Gesù e i suoi "fratelli" (tpfs*)
di Gianfranco Ravasi

(da Avvenire, Agora', 24 novembre 2002)


Tutti i giornali hanno dato notizia di un articolo apparso sul numero di ottobre-novembre 2002 della Biblical Archaeology Review in cui un noto studioso francese, André Lemaire, informava sulla scoperta dell'iscrizione aramaica: “Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù”, incisa sul lato di un'urna funeraria databile al I sec. d.C. e appartenente a una collezione privata. In attesa di una documentazione più ampia e specifica (la rivista in questione, anche se settoriale, è divulgativa), l'attenzione s'è spostata sull'antica questione dei “fratelli” di Gesù. Ricostruiamo gli antefatti storici della questione, partendo da un paio di passi marciani. Gesù passa dal suo villaggio, Nazaret. E' sabato e va da buon ebreo in sinagoga ove tiene un discorso che impressiona tutti. Scattano subito le reazioni tipiche di un piccolo paese e lo stupore si trasforma in ironia e sospetto: “Da dove gli vengono queste doti? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui con noi?” (Mc 6, 2-3). Fin dalle origini cristiane ci si è interrogati proprio sull'identità di questi “fratelli e sorelle” rispetto ai quali Gesù sembra prendere le distanze anche in un'altra occasione. Un giorno, infatti, gli comunicano: “Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano!” E Gesù: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” Poi, dopo aver girato lo sguardo sugli uditori, continua: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi fa la volontà di Dio, costui è per me fratello, sorella e madre” (Mc 3, 31-35). Anche lo storico giudaico Giuseppe Flavio (I sec.) nella sua opera Antichità giudaiche (XX, 200) parla di Giacomo, responsabile della Chiesa di Gerusalemme, come di un “fratello di Gesù detto il Cristo”. Una prima e antica identificazione di questi “fratelli” appare in uno scritto apocrifo (cioè non accolto nel Canone delle Sacre Scritture) composto nel II secolo, il cosiddetto Protovangelo di Giacomo. In esso Giuseppe, al momento del matrimonio con Maria, confessa: “Ho figli e sono vecchio, mentre lei è una ragazza!” (9,2). I “fratelli” di Gesù sarebbero per quest'opera “fratellastri”, nati da un precedente matrimonio di Giuseppe. Sempre nel II secolo un autore cristiano di origine palestinese, un certo Egesippo, nelle sue Memorie parla di “parenti” di Gesù che furono processati dai Romani sotto l'imperatore Domiziano, quindi sul finire del I secolo. Questa tesi fu accolta anche dal famoso traduttore latino della Bibbia, san Girolamo, che nei “fratelli” e nelle “sorelle” di Gesù vide in pratica i cugini, cioè gli appartenenti al clan familiare di Maria. Egli sostenne questa tesi nell'opera De perpetua virginitate polemizzando aspramente contro un tale Elvidio, suo contemporaneo (IV secolo), che affermava trattarsi invece di figli avuti da Maria e Giuseppe successivamente rispetto a Gesù, tesi sostenuta anche da alcuni esegeti moderni. Uno degli argomenti addotti era la frase del Vangelo di Luca in cui si dice che Maria “diede alla luce il suo primogenito”, Gesù (2, 7). E', però, da notare che il termine “primogenito” ha di per sé valore giuridico e sottolinea i diritti biblici connessi alla primogenitura. Curiosamente in un documento aramaico del I secolo si parla di una madre (di nome Maria essa pure) che morì dando alla luce “il suo figlio primogenito”.

L'esegesi storico-critica moderna ha fatto notare poi che nell'aramaico o nell'ebraico il termine “fratello” ('aha' e 'ah' ) indica sia il fratello, sia il cugino, sia il nipote, sia l'alleato: nella Genesi Abramo chiama il nipote Lot “fratello” (13, 8), come fa Labano col nipote Giacobbe (29, 15). Inoltre l'espressione “fratelli del Signore” nel Nuovo Testamento (Atti 1, 14; 1Corinzi 9, 5) designa un gruppo ben definito, quello dei cristiani di origine giudaica legati al clan nazaretano di Cristo. Essi costituirono una specie di comunità a sé stante, dotata di una sua autorevolezza al punto tale da poter proporre un proprio candidato come primo “vescovo” di Gerusalemme, Giacomo (Atti 15, 13; 21, 18). Nel brano sopra citato (Marco 3, 31-35) Gesù sembra ridimensionare i loro privilegi e ridurli all'orizzonte più generale e più significativo della fedeltà alla volontà del Signore. Per altro essi non sono mai chiamati, come Gesù “figli di Maria”. A questo punto, però, entra in scena la nostra iscrizione ove si avrebbe “figlio di Giuseppe” e quindi si inviterebbe a considerare Giacomo come fratello carnale di Gesù, magari come figlio avuto da Maria dopo aver generato Gesù. Prescindendo dal discorso teologico sulla verginità di Maria attestata dalla fede cristiana antica, e rimanendo nell'ambito puramente storico-critico, bisogna essere in realtà molto cauti. Lo stesso Lemaire riconosce che “tenendo conto del numero di abitanti di Gerusalemme (ca. 80.000) e dell'onomastica dell'epoca, vi potevano essere almeno una ventina di Giacomo che avevano un padre chiamato Giuseppe e un fratello denominato Gesù”, trattandosi di nomi comunissimi. Supponendo pure che l'espressione “fratello di Gesù” – piuttosto inattesa in un'epigrafe funeraria – sia stata introdotta proprio per rimandare a Cristo, figura nota, non si potrebbe però storicamente escludere né la tesi della paternità solo legale di Giuseppe nei confronti di Gesù, paternità attestata dal Vangelo di Matteo, né la tesi di una precedente prole di Giuseppe, attestata dall'antica tradizione apocrifa.


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