Rassegna libraria Voci dalla Shoah

Capitolo 9 - Diari

Ianusz Korczak
Diario dal ghetto
Carucci, Roma, 1986

Korczak amava star sveglio lunghe ore durante la notte. Era l'occasione per ripensare al rapporto con i giovani dell'orfanatrofio e per scrivere i suoi appunti. Nelle prime pagine del diario rimedita il suo passato di pedagogo e di ebreo, per tornare subito al pensiero dei suoi bambini che dormono con lui nel ghetto.

La nonna mi diceva, dandomi l'uva passa: Filosofo.
Sembra che già a quel tempo avessi confidato alla nonna, durante un colloquio a quattr'occhi, il mio audace progetto di come trasformare il mondo. Bisognava eliminare il denaro. Nè più, nè meno. Come e dove gettarlo, e cosa fare in seguito, molto probabilmente io non lo sapevo, ma non si deve giudicare con troppa severità. Avevo allora soltanto cinque anni, ed il problema era particolarmente difficile. Che fare perché non ci fossero più bambini, sporchi, cenciosi, affamati, con i quali non era permesso di giocare in quel cortile dove, sotto un castagno, avvolto nell'ovatta e adagiato in una ex bomboniera di ferro, avevo sepolto il primo dei miei più intimi e cari amici, il solo allora defunto: un canarino.
La sua morte mi rivelò l'esistenza del misterioso problema della confessione religiosa.
Io volevo mettere una croce sulla sua tomba. La domestica aveva detto di no, perché si trattava di un uccello, cioè di un essere di molto inferiore all'uomo. Perfino piangere era già un peccato. Questo per quanto riguardava la domestica. Ma ciò che aveva detto il figlio del portinaio era ben peggio: il canarino era ebreo.
E anch'io lo ero.
Io ero ebreo, e lui polacco e cattolico. Lui ovviamente sarebbe andato in paradiso, mentre io, purché non dicessi parolacce e gli portassi docilmente lo zucchero rubato in casa, avrei potuto, dopo la mia morte, entrare in qualche cosa che non era propriamente l'inferno, ma dove ci sarebbe stato ugualmente molto buio. Ed io avevo paura del buio.
Morte-Ebreo-Inferno-Il nero paradiso ebraico. C'era di che riflettere.
Sono a letto. Il letto è al centro della stanza. I miei subinquilini: Monius il piccolo (abbiamo quattro Monius), Alberto, Jerzyk. Dall'altro lato, presso il muro: Felunia, Genia e Hanneczka.
La porta del dormitorio dei ragazzi rimane aperta. Ce ne sono sessanta.
Un po' più ad est, sessanta ragazze dormono il loro sonno più calmo.
Gli altri sono al piano superiore. E' maggio, e anche se fa freddo, i ragazzi più grandi possono dormire ancora nella stanza in alto.
La notte. Ho sulla notte e sui bambini che dormono delle annotazioni. Trentaquattro taccuini di appunti. Ecco perché ho tanto esitato prima di decidermi a scrivere le mie memorie.

Il Diario dal ghetto inizia nel maggio 1942. Si mischiano i tragici eventi del ghetto e le esigenze quotidiane della Casa degli orfani :

16 maggio 1942


O pace, sii benedetta.
N.B. La notte scorsa hanno fucilato soltanto sette ebrei, appartenenti alla cosiddetta Gestapo ebraica. Che cosa può significare ciò? Meglio non indagare. Lezione di un ora sui lieviti. Lievito di birra o da pane, fresco o in polvere. Quanto tempo deve fermentare? Quante dosi ogni settimana? Betabione. Vitamina B. Ne occorrerebbero cinque litri alla settimana. Come ottenerlo? Attraverso chi? E da chi?

Talvolta la riflessione si eleva a valutare il significato globale della esperienza pedagogica, a cui ha dedicato tutta la vita:


29 maggio 1942

Ieri c'è stato un forte vento e molta polvere. I passanti sbattevano le palpebre e si chiudevano gli occhi.
Riaffiora un momento del mio viaggio per nave: “Una fanciulletta è sul ponte, sullo sfondo il mare turchese. D'improvviso un forte colpo di vento. Ha chiuso gli occhi e li ha coperti con le mani, ma, curiosa, li socchiuse e... stupore! Per la prima volta nella sua vita un vento pulito. Non fa male agli occhi.
Ha provato due volte prima di crederci, e di appoggiare le mani sulla balaustra. E il vento accarezzava i suoi capelli e li lisciava. Con decisione ha aperto gli occhi. Ha sorriso esitante, stupita.
“Esiste dunque un vento senza polvere sporca, ed io non lo sapevo! Non sapevo che nel mondo c'è anche aria pulita. Ora lo so”.
Lasciando la Casa degli Orfani, un ragazzo mi disse: “Se non ci fosse stata questa casa, non avrei saputo che nel mondo ci sono uomini onesti, che non rubano. Non avrei saputo che si può dire la verità. Non avrei saputo che nel mondo esistono delle leggi giuste”.

Il 22 luglio comincia la liquidazione del ghetto. Czerniakow si suicida. Negli appunti del 27 luglio Korczak si dilunga in una confessione ad alta voce sull'importanza del suo sparecchiare la tavola insieme agli addetti alle mense del suo orfanotrofio.

27 luglio 1942

PERCHE' SPARECCHIO LA TAVOLA?
A volte do uno sguardo a come vengono distribuite le razioni supplementari, per vedere chi è seduto accanto all'uno o all'altro.
E tutto ciò mi fa pensare, giacche non faccio mai niente senza pensare, e questo lavoro di cameriere è per me utile, piacevole, interessante.
Ma questa non è la cosa più importante.
E' una cosa del tutto diversa. Ciò di cui ho spesso parlato e molto scritto a più riprese; un problema per cui combatto senza speranza di vincere, senza risultato evidente.
Eppure non posso e non voglio interrompere questa lotta.
Combatto perché nella Casa degli Orfani non ci sia più distinzione fra lavori delicati e lavori pesanti, intelligenti o stupidi, puliti o sporchi; lavori per signorinelle o per volgare gentaglia.
Non ci dovrebbero essere nella Casa degli Orfani, lavoratori addetti esclusivamente ai lavori fisici, o a quelli di concetto.
All'internato della via Dzielna si scandalizzano quando mi vedono stringere la mano alla donna delle pulizie, soprattutto quando sta lavando le scale ed ha le mani bagnate. Ma spesso mi scordo di salutare il dottor Hirshbraun, e non ho neanche risposto al saluto dei dottori Mayzner e Balaban.
Ho rispetto per i lavori onesti. Le loro mani sono per me sempre pulite ed apprezzo come l'oro i loro pareri.
Abbiamo avuto spesso come invitati la lavandaia e il portiere nelle nostre riunioni della via Krochmalna, e questo non per fare loro piacere, ma perché avevamo bisogno di loro come esperti e perché i loro consigli potevano essere di grande utilità.

Solo otto giorni dopo, tutti gli occupanti della Casa degli orfani saranno gassati a Treblinka.



Anne Frank
Diario
Einaudi, Torino, 1993

Il diario di Anne Frank va dal 12 giugno 1942 al 1 agosto 1944.
Il 4 agosto il capogruppo SS Karl Josef Silberbauer insieme a tre collaboratori olandesi arrestò gli otto rifugiati del nascondiglio segreto ed i loro due protettori. E' certo che i rifugiati furono traditi da qualcuno.
Furono trasferiti a Westerbork. Con l'ultimo convoglio che da qui partì il 3 settembre 1944 furono deportati ad Auschwitz. Anne, con un cosiddetto convoglio di evacuazione fu poi trasferita alla fine di ottobre a Bergen-Belsen, dove morì per un'epidemia di tifo in quell'inverno.
Il padre Otto Frank fu l'unico degli otto a sopravvivere ai campi di concentramento.
Questa edizione del diario è frutto del confronto fra la prima stesura e la revisione di essa, a cui la stessa Anne Frank aveva dato inizio nel suo rifugio.
Fu Miep Jies, la donna che aiutò la famiglia Frank in clandestinità, a ritrovare i diari di Anne ed a nasconderli qualche ora dopo l'arresto.
All'interno del terzo quaderno manoscritto ritrovato, Anne aveva annotato:

Sii gentile ed abbi coraggio!

Così Anne scriveva nel luglio 1944, 20 giorni prima di essere arrestata dalle SS:

Sabato 15 luglio 1944

Ecco che cos'è difficile in quest'epoca: gli ideali, i sogni e le belle aspettative non fanno neppure in tempo a nascere che già vengono colpiti e completamente devastati dalla realtà più crudele. E' molto strano che io non abbia abbandonato tutti i miei sogni perché sembrano assurdi e irrealizzabili. Invece me li tengo stretti, nonostante tutto, perché credo tuttora alla bontà dell'uomo.
Mi è proprio impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria e della confusione. Vedo che il mondo lentamente si trasforma in un deserto, sento sempre più forte il rombo che si avvicina, che ucciderà anche noi, sono partecipe del dolore di milioni di persone, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto tornerà a volgersi al bene, che anche questa durezza spietata finirà, e che nel mondo torneranno tranquillità e pace. Nel frattempo devo conservare i miei ideali, che forse nei tempi a venire si potranno ancora realizzare!

Tua Anne M.Frank



Etty Hillesum
Diario 1941-1943
e Lettere 1942-1943

La Hillesum, ebrea olandese, volle essere internata nel campo di transito di Westerbork, in Olanda, pur potendo evitarlo, per essere vicina alla sua gente. E' stato fortunosamente salvato il suo diario e sono state raccolte le lettere che è riuscita ad inviare dal Lager. Così scrive alla sua amica Maria Tuinzing :

(Westerbork) 10 luglio (1943)

Maria, ciao,
già diecimila sono partiti da questo luogo, vestiti e svestiti, vecchi e giovani, malati e sani - e io ero ancora in grado di vivere e pensare e lavorare e essere lieta. Adesso anche i miei genitori dovranno partire, se non questa settimana per virtù di un qualche miracolo, certamente la prossima - e io devo imparare ad accettare anche questo. Mischa vuole accompagnarli e mi sembra che debba farlo, perderà la testa se li vedrà partire. Io non lo farò, non posso. E' più facile pregare per qualcuno da lontano che vederlo soffrire da vicino. Non è per paura della Polonia che non voglio seguire i miei genitori, ma per paura di vederli soffrire. E dunque, anche questa è viltà.
La gente non vuole riconoscere che ad un certo punto non si può più fare, ma soltanto essere e accettare. Io ho incominciato ad accettare già da molto tempo, ma accettare si può solo per se stessi e non per gli altri, ed è per questo che sto passando un momento terribilmente difficile, qui. La mamma e Mischa vogliono ancora fare qualcosa e mettere il mondo sottosopra e io sono del tutto impotente di fronte al loro atteggiamento. Io non posso fare nulla, non l'ho mai potuto, posso solo prendere le cose su di me e soffrire. In questo sta la mia forza ed è una grande forza - ma per me stessa, non per gli altri...
Mischa vuole andare dal comandante e dirgli che è un assassino, dovremo tenerlo d'occhio in questi giorni...
Le mie preghiere non sono come dovrebbero. So bene che si deve pregare per gli altri nel senso che trovino la forza di sopportare ogni cosa. Invece io dico sempre: Signore, fa' che duri il meno possibile. E così sono paralizzata in tutte le mie azioni. Da un lato vorrei preparare i loro bagagli nel modo migliore, dall'altro so che tanto glieli porteranno via - ne siamo sempre più sicuri - e dunque perché darsi ancora tutta questa pena?


Si prodiga sempre più nel campo per alleviare le sofferenze altrui. Così scrive in un frammento non datato di lettera ad Han Wegerif ed altri amici:

(Westerbork, dopo il 18 agosto 1943)

Ma so bene che non posso parlare così a quelle giovani donne coi loro piccini, che probabilmente andranno diritti all'inferno su uno di quei nudi treni merci. E naturalmente mi risponderebbero: “Hai un bel dire tu, che non hai figli”, ma questo non c'entra proprio niente.
C'è una frase della Bibbia che mi dà sempre forza. Credo che sia all'incirca così: “Se tu mi ami, devi abbandonare i tuoi genitori”. Ieri sera, mentre dovevo di nuovo lottare duramente per non essere paralizzata dalla compassione per i miei genitori, ho visto anche questo: non bisogna lasciarsi consumare dal dolore e dalle preoccupazioni per la famiglia al punto da non provare più interesse e amore per il prossimo. Sono sempre più convinta che l'amore per il prossimo, per qualsiasi creatura a somiglianza di Dio, debba stare più in alto dell'amore per i parenti. Non fraintendetemi, vi prego. Si dice che sia contro natura... mi rendo conto che fatico ancora troppo a scrivere di queste cose, mentre sono così semplici nella vita.

Sempre ad Han Wegerif scrive il 24 agosto 1943:

Dopo la notte scorsa ho pensato per un momento, in tutta sincerità, che ridere ancora sarebbe stata una colpa. Ma poi mi sono ricordata che alcuni deportati erano partiti ridendo - sebbene non molti, questa volta. E forse ci sarà ancora qualcuno che riderà ogni tanto in Polonia - sebbene non molti, di questo convoglio.
Se penso alle facce della scorta armata in uniforme verde, mio Dio, quelle facce! Le ho osservate una per una, dalla mia postazione nascosta dietro una finestra, non mi sono mai spaventata tanto come per quelle facce. Mi sono trovata nei guai con la Parola che è il tema fondamentale della mia vita: “E Dio creò l'uomo a sua immagine”. Questa Parola ha vissuto con me una mattina difficile.
Ho già detto altre volte che non ci sono parole o immagini capaci di descrivere una notte come questa. Eppure devo annotare qualche cosa per voi - ci si sente sempre occhi e orecchi di un pezzo di storia ebraica, talvolta si prova il bisogno di esser anche una piccola voce. Dobbiamo pur tenerci informati di ciò che accade negli angoli remoti di questo mondo e ognuno deve portare il proprio sassolino, per farlo combaciare con gli altri nel mosaico che a guerra finita coprirà tutta la terra.

Nell'ultima lettera la Hillesum scrive a Maria Tuinzing. E' datata il 2 settembre 1943.

Stabiliamo di nuovo così: ogni martedì spedirò un breve telegramma ai Nethe e il testo sarà: Viveri per quattro persone (la fame non c'entra per niente); se papà e mamma saranno partiti, telegraferò: Viveri per due persone. Qui saremo in molti a non darci pace per tutta la vita, perché abbiamo lasciato partire per primi i nostri vecchi e i nostri malati.
E' una politica premeditata, che si fonda sull'istinto di conservazione. Papà ha chiesto a un infermiere dell'ultima deportazione: “Com'è possibile che l'ospedale lasci partire delle persone quasi morte, non è forse contro l'etica medica?”. E quell'infermiere gli ha risposto serissimo: “L'ospedale consegna un cadavere per trattenere un vivo”. Non voleva affatto essere spiritoso, lo diceva proprio sul serio...
... tutta la famiglia di Jopie è ora in ospedale, si fatica a tenere in vita il bimbetto più piccolo. Come eravamo giovani solo un anno fa su questa brughiera, Maria, ora siamo un tantino più vecchi.
Noi stessi non ce ne rendiamo veramente conto: siamo stati marchiati dal dolore, per sempre. Eppure la vita è meravigliosamente buona nella sua inesplicabile profondità, Maria - devo ritornare sempre su questo punto. E se solo facciamo in modo che, malgrado tutto, Dio sia al sicuro nelle nostre mani, Maria.
Qui non sono affatto all'altezza della situazione, non riesco a “far fronte” a tutte le persone che vogliono coinvolgermi nei fatti loro, spesso sono troppo, troppo stanca. Per favore, guarda una volta Kathe con occhi amichevoli da parte mia, e accosta la tua guancia a quella di papà Han, anche da parte mia. E state ancora bene insieme? E mi saluti la mia cara scrivania, il più bel posto di questa terra? E Swiep e Wiep e Hesje e Frans e gli altri?
Ti guardo un momento in faccia, mia cara, e non dico molto.

Etty

Cinque giorni dopo Etty Hillesum verrà deportata, riuscirà ancora a scrivere in treno una cartolina postale, che gettata lungo la linea ferroviaria raggiungerà Christine van Nooten.
Vi scriverà:

Christien, apro a caso la Bibbia e trovo questo: “Il Signore è il mio alto rifugio”. Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato vagone merci... Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e cosi' Mischa... Arrivederci da noi quattro

Etty Hillesum morirà ad Auschwitz il 30 novembre 1943.



Aldo Carpi
Diario di Gusen
Einaudi, Torino, 1993

La gente vedeva sparire famiglie intere dai luoghi in cui abitavano. Il regime nazista faceva di tutto per non far trapelare notizie precise sulla sorte dei deportati, ma solo notizie utili a mantenere un clima di paura in chi restava.

Dato che lo scopo di questo decreto è quello di lasciare parenti, amici e conoscenti all'oscuro della sorte dei detenuti, questi ultimi non devono avere nessun contatto col mondo esterno. Non è quindi loro permesso né di scrivere né di ricevere lettere, pacchi o riviste. Non devono essere date informazioni di sorta sui detenuti a uffici esterni. In caso di morte, i parenti non devono essere informati, fino a nuovo ordine.

Dal decreto Notte e nebbia ad uso dei Konzentrationslager, 5 agosto 1942


Aldo Carpi era pittore e professore di pittura all'Accademia di Brera. La famiglia Carpi era ebrea, ma non così la madre, che lo aveva fatto battezzare.
Fu arrestato per favoreggiamento:

L'unica accusa precisa era che io avevo avuto un allieva ebrea agli esami di Brera; ciò che non era neppure vero. L'avevo aiutata come qualsiasi altro allievo. Solo che mi aveva fatto orrore vedere quella povera ragazza... messa da parte come se fosse una bestia velenosa; mentre dei miei colleghi, ridicoli, prendevano sul serio quelle cose; ed è stato uno di loro a denunciare il fatto.

Deportato al Lager di Mauthausen, fu poi trasferito, per ostilità di altri pittori presenti che temevano la sua concorrenza, in una dipendenza del Lager, nel campo di Gusen.
Sopravvisse grazie alle sue capacità pittoriche, facendo ritratti e disegni per i suoi aguzzini. Con coraggio prese la decisione di scrivere di nascosto un diario, sotto forma di lettere alla moglie Maria, usando minuscoli foglietti, le ricette di un medico del campo, che riusciva a rubare. Così descrive la condizione dei suoi compagni di prigionia:

Pare che i morti non siano morti, che la morte sia solo un passaggio a un'altra condizione e che presto li vedremo ritornare ricostituiti: quasi potessimo accompagnarli di là e ritornare con loro.

Così è tutti i giorni e molti giovani passano: ma non sono più uomini quelli, sono larve, scorze di larve. Ciò che li faceva uomini era la vita, era l'anima. Ciò che fa vivo l'uomo, nobilmente vivo, è l'anima, il soffio di Dio. Eppure loro sembrano ormai dei vivi senz'anima. Le larve sono cose, come le pietre.

Sua costante compagna, che lo aiutò a vivere, fu la sua fede cristiana, sostenuta da un piccolo vangelo, che riusciva a tenere nascosto con sè.

Avevo trovato un Vangelo. Libri nel lager non ce n'erano. Avere un libro, guai, era proibito. Ma a me è capitato in mano un piccolo Vangelo che ho scoperto in patologia nello scaffaletto dove c'erano le cose del dottor Goscinski, tra cui anche i foglietti che adoperavo per scrivere il diario. Mi pare che fosse un piccolo Vangelo latino-inglese che aveva in tasca un aviatore americano; il suo apparecchio era stato colpito dall'antiaerea e lui si era buttato col paracadute. Io l'ho veduto scendere sul campo allargando le braccia. Era giovane. Quando è arrivato sopra le baracche, le SS, tre colpi, l'hanno ucciso. Così e basta. Il Vangelo doveva essere suo.



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