Vallo d'assedio romano e campi dei soldati
Flavio Giuseppe riporta il drammatico racconto della fine della fortezza per mano dei romani (ma numerosi storici moderni cominciano a porre in dubbio la storicità del suicidio collettivo di Masada). In particolare lo storico della Guerra Giudaica ci narra l'ultima esortazione di Eleazar Ben Yair, capo dei sicari:
«Da tempo, miei valorosi, abbiamo deciso di non essere più schiavi, né dei romani né di nessun altro, salvo Dio, il solo, il vero padrone degli uomini. Ecco arrivato il momento di confermare questa decisione con i fatti. In questo momento non cadiamo nel disonore, noi che siamo esposti a punizioni inesorabili, se cadremo nelle mani dei Romani. Fummo infatti i primi a far loro guerra e gli ultimi che non si sono ancora arresi. Per noi invece è certo che cadremo domani in mano al nemico e possiamo liberamente scegliere di fare una morte onorata insieme alle persone che ci sono più care (...). Credo d'altronde che abbiamo ricevuto da Dio la grazia di poter nobilmente morire da uomini liberi, mentre altri non l'hanno avuta. Che le nostre donne muoiano senza aver subito oltraggi; che i nostri figli muoiano senza conoscere la schiavitù! Distruggiamo e bruciamo la fortezza: i romani saranno afflitti di non poter diventare nostri padroni e di perdere ogni bottino: lasciamoli fare; essi testimonieranno che non ci ha vinti la fame ma che abbiamo preferito la morte alla schiavitù, fedeli alla scelta fatta fin dal principio (...).
Abbiamo pietà di noi, dei nostri figli, delle nostre moglie, finché ne abbiamo il tempo. Infatti siamo nati per morire ed anche il più felice non può scampare a questa sorte. Ma non siamo nati per gli oltraggi, la schiavitù, il disonore; quale sarà la rabbia dei romani se cadremo nelle loro mani! Moriamo senza essere stati schiavi di nessuno; usciremo liberi dalla vita, noi, i nostri figli, le nostre donne (...). Questo ci impongono le nostre leggi; questo ci chiedono supplichevoli le mogli e i figli; tale destino ci ha riservato Dio, mentre i romani vorrebbero tutto il contrario, preoccupati che qualcuno di noi abbia a morire prima della tortura. E allora, invece dell'esultanza che speravano di provare impadronendosi di noi, affrettiamoci a lasciar loro lo stupore per la nostra fine e l'ammirazione per il nostro coraggio» (Bell., VII,7-8).
A questa esortazione segue il suicidio collettivo: «Così mentre carezzavano e stringevano al petto le mogli e sollevavano fra le braccia i figli baciandoli tra le lacrime, come servendosi di mani altrui, mandarono ad effetto il loro disegno, consolandosi di doverli uccidere al pensiero dei tormenti che quelli avrebbero sofferto se fossero caduti in mano ai nemici (...). Quindi estratti a sorte dieci di loro con il compito di uccidere tutti gli altri, si distesero ciascuno accanto ai corpi delle mogli e dei figli e abbracciandoli porsero la gola senza esitare agli incaricati di quel triste ufficio. Costoro dopo che li ebbero uccisi tutti sorteggiarono fra loro chi doveva uccidere gli altri nove e per ultimo se stesso. L'ultimo superstite si conficcò la spada nel corpo fino all'elsa stramazzando accanto ai suoi familiari».