Trascrizione della conferenza tenuta da padre Giulio Albanese il 24.11.2000
Non vi nascondo che il tema è faraonico anche perché solo parlare di missioni
sarebbe lunghissimo. Parlare di missione significa parlare innanzitutto e soprattutto della vocazione cristiana e di
una vocazione a 360°, ad intra e ad extra, vale a dire dentro le mura della propria realtà parrocchiale,
ma anche fuori le mura. Non mi riferisco solo all'Italia, ma anche a quei paesi del sud del mondo, paesi distanti
geograficamente da noi, ma, in un mondo-villaggio globale, paradossalmente tanto vicini.
Vivere la missione significa annunziare Gesù Cristo e testimoniare il Vangelo: queste sono le due vie
principali della missione, dice Giovanni Paolo II nella Redemptoris Missio, vale a dire annunciare la buona notizia,
ma innanzitutto e soprattutto testimoniarla. Poi naturalmente ci sono delle vie intermedie: il Papa parla di
solidarietà, parla di dialogo, parla di promozione e sviluppo. La verità però è che noi
viviamo in un mondo molto diverso da quello in cui è vissuto Gesù Cristo duemila anni fa. Infatti, se
è vero che ci sono ancora dei denominatori comuni (le ingiustizie c'erano al tempo di Gesù, le
ingiustizie ci sono anche oggi; c'era gente buona e santa ai tempi di Gesù, sicuramente anche oggi in mezzo a
noi ci sono persone che sono animate da valori cristiani e da principi buoni e sani), la verità è che
il contesto in cui Gesù si muoveva era di fatto anni luce distante dal nostro, perché in duemila anni
di storia molte cose sono cambiate. E' cambiata la geografia, è cambiata la dislocazione dei popoli, le
culture sono mutate - ma mutate profondamente - e sono avvenute delle rivoluzioni, anche di tipo tecnologico.
L'ultima, che tutti conosciamo, è quella di Internet. La rivoluzione digitale è una rivoluzione che per
certi versi ha avuto degli effetti molto più forti, per certi versi - direi - anche drammatici, rispetto ad
altre precedenti rivoluzioni, come per esempio la scoperta della macchina a vapore. Quando penso a quello che
Internet rappresenta come strumento, dico che è davvero un grande prodigio, uno dei traguardi tecnologici
più alti che l'umanità abbia mai raggiunto. Che poi in Italia questo non lo abbiamo ancora capito,
è un altro discorso. Perché non abbiamo capito che cos'è la rivoluzione digitale: se fino a ieri
ragionavamo in atomi, oggi ragioniamo in bit e la differenza è sostanziale. Dice Negroponte: “Gli atomi
pesano, i bit non pesano” e ancora di più “Gli atomi costano, i bit non costano”. Qualcuno
dirà: “Devo pagare l'accesso ad Internet”, ma questo significa molto poco. La verità
è che c'è una linea di separazione netta fra ieri e oggi.
Di fronte a tutto questo scenario, noi, come cristiani, come ci poniamo?
Io direi che il dato più interessante su cui noi cristiani dobbiamo interrogarci è questo: esiste di
fatto oggi una frattura fra nord e sud del mondo? Questo è il primo dato importante su cui come cristiani
dobbiamo riflettere: esiste una frattura fra nord e sud del mondo, tra paesi ricchi e paesi poveri. Naturalmente il
discorso nord e sud non va inteso semplicemente come categoria geografica, ma è una categoria innanzitutto e
soprattutto esistenziale. C'è un nord del mondo potente, c'è un sud del mondo estremamente povero e
depresso. Non è una categoria geografica perché il rapporto nord-sud paradossalmente ce l'abbiamo anche
qui in Italia, ce l'abbiamo anche qui a Roma, c'è addirittura negli Stati Uniti. Ad Atlanta, in Georgia, ci
sono dei quartieri dove i bianchi non entrano e dove c'è una miseria indicibile, che per certi versi non fa
assolutamente invidia o concorrenza a quella che si può trovare a Nairobi, eppure siamo negli Stati Uniti.
Da un certo punto di vista, però, questo discorso è anche geografico, perché, se dovessimo fare
un confronto fra l'Europa e l'Africa, risulta chiaro l'abisso che divide questi due mondi. Papa Giovanni Paolo II in
un'enciclica uscita nell'88, la “Sollicitudo rei socialis”, diceva che c'era un abisso che cresce di
giorno in giorno che separa il nord benestante dal sud povero. Se quello era vero a metà degli anni '80, a
maggior ragione è vero oggi. La cosa interessante è che con il crollo del muro di Berlino non ci sono
più tre mondi, ma ce ne sono due. Quella tripartizione che c'era fino all'89, oggi non c'è più.
Prima c'erano le grandi potenze industrializzate del blocco occidentale, i paesi dell'est, e poi c'era il grosso
contenitore dei paesi non allineati che rappresentavano il sud del mondo povero, depresso, in via di sviluppo. Con il
crollo del muro di Berlino noi abbiamo i paesi industrializzati e il resto del mondo. E il divario tra nord e sud,
ripeto, cresce di giorno in giorno.
Io vi porto solo qualche cifra perché alla fine queste sono le cose significative: un bambino in Uganda
consuma 5000 volte di meno di un bambino italiano, a livello di calorie. Quello che un insegnante riceve in Uganda di
stipendio oscilla fra le 20 e le 25 mila lire al mese. Si potrebbe pensare che in Uganda il costo della vita non
è minimamente paragonabile con quello in Italia. Non è vero: ad esempio, un casco di banane, che serve
a sfamare una famiglia per una settimana, in Uganda costa 15 mila lire. E' evidente quanto sia difficile sbarcare il
lunario.
Quali sono innanzitutto le ragioni che determinano questo abisso tra il nord e il sud del mondo? Questo aspetto ci
coinvolge direttamente perché riguarda la solidarietà.
Cos'è il Vangelo se non innanzitutto e soprattutto un atto d'amore verso il prossimo? Leggiamo negli Atti
degli apostoli: “C'è più gioia nel dare che nel ricevere”. E' la regola d'oro del
cristianesimo. Però la verità è che se guardiamo alla geografia economica, oggi, purtroppo,
questo non è assolutamente vero. Quali sono le ragioni? Innanzitutto la verità è che questi
paesi del sud del mondo, come lo Zambia, il Kenya, il Perù, la Bielorussia, (che geograficamente non è
nel sud del mondo, ma lo è di fatto, guardando all'economia nazionale) hanno tutti un grosso flagello, che
è quello del debito.
Questi paesi, intorno agli anni '70, hanno acquistato una grande quantità di beni di consumo, importanti,
anche a livello tecnologico, e poi non sono stati in grado di restituire i soldi che avevano ricevuto in prestito da
parte dei paesi del nord del mondo. Gradualmente si sono indebitati e questo indebitamento è cresciuto con la
crisi petrolifera.
Questi paesi da anni non fanno altro che restituire questo debito, ma fanno addirittura fatica a star dietro agli
interessi. La verità è che se il nord del mondo ha dato al sud dieci lire, il sud del mondo in questi
anni ha già restituito mille lire. Se il nord del mondo ha dato 10 lire in aiuto, loro ci hanno già
restituito mille lire per ogni dieci lire. Il principio su cui si regge la regola degli interessi, è un
principio da strozzinaggio vero e proprio. E' qualcosa di delinquenziale che purtroppo viene legittimato
dall'establishment mondiale. Questi paesi per restituirci gli interessi, svendono le loro risorse, soprattutto le
loro risorse naturali.
Vediamo di scendere al concreto. Se voi andate in una torrefazione, quanto pagate un chilo di caffè? 20 o
30mila lire. Dipende dalla miscela, dalla tostatura. Cinque mesi fa ero nel nord Uganda, dove si produce moltissimo
caffè. Incontro un contadino e gli chiedo a quanto vende il caffè che produce. Lui mi risponde che
prima lo vendeva al governo, adesso, invece, il governo non lo vuole più e lo deve vendere ai privati,
cioè alle multinazionali europee. Il prezzo è di 280 lire al chilo. E poi noi mandiamo la Signora
Fanfani a portare aiuti ai bambini che muoiono di fame in Ruanda. Abbiamo la Croce Rossa che dice: “Aiutiamo i
bambini in Ruanda che muoiono di fame”. Questa è ipocrisia.
Non è finita qui. Chiedo sempre allo stesso contadino se nel suo campo le uniche coltivazioni sono di
caffè. Mi risponde che i suoi fratelli coltivano cotone. Se voi andate in una farmacia quanto pagate una
confezione di cotone? 4000, 2000 lire? Dipende dal tipo di cotone, se è trattato o non è trattato.
Sapete che significa raccogliere un chilo di cotone? Lì non c'è il sistema di raccolta meccanico come
nelle piantagioni americane, lì spiluccano piantina per piantina, sotto il sole. Lo possono fare dalle sette
alle dieci del mattino, poi riprendono alle tre e mezzo, quattro del pomeriggio fino al tramonto perché stando
sull'equatore c'è il sole che picchia, 45° all'ombra. A quanto lo vendono? 260 lire al chilo. E poi noi
diciamo: poverini quei bambini col pancione grande che muoiono di fame, fanno tanta tenerezza!! Vedete
l'ipocrisia?
Quando si parla di commercio mondiale, la verità è che questi paesi hanno delle risorse indicibili e
vengono sfruttati, inutile nasconderselo. Qualcuno potrebbe dire: “E' vero che questi paesi del sud del mondo
hanno contratto i debiti, è vero che vengono sfruttati, ma la colpa è soprattutto loro perché
sono primitivi”. Questi sono i ragionamenti che si fanno, lasciatemelo dire... Questo discorso lo contesto.
Non vi nascondo che prima di andare in Africa avevo una mentalità abbastanza occidentale, abbastanza
colonialista, cioè nutrivo nei confronti degli africani sentimenti di grande compassione e partivo dal
presupposto ideologico che era un popolo sottosviluppato, bisognoso di aiuto. Poi mi sono reso conto, vivendo
lì, che non è affatto vero: questi potrebbero essere paesi ricchissimi, potrebbero stare meglio di noi.
Nonostante tutto quello che si dice, sono in una situazione non di colonialismo, ma di neo-colonialismo. Si potrebbe
obiettare che i loro uomini politici sono corrotti. E' noto che Daniel Arapmoi, in Kenya, possiede molti miliardi,
addirittura ce ne ha tantissimi nelle banche svizzere. La verità è che Daniel Arapmoi, come tanti
presidenti padroni dell'Africa e non solo dell'Africa (perché Fujimori in Perù è meglio?), tanti
presidenti di questi paesi non sono stati eletti dagli abitanti. Gli africani non li hanno votati, non li hanno
nemmeno scelti. Sono lì perché i paesi occidentali hanno deciso così. Il signor Daniel Arapmoi
è un bandito, un criminale, uno che meriterebbe il Tribunale Internazionale per tutte le persone che ha
eliminato, soltanto che, siccome è gradito agli Stati Uniti, è gradito ai paesi occidentali, incluso il
governo italiano, che in tutti questi anni ha fatto affari sporchi soprattutto sulla costa, questo signore rimane al
suo posto a spadroneggiare. Ma lui, presidente, non è paladino degli interessi della gente, dei kenyani. Lui
è paladino di interessi che con quel paese, quella gente, non hanno niente a che spartire. Non so se riesco ad
esprimere il concetto adeguatamente.
Mobutu Seteseko è stato il peggior presidente nella storia dell'Africa, direi nell'epoca post-coloniale.
Questo personaggio per ben 34 anni ha regnato, come presidente-padrone, nell'ex-Zaire, oggi Repubblica Democratica
del Congo. Sapete perché è stato per così tanti anni al potere? Perché gli Stati Uniti,
la CIA lo hanno sempre considerato loro fedele alleato durante la guerra fredda. A questo riguardo ci sono molti
rapporti, anche ufficiali. Cyrus Vance, ex segretario di stato americano, ebbe la spudoratezza di dire una volta qui
a Roma, nel corso di un summit NATO: “La nostra alleanza con Mobutu è imbarazzante ma necessaria”.
La verità è che Mobutu ha ammazzato, scannato una gran quantità di gente. Immaginate che era in
grado di pagare sette volte, con i soldi che aveva in Svizzera, il debito estero contratto dal suo paese. Sette
volte. Questi soldi peraltro non si sa che fine abbiano fatto. Però questo presidente è rimasto
lì fin quando lui non ha fatto un errore: ha scaricato gli Stati Uniti e si è alleato con l'Europa, con
la Francia. A quel punto gli Stati Uniti l'hanno visto come il fumo negli occhi e hanno deciso di eliminarlo.
Improvvisamente, dal '95 al '96, diventa un cattivo presidente. La stampa internazionale, soprattutto quella filo
americana, filo occidentale, dice che è un dittatore, un assassino. Fino a quel momento era stato bravo,
però, nel momento in cui cambia la geografia degli interessi, diventa cattivo.
Ma ve lo voglio dire subito, non è solo colpa degli americani. Gli europei fanno esattamente lo stesso: il
problema riguarda il rapporto nord/sud.
Vi ho portato l'esempio di Mobutu Seteseko; ve ne potrei portare tanti e tanti altri.
L'egemonia giapponese in Africa è qualche cosa di delinquenziale. Il presidente Yoeri Musereri, soprattutto
nei primi anni della sua presidenza, ha fatto affari a bizzeffe facendo un'alleanza con tutte le principali case
automobilistiche giapponesi, che esportavano gli scarti di produzione in Uganda. In Uganda era facile comprare una
macchina: bastavano quattro-cinque milioni per una macchina di grossa cilindrata. Qual'era l'imbroglio, la truffa? I
pezzi di ricambio non si trovavano, non erano importati, non c'era la catena di manutenzione: se si rompeva la
macchina bisognava rubare i pezzi di ricambio dalle altre macchine. Naturalmente questo era un imbroglio: qual
è la società automobilistica che decide di impiantare, di trasferire un punto vendita in un altro paese
e non mette l'assistenza, non dà la possibilità di trovare i ricambi? Nessuno lo fa, perché a
quel punto nessuno comprerebbe più quelle macchine. Ma siccome eravamo in Africa, Yoeri Musereri glielo ha
permesso. Naturalmente il presidente Yoeri Musereri s'è messo in tasca la sua mazzetta. Pensate che Yoeri
Musereri era un marxista-leninista, oggi lo chiamano Mister Coca Cola, talmente è diventato amico dei paesi
occidentali.
Quindi quello che voglio sottolineare è questo: che in questi paesi del sud del mondo, i politici, la classe
politica in generale non guarda al bene comune, alla res publica, ma guarda innanzi tutto agli interessi propri,
interessi che con quella terra, quel paese, hanno ben poco da spartire.
Potrei portarvi altri due esempi che mi sembrano molto eclatanti.
Il primo è quello del niobio. Voi avete mai sentito parlare del niobio? E' un minerale, in chimica, nella
scala degli elementi, credo sia il 41. In America, ma anche in Inghilterra, alle donne piace molto: è una
pietra favolosa con i colori dell'arcobaleno. Ma non è tutto: il niobio serve fondamentalmente a due cose. In
lega col titanio è il miglior superconduttore al mondo. Per esempio: i circuiti elettrici dello Shuttle, del
Columbia, sono fatti di lega niobio/titanio. Non solo, la Nasa e l'Ente Spaziale Europeo usano il niobio per saldare,
per assemblare i vari componenti dei satelliti. In sostanza, lo shuttle, il Columbia, tutti i satelliti che girano
intorno al mondo, tutti i loro componenti sono messi insieme, assemblati grazie al niobio che riesce a resistere a
temperature elevatissime. Quanto costa il niobio? Un grammo costa tra i 15 e i 17 dollari, quindi un chilo tra i
15.000 e i 17.000 dollari. Quindi costa più di altri minerali, più dell'oro per esempio. Dov'è
il più grande giacimento di niobio nel mondo? E' nel Congo, nel parco di Virunga, in un piccolo villaggio che
si chiama Lueshe. Ironia della sorte. Quando c'era Mobutu, chi aveva il monopolio di questo grande giacimento?
Inizialmente gli americani, poi i francesi e poi, quando Mobutu è caduto in disgrazia, se lo sono ripreso gli
americani. Sapete quanto viene dato per ogni chilo di niobio all'ente congolese che gestisce questa miniera? Se il
prezzo reale è di 17.000 dollari al chilo, quanto viene dato all'ente che gestisce la miniera? 12 dollari al
chilo. E poi noi mandiamo gli aiuti ai bambini del sud del mondo, mandiamo la Croce Rossa, le ONG, la cooperazione
internazionale, i missionari che vanno a sfamare i bambini che muoiono di fame .
Vi rendete conto che c'è qualcosa che non funziona? Il rischio che noi corriamo, lasciatemelo dire come
sacerdote, come missionario, non come giornalista, è di fare come il ricco epulone che guardava il povero
dall'alto verso il basso. Ve lo ricordate il ricco epulone? Stava seduto a tavola e mangiava, mangiava, si riempiva
la pancia, e a Lazzaro, che stava morendo di fame e gli chiedeva qualcosa da mangiare faceva cadere le briciole. E'
quello che facciamo noi, quando facciamo le offerte per le missioni. Noi facciamo cadere le briciole.
La parola di Dio ci mette in crisi, perché dice che il ricco epulone è finito all'inferno. E questo io
lo dico provocatoriamente. Questo ci dovrebbe mettere seriamente in discussione, perché il modus vivendi che
conduciamo oggi - anche se poi in fondo, da parte nostra, c'è desiderio di cambiare - è esattamente
quello del ricco epulone e non ce ne rendiamo conto perché tutti facciamo parte di quel sistema. E' in questo
senso che la comunità cristiana deve, a mio avviso, essere militante, vigilante. Non possiamo rimanere
indifferenti di fronte a queste tragedie, di fronte a queste porcherie, che inevitabilmente interpellano la nostra
coscienza. Interpellano la nostra coscienza di credenti.
Qualcuno potrebbe dire: ”Ma io concretamente cosa posso fare di fronte a questo scenario? E' vero, questi
paesi sono sfruttati, ci sono dei meccanismi che vanno ben al di là di noi, per esempio la questione del
debito. Allora noi che cosa possiamo fare? Io in fondo devo pagare l'ICI, l'IRPEF, l'ILOR, faccio già fatica a
sbarcare il lunario con la mia famiglia, come posso pretendere di risolvere questo problema, il rapporto nord-sud.
Come posso vivere la solidarietà?
Mi permetto di darvi quattro suggerimenti, quattro piste di lavoro, soprattutto a livello parrocchiale, a livello
comunitario.
Primo: la nostra deve essere una preghiera orientata soprattutto e innanzitutto ai poveri. Tante volte noi preghiamo
perché il Signore benedica nostro marito, nostra moglie, i nostri figli. Proviamo a mettere al primo posto
coloro che ci sono lontani. Se crediamo che la preghiera è la prima forma di apostolato, se crediamo davvero
che la giustizia è la giustizia planetaria, se crediamo nella forza della preghiera, al primo posto mettiamo
la vedova, l'orfano, lo straniero. Ricordiamoci le parole di Isaia: vedova, orfano, straniero. E' un atteggiamento
interiore che dobbiamo coltivare. Non preoccupiamoci solo del vicino, ma preoccupiamoci del lontano. Cerchiamo di
avere coscienza che viviamo nell'epoca della globalizzazione, in un mondo-villaggio globale, in cui se pure io non
conosco un uomo, non l'ho mai visto, quello è mio fratello. E' un atteggiamento interiore che va coltivato. Lo
dico ai genitori, ma lo dico anche ai giovani perché questi sono discorsi che in famiglia bisognerebbe
fare.
Secondo: informazione. Tutte le cose che ho detto, insomma, in una maniera o nell'altra si leggono da qualche parte.
Non possiamo solo leggere la Gazzetta dello Sport. Sapete qual'è il giornale più letto in Italia? La
Gazzetta dello Sport. Questo vi dice che cos'è il popolo italico. Almeno in Francia, in Germania, in altri
paesi, leggono sicuramente di più. In Italia al di là della Gazzetta dello Sport non andiamo.
L'italiano medio legge la Gazzetta dello Sport. Qual'è il settimanale più venduto in Italia? TV Sorrisi
e Canzoni. E' la verità! Famiglia Cristiana era al terzo posto, adesso è scesa al sesto posto. E' la
verità! Qual'è il programma più visto in televisione? Sapete qual'è? Il Grande Fratello.
E' la verità! Molte persone che conosco, (non sto parlando di analfabeti) la definiscono una trasmissione
“interessante, una nuova forma di comunicazione”. Questa è la verità! Se stanno continuando
a trasmettere Il Grande Fratello è perché c'è tanta gente che lo guarda e c'è tanta gente
che viene pure a Messa la domenica che lo vede. Questa è la tragedia. Sono pochi i sacerdoti che dicono dal
pulpito che è peccato vedere quelle idiozie. E' più peccato vedere Il Grande Fratello che commettere
atti impuri.. E' il primo atto impuro. La verità è che la nostra cultura italica è molto
provinciale e provinciali sono i direttori delle nostre testate italiane. Prendete la pagina Esteri di un giornale
come Repubblica o il Corriere della Sera. Se provate a leggere Le Monde, Le Figaro, avrete quattro cinque pagine da
sfogliare. Prendete il Corriere della Sera o Repubblica: Lady Diana, Carlo, le nozze di Carlo, la principessa
Carolina. Questa è la pagina Esteri italiana: una cronaca rosa, di bassa lega. La cronaca esteri si riduce
alle elezioni americane o al massimo al rapimento di qualche italiano in Africa o in America Latina, qualche turista
che per caso è incappato nei briganti. Non sto dicendo bugie, è la verità. Però è
anche vero che oggi esistono strumenti come Internet, ma non solo, ci sono comunque pubblicazioni, le famose riviste
missionarie, per esempio, che sono delle finestre aperte sul mondo e che vi fanno conoscere delle realtà che
come cristiani abbiamo il sacrosanto diritto di conoscere.
L'informazione per il cristiano è un dovere. Io credo che quando facciamo la lista dei peccati e andiamo a
confessarci, dovremmo avere il coraggio di metterci un pochino in discussione. In genere quando ci confessiamo
facciamo un po' come i bambini. Facciamo la lista della spesa: “Ho detto le parolacce, sono stato cattivo, sono
arrivato in ritardo a messa”. Le solite sciocchezze. Invece cominciamo a mettere in discussione il nostro modus
vivendi: “Quanto tempo dedico per la mia lettura, per la mia formazione culturale, perché possa sentirmi
cristiano nel mondo, cattolico davvero, cittadino del mondo?”. Non leggere è peccato! E' peccato.
Scusate se dico queste cose, però è la verità. I vescovi italiani, la CEI, hanno fatto una
scelta alcuni anni fa. Il progetto culturale è davvero la cosa più intelligente e più importante
che i vescovi italiani potessero dirci. Se viviamo in un mondo-villaggio globale, se vogliamo davvero essere sale
della terra, luce per il mondo, dobbiamo leggere. E dobbiamo leggere non solo i fatti di casa nostra, ma avere
davvero un'apertura a 360°, uscire fuori le mura. Perché, quando io comincio a conoscere la realtà
dello Zambia, e comincio a capirla in tutte le sue sfaccettature, certamente il mio atteggiamento nei confronti di
quella realtà cambia. E ancora: quando io conosco le capacità culturali di questi paesi, il mio
giudizio nei loro confronti cambia.
In Africa, per esempio, non succedono solo disgrazie. Avete mai sentito parlare del Festival del Cinema Africano?
No. Perché noi abbiamo la RAI –Radiotelevisione Italiana che è una truffa, come la Fininvest e
tutte le altre, inclusa Telemontecarlo. Vi fanno vedere Il Grande Fratello, trasmettono le telenovelas, che vi
incollano al video anche per innumerevoli puntate. Ci sono altri avvenimenti culturali. A Ouagadugu ogni due anni
c'è il Festival del Cinema Africano. Ouagadugu è la capitale del Burkina Faso. Ebbene a Ouagadugu,
credetemi, vengono presentate delle pellicole che sono stupende, favolose, ma di cui nessuno parla. Gli africani la
considerano la loro Hollywood. La RAI! Figuratevi se manda una troupe a Ouagadugu. La RAI manda una troupe in Africa
se c'è lo sbarco dei marines in Somalia, se c'è il genocidio in Ruanda, se c'è Ebola, se
c'è un fatto cruento da raccontare. Ci manca la capacità di saper cogliere il bene che ci viene da
questi paesi. Perché guardate che di fermenti positivi dall'Africa, dal sud del mondo, ce ne sono a
bizzeffe.
Avere un'apertura culturale significa anche documentarsi su queste realtà. Quante volte il giudizio nei
confronti degli africani è un giudizio tribalista, perché siamo noi ad essere ignoranti. Ancora oggi
noi nel nostro linguaggio usiamo parole che dimostrano la nostra goffaggine. Quante volte parliamo di
“tribù”. Tribù! Già, le tribù africane! Allora voi spiegatemi: i
“badanga” in Uganda sono 9 milioni. Gli svizzeri sono quattro milioni. I badanga sono una tribù,
gli svizzeri non sono una tribù. Quello che succede nell'ex Jugoslavia non è tribalismo? O quello che
succede in Lombardia o in altre regioni italiane non è tribalismo? E' tribalismo solo quello degli africani!
Nessuno pensa che il termine tribù è un termine coloniale, sprezzante, studiato apposta in un certo
periodo storico, perché non abbiamo la cultura. E' per questo che a mio avviso davvero dovremmo leggere: uno
quando legge, si documenta, allarga i suoi orizzonti, acquista una forma mentis: l'educazione alla
mondialità.
Quali possono essere gli strumenti? In Internet c'è un universo di informazioni. La MISNA, è
un'agenzia in Internet, gratuita, che vi dice ora per ora quello che succede nel sud del mondo. Ora - è chiaro
- qui c'è una selezione di notizie. Però certamente se andate a leggere la MISNA, troverete, nel 99,9%
dei casi, notizie che certamente non troverete sul Resto del Carlino, sul Corriere della Sera, su Repubblica, su
Grazia, su Novella 2000. Questo piano editoriale è un piano che va contro tendenza. Eppure questo è un
modo per dare voce al sud del mondo. E io credo che questo sia un nostro impegno. Credo debba essere inevitabilmente
un nostro impegno.
Quindi dicevo preghiera, dicevo informazione. Il terzo aspetto è quello, a mio avviso, della
solidarietà. Dicevo prima: non facciamo come il ricco epulone. Come ci laviamo la coscienza? Raccogliamo le
offerte e poi le mandiamo in missione. E' una cosa bella, è un gesto nobile. Le offerte, l'elemosina sono un
gesto nobile. Ma per carità se la nostra solidarietà finisse lì… Mettiamo in discussione
il nostro modus vivendi.
I vescovi italiani, all'inizio degli anni '80, avevano coniato uno slogan molto bello: “Contro la fame, cambia
la vita”. Allora: vuoi fare la carità, ti vuoi impegnare ad aiutare l'orfanotrofio di Riima in Ruanda, o
vuoi impegnarti ad aiutare le donne della cooperativa alla periferia di Lima in Perù? Benissimo, fallo, ma
metti in discussione innanzitutto il tuo modus vivendi. Cioè tu non puoi sentirti con la coscienza a posto
perché hai fatto l'offerta. L'offerta che noi facciamo nei confronti di questi paesi è un segno della
nostra solidarietà, è un segno di cambiamento, è un segno efficace del nostro farsi prossimo. Ma
non può finire lì. Mettiamo in discussione il nostro modus vivendi. In che modo? Guardate che qui
iniziative ce ne sono a bizzeffe.
Bisogna mettere in discussione innanzitutto il nostro personale stile di vita: noi viviamo in una società
consumistica, quella dell'usa e getta. Un esempio: ultimamente sono andato a far visita a una famiglia di carissimi
amici a cui è nato un bambino. Ha 8 mesi, non sa ancora camminare, non sa parlare. La sua stanza è un
parco giochi. Quando saprà camminare o quando parlerà, cosa dirà, cosa potrà desiderare?
Ha già tutto, la bicicletta, lo scivolo e così via. Mi spiegate che cosa può desiderare quel
bambino? I nonni, i genitori gli fanno solo del male: quello è consumismo, quello è materialismo,
nient'altro. Quel bambino a otto anni, anzi, a quattro anni, avrà il telefonino. E allora il genitore
dirà: “Ma se ce l'ha anche il figlio del mio vicino, come fa mio figlio a essere inferiore?”
La solidarietà cristiana, la comunione, l'essere comunità cristiana passano attraverso le scelte che
le famiglie fanno su questi temi. Non si tratta semplicemente di mandare i propri figli a catechismo. Non so se
riesco a spiegarmi. Dieci famiglie che vogliono vivere veramente il Vangelo, si mettono in discussione su questi temi
e prendono l'iniziativa di non comprare beni di consumo ai propri figli, perché amano i loro figli e non
vogliono prostituirsi al dio denaro. Invece tutto quello che fanno è mandare i figli a ricevere la Cresima
tutti insieme. Cosa bellissima, ma se la nostra solidarietà finisce lì, c'è qualcosa che non
funziona. In questo modo diventiamo schizoidi: da una parte c'è la chiesa, la sagrestia e dall'altra
c'è la vita vissuta all'insegna di questo vitello d'oro... La verità è che siamo tutti adoratori
di false divinità.
Rimettiamo in discussione su queste cose il nostro stile di vita. Ad esempio le vacanze. Un tempo dove si andava a
fare il viaggio di nozze? Se non si avevano quattrini si andava a Napoli, altrimenti si andava a Londra. Adesso si va
alle Seychelles!! Magari non si sa dove si trovano le Seychelles, però ce l'hanno consigliato. Oppure si
sceglie il Messico, lo Yucatan!! Non si può andare a fare le vacanze, che dico, in Svizzera, perché
dobbiamo spendere più di quello che guadagniamo. Questa è la logica.
E poi parliamo di solidarietà. Si spendono un sacco di quattrini, non ci rendiamo conto che seguiamo solo la
moda, la tendenza del momento. La volete l'ultima? Halloween. Quando ero bambino volevo le zucche e non le trovavo,
adesso vado dal tabaccaio e trovo la zucca. Ma che c'entra la zucca? E si vedono tutti i bambini che vanno in giro
vestiti, con cose strane in testa, perché adesso hanno introdotto l'Halloween, che è l'ennesima
bestialità imposta dalle multinazionali, le quali, pur di vendere, si inventano una festa dopo l'altra. E noi
l'accettiamo passivamente; non basta il Natale, perché a Natale non vendono abbastanza; non basta la Pasqua
con le colombe, se ne inventano ancora un'altra. Non bastava il carnevale, ne facciamo due. E naturalmente tu vedi la
mamma, che va a passeggio con la nonna, che va a passeggio col bambino; si fermano davanti alla vetrina, entrano e
comprano il cappellino per Halloween perché bisogna aspettare le streghe. Si sono inventati un'altra festa e
noi li seguiamo.
Scusate se dico queste cose in modo provocatorio, però io credo che sia arrivato il momento di dire basta.
Svegliamoci, altrimenti è inutile che andiamo a Messa la domenica; prendiamo in giro il Padreterno. Se il
Vangelo è radicalità, se il Vangelo è solidarietà con i poveri, se il Vangelo è
passione per Dio, è passione per Gesù Cristo, amore per il prossimo, qualcosa deve cambiare.
Mettiamo in discussione il nostro modus vivendi, facciamo questi discorsi, parliamo di commercio equo e solidale,
cerchiamo di spendere meno, ma cerchiamo di difenderci insieme. Qualcuno mi dirà: “Ma, padre, io questi
discorsi li faccio in famiglia, ma i miei figli non mi ascoltano”. Perché non mettiamo insieme quattro,
cinque, dieci famiglie, che insieme portano avanti le stesse scelte educative? La parrocchia è qui per questo,
i preti sono qui per questo. Delle famiglie che decidono di portare avanti itinerari educativi sulla
mondialità, sulla solidarietà, sul cosiddetto futuro sostenibile. E' certo che se una famiglia fa
questi sforzi da sola, prima o poi si sente frustrata, i figli vanno a scuola e imparano tante altre cose. Ma se le
famiglie si mettono insieme, qualche cosa si può fare di diverso. E poi, comunque, questi discorsi bisogna
affrontarli, altrimenti è inutile parlare di solidarietà con i paesi del terzo mondo, rischiamo davvero
di essere ipocriti. A che serve mandare diecimila, centomila, duecentomila lire in Africa? A che serve, quando il mio
stile di vita è anni luce distante da questo, quando il mio stile di vita fa sì che certi crimini
continuino ad essere perpetrati in Africa? Perché la verità è che, se noi spendiamo mille lire
per una tazzina di caffè, poi in effetti chi paga di più non siamo noi: è quel povero
disgraziato che in Uganda coltiva il caffè ricevendo quattro lire.
Allora vi rendete conto che siamo all'interno di un circolo vizioso. Mettiamo in discussione il nostro modo di
vivere, anzi, non pensiamo che questi discorsi debbano rimanere chiusi dentro le mura della nostra casa, tiriamoli
fuori. Quando andiamo ad eleggere qualcuno, dai nostri politici, dalla nostra classe politica, certi discorsi
esigiamoli. In Italia abbiamo una classe politica molto provinciale, ma l'abbiamo provinciale perché i primi
ad essere provinciali siamo noi italiani. Se noi abbiamo certi politici è perché ce li meritiamo.
Cerchiamo di portare avanti una cultura diversa: politici che amino la res publica, il bene comune; e il bene comune
non è solo quello di casa mia, non è neppure il marciapiede che sta di fronte a casa mia, ma ben
oltre.
Il fenomeno migratorio di questi terzomondiali che vengono da noi in fondo che cos'è? La missione che viene a
noi! E' vero, ma è soprattutto e innanzitutto un segnale del malessere che c'è in questo villaggio
globale. I fenomeni migratori, checché se ne dica, non li ferma nessuno. La storia dell'umanità ce la
dice lunga: è caduto l'Impero Romano per le migrazioni. Chi erano i barbari? Erano i terzomondisti di oggi,
erano i “vo' cumprà” di oggi. E hanno fatto cadere l'Impero Romano; ci sono voluti duecento anni,
trecento, ma poi è caduto. E allora il problema qual'è? E' che io mi devo aprire, mi devo mettere in
discussione, ma non in un atteggiamento pietistico, il paternalismo è sempre deleterio.
L'ultima cosa: dicevo preghiera, dicevo informazione, dicevo solidarietà. Gesù dice “La messe
è tanta ma gli operai sono pochi”. Noi sacerdoti interpretiamo sempre le sue parole con la nostra
deformazione professionale. L'operaio deve essere per forza un prete o una suora. Quando Gesù dice “La
messe è tanta ma gli operai sono pochi”, l'operaio, dicono i Padri della Chiesa, è il battezzato.
Il problema non è che non ci sono preti, il problema è che non ci sono battezzati, i veri battezzati,
cioè quelli che fanno davvero i cristiani, quelli che testimoniano il Vangelo, quelli che vanno contro
corrente. E quindi dobbiamo pregare il Signore che in mezzo a noi ci siano davvero battezzati, gente che vive la
santità.
La santità missionaria che intendo io, che poi è quella che intende il Padre Eterno, innanzitutto e
soprattutto non è da intendere come categoria morale. Per noi il santo è il bravo, il buono, il
virtuoso, quello che non dice le parolacce. Non è questo quello che dice Gesù nel Vangelo: se prendiamo
la Scrittura, il termine esatto in ebraico è kadosh. Kadosh significa santo in ebraico. Traducendolo in
italiano letteralmente significa “totalmente altro, diverso” (non vorrei essere frainteso). Diceva
Sant'Agostino: “Hai capito? Allora non è Dio”. La santità è qualche cosa anni luce
distante da noi. Cioè, paradossalmente Dio è totalmente altro, è totalmente diverso, è
totalmente diverso da quella che è la nostra condizione umana. Ora quando Gesù dice che noi siamo santi
per vocazione, siamo tutti santi grazie al battesimo, a questa chiamata, è perché nel nostro piccolo
anche noi siamo chiamati ad essere diversi. Usando il linguaggio evangelico, siamo chiamati ad essere segni di
contraddizione. Il santo è un segno di contraddizione, è uno che va contro corrente, è un
rivoluzionario nel nome di Dio, non è un conformista. Questa è la santità. La santità non
è quella della persona col giglio in mano e con l'aureola in testa. Quante statue di questo genere abbiamo
nell'iconografia ecclesiastica! Non sono questi i santi. I veri santi possono anche dire le parolacce, però
vanno contro corrente, rischiano la vita, sono martiri. Se voi leggete San Paolo, nelle sue lettere ci sono certe
sfuriate! Se non dice le parolacce San Paolo, poco ci manca. Gesù diceva ai farisei “razza di
vipere”, “sepolcri imbiancati”. Se noi dovessimo tradurre in italiano corrente queste espressioni,
non so se verrebbero fuori delle parolacce, ma ci saremmo vicini. Gesù ha preso a tortorate, a frustate i
mercanti nel Tempio, li ha cacciati via. Questo è stato un atto di forza da parte di Gesù. Ha perso la
pazienza. Ma perché? Perché i missionari, i cristiani, i battezzati, se sono segno di contraddizione,
andando contro corrente, devono comunicare la passione per la missione alla gente. Il battezzato non è un
ebete, non è un candelabro, è un guasta feste nel nome di Dio. Dico questo perché le nostre
comunità in genere sono brave comunità, però spesso viviamo proprio in letargo. La frontiera, la
militanza ci fanno paura. Uno, se fa il cristiano, non dorme sonni tranquilli.
In sostanza la morale qual'è? Vogliamo vivere la solidarietà nei confronti di questi paesi del sud del
mondo? Mettiamo in discussione il nostro modus vivendi, cerchiamo soprattutto di vivere facendo riferimento alla
nostra fede, che è la cosa più preziosa, è il bene più grande che il Signore potesse
offrirci.
Voglio farvi un altro esempio. Vi posso parlare degli anticoncezionali? L'opinione comune è che basterebbe
insegnare agli africani i metodi perché non mettano al mondo troppi figli. Nella nostra cultura occidentale,
(il problema di fondo è sempre quello, ragioniamo sempre con la nostra testa) partiamo dal presupposto che,
siccome hanno tanti figli, sono poveri e vogliamo risolvere il problema della povertà, diminuendo il numero
dei figli. Chiudiamo il rubinetto, così il problema è risolto. Il problema qual'è? In Africa ci
sono circa 600 milioni di abitanti. La superficie del Sud Africa è di 2 milioni e mezzo di Km quadrati. Il
Kenya è sei volte l'Italia. Ha 23-24 milioni di abitanti. Qualcuno dirà che lì è diverso,
perché ci sono vaste estensioni che sono deserto. La verità è che l'Africa è enorme e ci
sarebbe ancora posto per altra gente. Ma io sono il primo a dire che se il numero dei figli è eccessivo, il
problema è reale. Se sei già affamato e hai venti figli da sfamare è diverso; se ne avessi
dieci, potresti condividere con più gente quello che hai, il pane che hai.
Io però porto sempre un piccolo esempio che per me è emblematico. Scusatemi, torniamo sempre al
discorso della solidarietà. Nello Stato di New York, nel 1962, ci fu un black out, faceva freddo, era inverno,
per tre giorni gli americani erano rimasti dentro casa, non c'era la corrente, soprattutto non c'era il
riscaldamento, non c'era la televisione, il più grande anticoncezionale al mondo. Cos'è successo? Gli
americani sono rimasti dentro casa, che cosa potevano fare? Era l'unica cosa che gli rimaneva da fare; fuori non
potevano andare, stavano chiusi dentro casa. C'è stato il baby boom. Gli ospedali erano pieni zeppi, non
sapevano come fare per tutti questi bambini. Una cosa incredibile: mai nati tanti bambini!! Il baby boom. Allora, il
ragionamento che faccio è questo: se in America c'è stato il baby boom perché è mancata
la corrente per tre giorni, cosa dire dell'Africa dove non manca la corrente solo per tre giorni? Capite quello che
voglio dire? Volete risolvere i problemi dell'Africa? Alzate il tenore di vita. Il problema non è procreare
meno figli perché è l'unico piacere che hanno! Bisogna dirle queste cose. E' inutile essere puritani.
E' l'unica cosa che gli rimane. Il problema è un altro. Vogliamo risolvere il problema? Alziamogli il tenore
di vita. Vi ricordate prima della guerra quanti figli avevamo? Poi c'è stato il boom economico degli anni '60
e abbiamo cominciato ad averne di meno. E oggi che succede? Se una coppia ha un bambino, è un evento
bellissimo. Se ne ha due, è straordinario, il Guinness dei primati. Se ne ha tre, quello non era stato proprio
programmato. Questa è la mentalità: si programma tutto, si programma il teatro, si programmano i figli,
le vacanze, si programma tutto. Ma le cose non stanno così. Vogliamo fargli avere meno figli? Alziamogli il
tenore di vita.
A me viene da ridere, quando pensiamo di risolvere il problema mandandogli gli anticoncezionali. Non si risolvono i
problemi in questa maniera. Vogliamo risolvere il problema demografico? Facciamo stare meglio questi paesi,
investiamo di più. Non facciamo come Agnelli, o tante altre multinazionali. (Dico Agnelli, perché la
FIAT appartiene a questa razza) Vanno in Algeria, vanno in tanti paesi e cosa fanno? La mano d'opera la pagano
quattro soldi e fanno il contratto con il governo locale: per venti anni il 70% delle entrate vanno a loro e il
restante 30% al paese, poi fra vent'anni, trent'anni, quarant'anni, quando quelle tecnologie saranno spazzatura e non
serviranno più, saranno regalate. Questi sono i progetti di cooperazione allo sviluppo che a mio avviso
davvero gridano vendetta al cospetto di Dio. Il Signore abbia misericordia.
Perdonatemi se ho parlato troppo.
Domanda:
Missione è evangelizzare: in questo caso il sud del mondo. Perché ancora ci sono persone che non
conoscono Gesù. E' importantissima per questo la rievangelizzazione dei paesi del nord del mondo, proprio
perché mancano di una coscienza ben formata. Quindi anche formando, riformando, rievangelizzando il nord
può aiutare, perché si possa avere un atteggiamento diverso sul problema.
p.Albanese:
Gesù nel Vangelo dice che siamo sale della terra e luce del mondo. Dovremmo esserlo! Però il problema
di fondo qual è? E' che c'è una sproporzione tra il sale e gli alimenti, tra il lievito e la massa. La
missione non è una questione di quantità, è questione di qualità. La missione consiste
nel coniugare il sale con la pasta, il lievito e la massa. Noi vorremmo trasformare tutto in sale, tutto in lievito.
Guardate l'Italia: li abbiamo battezzati tutti - per quanto riguarda battesimi e funerali siamo a posto. Per il resto
invece… Aggiungiamo pure le prime comunioni! E poi fino al funerale non li vedi più. Li vedi forse una
volta a Natale, ogni tanto. Eppure siamo tutti cattolici apostolici romani. Il problema qual'è? Quello che
dovremmo sapere è che la scelta cristiana è innanzitutto e soprattutto una scelta di qualità.
Gesù non si è tirato dietro la legione straniera, aveva solo dodici uomini. Seguire Gesù esige
innanzitutto e soprattutto un impegno da parte della comunità ad essere segno di contraddizione. Non sono i
numeri che qualificano il nostro essere chiesa, ma la qualità della testimonianza. Un pizzico di sale riesce a
dare sapore alla società, alla massa. Un pò di lievito riesce a far fermentare la massa, a farla
crescere.
Quello che dobbiamo capire è qual'è la realtà che dobbiamo trasformare, qual è la massa.
E' il nostro paese, la nostra società. Dico questo per quale motivo? Perché purtroppo da questo punto
di vista, a mio avviso, siamo ancora troppo arroccati su quelli che erano i criteri tradizionali della missione,
quelli dei numeri. Poi, alla fine, ci rendiamo conto che, in effetti, queste cifre dicono tutto e dicono niente.
Lo dico con il massimo rispetto: il fatto che ci siano stati due milioni di giovani qui a Roma, in quei giorni di
agosto, dice tutto e dice niente. Non sono quelli che qualificano, assolutamente! Il fatto che a Roma siano venuti
dieci milioni o cinquanta milioni di pellegrini non significa assolutamente che la missione sia OK. Questi possono
essere segnali di speranza, certamente, ma non sono queste moltitudini che qualificano la missione. Cioè noi
non possiamo sentirci a posto, perché il giorno della beatificazione di padre Pio c'era piazza San Pietro
strapiena. Io il giorno di padre Pio ho provato una grossa pena: mi sono fermato all'autogrill sul raccordo anulare,
e alla cassa c'era la statuetta di cioccolata di Padre Pio. Il giorno della beatificazione di padre Pio, hanno
inventato persino la sua statuetta di cioccolata! Io credo che lui dal cielo si sarà ribellato. Capite quello
che voglio dire: è la qualità del nostro servizio, del nostro impegno, della nostra testimonianza che
ci rende graditi a Dio e io non vedo assolutamente contrapposizione tra la missione dentro le mura e fuori le mura.
Se uno vive con un respiro missionario a 360° vive la missione ad gentes anche qui. E inevitabilmente questa
comunità genera missionari ad gentes. Come è anche vero che se una chiesa è davvero missionaria
nel sud del mondo inevitabilmente pensa ad uscire fuori le mura. Siamo noi comuni mortali che vediamo la
contrapposizione fra questi due schemi: Gesù Cristo aveva in mente solo una missione, a tutti. Le genti le
abbiamo sotto casa oggi.
(N.d.R. Quando si parla di “missione ad gentes”, si usa questa forma latina per dire “alle
genti”, quindi “le genti lontane”, i lontani)
Domanda:
Non mi spiego come, abbassando il nostro livello di vita, aumentiamo quello degli abitanti del sud del mondo. A me
sembra che il problema a monte sia proprio di informazione. Perché non si diffondono queste notizie?
p.Albanese:
E' vero quello che lei dice: l'informazione effettivamente è strategica, direi che è il vero grande
potere del nostro tempo. Il problema è che per riflettere sull'informazione anche qui ci vorrebbero delle ore.
Perché l'informazione non è né dei giornali, né delle radio, né delle televisioni,
ma delle agenzie. E questo non lo sa nessuno, perché il lettore comune pensa che le informazioni siano date,
per esempio, dal Corriere della Sera. Il Corriere della Sera ripropone, cambiando soggetto, verbo e complemento,
quello che ha scritto l'ANSA o che ha scritto la REUTERS. Quelle immagini che voi vedete al telegiornale, non le ha
girate l'operatore della RAI, quelli sono pacchetti di immagini messi sul circuito internazionale e comprati dalla
RAI, fatti dalla REUTERS o dalla ASSOCIATED PRESS. Non so se riesco a spiegarmi. Sono le agenzie le vere signore
dell'informazione. Il problema è che questi mezzi di informazione così potenti, così micidiali,
appartengono a quegli stessi signori che agiscono nel sud del mondo. Mi spiego meglio perché queste cose
bisogna capirle.
Avete mai sentito parlare della De Beers? Cito Famiglia Cristiana, pagina 10, mese di maggio, Festa della Mamma:
“Regala un diamante alla tua mamma. De Beers”. Ironia vuole che il mese dopo sono andato in Sierra Leone,
dove vado spesso. Il Signore vuole che io incontri i ribelli del RUF che sono i più terribili che ci sono in
Africa. Ho trascorso tre giorni con loro, perché nel frattempo volevano sequestrare dei missionari e li hanno
sequestrati, ma mi è andata bene E' stata un'esperienza interessante: abbiamo parlato per tre giorni. Poi ho
scritto, ho mandato anche un rapporto alle Nazioni Unite. Sono stato l'unico giornalista che li ha incontrati per tre
giorni e li avevo già incontrati l'anno prima. Tre individui di undici-dodici anni, con il bazooka più
alto di loro, e anche qualcuno più grandicello. Ho parlato con il loro capitano, un certo Vanni, e io gli ho
chiesto perché facevano questa guerra. Lui mi ha risposto: “Per abbattere il governo.” “Ma
chi vi aiuta?”. “I diamanti”. “Ma le armi chi ve le dà?”. “Noi gli diamo i
diamanti e loro ci danno le armi”. “Ma chi ve le dà le armi?”. “Quelli a cui noi diamo
i diamanti”. “Lo so, ma chi sono?”. E questo poverino era tutto tormentato, poi alla fine mi ha
risposto. “Te lo dico, se tu non li fotografi, non lo scrivi”. “Guarda - gli ho detto - io non lo
so se non lo scrivo, però ti prometto che non li fotografo”. Erano i mercanti libanesi che stanno sul
confine fra Guinea e Sierra Leone. Allora incontro uno di questi mercanti libanesi che mi guarda e dice:
“Immagino che lei sia un missionario”. Era evidente dalla croce che portavo. E dice: “Padre, noi
qui aiutiamo questo popolo”. Non sapevo come dirglielo che lo sapevo, ma credo che con quel sacchetto che aveva
in mano, si sarebbero potuti risolvere i problemi della Cassa del Mezzogiorno. Alla fine, dopo la mia promessa di non
fotografare, di non raccontare nulla, ammette: “Li vendiamo a De Beers”. Poco importa che poi i ribelli
del RUF siano dei bambini. La De Beers è un'organizzazione a delinquere. Quei diamanti grondano sangue e io lo
dico perché l'ho visto. Se c'è qualcuno che può contestare questo, lo invito a venire con me in
Sierra Leone, poi ne parliamo. Qualcuno della De Beers si è permesso di dire che mi querela. Venite con me in
Sierra Leone e poi mi querelate. Vi faccio parlare con i ribelli. Hanno la spudoratezza di dire che i diamanti della
Sierra Leone rappresentano l'1% della produzione mondiale. L'1%?! Escono a tonnellate. Lì i diamanti sono
talmente tanti che ci sono queste pietre enormi che sono dei cristalli. Quando tu li vedi, sembrano dei diamanti
giganti e li usano come “foundation stones”. Noi, a casa nostra, li metteremmo lì in soggiorno, ma
ce ne sono talmente tanti….
La Sierra Leone l'anno scorso nella scala dei paesi era il paese più povero del mondo, era all'ultimo posto.
Ci sarà una ragione. La De Beers, siccome ha tanti quattrini, ha defraudato questa gente. Hanno la REUTERS,
hanno una partecipazione alla ASSOCIATED PRESS. Come pretendete che le grandi agenzie ne parlino male? Me lo
spiegate? Tu vai lì e dici che la De Beers è un'organizzazione a delinquere. Ti rispondono: “Ma
è il mio editore”.
Domanda:
A chi appartiene Avvenire?
p.Albanese:
Alla Chiesa cattolica
Domanda:
E allora perché la Chiesa cattolica, che sa queste cose, non le pubblica? Ma io, com'è che queste cose
qui non le leggo?
p.Albanese:
Le scrive, le scrive! Lo legga tutto, molte cose le scrive. Ma anche l'Osservatore Romano le dice. Soltanto che il
problema è: chi lo legge l'Avvenire? L'Avvenire ha un bacino d'utenza molto limitato, ma dico anche di
più e lo dico da missionario. Sono il primo a difendere la stampa cattolica, però dico che dobbiamo
anche entrare nella stampa laica. Un esempio concreto: Radio Maria. Io sono il primo a dire che Radio Maria dice
delle cose belle, ma - lo dico con molto rispetto - è la radio meno missionaria che ci sia sulla faccia della
terra. Perché quando uno di Rifondazione Comunista sente Radio Maria, la spegne? Perché è un
linguaggio per quelli che vanno in chiesa, è un linguaggio da sacrestia.
Il problema è che dobbiamo usare dei linguaggi che ci consentano di accostare anche quelli che non vanno in
chiesa, anche quelli che la pensano diversamente, poco importa se la pensano come Berlusconi o come D'Alema. Si deve
dialogare con questa società. Se invece si cominciano a fare dei discorsi che innescano il pregiudizio, non si
annuncia il Vangelo. La nostra è una pastorale da sacrestia. Non so se mi riesco a spiegare. In questo senso
io dico che dobbiamo evangelizzare il mondo laico.
Nei tre-quattro mesi che ho trascorso in America, ad Atlanta, lavorando alla CNN, stupivo i miei colleghi
giornalisti perché ero un prete. Erano scioccati perché non avevano mai visto un prete in redazione.
Tra l'altro non potevo mettere la crocetta, perché era un segno confessionale. Mi sono accorto che quella era
una realtà da evangelizzare e mi sono reso conto che quella è terra di missione. E' inutile che io mi
lamenti che alla General Motors, o alla Ford, o alla Pirelli o alla stessa Fiat si perpetrano vessazioni indicibili,
ingiustizie. Noi cristiani stessi siamo latitanti Queste realtà le dobbiamo evangelizzare. Non possiamo
pensare che dobbiamo evangelizzare solo l'oratorio o solo la chiesa: dobbiamo evangelizzare la società, e
bisogna che certi valori che noi coltiviamo, certe nostre convinzioni, le affermiamo. La verità è che i
primi a non essere convinti siamo noi che andiamo a messa la domenica.
E poi ancora, io sono convinto che, come cristiani, come battezzati, siamo chiamati alla coerenza. Questo è
il problema fondamentale: se fossimo più coerenti, le cose andrebbero sicuramente meglio.
Torniamo al discorso del Vangelo e della solidarietà. La solidarietà può diventare un business.
Adesso spero di non scandalizzarvi con questo esempio: voi date 100 lire alla Croce Rossa, ma quante di queste 100
lire vanno a finire ai bambini che muoiono di fame? 99 lire servono per pagare la struttura e 1 lira serve per pagare
il progetto. Non dico bugie; andate a chiederlo a Ginevra. Loro vi dicono: “Noi destiniamo ai progetti 11
miliardi e 400 milioni. Quegli 11 miliardi e 400 milioni sono l'1% del loro budget complessivo. Il peggiore di tutti
questi enti è l'UNESCO. Gli americani hanno deciso di non finanziarli più perché l'UNESCO, se ha
a disposizione cento lire, ne spende centodieci. Sono sempre in passivo. Il migliore è l'UNICEF: voi gli date
cento lire e loro ne spendono 75 per gli stipendi e 25 per i progetti. Non parliamo dell'ACNUR, l'Alto Commissariato
per i Rifugiati delle Nazioni Unite, perché altrimenti vi faccio star male. Allora ecco quello che fanno
queste organizzazioni, ma loro questo non ve lo diranno mai, perché, se ve lo dicono, voi non darete
più una lira. Ho chiesto a dei giornalisti perché non scrivevano queste cose. Mi hanno risposto che
loro ogni anno fanno la campagna per l'UNICEF, per i bambini che muoiono di fame. Li avete mai visti gli articoli sui
giornali? Voi sapete che il 10% di quello che viene raccolto va al giornale? Lo sapevate? No! E' logico quindi che
non parlino male dell'UNICEF. Il problema è che la solidarietà oggi è diventata un business. Non
potete immaginare che business è il Kosovo che sta qua vicino. E abbiamo le ONG che sono diventati degli
sciacalli. Sarebbero le Organizzazioni Non Governative che dovrebbero essere nate per la solidarietà
internazionale, per la cooperazione allo sviluppo. Che cosa fanno? Mandano i “cooperanti”. Sapete chi
sono i cooperanti? Un tempo si chiamavano volontari: andavano sul luogo, due mesi, sei mesi. Adesso si chiamano
cooperanti, hanno lo stipendio. Sapete quanto guadagnano i cooperanti, che sarebbero i nuovi volontari? Almeno 5.000
euro al mese (10 milioni di lire).Queste cose non si leggono sui giornali. Se volete vi faccio il nome delle ONG ma
non le voglio screditare. Allora perché dico queste cose? Le dico perché qui c'è qualcosa che
non funziona.
Ci sono moltissimi disoccupati in Italia che hanno trovato così un'occupazione. Facevo il padre spirituale
dei cooperanti a Nairobi, venivano per tre mesi, sei mesi, facevano un'esperienza di solidarietà
internazionale, realizzavano il progetto finanziato dall'Unione Europea. Il progetto che rimaneva una cattedrale nel
deserto. Perché poi che continuità c'è? Che coinvolgimento c'è da parte della
comunità locale?
Non me la prendo solo con le ONG, perché non crediate che poi tante volte i missionari non facciano anche
loro lo stesso. C'è davvero da mettersi in discussione. La verità è che la solidarietà
sta diventando un business e io questo lo dico con molta schiettezza e su questo dobbiamo essere molto vigilanti. Non
bisogna fare di tutta l'erba un fascio, sono il primo a dirlo, ma dobbiamo anche usare dei principi e dei criteri su
come destiniamo i soldi. Se dobbiamo fare delle offerte, facciamo delle offerte intelligenti. Conosci un missionario
che lavora nello Zambia? Una struttura ospedaliera? Non dare i soldi così tanto per darli, non darli
genericamente, affidali sempre per un progetto mirato e cerca di accompagnarlo. Non so se riesco a spiegarmi. Io sono
il primo a dire: “Aiutiamo anche le ONG”. Ci sono delle ONG in Italia che hanno fatto la scelta di andare
contro tendenza: invece di farsi dare i soldi solo dal Ministero degli Affari Esteri, gli ex-volontari, quelli che un
tempo erano stati in missione, se ne vanno in giro durante le feste, a Natale, a Pasqua nelle parrocchie, nelle
comunità, fanno le raccolte di fondi, sensibilizzano le comunità cristiane. Le ONG non devono ricevere
aiuti e sostentamenti soltanto dallo Stato, dall'Unione Europea, perché altrimenti che organizzazioni non
governative sono? Vi rendete conto di che cosa sono le Organizzazioni Non Governative? Avete capito che cosa sono? Le
ONG sono organizzazioni che aiutano i paesi del terzo mondo, a fare corsi, a fare le scuole. Chi dà i soldi
alle Organizzazioni non governative? I Governi. Ma allora che Organizzazioni Non Governative sono? Con i soldi che
gli arrivano dall'Unione Europea, con i soldi che gli arrivano dal Ministero degli Esteri, che Organizzazioni Non
Governative sono? Anche perché, poi, devono fare i rendiconti e a chi li devono presentare? Al Ministero degli
Affari Esteri, non alla comunità cristiana o comunque ad un ente indipendente. E che Non Governativi sono?
Piuttosto facciamo sì che queste strutture abbiano il sostegno anche dallo Stato, dai Governi, perché
una partecipazione è certo utile. Il fatto che i nostri governi stanzino dei soldi per la cooperazione
è positivo, ma le ONG devono trovare anche altre forme di sussistenza. Per esempio c'è lo SVI di
Brescia, che è stata una delle prime ONG in Italia. Gli ex-volontari di questa ONG, dato che non possono
più tornare in missione perché hanno famiglia - sono sposati - alla domenica, a Pasqua, a Natale, vanno
in giro per le parrocchie, nelle comunità, le animano. Il 40% dei loro progetti viene finanziato attraverso
queste attività, queste iniziative di animazione. Io lo trovo molto positivo, perché coinvolge la
comunità. Il ragazzo che parte non è un impiegato; la solidarietà non la possiamo ridurre a
questo.
Io credo nella cooperazione, però il mondo della cooperazione va nettamente rivisto perché così
com'è non va avanti.
Domanda:
Volevo sapere se Lei è al corrente del Commercio Equo e Solidale.
p.Albanese:
E' una bella cosa, è una bella iniziativa. L'esperienza del commercio equo e solidale è educativa, ma
non possiamo pensare che in Italia questo tipo di commercio si imponga più di tanto. Ha un significato
educativo. Il fatto che una famiglia sappia, che una massaia sappia, che una mamma sappia, che un papà sappia
che c'è una bottega del commercio equo e solidale, diventa anche un'esperienza educativa nei confronti dei
figli. E il fatto che faccia uso di questi prodotti è importante. Certo non possiamo pensare che le regole del
commercio mondiale passino attraverso questo canale, sebbene ci siano stati dei governi, come quello olandese, i
quali addirittura hanno imposto che il 7% del commercio dall'estero sia commercio equo e solidale. Chissà se
ci arriveremo mai in Italia. Però io dico che è comunque un'esperienza significativa, educativa;
portare i nostri bambini in una bottega del commercio equo e solidale, significa fargli capire qual'è il
percorso che fanno certi prodotti. Io credo che siano iniziative da diffondere. E poi, se uno vuole fare un'offerta,
è molto più intelligente, da un certo punto di vista. Si potrebbe dire che il caffè del
commercio equo e solidale costa di più, ma si può rispondere che, invece di fare un'offerta per le
missioni, si spende di più perché si aiuta un povero disgraziato di contadino. L'importante è
che la rete del commercio sia davvero una rete seria, perché ci sono stati tanti che hanno un po' imbrogliato
su queste cose. Adesso in Italia ci sono varie reti, per esempio c'è CTM. Come tutte le cose era partito bene,
poi è diventata una faccenda un po' folcloristica. Quindi bisogna avere delle garanzie. Se io vendo questo
prodotto, devo avere la garanzia che poi questi soldi arrivano davvero al produttore, altrimenti a che serve tutto
questo sforzo? Se l'organizzazione a cui vi appoggiate è seria, dovreste avere tutte le garanzie,
perché voi non siete semplicemente dei venditori, siete parte di un sistema che vi vede davvero come
protagonisti. Però è chiaro che non possiamo pensare di risolvere il discorso dell'economia globale
attraverso il commercio equo e solidale. E' un'iniziativa, non ci montiamo la testa. Indubbiamente le regole del
commercio mondiale vanno cambiate. Questo - qualcuno dirà - è molto difficile. E' vero, sono il primo
ad ammetterlo. Però se non cambia il nostro sistema di fare economia, prima o poi la pagheremo anche noi,
perché quello che stiamo sperimentando oggi con la globalizzazione è che l'economia si sta rivelando un
boomerang, che si ritorce contro di noi. Il problema migratorio la dice lunga: se queste persone vengono qui dal sud
del mondo, è perché a casa loro non si mangia. Quindi è un problema che si riversa sull'economia
del nord del mondo, lo si voglia o no.
Non voglio sembrare troppo drastico sul discorso della cooperazione, ma spero di essere stato chiaro.
Domanda:
Portando Dio insieme all'aiuto, alla scuola, all'assistenza sanitaria forse si fa comunque pressione. Allora
è molto facile che in maniera non spontanea delle persone si avvicinino a Dio, perché io le aiuto!
p.Albanese:
Capisco perfettamente il discorso che fai. Io credo questo: la nostra autenticità sta proprio nella
capacità di dire quello che è scritto nel Vangelo: “La verità mi rende libero”. Se
noi ci sentiamo liberi interiormente, davvero facciamo il bene: ci esce fuori così, spontaneamente. Dobbiamo
essere noi liberi di fare il bene. Io credo che un missionario non vada in Africa ad aiutare i poveri per
convertirli. Questo discorso vale anche per l'Italia. Il missionario non converte nessuno. E' lo Spirito Santo che
converte i poveri. Quello che a noi viene detto è di rendere testimonianza alla Parola, di annunciarla, con
tanta semplicità. Qualcuno dirà che, di fronte alla fame, è chiaro che s'innescano meccanismi di
coercizione. E' per questo che noi dobbiamo essere, a mio avviso, molto esigenti. La storia delle missioni da questo
punto di vista è ricca di tanti episodi.
Mi ricordo quando ero in Uganda, nell'80. Un padre mi ha raccontato una storiella molto buffa: aveva scoperto che
c'era un certo John che aveva ricevuto il battesimo dodici volte. S'era fatto il giro di tutte le dodici missioni
dove si faceva somministrare battesimo, cresima e matrimonio; poi alla fine gli regalavano pantaloni e sapone. Non
gli pareva vero e aveva celebrato dodici matrimoni, dodici battesimi, dodici cresime. Soltanto che una volta questo
padre l'ha riconosciuto. E lui aveva già girato dodici missioni, cambiando dodici volte il nome. Visto che non
poteva usare fotografie o altri metodi di riconoscimento, a questo punto il padre, per evitare problemi, faceva come
la polizia, gli prendeva l'impronta per vedere di riconoscerli. In effetti questa logica, che poi è un po'
quella del bastone e della carota, è abbastanza diffusa.
In Uganda ho assistito ad una scena indimenticabile: il missionario che aiuta il lebbroso e alla fine della visita
gli regala la saponetta. C'era la fila. A un certo punto, il missionario, che era medico, dice ad un uomo: “Ti
devo dare una bella notizia: sei guarito!”. E quello si mette a piangere. Ho pensato che piangesse per la
commozione. No, non piangeva per la commozione, ma perché non era più lebbroso e quindi non riceveva
più i pantaloni, le saponette. Capite a che livelli si arriva certe volte. Questi sono meccanismi di
coercizione e su questo ci dobbiamo mettere in discussione.
Quello che dico è questo: la credibilità di quello che facciamo dipende innanzitutto e soprattutto
dalla nostra coerenza di vita. Ricordate quando prima vi parlavo di certi stipendi dei cooperanti? Io ho vissuto in
Africa tanti anni e posso dirlo. Se si va a Nairobi, ma non solo a Nairobi, anche a Kampala, si vedono cose che fanno
veramente venire la nausea: le case dei funzionari delle Nazioni Unite che sono delle ville con governanti, e
così via. Vanno a fare le missioni spendendo un'infinità di quattrini, ma quelli sono i soldi del
consumatore, della nostra povera gente, del contribuente.