Il Prologo del Qoèlet apre con una domanda:
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità, tutto è vanità.
Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno
per cui fatica sotto il sole? (Qo 1,2-3)
Tale domanda ritornerà nello scritto
varie volte, come la questione che non dà pace a
Qoèlet, a causa della quale non smette di ricercare,
osservare e considerare la realtà della vita per trovare
una risposta.
Ora Qoèlet è un saggio (12,9) e come tale,
secondo la concezione sapienziale ebraica, è capace di
uno sguardo lucido sulla realtà, di uno sguardo che sa
cogliere il punto di vista di Dio sulla vita e di trarne degli
insegnamenti. Ebbene Qoèlet dopo aver posto tale sguardo
sul mondo afferma con forza: che vantaggio ne viene da tutta la
fatica spesa per essere saggio (1,17), per fuggire
l’empietà (8,10ss), ricercare la gioia (2,2),
comportarmi bene (6,8)? Non ne viene niente in cambio, non
c'è alcun vantaggio/profitto, gli empi spesso guadagnano
di più, sembrano vivere meglio (8,14), l’egoista e
l’avaro prosperano, il saggio fa la stessa fine dello
stolto (2,15), non tutti gli uomini giusti hanno una vita piena
o in pace (7,15; 9,2), alla fine nessuna fatica che l'uomo
compie sotto il sole è in grado di cambiare il corso
delle cose (1,15) poiché tutto è
vanità.
Ecco che, quindi, come un ritornello viene ripetutamente
affermato:
Non c'è di meglio per l'uomo che mangiare e bere e godersela nelle sue fatiche (cfr. Qo 2,24-25; 3,12; 3,22; 5,17; 8,15; 9,7; 9,9; 11,9).
Una risposta di questo tipo appare
scandalosa presa così come suona, sembra quasi
indirizzare l'uomo ad una ricerca del piacere come fuga da un
destino ineluttabile nei confronti del quale non ha armi, una
visione estranea al messaggio biblico ed evangelico; eppure il
testo è chiaro e questa specie di ritornello viene
più volte ribadito all'interno del libro che resta
comunque un libro canonico, contenente la Parola di Dio.
Come affrontare il problema? Conviene ricordare che nei testi
sacri le contraddizioni e/o le incongruenze, lungi dall'essere
semplici errori o sviste, ad una lettura approfondita risultano
spesso gravide di significato.
Nel caso in questione il cardine attorno a cui far ruotare la
nostra discussione è proprio la domanda posta da
Qoèlet:
Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole?
Più avanti nel testo pone la stessa
domanda utilizzando le categorie del vantaggio (Qo 2,15;
3,9; 5,15; 6,8), a volte si chiede quale profitto ne ha
l’uomo (Qo 2,22) o ancora, riferito alla ricerca della
gioia: a che giova? (Qo 2,2)
Il punto di rottura con la realtà nel libro non sembra
essere nelle risposte (che sono in gran parte difficilmente
confutabili) ma nella domanda.
La domanda così formulata fa riferimento ad un rapporto
Dio-uomo alterato e falso e ad una visione distorta della
realtà. Vantaggio, utilità, profitto sono
categorie che svelano un'idea di Dio come di un padre-padrone
che possiede le cose buone, sono Sue e le elargisce solo a chi
vuole, anzi a chi si comporta secondo le regole da Lui imposte
che vengono così a configurare un sistema di vita
competitivo in cui alcuni sono in vantaggio, più buoni,
più meritevoli rispetto ad altri. In questa visione Dio
possiede tali cose e gli uomini devono comportarsi in un
determinato modo (essere buoni), chiedere insistentemente con
la preghiera con offerte e promesse tali doni per sperare di
riceverne alcuni.
Alla base di questo rapporto con Dio c’è una
mentalità "commerciale", di scambio tipo "do ut des" in
cui l'uomo cerca di comprare favori da Dio con buone azioni
(non è questo il meccanismo che sottende talvolta la
comprensione dei fioretti o di una certa impostazione
dell'ascesi in generale?). Quindi l’uomo per avere la
salute, la gioia, il successo, la pace, per riuscire nelle sue
imprese, per avere una discendenza, ecc, deve osservare i
comandamenti, deve pregare, fare sacrifici ed offerte (pensiamo
alla nostra preghiera se non è in radice spesso intrisa
di questa mentalità pagana!).
Questa sembra essere la visione del rapporto Dio-uomo nella
quale nasce il libro del Qoélet.
In tale contesto, una domanda del genere non può che
avere una risposta consona con quella che da l'Autore: se
cerchi un vantaggio non lo avrai! D'altronde tale affermazione
ha le caratteristiche evangeliche che Gesù proclama
quando descrive il rapporto tra il Padre e l'uomo con le
"scandalose" parabole del figliuol prodigo (Lc 15,11ss) o degli
operai dell'ultima ora (Mt 20,1ss): né il figlio
maggiore né gli operai della “prima” ora
avranno un vantaggio per la loro fatica rispetto al figlio
minore o a gli operai dell' “ultima” ora appunto
(ma non per questo non avranno tutto comunque, anche se non
è un tutto che li porrà in vantaggio rispetto ai
fratelli).
Se già nell’AT tale mentalità
“commerciale” nei riguardi di Dio, che vede un
punto nodale nel sacrificio (il sacrificio di animali da
compiersi al Tempio) viene criticata, essa viene completamente
scardinata da Gesù che mostra di non essere venuto nel
mondo a modificare l'oggetto di questo rapporto sacrificale con
Dio (nel senso che prima si sacrificava qualcuno o qualcosa e
da Gesù in poi sono io a sacrificarmi, compiendo
determinate azioni o "buone azioni"), ma ad abolire il
sacrificio, a dichiarare nullo questo rapporto di scambio con
il Padre e riportarlo alla verità primordiale già
affermata fin dalla creazione in Genesi (Gen 3), la
gratuità dell’Amore (Giovanni mostra bene tale
concetto quando nella purificazione del Tempio descrive
Gesù che caccia non solo i mercanti ed i cambiavalute ma
anche tutti gli animali che servivano per i sacrifici, cfr.Gv
2,14-16).
Il problema serio è di capire che con Dio non si
può avere questo atteggiamento, non possiamo cercare di
rubargli l’amore che Lui vuole donarci, dobbiamo invece
renderci conto della realtà di questo mondo (che la
Bibbia proclama contro la mentalità di questo mondo):
che tutto proviene da Dio, che la realtà è una
benedizione di Dio, che noi viviamo perché investiti
continuamente e costantemente (con una fedeltà a noi
sconosciuta) da questa benedizione piena che ci permette di
vivere (a tutti, buoni e cattivi, cfr. Mt 5,45ss), tutto
riceviamo da Dio e gratuitamente (cfr Rm 11,33ss) solo per
amore, un amore che ci previene e sorpassa. Questo amore
gratuito che è alla base della realtà in cui
viviamo scardina dalle fondamenta qualsiasi mentalità
commerciale nel rapporto con Dio e determina una inevitabile,
cruda ma vera risposta negativa alla domanda di Qoèlet:
quale vantaggio ne ho? Nessuno! Non possiamo pensare di
faticare (leggi amare) per averne un profitto; l’amore o
è libero e gratuito o non è amore!
Se Qoèlet nel porre le domande è influenzato da
una mentalità che distorce la realtà, tuttavia
nella visione critica della vita mostra la sua saggezza ed
anche riconoscendo con una enorme sincerità
intellettuale che non vengono particolari vantaggi sugli altri
dalle fatiche che l'uomo compie sotto il sole, sapientemente
afferma che questa fatica è riconosciuta da Dio,
è fatta davanti a Dio e gradita a Dio, in questa fatica
ci sono già i suoi doni, c'è già la
benedizione di Dio (e non contro gli altri o rispetto agli
altri) e soprattutto che dobbiamo saperne godere appieno oggi,
concretamente, è un dono, una benedizione per la nostra
vita e deve essere accolta per renderla bella e piacevole
(2,24ss; 3,13; 5,18; 9,7ss):
Non c'è di meglio per l'uomo che mangiare e bere e godersela nelle sue fatiche; ma mi sono accorto che anche questo viene dalle mani di Dio. Difatti, chi può mangiare e godere senza di lui? (Qo 2,24-25)
Così tra le righe del Qoèlet emerge un inno alla gioia con un ammonimento per coloro che non sapranno goderne appieno:
Stà lieto, o giovane, nella tua giovinezza, e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù.
Segui pure le vie del tuo cuore e i desideri dei tuoi occhi.
E sappi (però) che su tutto questo Dio ti convocherà in giudizio (Qo 11,9)
(La traduzione CEI vede la presenza di un avversativo - "però" - che manca in traduzioni più recenti, cfr L. Mazzinghi. La Sapienza di Israele, Oscar Mondadori, Milano 2000).
Questa gioia nasce dal riconoscere i doni di Dio sulla nostra vita e pone l'uomo nella dimensione che più gli è propria, quella della festa e del ringraziamento:
Và, mangia con gioia il tuo pane, bevi il tuo vino con cuore lieto, perché Dio ha gia gradito le tue opere.
In ogni tempo le tue vesti siano bianche e il profumo non manchi sul tuo capo.
Godi la vita con la sposa che ami per tutti i giorni della tua vita fugace, che Dio ti concede sotto il sole, perché questa è la tua sorte nella vita e nelle pene che soffri sotto il sole (Qo 9,7-9).
Se Qoèlet tiene costantemente un occhio fisso sulla terra, ai beni materiali che dobbiamo imparare a godere sotto il sole, l'altro occhio è sempre rivolto al cielo, a Dio. La cifra teologica che usa il Qoèlet per rendere questo saper godere alla presenza di Dio, sotto il suo sguardo, è quella del Timore di Dio che non è mai il terrore ma semplicemente la percezione della Sua presenza accanto a noi, del Suo sguardo benevolo su di noi (Qo 3,14; 5,6; 7,18; 8,12; 12,13).
Conclusione del discorso, dopo che si è ascoltato ogni cosa: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo per l'uomo è tutto. (Qo 12,13)
Con queste precisazioni le affermazioni che dà il Qoèlet appaiono meno scandalose ed anzi ci ricordano che il saper godere della vita davanti a Dio, dei doni che continuamente riceviamo da Lui, ci avvicinerà alle leggi che la sua Sapienza ha imposto a questo mondo e non potrà che farci compiere un passo in più nella Verità.
In ogni tempo le tue vesti siano bianche e il profumo non manchi sul tuo capo.
Per altri articoli e studi sulla Bibbia presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici