Le frequenti visite alla cattedrale romanica di Civita Castellana –
i campi dei bambini di S.Melania degli anni 2003 e 2004 si sono svolti a Pian Paradiso, a pochi
chilometri da Civita Castellana, e numerose sono state le passeggiate per far loro conoscere
questo tesoro dell'arte medioevale – nella quale Innocenzo IV si rifugiò nel 1244,
meditando di fuggire a Lione, in Francia, per indire un Concilio che deponesse l'imperatore
Federico II, ci hanno permesso di riandare sovente con il pensiero alla storia dell'imperatore
della Casa di Svevia. Il I Concilio di Lione fu poi, di fatto, celebrato l'anno successivo, nel
1245.
Vogliamo per questo ripresentare una Postfazione scritta dal grande medioevalista italiano
Franco Cardini per il volume di Bianca Tragni, Il mitico Federico II di Svevia, edito da Mario
Adda Editore, Bari, 1994, nell'ottavo centenario della nascita di Federico II. Restiamo a
disposizione per l'immediata rimozione, se la messa a disposizione on-line non fosse gradita a
qualcuno degli aventi diritto.
L'Areopago
Federico, imperatore romano e re di Germania, d'Italia, di Sicilia e di
Gerusalemme, dorme da quasi sette secoli e mezzo nel sepolcro tagliato nella pietra imperiale
– il porfido, dal colore della porpora cesarea – nella navata destra della
cattedrale della sua Palermo. Attorno a lui, sembra non esserci pace: fin dal Duecento, ci si
accapiglia sul senso da conferire alla sua esperienza di uomo di governo e di cultura. Se la
leggenda gli attribuisce il ruolo di colui che vivit et non vivit e che tornerà
dopo un lungo sonno a guidare il popolo cristiano nella suprema battaglia della Fine dei Tempi,
cronisti medievali, eruditi rinascimentali e storici moderni hanno fatto a gara nel prestargli
i volti più diversi e talvolta più inquietanti. Lo hanno chiamato “sultano
battezzato” e addirittura Anticristo; hanno insinuato sia la sua paternità di un
libello prelibertino dove s'inveisce contro i “tre impostori” (Mosè,
Gesù, Muhammad); lo hanno chiamato mago ed astrologo; gli hanno attribuito le più
mirabili e le più atroci curiosità, hanno detto che spedisse nuotatori esperti a
indagare gli abissi marini (Cola Pesce e la sua storia), che facesse sventrare uomini vivi per
studiare i meccanismi della digestione, che allevasse bambini in torri solitarie, lontane dal
contatto umano, per scoprire quale lingua avrebbero parlato “secondo natura”; gli
hanno rimproverato di aver le mani lorde del sangue di familiari e di amici.
Ma chi era davvero, Federico II? Il 1994, ottavo centenario della sua nascita (a Jesi, nel
1194), sta proseguendo il lavoro medievistico di recupero alla storia dell'immagine del grande
sovrano tedesco - burgundo e normanno per sangue, greco e arabo – in parte ebraico
– per educazione, italofrancese per gusti e cultura “volgare”. Ma insieme con
la riappropriazione storica e la riconsegna alla verità del passato, riemergono vecchie
e nuove incomprensioni, vecchi e nuovi abusi. Si ricorda troppo spesso come venisse sepolto
avvolto in un manto arabo ricamato con versi del Corano, e si dimentica come – sotto quel
ricco manto – egli portasse indosso la ruvida veste di oblato cistercense; si parla con
troppa frequenza del carattere “moderno” del suo stato e della sua legislazione, e
si tralascia il fatto che esso fu un'applicazione del diritto romano in relazione ai caratteri
specifici del regno di Sicilia del tutto comprensibile alla luce del suo tempo e impossibile da
interpretarsi come un anticipo del modo di vedere “laico” (necessario presupposto
del quale è la secolarizzazione); si presentano i suoi interessi scientifici e la sua
tolleranza nei confronti dell'Islam quasi fossero anticipazioni di un sentire modernamente teso
al superamento del “medioevo cristiano”, e si dimentica che essi facevano parte di
un modo profondamente ecumenico (nel senso originario del termine) di avvertire i rapporti fra
uomo e cosmo e quelli fra le diverse civiltà nell'ambito d'una visione cristiana
all'interno della quale la natura aveva un suo ruolo gerarchicamente ordinato ed era sottomessa
per volontà divina all'uomo, mentre ai popoli ancora ignari del messaggio evangelico era
destinato l'amore fondato sulla consapevolezza profetica della loro futura appartenenza
all'unico gregge guidato dal solo Vero Pastore.
Lo “stato laico” di Federico II è frutto di un equivoco non innocente, di
una maldestra ma anzitutto strumentale manipolazione della storia. Non c'è una riga, in
tutta l'attività di statista e di legislatore di Federico, che contraddica al suo ruolo
di sovrano cristiano: le frequenti e anche dure tensioni con il pontefice, se talora lo
conducono a scontrarsi con i privilegi del clero, mai lo portano ad abbandonare l'ortodossia
cattolica e a venire meno al suo senso del dovere di re cristiano. Filoeretico secondo una
perfida propaganda guelfa, egli combatté duramente l'eresia nella quale ravvisava anche
un fattore di sociale disordine; traditore dell'ideale crociato e filoislamico a detta delle
calunnie dei suoi detrattori, egli portò invece correttamente a termine lo scopo vero
della crociata (ch'era semplicemente il controllo dei Luoghi Santi, non certo la lotta contro
l'Islam in quanto tale). Vi sono certo molte ombre, sul cammino storico dell'imperatore come
statista e come essere umano. Svanite ormai nel nulla le polemiche – figlie del loro
tempo, tra Risorgimento e nazionalismo – sul suo ruolo nei confronti dell'unità
italiana, altre ne avanzano oggi, anch'esse figlie del nostro tempo e come tali anch'esse
destinate a venir dimenticate. Fu davvero “moderna”, oppure ancor
“medievale”, la sua concezione del potere? In che misura la sua pesante politica
fiscale e il favore da lui accordato ai mercanti italosettentrionali nei confini del regno
posero le basi dell'arretramento storico del Meridione? E che rapporto va istituito tra la
triste ferocia dei suoi ultimi giorni terreni, la sua concezione della monarchia, il
“dispotismo orientale” e la tirannide moderna?
Tuttavia Machiavelli e Hobbes, il giurisdizionalismo e la schmittiana “teologia
politica”, insomma tutti i valori e le realtà giuridico-politiche moderne alla
luce o sulla base dei quali l'imperatore è stato giudicato, sono destinati a vanificarsi
dinanzi al perentorio peso della storia. Uomo universale, Federico lo fu solo nella misura in
cui seppe interpretare perfettamente il suo tempo; nessuna attualizzazione è possibile
per lui, se non quella sulla base della quale è stato detto che “tutta la storia
è storia contemporanea”.
Resta però, limpida e netta, la sua testimonianza di monarca cristiano, che ha ben
chiaro come dovere del sovrano sia il guidare il popolo al bene e alla felicità nella
misura in cui l'uno e l'altra sono conseguibili in terra e di lasciare quae sunt Dei
Deo. Ad esso, Federico è rimasto fedele anche nei monumenti di maggior tensione col
papato; mentre il suo Liber Augustalis, splendido documento di saggezza legislativa, dimostra
come suo scopo costante fosse l'equità e sua cura fondamentale il principio secondo il
quale non esiste nessun retto potere che non sia anzitutto servizio. Questa è
l'esemplarità della lezione del passato, che rispettare ed accogliere non è segno
di spirito reazionario ma – al contrario – di coscienza di come sul passato si
fondi il futuro, e non esista oggi senza memoria dello ieri.