Il viaggio del papa in Romania ha suscitato molto l’interesse, l’entusiasmo, ma anche molte domande. Ed è naturale, perché nei commenti televisivi si sentirono termini che conosciamo, ma che infatti rimangono per molta gente ancora assai vaghi: le Chiese orientali, la liturgia ortodossa, i cattolici di doppio rito.
“Orientale” e “Occidentale” sono nozioni
geografiche, ma molto relative. Il Giappone è per noi nel lontano Oriente,
l’America è in Occidente; non ci sorprende però che per gli abitanti del
sol levante son queste direzioni opposte. Ma quando si parla della Chiesa occidentale e delle
Chiese orientali, le sole direzioni geografiche appaiono confuse: i cattolici del Giappone
appartengono alla Chiesa occidentale da qualsiasi parte siano guardati, mentre i nostri vicini
Greci sono orientali. In questo campo ecclesiastico bisogna cercare la spiegazione non nel
presente ma nella storia antica. Quando Diocleziano divise il grande impero romano in due
parti, occidentale e orientale, con due città capitali, Roma e Bisanzio, il
provvedimento fu ispirato da ragioni puramente pratiche: facilitare l’amministrazione del
grande colosso statale. Ma ben presto le due parti seguirono la loro propria evoluzione. E
quando l’impero divenne cristiano, le evoluzioni proprie si manifestarono anche nella
vita della Chiesa, nei suoi riti e nell’amministrazione. Sono differenze che perdurano.
Perciò fin oggi chiamiamo “orientali” quelle Chiese che si trovavano in
quella parte dell’antico impero o furono fondate dai loro missionari. In occidente rimase
e si diffuse una sola Chiesa latina. I confini dei due imperi furono stabiliti da Diocleziano,
ma subirono cambiamenti, quando nel tempo dell’iconoclasmo, l’imperatore di
Costantinopoli s’impossessò della regione balcanica chiamata Illirico, che in
seguito divenne occasione di discussioni anche dal punto di vista di giurisdizione
ecclesiastica. Ma il tempo critico, come sappiamo, avvenne verso la fine del primo millennio,
quando l’antagonismo fra l’oriente e l’occidente provocò lo scisma
ecclesiastico.
Ma assistiamo, in quel tempo, anche ad un altro importante fenomeno storico. Prima che lo
scisma fosse compiuto una grande massa di nuovi popoli slavi si è inserita proprio in
mezzo fra le due parti dell’antico impero. Gli slavi! Allora si pose la domanda: a chi
apparterranno, dove sarà il loro posto? Nell’oriente o nell’occidente?
Sappiamo che in questo tempo cade la famosa missione dei SS. Cirillo e Metodio in Moravia.
Vennero da Costantinopoli, ma cercarono di ricevere la giurisdizione della Sede Apostolica.
Allora a Roma compresero l’importanza di questa missione. I santi fratelli ricevettero
dal papa straordinari privilegi liturgici per la loro missione. Si sperava che gli slavi
potessero diventare ponte di riconciliazione fra l’ “Europa” di quel tempo
(nel senso largo) che si spaccava. Purtroppo il piano è fallito. Il mondo era già
così diviso che gli slavi che dovevano unirlo sono stati coinvolti nella separazione e
essi stessi si sono divisi in due gruppi: slavi occidentali (cechi, slovacchi, polacchi,
sloveni, croati) e slavi orientali (serbi, bulgari, macedoni, ucraini, russi, bielorussi). E in
questa divisione sono stati coinvolti, a causa della loro posizione geografica, anche i romeni,
popoli di lingua latina, ma di appartenenza ecclesiastica orientale.
Ma quali conseguenze possiamo trarre da questa lontana storia per la situazione di oggi? Si ripete alla fine del secondo millennio una situazione simile a come era mille anni fa. Cresce la coscienza che il mondo della cultura europea non dovrebbe restare spaccato, che abbiamo bisogno di “respirare con due polmoni” come ripete spesso il papa, ripetendo l’espressione del grande poeta russo V. Ivanov, che egli pronunciò dopo la sua riunione con la Chiesa di Roma. Di nuovo si comincia ad intuire che i popoli che sono collocati fra i due campi di cultura dovrebbero prendere la funzione di ponte di riconciliazione. Non è forse tale la posizione della Romania? E’ un popolo linguisticamente e sotto molti aspetti anche culturalmente latino; nello stesso tempo ha avuto dalla fine del secolo XVIII un grande ruolo per il rinnovamento spirituale delle Chiese ortodosse (il movimento “filocalico”). E oggi - lo si può dire - la Chiesa ortodossa romena appare come una delle più importanti fra le altre Chiese sorelle. Lo dimostrano i numerosi monasteri, la pietà popolare, le facoltà teologiche, la tradizione dei padri spirituali. Se recentemente questa terra, con la visita del papa, si è presentata non come luogo di scontro ma dell’edificante incontro tra l’oriente e occidente, questo fatto possiamo leggerlo come segno dei tempi che può essere imitato dagli altri. Si rinnova la speranza di ritrovare quel ponte di riconciliazione che si voleva costruire mille anni fa. Agli occhi del Signore “mille anni sono come il giorno di ieri che è passato” (Sal 89,4). Allora preghiamo per il sole del giorno nuovo, alla soglia del terzo millennio.