La creazione dal nulla ed il peccato originale. Dalla Genesi alle Cronache di Narnia: la straordinaria trasposizione di C. S. Lewis, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 26 /07 /2009 - 22:33 pm | Permalink | Homepage
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«Nel buio stava accadendo qualcosa. Qualcuno aveva cominciato a cantare» [1].

Il mondo di Narnia viene creato dal canto di Aslan. È il suo desiderio, pienamente libero, l’unica origine di tutto ciò che esiste. C. S. Lewis, descrivendo la creazione di Narnia, sta ritraducendo in un nuovo linguaggio poetico l’antico testo di Genesi, anch’esso poesia e verità. La creazione comincia dal nulla, non da cose preesistenti. Non emerge dalla distruzione di Charn – un mondo che la strega ha annichilito:

«- Questa non è Charn - intervenne la strega. - Questo è un mondo vuoto, è il nulla.
E in effetti quel luogo era indefinito come il nulla. Non c'erano stelle, e il buio era cosi fitto che non riuscivano a vedersi uno con l'altro, tanto che sembrava perfino inutile tenere gli occhi aperti. Sotto i piedi avevano una superficie fredda e piatta, che poteva anche essere terra. Sicuramente non si trattava di erba né di legno. L'aria era fredda e asciutta e non spirava un alito di vento.
- La mia ora è giunta - disse la strega con una voce che avrebbe fatto rabbrividire chiunque
» [2].

La creazione ha origine solo dal canto armonioso di Aslan, da Cristo stesso. È il cocchiere di Fragolino, che a Londra era stato obbligato a condurre la strega per le strade della città, il primo ad accorgersi dell’inizio della creazione:

«- Silenzio! - intimò loro il cocchiere. Tutti tacquero e ascoltarono.
Nel buio stava accadendo qualcosa. Qualcuno aveva cominciato a cantare. La voce doveva provenire da molto lontano, e per quanto Digory si sforzasse di capire da dove giungesse, non ci riusciva. Talvolta sembrava arrivare da tutte le direzioni, e talvolta pareva scaturire da sotto terra. Le note più basse di quel canto erano cosi profonde che si poteva pensare che fosse la terra stessa a produrle. Era una melodia senza parole e senza un motivo ricorrente, ma nonostante questo era la musica più bella che avessero mai ascoltato. Si faceva perfino fatica a seguirla, tanto era emozionante. Fragolino sembrava esserne entusiasta. Emise uno di quei nitriti che un cavallo potrebbe lanciare se, dopo anni di fedele servizio attaccato alle stanghe di una carrozza, improvvisamente facesse un salto a ritroso nel tempo e si ritrovasse nel prato dove era solito giocare quando era ancora un puledro, e, come per incanto, riconoscesse l'adorato padrone di un tempo, quello che era solito attraversare il campo per regalargli uno zuccherino.
- Santo cielo - disse il cocchiere - non è incantevole? Poi, improvvisamente, accaddero due cose inspiegabili. Innanzitutto, a quella voce se ne unirono molte altre, più di quelle che uno potrebbe immaginare. Ed erano voci in armonia con la prima, ma molto più acute: erano voci fredde e argentine. La seconda cosa che sorprese i nostri amici fu che il cielo nero sopra di loro divenne tutto trapunto di stelle. Ma queste stelle non comparvero a una a una, quasi timidamente, come accade nelle sere d'estate. Si mostrarono tutte assieme là dove un istante prima c'era l'oscurità più profonda, ed erano migliaia di fonti che emanavano luce, di punti luminosi che comprendevano stelle singole, costellazioni, pianeti, tutti più splendenti e più grandi che nel nostro mondo. Non c'erano nubi. Le nuove stelle comparvero insieme con le voci che cantavano quella sublime melodia. Se aveste avuto la fortuna di assistere a uno spettacolo del genere, come Digory, avreste certamente pensato che fossero le stelle stesse a cantare e che era stata la prima voce, quella profonda, a far apparire le stelle e a dar loro l'ordine di cantare.
- Perbacco! - disse il cocchiere. - Sarei stato più buono in vita se avessi saputo dell'esistenza di questa meraviglia!
La voce della terra si era fatta più forte, più trionfante, mentre le voci del cielo, dopo averla accompagnata a lungo, divennero sempre più deboli. Ma non è finita qui, ragazzi.
Lontano, sulla linea dell'orizzonte, il cielo cominciò ad assumere un colore grigiastro, mentre si levava un venticello fresco. Il cielo, proprio in quel punto, pian piano si fece sempre più chiaro, tanto che si stagliava contro un profilo di colline. La voce, intanto, continuava a cantare.
Presto ci fu luce sufficiente da permettere ai nostri amici di vedersi. Il cocchiere e i due bambini erano a bocca aperta, gli occhi che brillavano per lo stupore e la magnificenza di quel paesaggio
» [3].

«Perbacco! - disse il cocchiere. - Sarei stato più buono in vita se avessi saputo dell'esistenza di questa meraviglia!». Lo splendore di bellezza desta il desiderio di essere migliori, ma genera, insieme, la rivolta. Lo zio Andrew, mago cattivo, e, soprattutto, la strega, non godono della vita che nasce, anzi ne desiderano la fine, la morte. Vogliono che il nulla riprenda il suo posto:

«Anche lo zio Andrew era a bocca aperta, ma non pareva molto felice di essere lì. Sembrava quasi che il mento gli si fosse momentaneamente staccato dal resto della faccia. Aveva le spalle curve e le ginocchia che vacillavano. A lui la voce non piaceva, e se avesse potuto fuggire via di li attraverso la tana di un topo, vi posso assicurare che lo avrebbe fatto.
La strega, invece, sembrava essere l'unica ad aver compreso il significato di quella musica. Se ne stava a bocca chiusa, le labbra quasi incollate, e teneva i pugni stretti. Aveva capito fin dall'inizio del canto che in quel mondo dominava una magia diversa dalla sua e sicuramente più potente, e non poteva sopportarlo. Avrebbe distrutto quel mondo e anche tutti gli altri mondi se fosse stato necessario, pur di far cessare quella nenia
» [4].

La luce creata irrompe progressivamente, illuminando pienamente tutto:

«Fragolino, dal canto suo, se ne stava con le orecchie belle dritte e frementi, e ogni tanto sbuffava e picchiava gli zoccoli sul terreno. Era fiero e maestoso, e guardandolo non avreste mai detto che un tempo aveva trainato una carrozza. Ora si che sembrava figlio di suo padre!
Il cielo bianco dell'est si colorò di rosa, poi divenne dorato. La voce era sempre più alta, fino a che l'aria non cominciò a vibrare. E quando la melodia divenne ancora più potente e più gloriosa, il sole sorse.
Digory non aveva mai visto un sole simile. Il sole che illuminava le rovine di Charn sembrava più antico del nostro; questo, al contrario, sembrava più giovane. Si poteva quasi pensare che ridesse di gioia, mentre sorgeva. E quando i suoi raggi presero a bagnare di luce la terra, i viaggiatori poterono finalmente conoscere il luogo che li ospitava. Era una vallata, percorsa da un grande fiume che scorreva in direzione del sole. Verso sud c'erano montagne, e verso nord dolci colline. Ma nella valle non c'erano alberi né cespugli, e neppure un filo d'erba
» [5].

E finalmente è possibile scorgere l’autore del canto:

«La terra era ricca di colori brillanti, caldi, luminosi, e i nostri eroi ne rimasero affascinati, per lo meno fino a quando non videro colui che cantava, perché allora dimenticarono tutto il resto.
Era un leone. Immenso, irsuto e luminoso, stava di fronte al sole appena sorto e aveva la bocca aperta per il canto. Si trovava a trecento metri da loro
» [6].

Aslan inizia a cantare in modo nuovo e nuove creature appaiono. Ancora una volta è il cocchiere a chiedere il silenzio per ascoltare la sua voce:

«- Non fate rumore - intervenne il cocchiere. – Voglio ascoltare la musica nuova.
Il cocchiere aveva ragione. Ora il canto era diverso.
Il leone andava avanti e indietro in quella terra deserta, cantando la sua nuova canzone. Era un canto più dolce e più melodioso di quello con cui aveva richiamato le stelle e il sole; era una musica gentile e carezzevole. E mentre il leone camminava e cantava, l’erba rendeva verde la vallata; cresceva intorno al leone come fosse una polla d’acqua che si allargava a vista d’occhio e risaliva come un’onda i pendii delle collinette. In pochi minuti raggiunse le pendici delle montagne più lontane, rendendo via via sempre più dolce quel giovane mondo. Adesso si poteva perfino sentire il vento carezzare l’erba.
A poco a poco, altre cose cominciarono a spuntare. Le pendici più alte si ricoprirono di erica e nella vallata comparvero macchie irregolari di un verde meno uniforme. Digory non si rese ben conto di cosa si trattava fino a che questa sorta di vegetazione non cominciò a spuntare vicino a lui. Era una cosina appuntita che cresceva di alcuni centimetri al secondo buttando fuori dozzine di propaggini che si coprivano man mano di verde. Adesso Digory ne era completamente circondato, e non appena divennero alte almeno quanto lui il ragazzino esclamò sorpreso: - Alberi... sono alberi!
» [7].

Ripetutamente il cocchiere chiede a tutti di tacere per contemplare l’opera che viene compiuta:

«- La smetta capo! - Intervenne il cocchiere. – La smetta di parlare e guardi, ascolti cosa succede, per favore!
Come sempre il cocchiere aveva ragione. C’erano tante cose da guardare e da ascoltare!
» [8].

Polly, amica di Digory, si accorge che le cose vengono all’esistenza per la voce di Aslan e per il suo canto, che assume modulazioni diverse:

«Intanto il leone continuava a camminare su e giù, avanti e indietro senza mai cessare il suo canto, e ad ogni giro si faceva più vicino ai nostri amici incutendo loro una certa paura. Da parte sua Polly trovava che la canzone del leone fosse sempre più interessante, perché le pareva che ci fosse un legame fra la musica e le cose che stavano accadendo. Fu del tutto convinta di questo quando, a un centinaio di metri, una fila di abeti comparve su un crinale, accompagnata da note acute e prolungate. E quando il leone eseguì una rapida serie di note più lievi, Polly non si stupì affatto nel vedere le primule spuntare dappertutto. Così, per una inspiegabile sensazione. Polly era certa che tutto ciò che stava nascendo, in quel giovane mondo, uscisse “dalla testa del leone” (come ebbe poi a dire) “perché, quando ascoltavi la sua canzone, potevi sentire quello che stava creando; poi ti guardavi intorno e ammiravi con i tuoi occhi”» [9].

Il leone, spalancando le fauci, mostra la sua potenza, una onnipotenza che dona vita, non uno sterile potere che la sottrae:

«Le sue [di Aslan] fauci enormi erano spalancate, ma per cantare, non per colpire» [10].

La sua presenza così misteriosa è all’origine del desiderio di comunione, anche se esso si dovesse presentare, come nella storia del biblico Giacobbe, sotto la forma della lotta:

«In pochi minuti Digory raggiunse il limitare del bosco e si fermò. Il leone, intanto, proseguiva nel suo canto, ma la canzone era mutata ancora. Un motivo unico, sempre lo stesso, stavolta più tempestoso. Ascoltandolo, veniva voglia di saltare, di scalare le montagne, di gridare, di raggiungere qualcuno e di abbracciarlo, oppure di lottare con lui» [11].

Dopo la vegetazione, ecco il miracolo della vita animale:

«Ma l’effetto che la melodia aveva sugli umani era nulla al confronto di quello che poté su quella terra. Riuscite a immaginare una distesa erbosa che cominci a ribollire come l’acqua nella pentola? Vi sembra strano, vero? Eppure questa descrizione calza a pennello. In ogni direzione si formarono montagnole, alcune simili a quelle delle talpe, altre grandi come una carriola, e due addirittura alte quanto una casetta. Tutte queste protuberanze si muovevano e si scuotevano, fino a che non scoppiarono, e da ognuna di esse venne fuori un animale.
Le talpe vennero fuori come sono solite fare capolino le talpe. I cani sbucarono di testa, e cominciarono subito ad abbaiare e a divincolarsi, come quando rimangono prigionieri nello stretto varco di una siepe. I più bizzarri da osservare furono i cervi, perché naturalmente misero fuori innanzitutto le corna e poi il resto, così che Digory a tutta prima pensò che le corna fossero degli alberi. Le rane, che spuntarono vicino alle rive del fiume, appena uscite entrarono saltellando nell’acqua, con un sonoro gracidio. Le pantere, i leopardi e gli altri felini si accucciarono immediatamente per ripulirsi della terra che era rimasta attaccata al pelo, e poi affilarono gli artigli sugli alberi. Non potevano mancare gli uccelli, che uscivano a stormi dagli alberi. E mentre le farfalle volavano spensierate, le api iniziavano solerti a saccheggiare i fiori, come se non avessero tempo da perdere. Ma il momento più emozionante fu quando la collinetta più grande cominciò a spaccarsi, quasi come durante un terremoto, e si poté cominciare a intravedere la schiena dell’elefante, seguita dalla testa enorme e prudente dell'animale; infine uscirono le quattro zampe immense, che sembravano dei calzoni raggrinziti.
La canzone del leone, ora, si poteva udire appena, perché si confondeva in mezzo a tanto gracchiare, tubare, gracidare, ragliare, nitrire, abbaiare, muggire, belare, barrire.
Ma anche se non sentiva più il canto del leone, Digory riusciva ancora a vedere la bestia. Era talmente enorme e fulgida, quella magnifica creatura, che il ragazzo non poteva staccarne gli occhi. Per quanto riguarda gli altri animali, essi non sembravano avere paura del leone. A un certo punto, Digory senti alle spalle un rumore di zoccoli, e dopo un secondo Fragolino passò davanti a lui al trotto e andò a unirsi agli altri animali
» [12].

Ed ecco apparire la ragione, la libertà e l’amore: ecco l’uomo. Il leone sceglie alcuni animali perché parlino, perché si differenzino dagli altri esseri viventi creati. Ogni bambino sa che esistono animali che parlano e, nei panni di quegli animali, egli comincia a sperimentarsi nei sentimenti e nelle piccole e grandi questioni della vita:

«Infine il leone tacque e prese a camminare avanti e indietro in mezzo agli animali. Di tanto in tanto (la cosa sorprese non poco Digory) si avvicinava a due di essi, sempre due alla volta, un esemplare maschio e un esemplare femmina, e strusciava il suo naso contro il loro. Scelse due castori fra i castori, due leopardi fra i leopardi, un cervo maschio e un cervo femmina fra i cervi, e altri animali, tralasciando però alcune specie. Le coppie che aveva toccato con il naso lasciarono il loro gruppo all’istante e lo seguirono. Infine si fermò e tutti gli animali che aveva prescelto formarono un grande cerchio intorno a lui, mentre gli altri cominciarono a disperdersi in lontananza» [13].

Aslan infonde negli animali parlanti uno “spirito di vita” ed essi diventano coscienti di sé:

«Molti animali si sedettero sulle zampe posteriori e moltissimi, quasi volessero ascoltare meglio, piegarono leggermente la testa su un lato. Il leone apri la bocca, ma non emise alcun suono. Respirò invece profondamente, un respiro lungo, quasi tiepido, che sembrò scuotere tutte le creature lì riunite come il vento scuote un filare di alberi. Lassù, lontano, dietro la cortina del cielo azzurro, le stelle cantarono di nuovo. Una musica complessa, pura, quasi fredda. Poi un lampo di fuoco comparve, simile a una saetta. Opera del leone, oppure partorito dal cielo: questo non fu dato saperlo. Il lampo non incenerì nessuno, ma il sangue dei bambini fremette ed essi udirono la voce più fiera che avessero mai sentito. - Narnia, Narnia, Narnia, svegliati. Ama. Pensa. Parla. Che gli alberi camminino. Che gli animali parlino. Che le acque siano sacre» [14].

Alla parola di Dio risponde la voce dell’uomo, creato per il dialogo con l’Infinito, creato dalla Parola, unico essere capace di corrispondere con parole alla Parola:

«Quella era la voce del leone. I bambini avevano sempre saputo che prima o poi il leone avrebbe parlato, ma quando sentirono la sua voce provarono un’emozione fortissima.
Dal folto degli alberi fecero capolino dèi e dee dei boschi, accompagnati da fauni, satiri e gnomi. Dalle acque emerse il dio del fiume, con le naiadi sue figlie.
E tutte le creature e tutti gli animali, con voci diverse, alte o basse, cupe o chiare, salutarono con queste parole: - Salute, o Aslan. Abbiamo udito e ti obbediamo. Noi siamo svegli. Noi amiamo. Noi pensiamo. Noi parliamo. Noi sappiamo.
- Veramente io vorrei saperne di più - disse una voce nasale in tono gentile. E i bambini sobbalzarono, visto che era stato il cavallo del cocchiere a parlare.
- Bravo Fragolino! - esclamò Polly. - Sono proprio contenta che tu sia stato prescelto per diventare un animale parlante. - E il cocchiere, che si trovava accanto ai ragazzi, aggiunse: - Che mi venga un colpo! Però l’ho sempre detto che quel cavallo ha un sacco di buon senso!
» [15].

Aslan manifesta che tutta l’opera del creato è stata fatta in vista gli animali parlanti. Più ancora fa dono agli uomini della coscienza di sé. Più ancora, fa loro dono di se stesso:

«- O nobili creature, io vi faccio dono di voi stessi - annunciò la voce severa ma lieta di Aslan. - Da ora e per sempre la terra di Narnia vi apparterrà. Ecco, io vi consegno le foreste, i frutti, i fiumi. Vi dono le stelle, vi dono me stesso» [16].

Al sorgere della relazione e dell’amore, corrisponde anche la capacità di ridere delle situazione! Esiste il riso perché si può promettere e non mantenere, perché burla e giustizia vanno di pari passo con la parola:

«Anche le bestie mute che non ho prescelto vi appartengono. Trattatele con gentilezza e con amore, ma non ricadete mai nei loro costumi, a meno che non vogliate cessare di essere animali parlanti. Perché voi siete stati scelti fra loro, e fra loro potete ritornare. Vi esorto a non farlo!
- No, Aslan, non lo faremo, non lo faremo - gridarono tutti all’unisono. Poi una cornacchia impertinente aggiunse: - E ci puoi giurare. - Intanto tutti avevano finito di osannare Aslan, e cosi quelle parole rimbombarono come una grancassa nel silenzio assoluto. Forse vi siete trovati anche voi in una situazione simile, magari a una festa, dove gli ospiti, quando meno te lo aspetti... Comunque, tornando a noi, la povera cornacchia era cosi imbarazzata che nascose immediatamente il capo sotto l’ala, come se stesse dormendo. Allora tutti gli altri animali cominciarono ad emettere degli strani suoni, che era poi il loro modo di ridere, anche se ovviamente nessuno di noi ha mai sentito una cosa simile nel nostro mondo. Dopo un po’ tutte le creature cercarono di darsi un contegno, ma Aslan disse: - Ridete pure e non abbiate timore. Ora che non siete più muti e privi d’intelletto, non avete più bisogno di essere seri. Perché la burla, cosi come la giustizia, va di pari passo con la parola!
Cosi, finalmente, si sciolsero le righe e gli animali cominciarono ad allontanarsi per conto loro. E nell'aria si poteva respirare una tale felicità che la cornacchia si fece coraggio e andò a posarsi fra le orecchie di Fragolino, dicendo: - Aslan! Aslan! Sono stata la prima a fare una burla? Lo sapranno tutti che sono stata io a fare la prima burla?
- No, piccola amica - rispose il leone - tu non hai fatto la prima burla. Tu sei la prima burla. - Allora tutti scoppiarono a ridere di nuovo, più forte di prima. Anche la cornacchia si unì a quelle risa, per nulla offesa dalla risposta di Aslan, e rise forte finché Fragolino scosse la testa, facendole perdere l'equilibrio. Stava per cadere a terra quando si ricordò di aver ricevuto in dotazione un bel paio di ali, e le aprì in tempo
» [17].

Ma subito, non appena tutto è stato originato, ecco che il peccato entra nel mondo e bisogna difendersene. Gli uomini, animali parlanti, non hanno neanche bene capito cosa sia il male, ma esso è già lì, contro il leone, contro di loro, contro Narnia e tutto il creato.

«- Cari amici, ora che Narnia è nata dobbiamo preoccuparci della sua sicurezza. Chiamerò qualcuno di voi al mio fianco, nel grande consiglio. Vieni avanti, o capo degli gnomi, e anche tu, dio del fiume. Sarai al mio fianco, grande quercia, e voglio anche te, gufo. Poi i due corvi e l’elefante maschio. Venite, dobbiamo parlare fra noi. Perché il nostro mondo è nato solo da poche ore e già è qui fra noi un essere cattivo.
Le creature che Aslan aveva convocato si fecero avanti e si incamminarono con il leone verso est. Gli altri animali rimasero a chiacchierare fra loro, commentando quello che Aslan aveva appena svelato.
“Che cosa ha detto? Chi è appena entrato nel nostro mondo? lo non ho capito bene, e tu? Ma possibile che nessuno abbia capito? Mi pare abbia parlato di un catino? E che cos'è un catino? No, ha detto battivo! Si battivo!”
» [18].

Lewis non descrive solo la bontà e la bellezza della creazione, ma, subito, anche l’insinuarsi in essa di qualcosa che non proviene dal canto di Aslan. È il contrapporsi del male. Ed è l’uomo che gli ha permesso di entrare nel mondo:

«Poi il leone parlò di nuovo, ma stavolta non si rivolse a Digory.
- Cari amici, il mondo nuovo che vi ho donato ha solo sette ore di vita e già una forza maligna si é introdotta dentro di esso, risvegliata e condotta qui dal figlio di Adamo.
Tutte le creature di Narnia, Fragolino compreso, puntarono i loro occhi su Digory, al punto che il ragazzo provò il desiderio ardente di essere inghiottito dalle viscere della terra, pur di scomparire da li.
- Ma non per questo ci dobbiamo arrendere - prosegui il leone, parlando ancora a tutte le bestie. - Da questa presenza maligna scaturirà altro male, ma esso è ancora lontano, e comunque sarò io ad affrontarlo in modo che il male peggiore cada su di me. Per adesso, facciamo si che per centinaia e centinaia di anni questa sia la regione felice di un mondo felice. E dal momento che la stirpe di Adamo ha portato il male, la stirpe di Adamo ci aiuterà a combatterlo. Venite avanti, voi due!
» [19].

Digory, infatti, non obbedendo ad un monito, inciso nel mondo incantato di Charn, aveva permesso alla strega di destarsi da un incantesimo e di penetrare a Narnia. La presenza del male rattrista Aslan più di quanto rechi dolore ad ogni creatura terrestre. Questo diviene manifesto quando Digory, dopo aver accettato di aiutare il leone nella lotta contro il male, gli racconta della madre che, malata, è prossima alla fine:

«Figlio di Adamo - disse Aslan - sei pronto per combattere e annientare il male che hai fatto alla mia dolce terra di Narnia nel giorno della sua nascita?
- Be', non so proprio che cosa potrei fare - rispose Digory. - La regina è fuggita via e...
- Ti ho chiesto se sei pronto - lo interruppe il leone.
- Si - disse Digory. Per un attimo aveva anche pensato di rispondere: "Cercherò di darvi una mano a patto che mi promettiate di aiutare la mia mamma", ma per fortuna si rese conto che il leone non era assolutamente il tipo di persona con cui poter scendere a compromessi. Ma appena ebbe risposto «Si» pensò a sua madre, alle grandi speranze che aveva nutrito di poterla salvare, e a come esse erano svanite; gli salì un groppo alla gola, gli occhi gli si riempirono di lacrime e sbottò: - Ma vi prego, vi prego, datemi qualcosa che aiuti la mamma a stare meglio.
Fino a quel momento, gli occhi di Digory avevano fissato le zampe enormi e i grandi artigli di Aslan. Ora, preso dalla disperazione, il ragazzo aveva finalmente trovato il coraggio di guardare in faccia il leone. Quello che vide fu una delle cose più sorprendenti della sua vita. Infatti il muso fulvo del leone era chino verso di lui e, meraviglia delle meraviglie, gli occhi della grande creatura brillavano, gonfi di lacrime. Ed erano lacrime cosi grandi in confronto a quelle di Digory, che per un attimo il ragazzo pensò che il leone fosse più addolorato di lui per la sorte della mamma
» [20].

Aslan invia Digory per una missione di salvezza, che lo farà misurare con la forza del peccato di origine; anch’esso sarà descritto, come la creazione, poeticamente. Il bambino, portato in volo insieme a Polly da Fragolino, divenuto cavallo alato, giunge nel giardino nel quale il leone lo ha inviato a cogliere da un albero un frutto, facendosi promettere di non nutrirsene per sé, ma di portarlo a Narnia perché sia piantato per salvare la creazione dal male. All’ingresso del giardino, Digory trova scritto:

«Entra per il cancello d’oro
o non entrare affatto.
Prendi la mia frutta per gli altri
o non toccarla affatto,
perché coloro che ruberanno nel mio giardino
e queste mura scavalcheranno
non soddisferanno i desideri del cuore
ma dolore e disperazione troveranno
» [21].

Lewis presenta il peccato originale come la rapina di ciò che si può solo ricevere in dono ed, insieme, come il tenere per sé ciò che è per tutti. Nel giardino è già entrata la strega Jadis che tenta il piccolo Digory, cercando di insinuare in lui il dubbio contro Aslan. E se Aslan non fosse l’amante della vita, ma l’eterno invidioso? E chi del leone si fida trovasse alla fine non il bene, ma la rovina?

«- Stolto! - replicò la strega.- Perché fuggi da me? Io non voglio farti del male. Se non ti fermi ad ascoltarmi, non saprai mai il segreto che potrebbe renderti felice per tutto il resto della vita!
- Grazie tante, non mi interessa - rispose Digory. Ma nonostante questo, ascoltò le parole della strega. - Io so perché ti trovi qui - prosegui la strega - perché c’ero io vicino a voi, la notte scorsa, e ho sentito tutto quello che vi siete detti, tu e la tua amica. Hai colto un frutto in quel giardino là e lo hai riposto in tasca. Devi portarlo indietro, senza poterlo assaggiare, perché lo devi consegnare al leone, cosi che possa mangiarlo lui, possa servirsene lui. Povero ingenuo! Ma lo sai che frutto è quello? Te lo dirò. Lo hai colto dall'albero della giovinezza, dall’albero della vita. Io lo so perché l’ho mangiato, e i suoi effetti comincio già ad avvertirli. Adesso sono certa che non invecchierò e che non morirò mai. Avanti, assaggialo, questo frutto, cosi vivremo in eterno e governeremo questo mondo o il tuo mondo, se tu vorrai tornare indietro. Io sarò la regina, e tu il re.
- No, grazie tante, ma non mi interessa. Non m’importa di vivere in eterno, se intanto tutte le persone che conosco mi avranno lasciato. Io desidero una vita normale, voglio morire e poi andare in paradiso.
- E cosa ne sarà della tua mamma? Eppure tu dici di volerle tanto bene!
- Cosa c’entra la mia mamma? - Ma non capisci, ingenuo che sei, che un solo morso di quella mela potrebbe guarirla per sempre? Avanti, tu hai la mela in tasca e noi due siamo qui da soli, lontanissimi dal leone. Usa tutti i tuoi poteri e torniamo nel tuo mondo. In meno di un minuto sarai al capezzale di tua madre e potrai farle assaggiare il frutto della giovinezza. Cinque minuti più tardi le sue guance riacquisteranno colore e lei ti dirà di non sentire più dolore. Dopo qualche minuto ancora, ti dirà che si sente forte, sempre più forte, poi cadrà in un sonno profondo. Pensa, un sonno ristoratore, dolce, sereno, senza sofferenza, senza dover più prendere le medicine. Il giorno successivo ti comunicherà che ormai sta benissimo, e comincerà a riprendersi a meraviglia. Nella tua casa tornerà la gioia e tu, finalmente, avrai accanto a te la tua mamma, come tutti gli altri ragazzi!
- Ah! – L’esclamazione di Digory suonò come un lamento soffocato. Il ragazzo si portò la mano alla testa: sapeva bene che la scelta che aveva di fronte era terribile e definitiva.
- Il leone che cosa ha fatto per te? Perché mai dovresti essere suo schiavo? - insistette la strega. - Come potrà aiutarti quando sarai tornato nel tuo mondo? E cosa penserà mai tua madre, quando verrà a scoprire che tu avevi la possibilità di guarirla e di riportarla alla vita e di far sì che il cuore di tuo padre non si spezzasse per il grande dolore, e che invece hai preferito fare da messaggero a un animale feroce, in uno strano mondo che non ha nulla a che vedere con il tuo?
- Io... io non credo che il leone sia un animale feroce - disse Digory con la voce quasi inaridita. - Lui... lui è... Io non lo so...
- Ascolta bene, lui è molto peggio di un animale feroce. Guarda come ti ha ridotto: un bambino senza cuore. E cosi accade a tutti quelli che lo stanno a sentire. Bambino crudele e insensibile! Faresti morire la tua mamma piuttosto di...
- Oh, sta’ zitta! - gridò l’infelicissimo Digory, sempre con la stessa voce. - Credi forse che non capisca? Ma io ho fatto una promessa!
- Ma tu non potevi sapere che cosa andavi a promettere. E nessuno qui ci troverebbe nulla da dire. - La mamma sì - prosegui Digory, che ormai non aveva più la forza di parlare. - La mamma non approverebbe il mio comportamento. È stata lei a insegnarmi che si devono mantenere le promesse, che non si deve rubare, e altre cose di questo tipo. Lei stessa sarebbe la prima a dirmi di non farlo, se fosse qui.
- Ma scusa, perché mai dovrebbe saperlo? - chiese la strega con una voce dolce e suadente che strideva con quel volto tanto crudele. - Non hai bisogno di dirle dove hai preso quella mela, e neppure tuo padre dovrà mai saperlo. Nessuno del tuo mondo potrà mai immaginare la verità. E per quanto riguarda l’unica testimone, la bambina, intendo, puoi lasciarla qui.
La strega non avrebbe mai dovuto dire una cosa del genere. Naturalmente Digory sapeva che Polly sarebbe comunque potuta tornare a casa con l’anello che aveva in tasca, ma questo la strega non poteva immaginarlo, e il suggerimento che gli aveva dato, vale a dire abbandonare Polly, gli fece improvvisamente capire che tutto quello che la donna aveva detto finora era falso e vuoto. E anche se era afflitto, ora aveva le idee chiare e si rivolse alla strega con un tono ben diverso. - Senti un po’ -le disse con voce decisa. - Che t’importa di tutto questo? Perché all’improvviso ti mostri tanto interessata alla sorte di mia madre? Cosa c’entra lei con te?
Avanti, scopri il tuo gioco!
» [22].

Digory scopre così che è la strega a non avere a cuore il bene, il bene suo, quello di Polly, quello di Narnia, quello di sua madre. È lei, e non il leone, la grande menzognera. Decide così di portare a termine la sua missione e di portare il frutto appena colto ad Aslan, per la salvezza di Narnia. Una volta tornati dal leone, è quest’ultimo a parlare ancora del dramma che si compie dinanzi a quel frutto:

«È per questo che ora la strega ha orrore per tutto quello che la circonda. Questo è ciò che accade a quelli che colgono e mangiano i frutti al momento sbagliato e nel modo sbagliato. I frutti sono buoni, ma loro li odieranno subito e per sempre» [23].

E prosegue raccontando cosa è avvenuto alla strega che ne ha mangiato:

«La strega ha esaudito il suo desiderio più grande: l’attendono giorni gagliardi, eterni, in cui penserà di essere al centro del mondo e di tutte le cose. Ma vivere in eterno con il cuore corroso dal male e dalla cattiveria significa vivere nella disperazione e nel dolore. E questo la strega ha già cominciato a capirlo [...] perché quel frutto ha sempre effetto, ma per quelli che lo colgono per soddisfare il loro egoismo si tratta di un effetto funesto» [24].

Digory non ha, invece, sottratto il frutto e può riceverlo in dono. Aslan gli dice:

«Questo è quanto sarebbe accaduto con una mela rubata. Ma non è quello che accadrà adesso. Adesso ti darò ciò che ti regalerà gioia e felicità. Si tratta di qualcosa che, nel tuo mondo, non potrà renderti eterno, ma potrà servirti a guarire dolore e malattie. Vai, cogli una mela dall’albero!» [25].

Prima che Digory, insieme a Polly, possa tornare a Londra e guarire la madre con la “mela della vita”, Aslan invita i due bambini a nascondere tutti gli anelli magici che troveranno – basta la presenza di Aslan per attraversare i mondi e la magia è ormai inutile, anzi dannosa – e li ammonisce sul potere del male, ricordando che la strega Jadis ha distrutto Charn tramite la magica “parola deplorevole”. A Charn erano giunti saltando in uno stagno e tenendo in mano un anello con la sua forza magica:

«Vi siete ritrovati dove il sole morente illuminava le rovine di Charn. Adesso questo stagno è scomparso perché il mondo di Charn è finito. Come se non fosse mai esistito. Fate in modo che la discendenza di Adamo ed Eva tragga insegnamento da questo!
- Sì, Aslan – risposero in coro i due bambini. E Polly aggiunse: - Ma noi non siamo proprio cattivi come in questo mondo, vero?
- Non ancora, figlia di Eva – rispose Aslan – non ancora. Ma il vostro mondo si avvia a eguagliare quel primato, e non è detto che qualcuno di voi non riesca un giorno a scoprire un segreto come la parola deplorevole, e non decida di usarlo per distruggere tutti gli esseri viventi. Presto, molto presto, prima che la vecchiaia tinga di bianco i vostri capelli, le grandi nazioni del vostro mondo saranno governate dai tiranni. A loro simili in tutto all’imperatrice Jadis, non interesseranno la gioia, la giustizia, la compassione
» [26].

Quando Digory, tornato con Polly a Londra, entra dalla madre con la “mela della vita”,

«il profumo del frutto della giovinezza era tale che pareva ci fosse una finestra, nella stanza, aperta sul paradiso» [27].

Il frutto guarisce la madre e Digory può vedere, infine, il compiersi del miracolo.
Digory decide, infine, di piantare il torsolo avanzato da quel frutto. Lewis si sofferma a raccontarci che da esso nascerà l’albero con il cui legno sarà fatto l’“armadio” nel quale un giorno si nasconderà Lucy. Ma questa è un’altra storia. La storia di Polly e Digory è solo l’inizio di ogni storia!

Le Cronache di Narnia raccontano che, in ogni momento difficile della vita, Digory e Polly si ricordarono dell’incontro con Aslan e, ripensando a quel momento, trovarono sempre in quel pensiero la speranza e la forza. Perdersi nel suo sguardo significava essere entrati nel mistero divino:

«I bambini guardavano adesso il leone, mentre Aslan concludeva il suo discorso. E subito (non capirono mai come fosse potuto accadere) quel volto parve trasformarsi in un mare dorato nel quale essi navigavano. E furono investiti da una gioia e da una potenza tale che pensarono di non essere mai stati saggi, vivi, svegli, felici, prima di allora. E il ricordo di quel momento li accompagnò per tutta la vita, al punto che, fino a che vissero, ogni volta che erano tristi, arrabbiati o impauriti pensavano a quella felicità dorata, a quella profusione di bene, e l’impressione che tutto questo fosse ancora lì, vicino a loro, dietro l’angolo, quasi a portata di mano, li faceva sentire subito meglio» [28].


N.B. Sulle Cronache di Narnia, vedi ancora, su questo stesso sito, Il sacrificio di Cristo ed il suo significato nella narrazione allegorica di C.S.Lewis, Le cronache di Narnia: il Leone, la Strega e l´Armadio, di d.Andrea Lonardo.
Ancora su Lewis, su questo stesso sito, vedi Lo scrittore C.S.Lewis e la comprensione dei giorni che seguono la morte della moglie, a cura di d.Andrea Lonardo.


Note al testo

[1] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 75.

[2] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 74.

[3] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, pp. 75-76.

[4] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, pp. 76-77.

[5] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, pp. 77-78.

[6] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 78.

[7] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, pp. 78-79.

[8] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 80.

[9] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, pp. 80-81.

[10] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 82.

[11] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 84.

[12] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, pp. 85-86.

[13] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 86.

[14] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 87.

[15] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 88.

[16] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 88.

[17] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, pp. 88-90.

[18] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 90.

[19] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 102.

[20] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 106.

[21] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 117.

[22] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, pp. 120-122.

[23] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 131.

[24] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 131.

[25] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 131-132.

[26] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 133.

[27] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 135.

[28] C. S. Lewis, Le cronache di Narnia, vol. I, episodio Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2001, p. 134.