Priene: la Stoà sacra (clicca sull’immagine per leggere dell’iscrizione di Priene su Augusto ed il ‘vangelo’)
Nella nona camera della Stoà sacra di Priene, probabilmente un Tempio dedicato ad Augusto, è stata rinvenuta dagli archeologi la famosa iscrizione che testimonia della decisione di far iniziare l’anno nel giorno del compleanno dell’imperatore, poiché la nascita di Augusto fa scomparire “il pentimento di essere nati”!
Durante la visita l’iscrizione è stata letta e commentata facendo riferimento alla presenza in essa per due volte del termine ‘vangelo’ riferito alle decisioni, cariche di effetto, dell’imperatore. Ecco il testo, nella traduzione del prof.Romano Penna:
Dall’Iscrizione di Priene (OGIS 458)
…[Inizio mutilo] se il giorno natale (genéthlios) del divinissimo Cesare (toû theiotàtou Kaìsaros [l’originale latino, trovato in frammenti ad Apamea, qui dice soltanto: principis nostri] porti più gioia o vantaggio (5) noi con ragione lo equipariamo all’inizio di tutte le cose (tôn pántōn archē)… (10) Perciò si considererà a ragione questo fatto come inizio della vita e dell’esistenza (archēn toû bíou kaì tês zōês), che segna il limite e il termine del pentimento (toû metamelésthai) di essere nati. E poiché da nessun giorno si può trarre più felice opportunità per la società e per il vantaggio del singolo come da quello che è felice (eutychoûs) per tutti, e poiché inoltre per le città di Asia cade in esso il tempo più propizio per l’ingresso negli uffici di governo (kairòn tês eis tēn archēn eisódou), (15)… e poiché è difficile ringraziare adeguatamente (kat’íson eucharisteîn) per i suoi numerosi benefici, a meno che escogitiamo per tutto ciò una nuova forma di ringraziamento…, (20) mi sembra giusto [ = chi parla è il proconsole d’Asia «Paolo Fabio Massimo» (riga 44) a nome della città] che tutte le comunità (politeíōn) abbiano un solo e identico capodanno, appunto il genetliaco del divinissimo Cesare, e che in esso tutti gli amministratori entrino nel loro ufficio, cioè il giorno 9° prima delle calende di ottobre… (32) Poiché la provvidenza che divinamente dispone la nostra vita… (35) a noi e ai nostri discendenti ha fatto dono di un salvatore (sōtêra charisaménē) che mettesse fine alla guerra e apprestasse la pace, Cesare una volta apparso superò le speranze degli antecessori, i buoni annunci di tutti (euangélia pántōn), non soltanto andando oltre i benefici di chi lo aveva preceduto, ma senza lasciare a chi l’avrebbe seguito la speranza di un superamento, (40) e il giorno genetliaco del dio (hē genéthlios hēméra toû theoû) fu per il mondo l’inizio dei buoni annunci a lui collegati (hêrxen dè tô-i kósmō-i tôn di’autòn euaggelíōn)…
Il volume Gesù di Nazaret di J.Ratzinger-Benedetto XVI (pp.69-70) così commenta, senza citare direttamente l’iscrizione, questo utilizzo del termine ‘vangelo’ nel linguaggio imperiale romano e le conseguenze che ne derivano nella comprensione del suo utilizzo da parte di Gesù e degli evangelisti:
Di recente la parola «vangelo» è stata tradotta con l’espressione «buona novella». Suona bene, ma resta molto al di sotto dell’ordine di grandezza inteso dalla parola «vangelo». Questa parola appartiene al linguaggio degli imperatori romani che si consideravano signori del mondo, suoi salvatori e redentori. I proclami provenienti dall’imperatore si chiamavano «vangeli», indipendentemente dalla questione se il loro contenuto fosse particolarmente lieto e piacevole. Ciò che viene dall’imperatore – era l’idea soggiacente – è messaggio salvifico, non è semplicemente notizia, ma trasformazione del mondo verso il bene.
Se gli evangelisti riprendono questa parola, tanto che a partire da quel momento diventa il termine per definire il genere dei loro scritti, è perché vogliono dire: quello che gli imperatori, che si fanno passare per dèi, pretendono a torto, qui accade veramente: un messaggio autorevole, che non è solo parola, ma realtà. Nell’odierno vocabolario proprio della teoria del linguaggio si direbbe: il Vangelo è discorso non solo informativo, ma operativo, non è solo comunicazione, ma azione, forza efficace, che entra nel mondo salvandolo e trasformandolo. Marco parla del «Vangelo di Dio»: non sono gli imperatori che possono salvare il mondo, bensì Dio. E qui si manifesta la parola di Dio che è parola efficace; qui accade davvero ciò che gli imperatori solo pretendono, senza poterlo adempiere. Perché qui entra in azione il vero Signore del mondo: il Dio vivente.