Efeso: biblioteca di Celso (clicca sull'immagine per leggere sulla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini)
III tappa: dinanzi alla biblioteca di Celso.
La biblioteca è tomba e monumento che il figlio Giulio Aquila volle erigere alla memoria del padre, Giulio Celso Polimeno, che fu proconsole dell’Asia nell’anno 106/107 d.C. Le quattro statue raffigurano la Sophia, l’Arete, l’Ennoia e l’Episteme. Sulla destra la porta che da accesso all’Agorà eretta nell’anno 3 a.C. dai due liberti Mazzeo e Mitridate in onore dell’imperatore Augusto, di sua moglie Livia, di Agrippa e di Giulia. San Paolo vide la porta, ma non la biblioteca che è successiva. La si è scelta lo stesso come luogo per presentare la lettera agli Efesini per il suo valore di simbolo della bellezza della cultura classica.
In questa III tappa è stata presentata la lettera agli Efesini, immaginando i cristiani di questa città che la leggevano in una delle loro liturgie nelle case dove si riunivano. In particolare, ci si è soffermati sul termine “mistero” che san Paolo utilizza nelle sue lettere ed, in particolare, nella lettera agli Efesini. ‘Mistero’ non è da intendersi qui come sinonimo di ‘irrazionale’, ‘impossibile da comprendere perché fuori da ogni logica’. Proprio dinanzi ad una biblioteca antica, segno della ricerca di sapienza dell’uomo, è importante affermare invece che il cristianesimo non ha mai rifiutato la ricerca della ragione. È stato letto un testo di Benedetto XVI in proposito:
«L’uomo vuole verità. In questo senso si può vedere l’interrogarsi di Socrate come l’impulso dal quale è nata l’università occidentale. Penso ad esempio... alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti … Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b – c). In questa domanda apparentemente poco devota – che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino – i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d’uscita da desideri non appagati; l’hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore. Per questo, l’interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell’essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell’essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l’interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera» (alla Lectio che Benedetto XVI avrebbe dovuto tenere per l'Inaugurazione dell'anno accademico dell'Università La Sapienza di Roma il 17 gennaio 2008).
In Paolo il termine ‘mistero’ è sempre accompagnato da verbi come ‘manifestare’, ‘rivelare’, ‘far conoscere’. «Dio ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà» (Ef 1, 9). Il ‘mistero’ è stato rivelato da Dio in Cristo. Paolo vuole spiegare che ciò che l’uomo da solo non poteva conoscere ora ha invece ricevuto per rivelazione in Cristo. Si afferma così, da un lato, l’inaccessibilità di Dio da parte delle sole forze umane, ma, dall’altro, la possibilità di raggiungere la conoscenza di Dio ed, ancor più, la comunione con Lui per l’opera di Cristo. La Dei Verbum sintetizza splendidamente tutto questo dicendo: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso ed il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito hanno acceso al Padre e sono resi partecipi della divina natura» (DV 2).
È stata utilizzata l’immagine del ‘mistero’ della persona umana. Ognuno di noi è un mistero perché l’altro non ha accesso diretto al nostro cuore, se noi non decidiamo di farci conoscere intimamente. Se invece, nella fiducia, decidiamo di aprirci possiamo raccontarci all’altro e l’altro può avere accesso al nostro mistero. C’è una chiave di conoscenza di noi stessi e del nostro cuore che può essere aperta solo dall’interno. A maggior ragione questo vale per Dio. Solo per il dono di Cristo noi abbiamo visto il suo volto (cfr. su questo l’articolo <a href="http://www.gliscritti.it/approf/2008/papers/lonardo010608.htm">“So a chi ho creduto” (1 Tm 1, 12): che cosa significa ‘mistero’ nella fede cristiana?</a> di Andrea Lonardo).