Meditazioni di S.E.mons.Rino Fisichella durante il pellegrinaggio in Terra Santa del settore
Sud della Diocesi di Roma
8-15 settembre 2000
Leggendo le "sette parole di Gesù in croce" sul tetto del Santo Sepolcro a Gerusalemme |
N.B. Il testo che presentiamo non è trascritto dalla viva voce dell'autore, ma è la redazione di appunti di partecipanti al pellegrinaggio. Tuttavia cerca di presentare il più fedelmente possibile l'itinerario spirituale di quei giorni. In particolare i testi patristici o della tradizione cristiana citati sono stati ripresi direttamente dagli originali delle meditazioni.
Le foto sono di Francesco Rosa.Siamo venuti come pellegrini nella casa del Signore. Cafarnao segna il momento della
quotidianità di Gesù. Nella straordinarietà del nostro pellegrinaggio, siamo chiamati a
ricuperare la dimensione della quotidianità della fede in casa nostra, là dove viviamo, là dove
si concretizza la famiglia, la piccola Chiesa.
Quanti pellegrini, quanti santi sono diventati pellegrini in questa terra e noi con loro in quella lunga catena di
pellegrinaggio che vuole solo riconoscere le "orme di Cristo", per poterle ricalcare. Siamo figli di una lunga storia
che ha alla sua base un cammino e un pellegrinaggio: "Parti dalla tua terra e va' dove ti mostrerò". Da Abramo
a oggi, fino alla fine dei tempi, saremo in cammino per attestare a noi stessi l'importanza di una crescita e di una
meta da raggiungere!
Eppure quanto ha sofferto questa terra! Quando le diverse circostanze storiche hanno fatto di questa terra un luogo
di guerra proprio perché "terra santa"; quanto si andò oltre le intenzioni e si versò sangue
come se quello versato da Cristo non fosse stato sufficiente.
Siamo qui per ritornare alle nostre origini: da qui siamo partiti, da qui siamo andati per il mondo. Qui dovevamo
ritornare in questo momento di confusione per riscoprire cosa significa portare il santo nome cristiano.
Cafarnao!
La città di Gesù agli inizi della sua predicazione: "Lasciata Nazareth venne ad abitare a
Cafarnao" (Mt 4,13); qui inizia l'invito alla conversione e alla fede nel vangelo. Qui saremo chiamati a rinnovare le
promesse del nostro battesimo come frutto primario del nostro aderire alla sua predicazione.
La città che non riconosce Gesù come messia : "Guai a te Cafarnao"! Davanti alla predicazione
c'è anche la possibilità del rifiuto. Questo è determinato da diversi fattori. In primo luogo
perché Cristo chiede di lasciare tutto e seguirlo. E' per questo che Pietro dice: "Signore noi abbiamo
lasciato tutto e ti abbiamo seguito". In secondo luogo il rifiuto è possibile in nome della nostra
libertà e autonomia. In terzo luogo il non riconoscere Gesù nasce dalla domanda: quale certezza abbiamo
che seguendo lui saremo felici, da quali segni lo riconosceremo?
La città dove Gesù chiama i primi discepoli : "Seguitemi"! Li raggiunge là dove vivono.
Le uniche parole che contano: mettersi alla sequela! E' un imperativo. Chiama dei "fratelli" per indicare che la
chiamata è invito a essere tra noi fratelli. Ma la chiamata è incondizionata. Essa giunge inaspettata,
ma ha i tratti del comando a cui non si può rinunciare. Il testo greco usa il presente: " kai legei ",
"dice loro" (BJ legge: "disse"). Il testo è al presente per indicare che la chiamata viene in ogni momento
presente della vita. Obbedienza a cambiare vita per seguire l'incarico che viene dato nella comunità.
La casa di Pietro, prima chiesa domestica . La sequela costituisce la Chiesa perché credono nella sua
parola, perché scorgono il fascino di Gesù e la bellezza del suo volto. S. Girolamo ci dice: "Voglia il
cielo che egli venga nella nostra casa e vi entri e guarisca la febbre dei nostri peccati con un suo ordine. Ciascuno
di noi è febbricitante. Quando mi adiro, ho la febbre: quanti sono i vizi, tante sono le febbri"
Sulla collina che sovrasta le sorgenti del Giordano, l’antica Cesarea di Filippo, il luogo della professione di fede di Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" |
Entriamo progressivamente nel mistero di Gesù. Siamo posti dinanzi alla decisione di Dio di
entrare nel mondo. Perché Dio vuole farsi uomo? “Cur Deus homo?” E' la grande domanda di tutti i
tempi, di tutti i teologi cristiani. Ireneo risponde: per amore. Agostino afferma: per salvarci dal peccato.
Siamo chiamati al rispetto per la decisione di Dio : è la sua scelta, è il suo venire incontro
a me, mentre io me ne ero distaccato. E Dio non conosce limiti: l'angelo viene mandato a una vergine invece che a un
sacerdote come per Zaccaria! Dio dà il nome a suo figlio!
Anche se la scena sembra centrata su Maria, in effetti è fortemente cristologica : si parla sempre di
Gesù e si accredita la sua figliolanza divina. E' sempre Dio il protagonista!
A partire da qui; poiché ormai Dio entra nella nostra storia , acquista senso anche il contare i
giorni e i mesi: il "sesto mese".
Vediamo le azioni e personaggi di Nazareth :
Il silenzio per ascoltare l'angelo che entra da Maria: è necessario per comprendere il loro dialogo,
per comprendere Maria e il senso della sua vita dinanzi alla decisione di Dio.
L' angelo non "appare", ma "entra", bussa alla porta. E similmente alla fine: "parte da lei". Maria è
la Madre! Anche l'angelo ha rispetto per lei.
Sono tre gli interventi dell'angelo. Il primo è preparatorio (v. 28): kaire! Il secondo tocca il
contenuto. Il terzo chiarifica e approfondisce.
Le reazioni di Maria sono il turbamento e la riflessione . Colei che, all'apparire dell'angelo, non si
era spaventata come Zaccaria, adesso, invece, davanti al contenuto è sconcertata.
Meraviglia e interrogazione che fanno di Maria la donna semplice e umile, riservata, ma di profonda fede. Non
vuole nessun segno dimostrativo a differenza di Zaccaria.
L'ombra di Dio , la dynamis e il pneuma coprono Maria. La shekina Jhwh, la gloria di dio.
Possiamo intravedere un parallelo con il senso del monte Carmelo : Elia e Maria. Dio non è nella
tormenta e neppure nel terremoto, ma "nella voce del silenzio". Elia e Maria camminano e sono sostenuti dal pane del
cielo. Elia lo mangia; Maria lo porta in grembo!
Il significato di Nazareth : qui Gesù fu bambino, adolescente e giovane - ecco le fasi della vita di
Gesù il "Nazareno" - qui Giuseppe gli insegna il lavoro; qui va a scuola nella sinagoga, qui "cresceva in
sapienza, età e grazia". Anche io sono chiamato ad accogliere come Maria la decisione di Dio che entra nella
mia vita
Sulla collina che sovrasta le sorgenti del Giordano, l’antica Cesarea di Filippo, il luogo della professione di fede di Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" |
Prima di ascoltare la Parola del Signore che insegna, dobbiamo salire con lui sul monte:
parabola del monte e della fede! E' il discorso della montagna
Non si comprende questa parola se non si ha fede. Siamo davanti infatti alla sintesi dell'insegnamento di
Gesù: è il suo discorso programmatico. Qui egli fa comprendere cosa vuole dai suoi discepoli e come
egli veda la vera religione.
Vogliamo con un rapido sguardo vedere tutta la struttura di Mt 5-7 Certo c'è la domanda: “Cosa dobbiamo
fare?” Ma questa domanda è preceduta dall'annuncio delle beatitudini, sostenute dalla affermazione:
“Voi siete sale e luce del mondo”. A sua volta questo è possibile perché Gesù
è il compimento – non possiamo non ricordare qui la forza dell'annunzio più volte ripetuto:
“Avete inteso, ma io vi dico!”.
Da qui scaturisce l'elemosina (con la sua vera esigenza di interiorità), la preghiera (l'insegnamento del
Pater noster) e il digiuno (perché il vero tesoro richiede il distacco dai beni della terra, perché
"nessuno può servire a due padroni"). Questa libertà è sostenuta dall'"abbandonarsi alla
provvidenza". Ed infine tutto questo diviene anche vita con i fratelli: “Non giudicate, chiedete e vi
sarà dato, tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche a voi fatelo a loro; questa è la
legge e i profeti (7,12)” con l'isegnamento delle due vie e l'invito a passare per "la porta stretta", a
differenza dei falsi profeti, perché il vero discepolo "non è chi dice Signore, ma chi fa la
volontà". Chi ascolta è simile a chi costruisce sulla roccia.
Le beatitudini vanno viste come il tema della grande promessa fatta da Gesù. Notiamo qui la differenza
con i macarismi dell'Antico Testamento. La beatitudine veterotestamentaria riguarda il contenuto della nostra vita
presente: "Beato il marito di una moglie assennata" (Sir 25), differenziandosi in questo dal mondo pagano dove, ad
esempio, troviamo Menandro affermare: "Beato chi è ricco e intelligente". Oppure tocca il futuro su questa
terra: "Beato chi si prende cura del debole, nel giorno della sventura il Signore lo libererà" (Sal 41). Qui
Gesù, invece, parla del nostro futuro
La promessa è qui "il regno dei cieli" come elemento che contiene le beatitudini: è la presenza
definitiva di Dio in mezzo a noi.
Il "fare" della fede che non è efficientismo, che non è neppure vedere i frutti, ma è un
essere che agisce e opera.
Vogliamo, in particolare, approfondirne una: Beati i misericordiosi, perché troveranno
misericordia”.
"Eterna è la sua misericordia": è già un ritornello che viene ripetuto a ogni versetto del
salmo 136, con l'intento di imprimere nel cuore del credente una certezza. E' in questo modo che il salmista presenta
la misericordia come la nota distintiva di tutto l'agire di Dio nella storia.
Le pendici del Monte degli Ulivi a Sud divenute nei secoli cimitero ebraico, con le tombe che guardano verso Gerusalemme, nella valle di Giosafat |
"Eterna è la sua misericordia", sembra voler spezzare la rigidità del tempo, per
permettere la penetrazione nel mistero stesso della vita divina. Non solo nella storia, ma nell'eternità
l'uomo sarà dinanzi al volto misericordioso del Padre. Non è un caso che questo Salmo, il "grande
hallel", sia stato posto come preghiera centrale nella liturgia ebraica, quando fa memoria della Pasqua, ma anche
nella Festa delle capanne e nel Capodanno. E' lo stesso Salmo che Gesù dirà nella notte dell'Ultima
Cena: "E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli ulivi" (Mt 26,30). Con questa breve annotazione,
Matteo riferisce della preghiera compiuta da Gesù nel celebrare la Pasqua antica e nell'inaugurare il
Banchetto eucaristico.
Questa misericordia, infine, attesta la bontà , l' amore e la tenerezza di Dio verso il
suo popolo. E' a partire da qui che si scoprono i tratti materni dell'amore divino. Dio, che è come un padre
per Israele, ama anche con la tenerezza e la premura di una madre. Il termine ebraico rahamîn indica "il
luogo tenero di un essere umano".
Dio, in quanto è misericordioso, è responsabile del suo popolo e di ogni creatura. Non esiste
amore senza assunzione di responsabilità verso la persona amata. E' possibile e necessario rileggere Genesi
alla luce della mancanza di responsabilità.
Per dirla con le parole di san Giovanni Crisostomo: "Dio è un giudice che non sa calcolare esattamente i
peccati e ne ignora molti".
Riportare in vita il figlio della vedova di Naim, andare a tavola presso Zaccheo, dialogare con la donna
samaritana, perdonare il ladro crocefisso con lui al calvario. Tutti questi non sono altro che differenti segni che
hanno alla base una matrice comune: l'amore compassionevole che sa riconoscere il bisogno più profondo che si
cela nel cuore del suo interlocutore. Se si vuole, il primo aspetto della misericordia che Gesù esprime
è quello di guardare in profondità chiunque. Egli attesta che Dio non si ferma alla superficie, ma
raggiunge il cuore.
Una novità sostanziale mette in luce la presenza della misericordia nella beatitudine: essa diventa un
comportamento peculiare del credente. La vita cristiana, quindi, non si pone solo alla luce dell'agire misericordioso
del Padre, ma acquisisce in sé la nota della misericordia come forma mediante la quale si otterrà un
giorno il giudizio di Dio.
Concludiamo con le parole di Tommaso, Santo Vescovo di Canterbury: "Se tu sei misericordioso perché
sommamente buono, sei però sommamente buono perché sommamente giusto; allora tu sei veramente
misericordioso solo perché sei sommamente giusto. Aiutami, o Dio, giusto e misericordioso…
perché io possa comprendere anche quello che sto dicendo. La tua misericordia, dunque, nasce dalla tua
giustizia? Tu, dunque, risparmi i cattivi per giustizia?… Se tu punisci i cattivi ciò è giusto
perché corrisponde alle loro azioni; ma se tu risparmi i cattivi ciò è ugualmente giusto non
perché sia conforme alle loro azioni, ma perché è conforme alla tua bontà…
Perché è giusto solo ciò che tu vuoi e ingiusto ciò che tu non vuoi… Non
c'è, infatti, nessun argomento che possa rendere comprensibile perché tu, tra tutti i cattivi che si
uguagliano, in base alla tua somma bontà salvi questi piuttosto che quelli e, in base alla tua somma
giustizia, condanni questi piuttosto che quelli".
Ein Avdat, nel deserto del Neghev, forse l’antica sorgente di Lacai Roi (il pozzo del Vivente che mi vede), dove fuggono Agar e Ismaele e dove Isacco vede arrivare Rebecca accompagnata dal servo |
“Avendo amato i suoi… li amò fino alla fine”. Dobbiamo vedere
l'eucaristia come il dono pieno e totale di Gesù al Padre ( sacrificium ) e a noi ( communio ):
un donarsi totale e pieno. Un legame di communio che niente e nessuno potranno mai spezzare perché
Cristo lo realizza.
“Fate questo in memoria di me”: è con queste parole di S.Agostino che possiamo comprendere
il senso della memoria eucaristica: "Se vuoi comprendere il corpo di Cristo, ascolta l'apostolo che dice ai fedeli:
Voi però siete il corpo di Cristo, le sue membra (1 Cor 12, 27). Se voi, dunque, siete il corpo di Cristo e le
sue membra, sulla mensa del Signore viene posto il vostro sacro mistero: il vostro sacro mistero voi ricevete. A
ciò che voi siete, voi rispondete “Amen” e, rispondendo, lo sottoscrivete. Odi infatti: "Il corpo
di Cristo" e rispondi: "Amen". Sii veramente corpo di Cristo, perché l'Amen (che pronunci) sia
vero!”
La memoria eucaristica nella nostra vita genera la trasmissione della fede. Dobbiamo vedere l'eucaristia come
trasmissione viva della Parola e dell'agire di Cristo. Essa ci permette il permanere in una tradizione che ci fa
vivere e che cresce con noi. “Il senso delle Scritture cresce con chi le legge” insegnano i Padri della
Chiesa.
Così Cirillo vescovo di Gerusalemme (315-382) ha scritto: "Con certezza assoluta partecipiamo al corpo e al
sangue di Cristo. Poiché sotto le specie del pane ti è dato il corpo e sotto le specie del vino, il
sangue; affinché partecipando al corpo e al sangue di Cristo tu divenga un solo corpo e un solo sangue con
lui. In tal modo noi diventiamo portatori di Cristo (cristofori), perché nelle nostre membra si diffonde il
suo corpo e il suo sangue" (III-IV, 252).
In questo senso siamo anche chiamati a formare un solo corpo, come S.Paolo scrisse ai Corinzi. E S.Cipriano
così commentò: "Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre…
L'unità della Chiesa viene dalla stabilità divina. Chi non si tiene in questa unità, non si
tiene nella fede del Padre, del Figlio e dello Spirito, non si tiene nella vita e nella salvezza. Questo mistero
dell'unità, questo vincolo di pace, inseparabilmente coerente, ha una sua figura nella tunica di nostro
Signore Gesù Cristo, la quale non fu divisa né stracciata, ma chi la tirò a sorte per vedere chi
dovesse rivestire Cristo la ricevette integra e la possiede integra e indivisa. Cristo portava a noi l'unità
procedente dall'alto, cioè dal Padre celeste; unità che non poteva essere assolutamente scissa da
quelli che la ritenevano e possedevano perché aveva in sé una ferma e inscindibile compattezza. Ora, se
qualcuno scinde e divide la Chiesa di Cristo, non può possedere la veste di Cristo".
Messa nel deserto di Giuda, il deserto delle tentazioni di Gesù, il deserto della salita di Gesù da Gerico a Gerusalemme |
In questo luogo incontriamo il senso del soffrire da parte di Gesù. Non c'è
più nessun alibi nella nostra vita per sentire Dio lontano da noi o per rimproverargli che non ci capisce. Qui
vengono superate le nostre paure.
Il Getsemani è nel cuore del mondo e nel cuore di ogni uomo: Gesù è nel Getsemani per amore del
Padre e di ogni uomo.
Così Hans Urs von Balthasar nel suo volume Il cuore del mondo parla del Getsemani, del momento
in cui definitivamente il Cristo si carica del peccato di tutti per attirare su di sé il giudizio di Dio ed il
Padre agisce con Lui, con il proprio Figlio, con quella irrevocabilità propria di Colui che ha deciso, da
sempre, di “non risparmiare neppure il proprio Figlio” (Rom 8,23), perché diventasse per tutti noi
la giustificazione: "Ti assale alla fine la paura? La paura di cui gli uomini non sanno. Non la paura per una
disgrazia che ti minaccia… quella che tu soffri non è una paura delimitata. E' un mare di paura, senza
rive, la paura in sé. Quella paura che è il nucleo e il seme del peccato. La paura davanti a Dio e al
suo inevitabile giudizio. La paura dell'inferno. La paura di non poter più vedere per l'eternità il
volto del Padre. Di essere lasciato definitivamente cadere dall'amore e da ogni creatura. Tu cadi nel fondo senza
fondo, tu sei perduto. Neppure lo sprazzo più esile di speranza delimita quest'angoscia. Perché in che
cosa potresti ancora sperare? Che il Padre abbia ancora misericordia di te? Non lo farà, non lo può,
non lo vuole più fare. Solo a prezzo del tuo sacrificio egli vuole avere misericordia del mondo. Del mondo,
non di te. Di un al di là della tua paura non si parla neppure. Misericordia? Ma la misericordia di Dio sei
appunto tu, ed essa consiste nella tua perdizione. Tu stesso, del resto, l'hai voluto. Vuoi stornare il fulmine di
Dio dagli uomini? Esso colpisce appunto te.
Passeggiando vicino al castello crociato di Belvoir (Kokhav Ha-Yarden), verso la fertile Galilea, luogo della vita pubblica di Gesù, e, sullo sfondo, il monte Tabor |
"Padre", tu gridi, "se possibile". Ma adesso non è più possibile. Ogni frammento,
ogni filo di una possibilità è sparito. Tu gridi nel vuoto: "Padre"! Si sente solo l'eco. Il Padre non
ha sentito. Tu sei sprofondato troppo in giù, come potrebbero ancora sentirti lassù in cielo? Padre,
sono tuo figlio, il tuo diletto, il figlio che ti è nato prima di ogni tempo! Ma il Padre non ti conosce
più. Tu sei divorato dalla lebbra di tutta la creazione, come potrebbe ancora riconoscere il tuo volto? Il
Padre è passato dalla parte dei tuoi nemici. Hanno escogitato insieme il piano di guerra contro di te.
Così tanto egli ha amato i tuoi assassini che ha tradito te, il suo Unigenito. Ti ha dato via come una
sentinella perduta, come un figlio prodigo. Sei sicuro che egli c'è ancora? Esiste un Dio? Se un Dio
esistesse, sarebbe pur sempre l'amore, non potrebbe essere tutto durezza, tetro come una parete di piombo. Se
esistesse un Dio egli dovrebbe almeno rivelare nella sua maestà, tu dovresti almeno avvertire un soffio della
sua eternità, potresti almeno baciare l'orlo del suo mantello quando passasse alto sopra di te e senza sapere
ti calpestasse. Ah, come vorresti volentieri farti calpestare dal piede adorato! Ma invece che nella pupilla di Dio,
tu ti irrigidisci nel vuoto di una nera cavità oculare. Ora discendi barcollando verso gli uomini, ora che
l'eterno amore è morto e il freddo dello spazio cosmico ti striscia tutto attorno glaciale, per rianimarti al
loro calore animale. Ma loro dormono. Lasciali dormire, anche il discepolo che amavi, lascialo dormire; non
potrebbero capire che Dio non ama più" ( Il cuore del mondo , 84).
Il vangelo di Marco ci racconta l'episodio di un discepolo anonimo che, alla fine, fuggì "nudo". E' un
discepolo e guarda da lontano, come Pietro, come tutti, all'inizio. Ma non si può rimanere sempre a osservare
da lontano; prima o poi si rimane coinvolti: così il giovane, così Pietro, così Giuseppe di
Arimatea, così le donne. Giuseppe di Arimatea rappresenta colui che attende il regno di Dio, ora si
compromette.
Leggendo i testi della lettera ai Romani nella Chiesa crociata di S.Maria dei Tedeschi nel quartiere ebraico a Gerusalemme |
Subito vediamo il parallelo della gloria e del regno di Dio: dopo la morte il seme gettato
continua a crescere. Anche il centurione diventa credente ed è segno di una nuova forma di discepolato; egli
è in parallelo con i sacerdoti che chiedono: "Sei tu il Cristo, il figlio di Dio benedetto?"
Con Atanasio contempliamo allora la sofferenza del Verbo: "Quando la carne soffriva, non era fuori di essa il Verbo.
Per questo si attribuisce a lui la sofferenza" (III.IV, 234).
Anche le “ore” scandiscono questa sofferenza. L'ora terza è l'ora della desolazione di
Gesù e il tempo del fallimento: i passanti insultano, i sacerdoti e gli scribi beffeggiano, i ladroni
riprovano, i discepoli sono assenti. Nel momento in cui muore, il maestro vorrebbe che i discepoli continuassero.
Invece sono assenti! Eco già qui la sofferenza di Cristo.
L'ora sesta è l'ora delle tenebre, segno del giudizio su Gesù, perché è "divenuto
peccato". Gesù è privato di tutto, Gesù spogliato della comunione con gli uomini e il
creato!
L'ora nona: è l'ora in cui Gesù è spogliato della comunione con Padre. Il grido:
“Abba” – Padre - è contrapposto a “Theos”, “eloi” – Dio, mio
Dio. Siamo davanti alla lontananza di Dio.
Tutto è avvolto dal fraintendimento: fino alla fine tutto viene frainteso di tutto ciò che egli dice:
così i discepoli, così Pilato, così il Sinedrio.
Infine la violenza della morte. Ma il testo greco, usando il verbo “exepneusen” non
“apothnesko” – dalla radice “thanatos”, morte – ci indica il richiamo allo
spirito che viene reso.
Insomma: tanti personaggi che seguono da lontano e al momento opportuno fuggono: Pietro, Pilato, il Cireneo che
è "obbligato", i discepoli, le autorità, le folle. Tutti sono come “nudi” per essere
rivestiti a Pasqua, come “il giovinetto” con la veste candida!
Scavi nel quartiere ebraico erodiano, nei pressi delle case del sommo sacerdote e del sinedrio, dove Gesù fu giudicato |
Da Betlemme vogliamo ripartire. Vogliamo ritornare ai 2000 anni della sua nascita, proprio in
questo anno giubilare. Dio ritorna a cercare ognuno di noi. Betlemme ci fa misurare con l'essere "piccolo", con il
farsi piccolo del Figlio di Dio, per poter essere innalzato. E' l'umiltà come momento determinante per
comprendere la kenosi di Dio e la nostra salvezza.
Betlemme: è la "casa del pane", è la Città di Davide, la città dove il re Davide nasce e
dove viene unto re da Samuele, proprio perché “Dio non guarda l'apparenza, ma guarda il cuore”,
mentre l'uomo guarda l'aspetto e l'imponenza della statura
Celebriamo l'eucarestia nei pressi della "Grotta" già venerata prima del 135 (Adriano vi costruì sopra
un tempio pagano); anche Maria si ritira dalla "stanza più grande" per andare a partorire nella grotta, usata
da stalla.
Dinanzi alla “piccolezza” del bambino Gesù possiamo riscoprire tre aspetti, tre atteggiamenti
tipici della fede cristiana.
Innanzitutto il silenzio. Quando in una casa c'è un bambino piccolo, entrando, veniamo invitati al silenzio.
Subito i genitori ci chiedono di non alzare la voce per non svegliarlo. E' quel silenzio che nasce dalla presenza del
bambino, che lo rispetta e lo accoglie. Anche la fede vive del silenzio. E' il silenzio della preghiera, della
meraviglia, dell'adorazione, è il silenzio che ci permette di tacere per accogliere la voce e la presenza di
Dio e della sua Parola. E' il silenzio che ci fa accogliere il Verbo di Dio venuto in mezzo a noi.
Leggendo i testi della Trasfigurazione, alle pendici del monte Hermon |
In secondo luogo, un bambino ci fa giocare con lui. Ma non siamo noi a scegliere il gioco e le sue
regole. E' il bambino che ci chiede di giocare al suo gioco, di imparare quel gioco che a lui piace, che ama. Non
riusciamo ad amarlo, se non lasciandoci piegare da lui, pure così piccolo, per vivere con lui il suo gioco.
Così è anche l'esperienza della fede. L'uomo accetta di giocare il gioco di Dio, si lascia guidare,
uscendo da ciò che gli è usuale e familiare, perché è Dio che chiama, è Lui il
Signore che chiamandoci nella vocazione ci conduce a Lui.
Infine l'esperienza di portare in braccio un bambino. Vediamo con quanta attenzione i genitori pongono il loro
figlio neonato, fra le braccia di altri. A volte possiamo sentirci inadeguati a prenderlo, abbiamo paura di doverlo
portare proprio noi, non siamo sicuri di come si debba fare a tenere un bambino. Il Padre da a noi il suo Figlio.
Vuole che lo prendiamo e lo portiamo. Che le nostre braccia lo conducano ad altri, nella ampiezza dell'annunzio del
vangelo. Dio sembra non aver paura, anzi desiderare che ogni uomo prenda il Bambino Gesù e lo porti agli
uomini.
Vogliamo fare memoria anche del fatto che qui a Betlemme visse S.Girolamo. Qui venne proprio per essere vicino al
luogo dell'Incarnazione del Verbo e qui lavorò allo studio ed alla traduzione delle Scritture che del Figlio
di Dio ci raccontano ed ancora ci ammonisce: "Leggi molto frequentemente le divine Scritture, anzi, le tue mani non
depongano mai il testo sacro. Assimila ciò che devi insegnare; tieniti stretto alla parola della fede, che
è conforme all'insegnamento, affinché tu possa esortare fondandoti su una sana dottrina e possa
confutare vittoriosamente gli avversari… le tue azioni non smentiscano le tue parole…". E, in maniera
ancor più stringente, con le parole che anche il Concilio Vaticano II, nella Dei Verbum ha voluto da lui
riprendere dice: "Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo”.
Ma la Sacra Scrittura, la locutio Dei, ci parla del Verbum Dei, della stessa Parola fatta carne, come ci ricorda
S.Leone Magno: "Se non fosse stato vero Dio non avrebbe portato il rimedio; se non fosse stato vero uomo non avrebbe
potuto essere nostro modello" (IV-V, 285).
L’altare silenzioso di Dalmanutha nel terreno dei monaci benedettini di Tabgha, sul lago di Tiberiade ricorda i momenti in cui Gesù si ritirava solo in disparte |
Ci soffermiamo a meditare sulla Chiesa che si raccoglie a Gerusalemme come una prima pietra di
quelle Chiese sorelle che avranno in Roma la propria "madre".
Gli Atti ci parlano della prima comunità di Gerusalemme e del suo stile di vita (Atti 2) per
dire a noi come dobbiamo vivere da credenti in comunità: "assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli
e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere".
Di nuovo meditiamo sull'unità della Chiesa: "conservando l'unità dello spirito per mezzo del vincolo
della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati;
quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti che
è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (Ef 4,1-6).
Stiamo per fare ritorno a Roma per essere Chiesa di Cristo nella comunità locale. E' l'annuncio di fede e la
missionarietà per avere toccato con mano le meraviglie di Dio.
Ci diano forza, al termine di questo pellegrinaggio, le parole di Leone Magno: "Sono questi, Roma, gli uomini che
fecero splendere dinanzi a te la luce del vangelo di Cristo: e tu che eri maestra d'errore, divenisti discepola della
verità… I 12 apostoli ricevuto dallo Spirito Santo il potere di parlare le lingue, incominciarono a
predicare al mondo il vangelo distribuendosi tra le diverse parti della terra. Al beatissimo Pietro toccò la
rocca dell'impero romano, affinché la luce della verità, che si rivelava per la salvezza di tutti i
popoli, si diffondesse per tutto il mondo… A questa città, dunque, tu non temi di venire, o beatissimo
apostolo Pietro, e mentre l'apostolo Paolo, compagno della tua gloria, era ancora occupato nell'ordinare altre
chiese, tu, con passo ancora più sicuro di quanto camminasti sul mare, entri in questa selva di belve…
tu non temi Roma, signora del mondo, tu che in casa di Caifa avevi temuto l'ancella del sacerdote... Vinse dunque
ogni motivo di timore, la forza dell'amore: tu non ritenevi di dover temere coloro che avevi cominciato ad amare"
(IV-V, 288).
Contemplando la creazione davanti al cratere Maktesh Ramon, al centro del Neghev, nel deserto di Zin |
Per altri articoli e studi di S.E.mons.Rino Fisichella o sul contesto storico della Bibbia presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici
Per altri, studi, itinerari, meditazioni ed immagini sui luoghi della Bibbia in Terra Santa, Turchia, Grecia, Italia, ecc. presenti su questo sito, vedi la pagina I luoghi della Bibbia (itinerari in Medio Oriente, in Turchia ed in Grecia) nella sezione Percorsi tematici