Rassegna libraria Voci dalla Shoah |
Capitolo 11 - I Processi |
Christopher
R. Browing L'autore, stimolato dalle ricerche dello storico
Raul Hilberg, studia la
storia del Battaglione 101, chiamato all'improvviso a recarsi in Polonia per
la liquidazione dei ghetti. Il battaglione era composto da riservisti, non da
soldati nè da poliziotti, quindi da uomini meno militarizzati, più
comuni, più simili
a quelli che la guerra aveva lasciato nelle loro case in Germania, senza il
comando di recarsi al fronte. Le indagini ed il procedimento legale nei confronti del Battaglione
101 che durarono dieci anni (dal 1962 al 1972) e furono condotti dallo Staatsanwaltschaft
(Ufficio della Procura statale) di Amburgo, uno degli enti tedeschi più
efficienti e zelanti nelle investigazioni sui crimini nazisti. L'ufficio custodiva
ancora gli atti processuali relativi al caso, che io chiesi e ottenni di poter
esaminare. Sono uomini comuni che dettero
il loro contributo allo sterminio in Polonia, nel suo momento più caldo.
Alla metà di marzo del 1942, circa il 75-80 per cento di tutte
le future vittime dell'Olocausto era ancora in vita, mentre il 20-25 per cento
era morto. Undici mesi dopo, alla metà di febbraio del 1943, il dato
percentuale si era esattamente capovolto. L'apice dell'Olocausto, dunque, fu
raggiunto con una breve, intensa ondata di massacri. Il centro gravitazionale
di tali massacri fu la Polonia dove, nel marzo 1942, tutte le principali comunità
ebraiche erano ancora indenni, malgrado due anni e mezzo di avversità,
privazioni e persecuzioni terribili; undici mesi dopo, nei ghetti e campi di
lavoro ancora funzionanti, quelle stesse comunità non avrebbero contato
che pochi sopravvissuti.
Peter
Weiss Dal 20 dicembre 1963 al 20 agosto 1965 si svolse a Francoforte sul
Meno un processo contro un gruppo di SS e di funzionari del Lager di Auschwitz.
Così scrive Giorgio Zampa,
traduttore italiano dell'opera teatrale di P.Weiss.
Simon
Wiesenthal S. Wiesenthal,
sfuggito per tre volte alla morte, dedica la sua vita alla ricerca dei criminali
nazisti, perché ognuno sia condotto davanti ad un tribunale a rendere conto
del suo operato. Mettersi d'accordo per liquidare qualcuno in una strada di una città
del Sud America sarebbe stato facile, ma io non ho mai cercato questo tipo di
soluzione. Io ho sempre voluto i criminali davanti ai giudici, in tribunale, e
non nazisti trasformati in martiri. Peter Michael Lingens, scrivendo
il capitolo introduttivo del libro, dice, a proposito del problema del perdono:
Wiesenthal si è di continuo misurato - egli stesso lo chiama il
suo “passato non superato” - con il problema del perdono. Nel suo libro migliore,
Il girasole, egli descrive un'esperienza della guerra che solleva questa
questione con enorme forza autocritica. Egli era allora addetto ai lavori in un
ospedale militare. D'improvviso un'infermiera lo chiamò e lo condusse in
una camera mortuaria. L'uomo che lottava con la morte era delle SS. Egli afferrò
la mano di Wiesenthal e cominciò a confessare. Gli raccontò, spinto
dall'angoscia della morte, i delitti più orribili di cui si era macchiato
nei confronti degli Ebrei. Dopo aver finito, pregò il forzato ebreo che
era seduto in silenzio al suo capezzale, di perdonarlo. Wiesenthal si alzò
ed uscì. In seguito, cercò la madre del morto e a lei, che tutto
aveva perduto, tacque di quanto suo figlio aveva compiuto.
Simon
Wiesenthal Il testo è la trascrizione di una intervista
realizzata per la Televisione della Svizzera italiana.
Wiesenthal era stato chiamato per commentare il film
La scelta di Sofia. Il film solleva una serie di problemi che per me certamente con sono nuovi.
Mentre guardavo il film mi sono ricordato di un episodio della mia vita accaduto
nel campo di concentramento di Lunberg nell'autunno 1942. Era mattina,
c'era l'appello. Tutti dovevano presentarsi in fila per essere contati. Uno di
noi mancava e così si è cominciato a cercarlo in tutte le baracche,
ovunque. Senza successo. Ha dedicato la sua vita alla ricerca dei criminali nazisti ancora in vita, per
consegnarli alla giustizia. Guardi, per prima cosa, il mio migliore alleato
in questo lavoro, il motivo per cui ho potuto reggere così a lungo, è
che l'odio mi è estraneo. Se avessi avuto dell'odio avrei accusato degli
innocenti, non avrei fatto ricerche così accurate, due, tre volte. Quando
ero piccolo, a dodici anni, una volta feci un commento su qualcuno e mia nonna
mi disse una cosa che non ho mai dimenticato: “Simon - disse- ricordatelo per
tutta la vita, si può uccidere anche con la lingua. Prima di dire qualcosa,
prima di accusare qualcuno, rifletti bene”. E quando io decisi di mettermi con
gli americani e più tardi di fondare il mio centro, dissi a me stesso:
non esiste giustizia senza verità. Prima dobbiamo conoscere tutta la verità
e poi possiamo esigere giustizia. In tutti i casi che ho avuto, più di
1100, solo quattro persone mi hanno denunciato per calunnia: tre hanno perso il
processo, il quarto ha ritirato la denuncia. Se lei considera questo come 'summa'
del mio lavoro di quarantadue anni, vedrà che posso guardare in faccia
a tutti. Già allora sapevo che decine di migliaia di persone stavano solo
ad aspettare che io accusassi qualcuno senza avere argomenti. Il mio modo di procedere
mi ha procurato una grossa fiducia. Polizia, giudici e pubblico ministero sapevano
che se io sostenevo una cosa era fondata per quanto è umanamente possibile.
Spesso gli hanno posto una domanda, sempre la stessa: “Ma che senso ha punire ancora, dopo tanti anni?”. Punire è impossibile.
Ma io vorrei avere questa possibilità; deve essere di avvertimento ad altri.
Ogni tanto faccio un sogno, sempre lo stesso: mi vedo vicino ad un vecchio tribunale;
c'è l'emblema della giustizia, con gli occhi bendati e la bilancia. Io
dico al giudice: “Tolga la bilancia”. “Perché? - mi chiede - é qui
da cent'anni”. E io dico: “Perché questo simbolo la obbliga a dare una
sentenza equilibrata. Guardi questo ometto: ha ucciso solo cinquecento
persone. E' in grado di emettere una sentenza equilibrata?” “No, signor Wiesenthal
- mi dice - lei richiede l'impossibile!”. Nell'intervista si evidenzia ancora una volta la statura morale
ed intellettuale dei carnefici: Prendiamo Eichmann, per esempio: chi era? Una specie di contabile. Io ho scritto
un libro, La pratica Eichmann. Mi hanno detto che sono pazzo, perché
ho scritto che Eichmann non era un antisemita. E io dico: “E' vero, Eichmann
era uno strumento del partito e dell'ideologia, senza volontà propria,
e nel momento in cui indossava l'uniforme delle SS deponeva la sua coscienza,
se mai ne aveva una”. In questo libro ho scritto che se Hitler o Himmler gli avessero
dato l'incarico di sterminare tutte le persone il cui nome iniziava per P o K,
Eichmann l'avrebbe fatto anche se tra loro ci fosse stato suo padre. Era
antisemita quel tanto che gli bastava per eseguire il suo compito. Era assolutamente
privo di volontà. La gente continua a dire di non aver mai saputo nulla, per difendere
la rispettabilità della propria coscienza: Dicevo: “Voi c'eravate, non avete visto che i vostri vicini all'improvviso sono
spariti? A Vienna molte famiglie ebree avevano un cane, e so che molti si preoccupavano
del destino dei cani”. L'educazione dei giovani è il nodo perché non si
ripetano in futuro tragedie analoghe: Affinché fatti simili non avvengano più dobbiamo sapere una cosa:
le dittature, di destra come di sinistra, si reggono sui giovani. Guardiamo oggi,
quarant'anni dopo Hitler: i partiti democratici non hanno nessun programma
per i giovani. Guardiamo alla periferia, a destra e a sinistra: estremisti. Chi
sono? Giovani. Lasciare soli i giovani va a tutto vantaggio degli estremisti.
L'Olocausto lascia un segno indelebile per chi lo ha vissuto,
non termina i suoi effetti nefasti con la Liberazione. Uno continua ad esserci dentro, non si riesce mai più a provare una vera
gioia. Mi ricordo che una volta, a Los Angeles, il mio amico Zubin
Metha, il famoso direttore d'orchestra, mi invitò a un concerto.
Suonò un giovane pianista, bravissimo, e suonò Rachmaninoff,
il mio compositore preferito. Suonò in modo così meraviglioso che
a un tratto, durante il concerto, il pubblico spontaneamente si alzò in
piedi ad applaudirlo.
Hannah
Arendt Resoconto del processo di Gerusalemme ad Adolf Eichmann,
dopo il suo arresto in Argentina, su segnalazione di
Simon Wiesenthal. [Indice] |