imperiale perché alla fine con una raccomandazione venga salvato dal martirio che lo attende, come persona importante. Che siano uccisi altri cristiani, ma lui sia salvato. Allora Ignazio, da Smirne scrive alla Chiesa di Roma:

Non voglio che voi siate accetti agli uomini, ma a Dio come siete accetti. Io non avrò più un’occasione come questa di raggiungere Dio, né voi, anche tacendo, avreste a sottoscrivere un’opera migliore. Se voi tacerete per me, io diventerò di Dio. Se amate la mia carne di nuovo sarò a correre. Non procuratemi di più che essere immolato a Dio, sino a quando è pronto l’altare, per cantare uniti in coro nella carità al Padre in Gesù Cristo. Poiché Dio si è degnato che il vescovo di Siria si sia trovato qui facendolo venire dall’Oriente all’Occidente. E’ bello tramontare al mondo per il Signore e risorgere in Lui (Ai Romani II 1-2).

Potremmo dire, cercando di rendere più facile il testo: “Non è giusto che io sia salvato, io e non gli altri cristiani. Dio mi ha chiamato per il martirio dall’Oriente all’Occidente. Lasciate che avvenga, altrimenti dovrei ricominciare di nuovo tutto l’itinerario della testimonianza. La mia morte sarà la testimonianza di Cristo”.

Terza ed ultima notazione. Quando scrive a Policarpo, da Troade, gli dice cosa deve stare a cuore al vescovo:

Preoccupati dell’unità di cui nulla è più bello (A Policarpo I 1).

E’ un’espressione bellissima: la cura perché la chiesa sia unita.

Dove maggiore è la fatica, più è il guadagno. Fai attenzione anche ai riottosi, a quelli che si ribellano. (A Policarpo I 3-II 1).

Non aver paura se c’è un problema, anzi lì impegnati di più. Se ami i discepoli buoni, non hai nessun merito. Poi dice:

Nulla avvenga senza il tuo parere e tu nulla fai senza Dio come già fai. Sii forte, le adunanze siano molto frequenti, invita tutti per nome (A Policarpo IV 1-2).

Qui inizia la malattia delle riunioni che caratterizza la chiesa cattolica, per cui noi siamo sempre in riunione!


[Turchia e Patmos]