Le situazioni matrimoniali irregolari. Disciplina ecclesiale e misericordia evangelica (tpfs*)

di Aristide Fumagalli (da La rivista del clero italiano, 7/8, 2004, pp. 530-540)

Lo studio di don Aristide Fumagalli, docente di teologia morale presso il Seminario di Venegono, illustra con chiarezza le ragioni, dogmatiche e pastorali, dell'attuale disciplina ecclesiastica sulle situazioni matrimoniali irregolari («lo stato di vita dei battezzati che vivono coniugalmente senza il sacramento del matrimonio»): esse non consentono di ricevere i sacramenti perché obiettivamente ne contraddirebbero il senso. Insieme, l'Autore mostra che il Magistero non si limita a tale prescrizione, ma afferma che «non esiste alcuna situazione, per quanto irregolare possa apparire, alla quale la Chiesa manchi di aprire un cammino possibile per crescere nella fede e nell'amore di Cristo». Viene così sgombrato il campo con nettezza da pregiudizi ed errati convincimenti che purtroppo talvolta non mancano anche nelle nostre comunità.


L'intento di questo contributo [1] non è di entrare nel merito del dibattito teologico sui possibili sviluppi della dottrina matrimoniale e nemmeno di proporre delle soluzioni pastorali oggi praticabili [2]. Più semplicemente si vorrebbe mettere in luce l'ispirazione evangelica che anima l'attuale disciplina e indicare, al di là di malintesi e di (pre)giudizi spesso derivanti da un'informazione superficiale o capziosa, la misericordia della Chiesa rispetto a quanti, suoi figli, vivono una situazione coniugale che non corrisponde alle verità cristiana del matrimonio indissolubile.

1. La disciplina ecclesiale

L'amore indissolubile di Cristo

«L'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!» (Ef 5,31-32): la Chiesa cattolica insegna che il matrimonio è un sacramento e la teologia tradizionale spiega che il sacramento è un «segno efficace» della grazia. La storia d'amore di un uomo e di una donna battezzati, dunque, in quanto sacramento, manifesta realmente l'amore di Cristo. In quanto sacramento dell'amore di Cristo per la Chiesa, l'amore matrimoniale non è una vicenda privata dei due coniugi, ma diviene una realtà teologale ed ecclesiale.
L'amore di Cristo può essere sinteticamente indicato con le parole che introducono il momento culminante della sua vita: «Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1).
L'espressione «sino alla fine» mette in chiara luce la qualità indissolubile dell'amore di Cristo per i suoi: l'amore di Cristo non s'interrompe, ma continua sino al termine della sua vita, sino al gesto supremo e insuperabile di dare la sua vita, di morire, per amore.

L'interruzione della vita coniugale

La storia d'amore di due coniugi, anche cristiani, può divenire difficile. Difficile, lo è sempre in qualche modo, ma talvolta può giungere fino alla separazione, che quando viene sancita civilmente si chiama divorzio. Non c'è più vita coniugale, come si dice: né di tetto, né di letto. Una tale separazione può talvolta rendersi necessaria, quando, per esempio non sono tutelati i diritti fondamentali di un coniuge o dei figli: è per questo motivo che la Chiesa, in determinati casi, ammette quale estremo rimedio la separazione e il divorzio civile [3].
Quando la vita matrimoniale è interrotta, non è facile riconoscere la relazione tra i due coniugi come segno reale dell'amore indissolubile di Cristo. E tuttavia ciò non è del tutto escluso, non solo perché i due potrebbero tornare a vivere l'amore di un tempo, ma anche perché il restare soli a fronte magari del tradimento dell'altro è una forma dolorosa ma luminosissima della qualità dell'amore di Cristo, il quale morì per amore non in una notte qualsiasi, ma nella notte in cui fu tradito. Da questo punto di vista la Chiesa riconosce grande valore alla testimonianza di quei coniugi che, pagando un caro prezzo, accettano la solitudine come forma del loro amore fedele e indissolubile.

La nuova convivenza coniugale

Un coniuge separato o divorziato, più frequentemente, comincia una nuova convivenza matrimoniale, ratificandola o meno sul piano civile, che, ammettendo il divorzio, ammette anche nuove nozze. Ciò che risulta possibile sul piano civile non lo è su quello religioso. La Chiesa non ammette infatti un secondo matrimonio sacramentale, a meno che il primo non sia stato dichiarato nullo. In questo caso - è bene precisare i termini - non si annulla un matrimonio valido, cosa che la Chiesa non ha il potere di fare, ma si dichiara che quello che appariva essere un vero matrimonio, in realtà, per via dell'assenza o della falsificazione di talune condizioni, non lo è mai stato. Si capisce, allora, perché una prima fondamentale forma di aiuto nei confronti delle persone divorziate, risposate o meno, sia quello di accertare la validità del primo matrimonio.
Qualora il primo matrimonio sia valido, non è più possibile un secondo matrimonio religioso. Col sacramento del matrimonio, infatti, l'amore dei due coniugi diviene espressione dell'amore di Cristo per la Chiesa. Quando uno dei due s'impegna in un'altra vicenda amorosa non è più in grado di essere un segno reale dell'indissolubilità di tale amore. Non è escluso che la nuova convivenza sia segno d'amore, e anche d'amore cristiano, che anzi talvolta appare più autentico dell'amore di non pochi coniugi regolarmente sposati, e tuttavia la nuova convivenza non può divenire sacramento dell'amore cristiano, poiché manca del tratto essenziale dell'indissolubilità.
«Lo stato di vita dei battezzati che vivono coniugalmente senza il sacramento del matrimonio» [4] è ciò che la Chiesa intende per situazione matrimoniale irregolare, la quale pertanto riguarda: i divorziati risposati. gli sposati solo civilmente, i semplici conviventi. Di queste tre forme quella dei cristiani divorziati risposati appare la più problematica, poiché normalmente, a differenza delle altre due, non può essere canonicamente regolarizzata.

L'astensione dai sacramenti

Una convivenza coniugale che non sia sacramento non consente a chi la vive di ricevere i sacramenti. I sacramenti, si diceva infatti, sono segni efficaci dell'amore di Cristo. Non solo essi comunicano l'amore di Cristo a coloro che li ricevono, ma impegnano costoro a vivere in modo che tale amore possa essere manifestato. In particolare l'Eucaristia alimenta la vita di chi la riceve, affinché manifesti la qualità dell'amore di Cristo specialmente in quelle relazioni segnate da un altro sacramento, come è la relazione coniugale per chi ha ricevuto il sacramento del matrimonio. Nel caso delle persone in situazione matrimoniale irregolare la relazione tra i due partner, pur essendo di tipo coniugale, manca di una qualità essenziale per manifestare l'amore di Cristo, l'indissolubilità, e dunque non è compatibile col tipo di amore che gli altri sacramenti, specialmente quello dell'Eucaristia, comunicano e chiedono di manifestare. Nel caso dei semplici conviventi e degli sposati solo civilmente la condizione dell'indissolubilità non è ancora stata posta dai due partner; nel caso dei divorziati risposati il carattere indissolubile dell'amore cristiano risulta impedito per via del fatto che l'attuale partner non è il medesimo al quale si è sacramentalmente uniti.
Oltre a questa ragione di carattere dogmatico, c'è una ragione di carattere pastorale per cui la Chiesa non ammette ai sacramenti i cristiani in situazione matrimoniale irregolare. L'accostarsi ai sacramenti di questi ultimi potrebbe suscitare nella comunità cristiana, specialmente in chi è meno preparato, l'idea che il sacramento del matrimonio non sia indissolubile, dal momento che la sua dissoluzione non impedisce di ricevere gli altri sacramenti, che manifestano in pienezza l'amore di Cristo. Per questa medesima ragione la Chiesa richiede a quanti si trovano in situazione matrimoniale irregolare di non assumere nella comunità cristiana incarichi di particolare rilevanza nell'ambito liturgico, catechistico o rappresentativo [5]. L'astensione richiesta alle coppie canonicamente irregolari non è tuttavia la dichiarazione della loro totale impossibilità di testimoniare, anche sotto il profilo dell'indissolubilità, l'amore cristiano. Infatti, «se i fedeli, che si trovano in una tale situazione, la accolgono con convinzione interiore, essi rendono con questo, a loro modo, testimonianza all'indissolubilità del matrimonio e alla loro fedeltà alla Chiesa» [6].

2. Le situazioni personali

Si sarà notato come fino a questo punto, la disciplina della Chiesa sia stata presentata senza nulla dire delle cause e dei motivi per cui un cristiano può trovarsi in situazione matrimoniale irregolare. Come può la Chiesa stabilire le sue leggi prescindendo dalle particolari situazioni delle persone? Non si fa d'ogni erba un fascio? Domande come queste conducono al punto nevralgico dell'acceso dibattito in corso in seno alla Chiesa. Su questo punto si concentrano le critiche alla Chiesa e i malintesi, dentro e fuori la Chiesa.

Peculiarità delle situazioni

Che la Chiesa non consideri la diversità delle situazioni è affermazione che non trova riscontro nel suo insegnamento. Non solo è richiesto ai pastori di distinguere, ma ne viene fatto esplicito obbligo, e questo da parte della massima autorità della Chiesa, il Papa:

Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido [7].

Nasce però una domanda: perché si obbliga a «en discernere le situazioni» quando poi l'esito, cioè l'esclusione dai sacramenti, è uguale per tutti? Per sciogliere questa apparente incoerenza è necessario richiamare che il giudizio morale sulle persone non coincide con quello canonico sulla loro situazione. La Chiesa non può giudicare le persone ma solo i comportamenti che hanno un rilievo pubblico, comportamenti che potrebbero impedire l'annuncio trasparente e limpido dei contenuti del Vangelo. Poiché il matrimonio sacramentale, come già osservato, non è una realtà solo privata, ma teologale ed ecclesiale, non potrà essere regolamentato esclusivamente sulla base del bene personale della coppia, ma dovrà tener conto del bene sacramentale in gioco. Le leggi stabilite a riguardo potranno talvolta risultare onerose nei singoli, ma la logica che vi soggiace non sarà mai quella di castigare le singole persone, quanto quella di salvaguardare il bene comune della Chiesa. Di conseguenza, la richiesta di astenersi dai sacramenti non è motivata da ragioni propriamente morali, dal fatto cioè che le persone in situazione matrimoniale irregolare siano più peccatrici di altre, ma da ragioni di ordine canonico-sacramentale, che regola quei comportamenti della vita cristiana che hanno rilevanza pubblica. Sono ragioni di ordine oggettivo e non soggettivo che presiedono alle regole canoniche della Chiesa. In sintesi e con altri termini: «L'esclusione non è certamente un giudizio sulla soggettiva indegnità, o la dichiarazione che il divorziato risposato si trova in situazione di peccato grave» [8].

Appartenenza alla Chiesa

Poiché l'esclusione dai sacramenti viene prevista anche per chi è scomunicato [9], si ritrova anche tra i fedeli l'idea che le persone in situazione matrimoniale irregolare siano scomunicate. Da qui l'allontanamento dalla vita della Chiesa, che non può certo essere ridotta (come invece lo è purtroppo spesso oggi) alla ricezione dei sacramenti. Questa idea, sbagliata dal punto di vista canonico e pericolosa dal punto di vista pastorale, va nella linea contraria alle indicazioni della Chiesa, che confermano l'appartenenza attiva dei fedeli in situazione matrimoniale irregolare alla vita ecclesiale.

I fedeli divorziati risposati rimangono membri del Popolo di Dio e devono sperimentare l'amore di Cristo e la vicinanza materna della Chiesa. Sebbene questi fedeli vivano in una situazione, che contraddice il messaggio del Vangelo, essi non sono esclusi dalla comunione ecclesiale. Essi sono e restano sue membra, perché hanno ricevuto il battesimo e conservano la fede cristiana. Per questo motivo i documenti magisteriali parlano normalmente di fedeli divorziati risposati e non semplicemente di divorziati risposati [10].

Vie aperte

Per un verso impossibilitati a ricevere i sacramenti e per altro verso membri attivi della vita della Chiesa: quali vie sono concretamente proposte a chi si trova in situazione matrimoniale irregolare per vivere la fede cristiana?
Una prima via, da non escludere a priori, è quella di regolarizzare la propria convivenza matrimoniale. La prospettiva appare meno problematica per i semplici conviventi e gli sposati solo civilmente, che sono invitati a incamminarsi verso il matrimonio sacramentale. Ciò non è possibile per i divorziati risposati, a meno che, cosa insolita ma non impossibile, decidano di separarsi, per tornare, se possibile, al primo matrimonio. Laddove non fosse più possibile riprendere la vita coniugale del primo matrimonio, o ragioni serie lo sconsigliassero, già la separazione dal secondo partner riporterebbe la regolarità della situazione.
Nella maggior parte dei casi la separazione dei divorziati risposati non solo non è possibile, ma neanche viene richiesta dalla Chiesa, poiché sussistono motivi seri - quali, per esempio, l'educazione dei figli - perché la relazione continui [11]. In questi casi, stante la convivenza, la Chiesa non esclude la ricezione dei sacramenti in modo assoluto, ma la consente a determinate condizioni: la prima condizione è che i due assumano l'impegno di astenersi dagli atti coniugali, la seconda è che, ricevendo la comunione, non diano scandalo ad altri fedeli. Di queste due condizioni, la prima, soprattutto, appare quanto mai improba, al punto che ci si vergogna talvolta di richiamarla. Conviene tuttavia farlo, anzitutto perché, per quanto obiettivamente ardua, non è senza logica. Dicevamo, infatti, che ciò che impedisce la ricezione dei sacramenti è la seconda relazione coniugale. Ciò che distingue una convivenza in quanto coniugale sono gli atti propri dei coniugi. Laddove essi s'interrompessero, per scelta volontaria o talvolta in seguito a talune circostanze della vita (malattia, età, ecc.), si verrebbero a creare le condizioni per poter accedere ai sacramenti. In ogni caso la decisione sulla praticabilità o meno dell'astensione dai rapporti coniugali è bene che sia presa in prima persona dagli interessati e dunque che essi vengano adeguatamente informati sulle ragioni di questa condizione.
C'è un altro motivo per cui vale la pena di non sottacere le indicazioni circa l'impegno all'astensione dai rapporti sessuali, e cioè il motivo per cui tutti i fedeli si astengano dal giudicare comunque male gli eventuali divorziati risposati che vedessero accedere ai sacramenti.
Le vie finora tracciate, quella della separazione o dell'astensione dai rapporti coniugali, consentono ai divorziati risposati di accedere ai sacramenti, ma se fossero le uniche vie percorribili risulterebbero, per la maggior parte, impraticabili. Per questo la Chiesa allarga la sua proposta, ricordando come l'impossibilità di accedere ai sacramenti non toglie significato e valore al resto della vita cristiana, che è ben più ampia della vita sacramentale. Di questa ricchezza, quanti vivono in situazione matrimoniale irregolare potrebbero meglio accorgersi se tutti gli altri fedeli la vivessero meglio.

A molti adempimenti vitali della Chiesa i fedeli divorziati risposati possono senz'altro partecipare: «Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dar incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio» (FC 84). [...] E importante ribadire sempre che i fedeli interessati possono e debbono partecipare in molteplici forme alla vita della Chiesa. La partecipazione alla vita ecclesiale non può essere ridotta alla questione della ricezione della comunione, come purtroppo spesso avviene [12].

Stando al principio tradizionale secondo cui i sacramenti non esauriscono l'operare dello Spirito Santo, si può certo ammettere che la vita cristiana conosca vie che potremmo definire 'pre-sacramentali', vie che il Magistero non manca di prospettare:

I fedeli devono essere aiutati ad approfondire la loro comprensione del valore della partecipazione al sacrificio di Cristo nella messa, della comunione spirituale, della preghiera, della meditazione della parola di Dio, delle opere di carità e giustizia [13].

Il rilievo teologico delle vie indicate potrebbe essere meglio apprezzato qualora le si considerassero alla luce della dottrina tradizionale del votum sacramenti, secondo cui «l'effetto (res) di un sacramento si può ottenere prima di ricevere il sacramento, per mezzo del voto stesso di accostarsi al sacramento» [14]. La possibile efficacia salvifica della via «pre-sacramentale» della grazia trova riscontro nelle impegnative parole del Papa, che siglano il passaggio dell'autorevole testo di Familiaris Consortio dedicato ai divorziati risposati:

Con ferma fiducia [la Chiesa] crede (firma cum fiducia ecclesia credit) che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore e in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità [15].

Non sfugga la decisiva importanza dell'affermazione papale in ordine anche alla possibilità di rasserenare la coscienza dei fedeli divorziati risposati che si sentissero rifiutati dalla Chiesa e minacciati del castigo divino: la Chiesa impegna la sua fede nel dichiarare che, anche per coloro che a causa della loro situazione matrimoniale irregolare non possono accedere ai sacramenti, è aperta una via, per corrispondere alla vocazione cristiana su questa terra ed essere giudicati degni del Regno dei cieli al termine della vita.

3. Il più ampio orizzonte del problema

Per essere adeguatamente considerata, la disciplina della Chiesa riguardante le situazioni matrimoniali irregolari, andrebbe collocata sullo sfondo dell'attuale situazione civile ed ecclesiale. La questione dei divorziati risposati apparirebbe allora come un luogo in cui vengono al pettine problemi che non riguardano esclusivamente i divorziati risposati, ma l'intera comunità cristiana. In particolare il nodo centrale da sciogliere sembra essere quello di come sorgano i matrimoni cristiani e se si possa ancora considerare cristiano un matrimonio anche quando i due coniugi, pur battezzati, non praticano, anche solo in minima parte, la vita cristiana. Ciò allarga il problema a tutti gli altri sacramenti, primariamente al battesimo, e al rapporto tra fede personale e sacramento ecclesiale. La serietà della questione è stata segnalata dallo stesso Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, card. Ratzinger:

Ulteriori studi approfonditi esige invece la questione se cristiani non credenti - battezzati, che non hanno mai creduto o non credono più in Dio - veramente possano contrarre un matrimonio sacramentale. In altre parole: si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale. Di fatto anche il Codice indica che solo il contratto matrimoniale «valido» fra battezzati è allo stesso tempo sacramento (cfr. CIC, can. 1055, § 2). All'essenza del sacramento appartiene la fede; resta da chiarire la questione giuridica circa quale evidenza di 'non fede' abbia come conseguenza che un sacramento non si realizzi [16].

Nella situazione attuale non si può negare che soprattutto sui fedeli divorziati risposati grava la fatica di chiarimento che la Chiesa sta perseguendo. Grava soprattutto su quei fedeli divorziati che, dopo aver celebrato il primo matrimonio senza alcuna vita di fede, hanno ripreso a credere in occasione o nel corso della seconda convivenza coniugale e percepiscono quest'ultima come più corrispondente alle esigenze del matrimonio sacramentale.
Se è vero che questo è un fardello che rischia di aggiungersi a un carico già pesante, è anche vero che l'obbedienza all'attuale disciplina in nome del bene della Chiesa, accettata a fronte di personale sofferenza, non è testimonianza evangelica di poco conto e come tale è in grado di motivare ai fedeli divorziati risposati la loro attuale sofferenza e, osiamo sperare, favorire in futuro una disciplina che sempre meglio corrisponda alla promessa secondo cui «verità e misericordia s'incontreranno» (Sal 85,11).
Ciò che fin da questo momento non può essere sottaciuto, benché talvolta sia confusamente spiegato e malamente interpretato, è che non esiste alcuna situazione, per quanto irregolare possa apparire, alla quale la Chiesa manchi di aprire un cammino possibile per crescere nella fede e nell'amore di Cristo.


Note

[Nota 1] Articolo pubblicato sulla rivista diocesana: Ambrosius, 77 (2001/3-4), pp. 411-422; 427-428.

[Nota 2] Per l'una e l'altra prospettiva mi permetto di rinviare al mio articolo: Il dibattito sui divorziati risposati. Al di là dell'opposizione tra norma oggettiva e coscienza soggettiva, “La Scuola Cattolica”, 127(1999/5), pp. 513-566, da integrare con la successiva dichiarazione del Pontificio Consiglio per l'interpretazione dei testi legislativi, La comunione ai divorziati risposati, “Il Regno documenti”, 45 (2000/15), pp. 487-488.

[Nota 3] Conferenza Episcopale Italiana, Direttorio di Pastorale Familiare per la Chiesa in Italia. Annunciare, celebrare, servire il “Vangelo della Famiglia”, Roma, Fondazione di Religione 'Santi Francesco d'Assisi e Caterina da Siena', 1993, nn. 210-211 e citati riferimenti.

[Nota 4] Diocesi di Bergamo, Cammini di fede per i divorziati risposati. Nota dell'ufficio per la pastorale della famiglia, Bergamo 1998, pp. 7-8.

[Nota 5] Conferenza Episcopale Italiana, Direttorio di Pastorale Familiare …, cit., n.218 e citati riferimenti.

[Nota 6] J.Ratzinger, Introduzione in: Congregazione per la Dottrina della Fede, Sulla pastorale dei divorziati risposati. Documenti, commenti e studi , Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, p. 15.

[Nota 7] Familiaris Consortio , 84, corsivo nostro.

[Nota 8] G.Muraro, I divorziati risposati nella comunità cristiana, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1994, p. 99. E anche laddove il Magistero parla di “peccato grave manifesto” in riferimento ai divorziati risposati si deve precisare che lo fa in senso oggettivo, prescindendo dalla imputabilità soggettiva: cfr. Pontificio Consiglio per l'interpretazione dei testi legislativi, La comunione ai divorziati risposati, “Il Regno documenti”, 45 (2000/15), p. 488.

[Nota 9] CIC, can. 915.

[Nota 10] J.Ratzinger, Introduzione in: Congregazione per la Dottrina della Fede, Sulla pastorale dei divorziati risposati. Documenti, commenti e studi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, p. 12.

[Nota 11] Conferenza Episcopale Italiana, Direttorio di Pastorale Familiare …, cit. n. 220 e citati riferimenti.

[Nota 12] J.Ratzinger, Introduzione in: Congregazione per la Dottrina della Fede, Sulla pastorale dei divorziati risposati …, cit., pp. 13-14.

[Nota 13] Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte dei fedeli divorziati risposati , n. 6, in: Id, Sulla pastorale dei divorziati …, cit., pp. 41-42.

[Nota 14] S.Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae , III, q. 73, a. 3, c. Sull'applicazione della dottrina del votum sacramenti al caso dei divorziati risposati riflette: G.Muraro, I divorziati risposati nella comunità cristiana , Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1994, pp. 102-104.

[Nota 15] Familiaris Consortio , 84.

[Nota 16] J.Ratzinger, Introduzione in: Congregazione per la Dottrina della Fede, Sulla pastorale dei divorziati …, cit., pp. 27-28.


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