Una famiglia cristiana del popolo zingaro racconta dall'interno la vita e le sofferenze degli zingari romani (tpfs*)
Testimonianza di Carlo Stasolla e Dzemilla tenuta nella parrocchia di S.Melania il 10 Maggio 2001


don Andrea :
Questa sera siamo qui per ascoltare la testimonianza di Carlo, con sua moglie Dzemilla ed i loro figli, Andrea il primogenito e Francesco il secondogenito. Io ho avuto la fortuna di conoscerli attraverso mio cugino Leonardo Nazzaro, che è sacerdote della diocesi di Sessa Aurunca. D.Leonardo è da poco parroco a Mondragone ed è amico di Carlo Stasolla. Durante le vacanze di Natale tutto il seminario di Sessa Aurunca, con il Vescovo, è venuto in visita a Roma e, durante questa visita, sono stati anche ospiti nel campo dove vive questa famiglia, a Mentana. Quel giorno è nata questa idea, questo invito, di poter una volta incontrarli. Come sapete, l'incontro con loro si ripeterà poi domenica con la vendita, al di fuori della Chiesa, delle opere di artigianato, con cui vivono. Ma, prima di questo e come motivo di questo, è cosa bella avere questo incontro con voi, questa conoscenza dall'interno della vostra vita. Mi permetto anche di ricordare che è appena uscito un libro, frutto degli studi di Carlo che si intitola: Paolo Carlo Stasolla, La Chiesa cattolica e il popolo zingaro nell'Italia del XVI secolo, Quaderni di “Servizio Migranti” n.35, Roma, 2001.

Carlo Stasolla :
Bene, d.Andrea ci ha chiesto di parlare, di dire qualcosa. Noi abbiamo pensato di presentarci un po', di accennare qualcosa per poi lasciare lo spazio al dialogo, alle domande, agli interventi. Noi siamo appunto, Carlo, Dzemilla, Andrea e Francesco. Siamo una famiglia missionaria che è stata chiamata da Dio tanti anni fa e inviata specialmente dalla Chiesa di Roma a compiere un cammino di conversione nostra e anche di evangelizzazione all'interno dei campi nomadi di Roma. Noi quindi da tanti anni viviamo all'interno dei campi nomadi di Roma. Abbiamo vissuto quattro anni in baracca e poi nei vari campi. Abbiamo vissuto in roulotte, adesso viviamo in una corriera adibita un po' ad abitazione.
Io sono italiano e all'età di 23 anni ho sentito appunto questa chiamata di costruire una baracca, la mia baracca, in un campo nomade di Roma e quindi da 13 anni vivo nei campi. Mia moglie, Dzemilla, è montenegrina, di etnia rom ed una ventina di anni fa è venuta con la sua famiglia, per dei problemi, in Italia. Ci siamo conosciuti una decina di anni fa, ci siamo sposati e poi sono nati loro.
D.Andrea mi ha chiesto, per telefono, di fare una testimonianza - anche se questa parola fa un po' rabbrividire, perché il rischio di fare una testimonianza è sempre quello, implicitamente, di costruirsi un piedistallo sulla realtà in cui si vive. Per cui più magari noi diciamo quanto siamo bravi, belli, puliti, più dovremmo conseguentemente dire quanto gli zingari sono sporchi, ladri e poco credenti. Quindi noi, più che fare una testimonianza - per evitare questo rischio - pensavamo, visto che anche ora d.Andrea mi ha detto che in parrocchia non avete rapporti diretti con gli zingari, con gruppi zingari, di presentarvi questa realtà, a livello generale e poi presentarvi la realtà degli zingari a Roma, che è una realtà molto particolare e poi brevemente presentarvi quello che è il cammino che la Chiesa sta facendo e all'interno del quale noi siamo inseriti. Cercherò di farlo in venti minuti, tanto io non amo parlare, e così non vi sarà difficile ascoltare.

Spesso per zingari si intende una frangia di sottoproletariato urbano - in genere è questa un po' l'immagine - e si identifica facilmente lo zingaro con colui che ruba, colui che legge la mano, colui che usa i bambini, ecc. Pochi sanno che gli zingari sono una vera e propria etnia, proveniente dal Nord Occidente, quindi nel Panjab, dell'India, nell'anno 1000.
 
Nell'anno 1000 cosa è successo? Il Re dell'India - si racconta - donò al Re di Persia, che soffriva di depressione, 20.000 zingari musicanti, per farlo felice. E così questi 20.000 rom – “rom” è la parola con cui lo zingaro designa se stesso e significa nella lingua zingara “uomo” - sono arrivati in Persia e qui è iniziato il movimento migratorio, di cui non si conoscono bene le cause. Gli storici, gli antropologi hanno cercato di fare degli studi, ma non si sa molto. Certo è che nel 1400 questi gruppi zingari arrivano in Europa. Nel 1422 un gruppo zingaro, guidato da un capitano chiamato Andrea, giunge a Roma da Martino V per chiedere il permesso di potersi muovere. E nel 1400 sono guardati - i cronisti del tempo li descrivono - con grande curiosità, con fascino, e quindi c'è inizialmente un atteggiamento di accoglienza anche per tutte le immagini che si avevano nel Medio Evo del pellegrinaggio e del pellegrino, che era visto in maniera positiva.
 
Le cose cambiano nei secoli successivi: nel 1500 la dieta d'Augusta del Sacro Romano Impero dichiara: “Chi uccide uno zingaro non commette reato”. E in Italia, nel 1600, sono circa 17 i bandi repressivi. San Pio V fece un editto in cui si vietava l'entrata degli zingari nello Stato Pontificio e gli zingari che erano presenti dovevano andar via entro tre giorni, pena la forca. E lo Stato Pontificio è stato quello che ha emanato, nel diciassettesimo, secolo più bandi repressivi verso gli zingari [1] .
 
Cosa ha determinato il passaggio dall'accoglienza al rifiuto deliberato? Con il Concilio di Trento, a partire dal Concilio di Trento, ma anche per altri fattori sociali, economici, politici, culturali, si è passati da un pluralismo medioevale, a una uniformità soprattutto religiosa, successiva al Concilio di Trento, per cui tutto ciò che era diverso, tutto ciò che non rientrava in un determinato schema prestabilito, iniziava a fare problema.
 
Gli zingari che si muovevano creavano un problema perché si stavano costruendo le città. Chi controllava questi gruppi zingari che si muovevano? Gli zingari che non credevano, non erano dei praticanti fedeli della religione cristiana, erano visti spesso come eretici, perché chi non era cristiano, era eretico. Ecco allora che in ambito ecclesiale, ma soprattutto in ambito civile, iniziano ad essere guardati, ad essere visti in maniera fortemente negativa. Anche se bisogna riconoscere che nel 1600-1700 alcuni cristiani a titolo individuale iniziano ad avvicinarsi agli zingari. Iniziano a nascere dei gruppi di cristiani, delle confraternite, che iniziano ad occuparsi di loro, anche se vengono sempre visti con questo atteggiamento fortemente negativo.

Per essere breve, faccio un salto di un po' di secoli. Forse pochi sanno che esiste un olocausto dimenticato, cioè che mezzo milione di zingari sono morti nei forni crematori del nazifascismo e sono stati l'etnia, dopo quella ebrea, più perseguitata e l'etnia che non ha avuto alcun risarcimento perché quello del popolo zingaro è l'unico popolo nel mondo che non reclama una terra e che non ha una istituzione politica riconosciuta e che neanche si vuole riconoscere. Questo perché? Perché la società zingara può essere paragonata alla società degli indiani d'America, è una società, cioè, centrifuga che, crescendo, si frammenta; per cui esistono, solamente in Italia, una ventina di gruppi zingari differenti, con dialetto, cultura, lingua differente. Al contrario della nostra, che è una società centripeta, che tende a fare unità, e quindi unità di lingua, unità di nazione, unità di continente. Dall'arrivo dei primi zingari ad oggi, in fondo, qual'è il motivo di questo odio, di questi pregiudizi, di questi giudizi così fortemente negativi, pur essendo un popolo piccolissimo, pur essendo una minoranza piccolissima in Italia? In realtà, davanti alla società nella quale ci troviamo, una società fondata sull'individualismo, lo zingaro è colui per il quale - all'interno della cultura zingara l'individualismo non esiste - tutto quanto è della società, è del gruppo. Mentre appunto la nostra società è fondata sull'individualismo, è fondata sulla legge dell'accumulo, per cui è bravo e prudente il padre che lascia un capitale al figlio, per gli zingari è tutto il contrario: quando uno muore, tutto si brucia. Non c'è problema di eredità, tutto si brucia.
 
Ecco, sicuramente questi fatti qua disorientano la società dei non-zingari, chiamata “società dei gagi” - gli zingari appunto chiamano se stessi “rom” e chi non è zingaro “gagio”, che appunto è il diverso, l'altro - tutte queste cose disorientano il gagio, il non zingaro e quindi anche i punti di incontro diventano difficili.
 
Qual'è la realtà italiana e specificamente romana del popolo zingaro? In Italia gli zingari sono circa 90.000. La maggior parte vive nelle case e sono integrati. Per esempio, nella zona appunto di Sessa Aurunca o nella Campania esistono addirittura dei paesini fatti interamente da zingari, che vivono nelle case e che esercitano delle attività e quindi vanno avanti così.
 
In Italia poi i problemi si sono aggravati con la caduta del Muro di Berlino, con la caduta del comunismo, quando molte cooperative dei paesi dell'est si sono chiuse - e quindi la grande crisi economica - e tantissimi zingari che lavoravano nelle cooperative sono venuti in Italia a cercare lavoro. Ma il problema dell'emergenza zingari si è avvertito negli ultimi decenni, a partire dagli anni 70 in poi. E la politica in Italia è stata quella dei campi-sosta. Campi nomadi, campi sosta. Io sono stato in Canada nelle riserve indiane e c'è poca differenza. Io vivo da tredici anni nei campi nomadi. Con la mia famiglia è da dieci anni che ci viviamo - un po' li conosciamo!
 
A Roma esistono due tipi di strutture per i nomadi: c'è il campo-sosta abusivo e il campo-nomadi riconosciuto dal Comune. All'interno di queste due strutture si trovano 5.000 zingari.
 
L'insediamento abusivo è un posto appunto abusivo, che il Comune non riconosce. E sono trenta gli insediamenti abusivi di fronte ai cinque campi-nomadi comunali. Trenta insediamenti abusivi dove il più delle volte non c'è acqua, non c'è luce - noi due ore fa stavamo in un campo dove vivono 500 persone senza acqua, senza luce, senza fognature. Che è una zona franca, dove si fa di tutto, dove c'è anche malavita, perché in una zona franca così dove c'è di tutto e dove avviene di tutto, non solo da parte delle persone che ne fanno parte, ma anche dal di fuori, lì prolifica la malavita. Spesso vengono anche macchine delle forze dell'ordine a cercare del materiale che serve alle loro famiglie.
 
E poi invece ci sono i campi nomadi, che sono cinque in Roma e sono strutture recintate, all'interno delle quali vivono dalle duecento alle trecento persone. Hanno dei fabbricati, hanno acqua, luce, gas. Piccolo dettaglio: prima di entrare devono firmare un regolamento che afferma che, per esempio - all'ingresso del campo c'è un gabbiotto dei vigili - alle dieci di sera si chiude e nessuno può più uscire e alle sette si apre e si può uscire. Le macchine che vogliono entrare e uscire devono avere il contrassegno che sono zingari e fanno parte di quel campo. Se un figlio si sposa e quindi costituisce un nucleo familiare, per lui, con la sua nuova famiglia, non c'è posto e quindi deve andar via. Questo in una struttura arcaica, patriarcale, è inammissibile. Non c'è spazio per celebrare le feste zingare e per svolgere alcuni mestieri come il battitore di rame, come il riciclaggio di materiale ferroso.
 
Questa è la realtà dei campi a Roma. Poi, se volete, potremo approfondire. All'interno di questa realtà, qual'è il cammino che la Chiesa sta cercando di compiere con molta fatica? Sono due un po' gli atteggiamenti che prevalgono all'interno della Chiesa, sia a Roma che in Italia. Da una parte un atteggiamento assistenziale, caritativo - in certi casi è importante perché si può fare solo quello - che quindi cerca di dare una mano a quelle che sono delle emergenze. In altri casi si cerca, soprattutto da parte di coloro che frequentano i campi, di compiere un vero e proprio cammino di fede. Cioè il campo è una zona franca! Se voi entrate in certi campi di Roma sembra veramente di entrare in un paese dell'India, eppure magari si sta a cinque-sei chilometri da San Pietro. C'è un campo dove ogni anno quattro-cinque bambini muoiono di freddo. Ogni anno! A otto chilometri da San Pietro! Se uno entra in quel campo veramente uno dice: “Ma veramente qui è Roma? Ma dove mi trovo?” Perché appunto è in mezzo ad una discarica.
 
Allora un cammino, che è un cammino di fede, da parte di coloro che vivono all'interno dei campi, o che li vanno a visitare, è quello di sapere che lì Gesù Cristo è presente, che in questa umanità in cui sembra di trovare poca umanità, Gesù Cristo è risorto. I semi della resurrezione sono presenti in questo luogo, in questa cultura, in ciò che è rimasto di questo popolo, in ciò che è rimasto di questa cultura. perché la vita dei campi, con il tempo, deteriora tutti, tutto, e veramente poi la cultura finisce per frantumarsi e quindi poi abbiamo delle persone alcolizzate o drogate perché non sanno più neanche loro cosa sono.
 
Noi siamo inseriti all'interno di questo cammino. Il cammino che noi cerchiamo di fare all'interno dei campi è appunto quello, anzitutto, di convertire noi e quindi di comprendere che ci sono dei segni, dei semi di Gesù Cristo risorto, in queste persone e saper contemplare questi segni e quindi in questo modo tante categorie nostre iniziano a cadere. E poi secondariamente è porsi accanto, non in una situazione privilegiata - noi non abbiamo sovvenzioni, viviamo del nostro lavoro, abbiamo le cose che hanno loro, viviamo le stesse situazioni che vivono loro - però cercando di compiere un cammino di liberazione, un cammino di liberazione umana, un cammino di liberazione cristiana. Quindi attraverso un cammino che è umano e cristiano insieme.
 
Da due anni noi abbiamo ideato e costituito il progetto di un campo alternativo. Quindi da due anni viviamo in un campo, che è il campo di Mentana, qui fuori Roma. Praticamente noi vivevamo girando di parcheggio in parcheggio, con sette famiglie di sinti - perché gli zingari si dividono in due gruppi, “rom” e “sinti” e all'interno di questi gruppi ci sono ulteriori suddivisioni. Vivevamo con questo gruppo di sinti, i quali si rifiutavano di entrare in un campo, sapendo il degrado cui andavano incontro. E con loro vivevamo girando di parcheggio in parcheggio. Finché uno era tollerato, uno stava in un parcheggio, poi quando ti mandavano via, si andava in un altro parcheggio. E con loro abbiamo costituito un campo, totalmente autogestito, con la tolleranza iniziale del comune, poi successivamente con il sostegno morale del comune stesso, quindi anche della diocesi.
 
Un campo che non è costato nulla, perché è stato un prestito di 80 milioni ad 8 famiglie che queste famiglie stanno restituendo piano piano - noi stiamo restituendo piano piano i soldi - un campo in cui c'è uno spazio comune, c'è una cappella con il Santissimo. Il vescovo ci ha dato il Santissimo, che noi custodiamo. Un campo in cui c'è acqua, luce. Noi, quindi, con queste famiglie, stiamo facendo questo tipo di cammino di liberazione. E' un tipo di cammino di recupero delle proprie radici culturali e vuole essere anche un esempio davanti al mondo dei gagi che lo zingaro è capace di risolvere i propri problemi da solo.
 
Questa è proprio una sfida perché per mantenere questi trenta insediamenti abusivi e questi cinque campi nomadi il Comune di Roma spende ogni anno quindici miliardi per il mantenimento. Perché gli zingari sono un grande business. Se volete fare i soldi, fate un'associazione zingara e avrete un sacco di soldi. Perché? Perché i soldi che il Comune o la Regione o la Provincia danno per gli zingari (per il Comune sono stati, nel 2000, dodici miliardi, poi ci sono i soldi della Regione, della Provincia) non vengono dati allo zingaro. Vengono dati alle associazioni che si proclamano esperte di cultura zingara, le quali hanno in appalto, per esempio, la scolarizzazione. E quindi, facendo delle cose (che poi non si fanno), i soldi vanno a finire a loro. Quindi la nostra idea è di dimostrare in Italia come, a costo zero, si potrebbero risolvere dei problemi, di fronte a degli scandali che si hanno davanti.
 
Ecco, quindi noi siamo inseriti all'interno di questo cammino ecclesiale, perché in Italia ci sono altre comunità di suore e preti che vivono nei campi. Noi come piccolo gruppettino - siamo una trentina di persone - cerchiamo di portare avanti questo discorso di cercare di vedere il mondo dalla parte degli zingari. Quindi un cammino di incarnazione, un cammino di kenosi, che diventa un cammino di liberazione anche per noi, liberazione dai nostri pregiudizi, liberazione da certi schemi religiosi che noi abbiamo. Grazie agli zingari riusciamo a vedere orizzonti nuovi. Nello stesso tempo è anche un andare avanti cercando di camminare insieme faticosamente, cercando strade di libertà, libertà umana, libertà cristiana.
 
Penso di aver presentato molto brevemente e molto schematicamente chi sono gli zingari, che popolo sono, qual'è la realtà in Italia - che è una realtà molto diversa dai paesi dell'Est, dove gli zingari sono anche parlamentari, dove gli zingari sono sindaci, dove è diverso - perché si è arrivati al degrado italiano attraverso la politica dei campi nomadi, che poi è il degrado di Spagna, Francia, Germania, ancora peggio, in Svezia, Finlandia, in tutta l'area occidentale, l'area ricca, l'area che vuole proteggere il proprio capitale - tanto sempre là si ritorna - e usa queste persone che creano scompiglio, aspettando che muoiano, perché la vita del campo è una morte lenta, è una morte della cultura, è una morte degli individui che porta all'annientamento, per cui porta alla fine. E quello che non è riuscito a fare Hitler, oggi, in altri modi, si sta riuscendo molto bene a fare, in posti molto vicini a qui.
 
Ecco, lasciamo ora lo spazio a qualche approfondimento, a qualche domanda.

DOMANDA: Il vostro esempio, quello che voi state facendo, non ha portato alcuni dei trenta ragazzi ad agire allo stesso modo, cioè non ha fatto venire la voglia di una vita fuori dalle regole?
RISPOSTA: In molti campi si è creata una situazione di tale degrado che le persone vivono in una situazione in cui non gliene importa neanche più del miglioramento, per la quale una persona è inebetita, senza speranza. Neanche vuole più un miglioramento. Qualcosa si sta facendo, ma sono progetti che richiedono anche del tempo, perché c'è un cammino insieme.
Noi stiamo lavorando su un altro progetto, infatti. Questo progetto già realizzato si è potuto fare così perché sono tutti dei sinti. Con un altro gruppo il progetto va fatto in maniera differente, perché diverse sono le attese, diverso è il modo di fare la festa, diverso è il modo di celebrare il matrimonio, diverso è il modo di celebrare i morti. Quindi in base alla cultura il campo va studiato in un certo modo, non come nei campi di Roma. Nel campo dove sono stato oggi sono nove etnie differenti. E questo richiede un cammino molto lento. Noi stiamo lavorando ora ad un altro progetto, con altri rom slavi diversi. E questo progetto ce lo ha chiesto il Comune, dicendo: “Guarda, ci sono queste persone che vogliono fare un campo, dategli una mano, per mediare e per vedere come si può creare un campo che non sia prestabilito da altri, ma sia voluto dalle persone che poi sono chiamate a viverci.
 
Il campo, secondo me, dovrebbe essere come un condominio, cioè delle persone che vivono insieme, con delle regole comuni, semplicissime, di autogestione. In realtà sono concepiti come? Io faccio un campo, chiamo un progettista, che è un ingegnere qualsiasi, che non sa niente di cultura, che fa delle piazzole con dei metri quadrati che io designo vitali e sono i metri quadrati di una roulotte, 5x2, e metto lì le persone. Quindi, sì, molto faticosamente iniziamo, ma sono gocce. E del resto ognuno deve lavorare per dare la sua goccia.

DOMANDA: Mi sembra di intuire che questi cinque campi ufficiali hanno dei problemi altrettanto gravi.
RISPOSTA: Apparentemente sono dei campi modelli. Per esempio il campo di Tor de' Cenci - è qui vicino, no? - come si è fatto per creare quel campo? In quel campo, un anno fa, c'erano 250 persone –è sempre un campo del Comune, quindi le persone che stavano lì era perché erano autorizzate dal Comune a starci, con le roulotte e tutto, famiglie.

DOMANDA: Ma scelte con che criterio?
RISPOSTA: La fedina penale. In genere la fedina penale, oppure amicizie, conoscenze varie. Non è il Comune. Il comune eroga i soldi, poi...

DOMANDA: Che significa la fedina penale, cioè se è pulita puoi entrare?
RISPOSTA: Sì, certo. Comunque, alle due di notte, delle pattuglie di poliziotti, in stato d'assedio, con tutto quanto, come allo stadio, hanno circondato il campo, hanno diviso ogni famiglia - per cui il padre in una questura, la madre in un'altra, e quindi i figli o con uno o con l'altro – hanno preso tutte quante le baracche e le hanno buttate giù. Le roulotte le hanno portate al deposito giudiziario. Allora cosa è successo in quella notte? Il padre - che so? - alla questura del Quarticciolo. Fedina penale pulita? Va bene, tu domani torni a casa. Madre con un figlio alla Casilina. Te hai la fedina sporca? Alle sei di mattina parti con l'aereo per Sarajevo. Il padre non sapeva niente, i figli che stavano con i nonni, che non stavano con i genitori… E quindi il giorno dopo cosa è successo? La metà delle persone, di cento persone circa - pulite fra virgolette, perché poi anche lì tutto è relativo per giudicare le persone – era stata divisa dall'altra metà.

In un condominio non penso che si guardi alla fedina penale. Comunque, cento persone che sono risultate pulite sono tornate al campo dove avevano lasciato i loro soldi, le pentole, le suppellettili e non c'era più niente. Dov'è la roba? Al deposito giudiziario. Allora prendi l'avvocato per sbloccare quelle cose lì. Intanto però non si poteva tornare in quel campo, perché in quel campo era scattata l'operazione, perché siccome si voleva pulire e mettere i container - un lavoro di sette, otto mesi - facciamo in quel modo, così da farli sgomberare. Intanto, però, metà famiglia era stata spedita a Sarajevo. Illegalmente sono dovuti pian piano tornare.
 
Tutto questo per che cosa? Per fare alcuni mesi dopo il campo, il famoso campo di Tor de' Cenci, tanto pubblicizzato e costato tantissimo - un container costa un milione a metro quadrato, quindi pensate voi quanto costa. Adesso lì c'è il container, c'è l'acqua, la luce. C'è però questo regolamento da firmare. In ogni container troverai la tessera con tutte le persone che arrivano dentro. Alle dieci, se tu vai lì, è tutto chiuso. Alle sette di mattina si apre. Se una persona vuol venire a far visita: “Alt! Chi sei?” Lasci il documento e vai a far visita. Questo è uno dei cinque campi, costosissimi, perché poi è chiaro che la manutenzione è carissima. Il primo che commette un reato va fuori – un reato di qualsiasi tipo - e se un figlio si sposa è un problema.
 
Due etnie diverse: problemi enormi! Perché per una etnia, se muore uno, per quaranta giorni non ci deve essere musica. E se quello che mi sta vicino fa musica? Offende il mio morto! E come glielo spiego?
 
Se tu per tre mesi vai fuori non hai più diritto al posto. Se un giorno il Comune decide di cambiare politica e dice: “Adesso tutti i campi fuori del Raccordo”? Se il Comune decide di chiudere quel campo, o di spostarlo?

E i bambini - quando vanno a scuola! - perché poi chi ha l'appalto della scolarizzazione? Bambini di quinta elementare che non sanno leggere e scrivere. Perché nel mandarli a scuola serve anche un criterio - non è colpa neanche degli insegnanti, che magari hanno 20 bambini; ti arriva quello in quarta elementare che non sa scrivere, lo mettono da una parte a giocare - perché non esistono progetti seri di scolarizzazione, di conoscere questa cultura, di inserimento culturale, di mediazione.

DOMANDA: Ma i bambini non vengono inseriti in una scuola pubblica italiana?
RISPOSTA: In teoria funziona così! Io adesso non faccio nomi, ma c'è una associazione esperta di zingari, la più famosa in Italia, che ha l'appalto per la scolarizzazione dei campi. Quindi il Comune dice: “Diamo un tot a bambino”. E a cosa devi pensare te? A iscrivere il bambino, prendere la mattina il bambino, portarlo a scuola, riportarlo indietro e fare il dialogo fra genitore e alunno. Tutto questo perché è pagata l'associazione. L'associazione è presente, a settembre, per l'iscrizione. Iscrive tutti i bambini. Poi che succede? Che l'associazione dice a un rom del campo: “Senti, ti diamo qualcosina e tu fai il lavoro di portarli avanti e indietro”. E così finisce che, su cento bambini, quindici/venti riescono pure a frequentare un minimo - e cosa vuoi che imparino? Intanto l'associazione i soldi li ha presi - e infatti il Comune lo dice: “Noi stiamo risolvendo il problema della scolarizzazione”, perché gli risulta che sono iscritti, che frequentano. Garantisce l'associazione.

DOMANDA: Allora l'alloggio è gratuito, ma il mantenimento se lo devono pagare, anche la luce, il gas, ecc.? Ma è facile, sempre parlando di questi campi nomadi riconosciuti dal Comune, è facile per questi nomadi trovare lavoro? Come fanno a guadagnarsi qualcosa?
RISPOSTA: Ma no che non è facile. Noi quattro anni fa stavamo in un campo sempre riconosciuto, in cui un ragazzo ha perso il lavoro di fabbro. Perché? Il Comune, tre o quattro volte l'anno, fa dei censimenti, censimenti fatti in questo modo - c'era anche un prete che dormiva con noi quel giorno, hanno censito anche lui. Alle cinque di mattina arriva la polizia, chiude il campo. “Fermi tutti, nessuno più si muova”. Tutti fermi, e girano per le baracche. Tutta la mattinata è persa e questo qua ha perso il lavoro di fabbro, perché quel giorno ha dovuto spiegare al suo padrone. Ma che cosa spiego? Mi crede lui? Già gli nascondeva che stava in un campo per farsi assumere!!

DOMANDA: Quindi non hanno soldi per potersi mantenersi. Anche il degrado si crea per questo motivo?
RISPOSTA: Infatti ogni dieci anni si riparte sempre con altri campi modello. Dieci anni fa c'erano altri campi modello. In questi anni si è detto: “Adesso finalmente abbiamo risolto il problema degli zingari”. C'è il commissario per gli zingari, ci pensa lui, con tutti i soldi! Fa tutto quanto, poi cambia la Giunta che dice di nuovo: “Noi adesso faremo, i campi, ecc.” e tutto finisce nel degrado. Ma soprattutto poi il fatto è - noi ci abbiamo vissuto - che lì veramente perdi la dignità. Non hai la voglia di piantare un fiore, di piantare un albero, perché pensi che non è tuo - ti possono sempre mandare via! - quindi perdi questo gusto di vivere, questo gusto di migliorare, questa dignità di sentirti persona - è quello il grave - che poi ti degrada.

DOMANDA: Io non ho capito una cosa: questo campo quanti ospiti ha?
RISPOSTA: Quello di Tor de' Cenci? 250, di due etnie.

DOMANDA: Queste 250 persone quanto tempo rimangono in questo campo durante la loro esistenza?
RISPOSTA: Dovrebbero restarci per sempre.

DOMANDA: Ma ci stanno per sempre?
RISPOSTA: Ma il campo quanto può durare?

DOMANDA: Se è autorizzato dal Comune!
RISPOSTA: Ma anche quello che c'era prima era autorizzato. Ma cambia il Commissario e cambia tutto. Adesso è cambiato di nuovo e cosa succederà?
DZEMILLA: Se vogliono muoversi, se vogliono girare, adesso è impossibile - siccome hanno fatto i campi non si può più girare, perché dicono: “Te sei iscritto in quel campo, te devi andare il quel campo, se hai il permesso di soggiorno”. Se non ce l'hai c'è l'espulsione immediatamente, anche se tu vuoi stare in un posto fisso. Così se ti scade il permesso di soggiorno, non hai il lavoro, non hai modo di vivere, ti mandano via, ti rimandano nel tuo paese.

DOMANDA: Queste 250 persone che - ipotizziamo - debbono andare a finire in quell'unico campo, non si sa quanto rimangono in quel campo. In che percentuale c'è lo spostamento?
RISPOSTA: In genere stanno lì perché non possono andare altrove.

DOMANDA: Quindi anche lì c'è la difficoltà per quanto riguarda la scolarizzazione, perché naturalmente non si può fare un programma ben preciso per poter fare un tipo di educazione, perché c'è un continuo ricambio, di gente che viene e va, anche questa è una grossa difficoltà.

DOMANDA: Cioè, per farci capire, perché tu ti rendi conto che per noi è difficile capire. C'è qualche esempio di un'altra realtà che ha una storia simile?
RISPOSTA: Gli indiani d'America. Io sono stato in America, perché casualmente ho un fratello che è ricercatore in Canada, e sono stato a trovarlo alcuni mesi fa. Lui vive vicino l'Alaska e avevo letto alcuni libri sui rapporti fra pellerossa e zingari, in questa politica di ghettizzazione, per cui poi gli alcolizzati erano indiani. In città c'era qualcuno che barcollava, era alcolizzato ed era indiano.

DOMANDA: Questo meccanismo di degrado, quando comincia?
RISPOSTA: La politica dei campi è iniziata in Olanda, nel 1918. Il primo campo in Italia è negli anni settanta. Allora è iniziata questa politica dei campi. Prima, negli anni 50/60, i rom, i sinti che stavano in Italia stavano bene...
DZEMILLA: ...perché giravano, perché anche nel modo di lavorare, nel modo di fare, si girava, si tornava.

DOMANDA: Quindi il degrado deriva dal fatto che ci sono i campi?
RISPOSTA: Certo!!!

DOMANDA: Ecco, questa è una cosa che non avevo assolutamente capito!
RISPOSTA: Anche perché è una cosa che non si riconosce: il diritto al nomadismo come un valore culturale. Cioè si dice i nomadi sono quelli che arrivano, rubano e vanno via. No, aspetta! E' un'altra cosa. Quindi per una persona che, per generazioni, nei geni, ha il nomadismo, perché appartiene ad una cultura di nomadi, la condanna peggiore è star ferma. E da lì anche le risorse economiche. La sua famiglia perché girava? Perché suo padre era calderaio. Le pentole le vendi in un paese. Quando le hanno comprate, ne puoi fare quante ne vuoi, ma non servono più. Cosa faranno? E' certamente facile trovare poi un delinquente che viene nel campo e cerca qualche ragazzetto per qualche lavoretto. E' facile, perché il ragazzetto sta lì senza far niente. Una volta no, due volte no, poi è facile.

DOMANDA: Il nomadismo è sempre stato legato al fatto di avere un lavoro che ha necessità di spostamento, non perché gli piace cambiare, ma perché uno fa un lavoro in cui si fa un giro e si ripassa ogni tanto?
DZEMILLA: In Italia i miei parenti facevano gli stagnatori di rame, facevano le pentole di rame. Allora per forza, per il loro lavoro, dovevano girare perché c'erano paesetti dove passavano ogni anno per aggiustare la pentola, per stagnare. Cose così. Certo ora sono cambiate le cose, però qua in Italia quando sono arrivati facevano ancora questo mestiere.

DOMANDA: Adesso, cos'è che potreste fare, perché il lavoro è necessariamente cambiato?
DZEMILLA: Il lavoro, nel campo di mia madre, che è sulla Casilina, era questo. Loro andavano a recuperare la roba dentro i secchioni - non so se li avete visti a Porta Portese - andavano a raccogliere questa roba nei secchioni e andavano a vendere. Si poteva sopravvivere con questo lavoro. Poi certe associazioni hanno detto di no: “Non si può più fare questo lavoro, perché siete abusivi”. Togliendo questo lavoro, l'unico che avevano, facevano piccoli furtarelli - per forza c'è anche quello! Adesso c'è tanta gente che non sa cosa fare. Prima andavano anche a raccogliere il ferro, ma adesso nei campi non si può, nei campi autorizzati non si può avere un posto dove tu metti la tua roba che hai raccolto, il ferro, molta carta. Il ferro si raccoglie giorno per giorno, adesso non si può più.

DOMANDA: Ma non lo vuole nessuno il ferro?
RISPOSTA: No, no lo vogliono, 90 lire al chilo! Quelle quaranta /cinquantamila lire al giorno te le fai. Infatti negli insediamenti abusivi tanta gente vive con il ferro. Vanno in parecchie fabbriche dove buttano, raccolgono, arrivano a casa e lo buttano da una parte, per una settimana, dieci giorni. Quando hanno un grosso quantitativo, quel giorno lo dedicano a tornare a vendere. Questo negli insediamenti abusivi è possibile, nel campo no, perché c'è il posto per la piazzola e basta.
DZEMILLA: Anche il mercatino - per dire - non si può più, perché dove metti la roba? Devi avere una baracca, devi avere un posto asciutto per mettere questa roba, gli stracci, o le cose vecchie, le scarpe. Un po' di tutto si andava a raccogliere.
Qualcuno anche va, il loro lavoro è andare a chiedere l'elemosina.
RISPOSTA: Se queste associazioni lavorassero per costituire una cooperativa con un negozietto, ci sono lavori anche artistici che valgono, per cui una persona che sa apprezzare, li tiene come soprammobili e li compra. Solo che sta morendo anche questo, perché se perdi una generazione che non impara più è finita, perché poi l'altra non può imparare. Ed è finita. E si sta perdendo. Ci sono solo i cinquantenni che battono il rame.

DOMANDA: Vorrei chiedere una cosa: questo fatto che il gruppo si spostava di paese in paese per poter vendere i prodotti, però comportava di non poter mandare i figli a scuola, perché se uno sta due mesi in un paese e poi va via, cioè questo problema della scolarizzazione c'è sempre stato.
DZEMILLA: Esatto, però c'è sempre stato che i ragazzi che volevano imparare, c'era la cultura orale. Adesso sta morendo anche questo, perché io vedo che ogni giorno sta peggiorando, non sta migliorando. E già un modo di fare diverso che c'è adesso, perché allora era meno importante se non si sapeva scrivere. E' importante oggi, è importante, ma per quegli anni là non era tanto importante, perché c'era il loro lavoro e andavano avanti.

DOMANDA: Adesso in questo vostro campo state organizzandovi nel lavoro come un tempo?
RISPOSTA: No, loro non sono calderai. Loro hanno le giostre e quindi loro adesso stanno lavorando molto meglio di prima, perché adesso dal campo quando serve possono uscire e vanno a lavorare nelle giostre. Poi tornano, mentre prima stavano nei campeggi. Mille cose possono fare, solo che adesso nella città di Roma si è raggiunto veramente un punto difficilissimo.

DOMANDA: Mi sembra quindi che tutte le iniziative che sono state prese, sono state prese al di fuori della cultura zingara. Nessuno ha mai interpellato un rom per sapere.
RISPOSTA: Certo, perché sugli statuti di queste associazioni - i nomi non li faccio perché è inutile - sugli statuti di queste associazioni c'è scritto, innanzitutto, che le associazioni sono rappresentative dei rom, perché queste associazioni danno alla gente che è analfabeta, che non ha un documento, un tesserino di una cooperativa che può essere utile - un pezzo di carta ce l'ho. Lui è socio, molta gente è socia di queste associazioni, senza manco saperlo e queste associazioni si presentano al tavolo delle trattative, quando c'è da spartire la torta, dicendo: “Noi rappresentiamo venti, trenta, quaranta capi famiglie”. Ma nei campi, poi, nessuno sa delle decisioni prese. Loro stanno lì, un giorno arriva la ruspa, porta via tutto. “S'è deciso questo”. “Va bene”.

A Roma ci sono metà dei campi italiani concentrati. Per esempio a Milano e Torino ci sono due campi solamente, quindi è una situazione molto più gestibile. In altri paesi ci sono molti meno campi quindi a Roma, certo, che è una città grande il problema è però troppo grande.

DOMANDA: Ma perché c'è questa concentrazione a Roma? Perché i rom non pensano che magari andando in un altro posto in Italia...
RISPOSTA: Al nord c'è molta meno tolleranza, in generale. Nel sud ce ne sono. Abitano nelle case. Infatti il gruppo che sta sulla Casilina l'estate svernava e andavano in Puglia, in quelle zone lì.

DOMANDA: Non è la prima volta che viene a fare questa sua testimonianza?
RISPOSTA: No, però è molto difficile. A lavorare con gli zingari, viverci dentro, si paga un prezzo, che è il prezzo dell'emarginazione. Cioè noi abbiamo un mandato missionario, quindi noi siamo dei missionari a tutti gli effetti. Il fatto che lavoriamo con gli zingari, giustamente crea un'emarginazione, cioè paghiamo un prezzo che è giusto pagare, per cui è molto difficile trovare delle comunità cristiane interessate alla problematica zingara, perché hanno già delle convinzioni precostituite per cui pochissime volte ci siamo trovate a parlare così in questo modo. E per questo lo abbiamo accettato volentieri; trovare qualcuno interessato alla cosa, senza avere già delle idee tanto ferree da non poterci neanche dialogare un po'!

DOMANDA: Noi in questo caso in che modo potremmo intervenire, che cosa pensa potremmo fare per dare un aiuto a questa iniziativa?
RISPOSTA: Io penso che una cosa da fare è già il fatto stesso che quando si incontra uno zingaro - come può essere anche qualsiasi straniero, qualsiasi barbone – si stabilisce un rapporto umano, perché tanti quando vedono una persona che gli dà una mano, gli fa un sorriso… apriti cielo, veramente! E questo è importantissimo, tanto importante.

Poi appunto voi non avete - mi diceva Don Andrea - non avete, non ci sono campi qui in zona. Però veramente bisogna cominciare a stabilire, iniziare a guardare con occhi nuovi e anche quindi parlarne. Cioè è importante - poi anche in ambienti di lavoro, in ambienti di famiglia, davanti a certe notizie - iniziare a pensare in maniera un po' nuova, dare sempre messaggi di speranza, di verità.

DOMANDA: Come pensate che possa essere risolto questo problema, con l'integrazione oppure?
RISPOSTA: Nella storia dei nomadi ci sono i sacrificati che finiscono per morire e le nuove generazioni che escono fuori. Probabilmente qui a Roma c'è questo discorso mentre in India, in Bulgaria, in altre parti, la cultura rivivrà in maniera rigogliosa. In alcuni paesi sono il 10-15%, qua in Italia sono 90.000, quindi lo 0,000%, quindi.... Però è importante iniziare a vedere lo zingaro come strumento per la mia conversione, quindi iniziare un certo stile di vita - almeno a me serve - iniziare a mettere in discussione alcune certezze, su come funziona il nostro sistema del mercato, le leggi economiche, le leggi sociali. Gli zingari, con dignità siano orgogliosi di essere figli di questa cultura. Ognuno non è come sono fatto io. In maniera differente, però senza vergogna di essere quello che si è.

DOMANDA: Mi viene in mente che c'è un problema di rappresentanza, cioè c'è qualcuno che parla per tutto il popolo rom? No, ci sono i capi famiglia, però poi i capi famiglia non parlano per altre famiglie dello stesso campo, può essere che il problema dipenda anche da questo? E in che modo la vostra presenza può cambiare?
RISPOSTA: Noi facciamo il nostro piccolo dove viviamo, poi...

DOMANDA: Soprattutto poi è giusto che cambi? perché mi sembra che proprio nella cultura nomade non esiste questa rappresentanza?
RISPOSTA: Infatti ogni capo famiglia rappresenta la sua famiglia, anche se si può fare un discorso. Noi con sette famiglie abbiamo fatto un accordo. Però sono piccole cose che vanno fatte sul posto, sono piccole cose, non si può pensare di universalizzarle. Io penso che noi possiamo dare dei piccoli segni e poi in futuro si potrà rileggere. Ma insomma cominciamo. Però non pensiamo di risolvere, perché veramente il problema è vastissimo. Però piccoli segni, piccole cose possono aiutare qualcuno a riflettere.

DOMANDA: Lei, come si è inserito nel mondo dei Rom, è stato bene accolto?
RISPOSTA: Io, tredici anni fa, ho letto un libro che parlava di un prete che stava con gli zingari e allora ho capito qual'era la mia strada. Sono andato in un campo, ho fatto la mia baracca e sono vissuto lì. Questo libro, per dire che poi i segni di Dio ci sono, questo libro che ho letto all'età di 23 anni - io ho conosciuto Dzemilla cinque anni dopo - l'ha scritto un prete che raccontava la sua esperienza con la famiglia di Dzemilla. Allora io ho letto questo libro che è stato poi l'origine della mia conversione, in quanto io ho capito che dovevo andare a vivere nei campi. E dopo aver incontrato Dzemilla ho capito chi era: era quella di cui parlava il prete. Il titolo è “Zingaro mio fratello”, di Vincenzo De Florio, un prete che adesso sta in Brasile.

DOMANDA: Perché i rom devono andare in un campo nomade, e altri immigrati no?
RISPOSTA: Questo è per i pregiudizi che ci sono, per cui c'è l'immigrato e c'è il nomade. Perché la politica è fatta in maniera tale per cui, alla base di questa politica, c'è in fondo il fatto di non riconoscere una cultura, perché se si riconoscesse che è una cultura e che è un popolo, allora si chiederebbe: “Ma voi chi siete, che usi avete, che modi avete?” Invece si ha questa idea per cui il nomade, lo zingaro è… è questa frangia che non si capisce cos'è - delinquenti, un misto di imbroglioni. Quindi vanno presi e messi là. E' l'unico popolo che non ha terra. E' così. Del resto non si può obbligare.

DOMANDA: La loro rappresentanza è costituita dall'associazione?
RISPOSTA: Che è fatta da persone non zingare. Vi ho detto: “Se volete fare soldi, fate un'associazione per zingari!” Questo in Italia. All'estero, in Jugoslavia, ci sono parlamentari zingari. In Spagna c'è un parlamentare europeo che è uno zingaro. Grazie a Dio non è dappertutto così, però… Anche in ambito ecclesiale ci sono grandi difficoltà a far entrare certe idee, certe cose. Figuriamoci in ambito extra ecclesiale.

DOMANDA: Volevo dire questo: mi ricordo che quando ero bambino, in campagna giravano gli zingari. C'era una reciproca tolleranza, non c'era un'integrazione con la gente, però, io ricordo che giravano ancora con i cavalli e quindi facevano due cose: il rame e l'allevamento di cavalli. Questo qui poi lentamente si è perso, come si stava accennando, quindi è subentrato il problema della sussistenza dello zingaro per la sopravvivenza. Per esempio io ricordo un'altra cosa: che dalle mie parti uno zingaro che veniva dal Montenegro aveva comprato nel cimitero tutta una bella parte dove era sepolta addirittura la regina degli zingari che ogni anno si visitava.
Oggi vediamo che ci sono alcuni zingari che vivono come qui, vicino a noi, sotto al ponte vicino via dei Romagnoli. La mia domanda è questa: in questa situazione odierna ci sono questi zingari che vengono dai Paesi dell'Est. Se vengono dall'Est dove sono diversamente riconosciuti, tanto è vero che qualcuno può essere sindaco, ecc. vengono qui per la stessa ragione per cui vengono i polacchi, perché là stanno comunque peggio?
RISPOSTA: Una nota storica: in Bulgaria, in Romania, fino al 1855, c'era la schiavitù degli zingari: cioè gli zingari erano suddivisi in tre categorie di schiavi. Schiavi per i preti ortodossi, schiavi per i contadini, schiavi per i nobili. Fino al 1855. Infatti gli zingari rumeni sono molto particolari cioè, per esempio, gli pesti un piede, ti dicono grazie.

Il fatto che non esista una struttura centrale è una debolezza. Da una parte è una forza perché è un elemento della cultura e un elemento unico che caratterizza questa cultura che tutti quanti veramente dovremmo guardare anche per rapportarci. Però, in realtà, è una grande debolezza.

DOMANDA: Però la gente si fa un'immagine di queste persone che è quella di ladri, qualche giorno fa sulla metropolitana hanno scippato un giapponese.
RISPOSTA: Purtroppo è vero, bisogna cercare di superare quel fatto e cercare di dire: “Vediamo un po' come è la situazione”.

DOMANDA: Mi sembra di capire che il motivo che contrappone queste culture sia la criminalità che si sviluppa in non so quante persone. Sicuramente in un certo numero di zingari, c'è un cospicuo numero di persone che vive criminosamente. Siamo tutti consapevoli che questo è l'ostacolo maggiore. Allora che cosa fate voi per isolare queste persone, siete in grado voi di isolarle?
RISPOSTA: Io ho provato a fare un discorso dal di dentro. Quello è il punto d'arrivo. Ma perché si è arrivati a questo? Per la politica dei campi, per come si vive nei campi, per quei due ragazzetti di 14 e 15 anni che dovevano battere il rame e bisognava dal loro l'occasione di continuare a fare il lavoro del padre e loro non fanno nulla e poi a 13, 14, 15 anni stanno tutto il giorno senza far niente, viene quello lì e ti dice andiamo a far un lavoretto, andiamo. E poi un'altra e un'altra. Poi va in carcere, tre anni, conosce altri, esce. Cioè, con questo non dico che non è un problema, non voglio giustificare tutto questo e dire non è vero - è vero - nè ho soluzioni. Però bisogna anche riconoscere perché si è arrivati a questo. Non è che lo zingaro culturalmente è un delinquente. Questo non esiste.
DZEMILLA: Vorrei dire una cosa: chi di voi si prenderebbe una zingara in casa a fare la domestica?

DOMANDA: Io ti racconto un episodio che è accaduto a me personalmente. Io ero il responsabile del Centro Operativo di Ostia dell'Acea, un giorno arrivano degli zingari con un camioncino e chiedono se potevano raccogliere pezzi di ferro che stavano lì. Io ci ho pensato un attimo e gli ho consentito di raccogliere questi ferri con qualcuno che li guardava. Hanno raccolto tutta questa roba che non ci serviva e dovevamo buttare. Dopo una quindicina di giorni torniamo il lunedì mattina, troviamo il centro completamente svaligiato, avevano portato via le bobine, hanno fatto un danno enorme. Ora per fortuna nessuno è andato in Direzione Centrale a soffiare che io avevo dato questa autorizzazione, perché altrimenti mi avrebbero fatto a fette, però io ci sono rimasto molto male, perché loro erano stati gentilissimi, mi avevano regalato le pentoline di rame a me e agli altri e poi....
RISPOSTA: Però bisogna cercare piano piano di distinguere, adesso mi trovo davanti un'altra persona proviamo a dargli delle chances...

DOMANDA: Mi sembrava di capire però che visto dall'altra parte anche voi entrate in contatto con tanti di noi disonesti. Cioè se noi dovessimo sentire parlare di noi così: “Da loro viene il poliziotto e mi sembra di capire che cercava una cosa, viene quello della cooperativa ed è disonesta”, cioè anche voi vedete da parte nostra una grande disonestà, non è che le cose si dividono così nettamente.
RISPOSTA: Siccome all'interno di tutte e due le società ci sono la maggior parte di persone oneste si tratta di creare rapporti, legami con questa maggioranza onesta e che vuole veramente stabilire un incontro.

DOMANDA: Ecco io vorrei dire una cosa: siccome la vostra debolezza è che non esistete come gruppo che può dialogare con le istituzioni, cosa pensate delle iniziative di carattere di assistenza cristiana del tipo Comunità di S. Egidio, Caritas, ecc. Voi siete in contatto con loro, perché loro hanno più possibilità di affrontare e risolvere questi problemi?
RISPOSTA: Ma il discorso sono gli appalti, sono quelli che contano. E la Caritas non ha appalti, S. Egidio non ha appalti. Sono gli appalti che danno potere poi.

DOMANDA: Però una cosa importante: se noi non diamo lavoro?
DZEMILLA: Io - guardi signora! - sono andata in cerca di lavoro prima di conoscere mio marito, perché andando a chiedere l'elemosina onestamente non facevo neanche quelle 5000 lire. Allora siccome non si poteva andare avanti - eravamo otto figli, io sono la più grande - c'era un prete che ci dava due ore a settimana a pulire il cortile ed eravamo una ventina di ragazze che andavano da questo prete a lavorare. Era eccezionale questo prete, perché ci faceva lavorare per non darci l'elemosina. Allora cosa ha fatto: con venti ragazze ha aperto un laboratorio di cucito che venivano le donne che ci insegnavano a cucire. Ci trovava il lavoro questo prete, però, quando sapevano che eravamo zingare, nessuno ci prendeva, nessuno. Eravamo anche abbastanza bravine. Cercavamo anche come domestiche, ma nessuno ci accettava. C'era una ragazza di colore, una ragazza polacca, un'altra etnia sì, ma zingare no. Io ho lavorato tre, quattro anni da questo prete. Così, però cosa si fa? Una settimana ventimila lire, non ci fai niente. Non è facile.

CARLO: Quindi si tratta di raccogliere la sfida anche come cristiani di trovare - in tutta questa difficoltà tutta legittima - di non stancarsi di trovare dei piccoli spazi di incontro, piccoli, ma importanti, altrimenti...

DOMANDA: Ma tu non puoi farti portavoce di questi problemi?
RISPOSTA: Sì, ma io chi ho dietro? Chi sono io? Del resto è una pastorale questa di perdenti. Quando parlavo di kenosi, significa anche che poi certe cose uno le vede. Quando capita certo lo facciamo. Quando capita.

DOMANDA: Don Andrea aveva detto che sareste venuti a vendere i prodotti?
RISPOSTA: Sì, noi facciamo delle piccole icone in pietra, ci manteniamo con questo lavoro. Allora ogni tanto cerchiamo qualche prete che ci faccia vendere fuori della chiesa. Allora avevamo conosciuto il cugino di d.Andrea che però sta a Sessa Aurunca. Allora gli abbiamo detto: “Facci conoscere tuo cugino, può darsi che ci aiuti”. Allora siamo venuti da lui che ci ha detto: “Però dovete venire a parlare prima a tutti”. Verremo domenica 20 maggio.


Note

[Nota 1] Questi editti sono analizzati dall'autore di questa conferenza nel libro che abbiamo già citato: Paolo Carlo Stasolla, La Chiesa cattolica e il popolo zingaro nell'Italia del XVI secolo, Quaderni di “Servizio Migranti” n.35, Roma, 2001.


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