La Bibbia ed il cristianesimo, insieme alla civiltà greco-latina, sono all'origine del fiorire dell'arte
pittorica e scultorea, come rappresentazione iconografica non solo della natura, ma anche della persona umana,
della storia e della rivelazione di Dio. Il lungo cammino della storia della salvezza e, soprattutto, il culmine
dell'Incarnazione di Cristo sono il presupposto teologico della possibilità di rendere con immagini la
storia di Dio con gli uomini. Dio non ha solo parlato, ma ha “fatto la storia” con gli uomini e,
nella carne di Cristo, è apparso “in forma umana”. “E' in Cristo che abita corporalmente
tutta la pienezza della divinità” (Col 2, 9).
La chiesa antica ebbe poi il merito di sostenere ed indicare una presentazione
globale della fede, attraverso il registro iconografico. Non è pensabile
in una chiesa paleocristiana o romanica, ma nemmeno in una rinascimentale o
barocca, la raffigurazione di una sola immagine particolare o di un particolare
aspetto della fede isolato e a sé stante. Sempre sarà centrale
l'immagine di Cristo e della santa Trinità. Sempre incontreremo la rappresentazione
dei “misteri” della vita di Cristo, delle storie neotestamentarie,
delle feste liturgiche. Sempre avremo a fianco del Cristo la Santissima sua
Madre e Giovanni Battista il precursore. Sempre gli apostoli ed evangelisti,
come i santi ed i martiri di ogni epoca, faranno corona – comunione di
tutti i santi – al santo locale cui la chiesa è dedicata. Sempre
Adamo ed Eva faranno comparsa a ricordare il Dio creatore ed il peccato d'origine.
Quali che siano le origini della avversione alle immagini
nei due periodi della crisi iconoclasta (dal greco “distruggere le immagini”)
che scoppiò nella Chiesa d'Oriente nell'VIII secolo d.C., il Concilio
Niceno II (787), celebrato dalla Chiesa Cattolica e parte integrante della tradizione
d'Oriente e d'Occidente, risolve dal punto di vista cristiano il problema con
affermazioni che hanno valore di dogma e sono perciò universalmente valide.
Così si pronuncia il Concilio:
“Uomini scellerati, e trascinati dalle loro passioni, hanno accusato
la Santa Chiesa, sposata a Cristo Dio, e non distinguendo il sacro dal profano,
hanno messo sullo stesso piano le immagini di Dio e dei suoi santi e le statue
degli idoli diabolici… Se qualcuno rifiuta che i racconti evangelici
siano rappresentati con disegni, sia anatema. Se qualcuno non saluta queste
(immagini), (fatte) nel nome del Signore e dei suoi santi, sia anatema. Se qualcuno
rigetta ogni tradizione ecclesiastica, sia scritta che non scritta, sia anatema”.
La motivazione dell'importanza della rappresentabilità della storia salvifica
e del Signore stesso, che ne è il cuore, dipende dall'affermazione della
realtà della Santa Incarnazione. Solo chi nega l'Incarnazione, può
negare anche il senso delle immagini che la riportano ai nostri occhi. Così
afferma il Concilio Niceno II:
“Se qualcuno non ammette che Cristo, nostro Dio, possa essere limitato,
secondo l'umanità, sia anatema”.
Il senso della venerazione delle immagini non è pertanto quello della
“latria” che è riservato solo a Dio, ma quello della “doulia”:
“Seguendo in tutto e per tutto l'ispirato insegnamento dei nostri santi
padri e l'insegnamento della chiesa cattolica – riconosciamo, infatti,
che lo Spirito Santo abita in essa – noi definiamo con ogni accuratezza
e diligenza che, a somiglianza della preziosa e vivificante Croce, le venerande
e sante immagini sia dipinte sia in mosaico, di qualsiasi altra materia adatta,
debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, nelle sacre suppellettili
e nelle vesti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e sulle vie; siano esse
l'immagine del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella
della immacolata Signora nostra, la Santa Madre di Dio, degli angeli degni di
onore, di tutti i santi e pii uomini. Infatti, quanto più continuamente
essi vengono visti nelle immagini, tanto più quelli che le vedono sono
portati al ricordo e al desiderio di quelli che esse rappresentano e a tributare
ad essi rispetto e venerazione. Non si tratta, certo, secondo la nostra fede,
di un vero culto di latria, che è riservato solo alla natura divina,
ma di un culto simile a quello che si rende all'immagine della preziosa e vivificante
croce, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con l'offerta
di incenso e di lumi, com'era uso presso gli antichi. L'onore reso all'immagine,
infatti, passa a colui che essa rappresenta; e chi adora l'immagine, adora la
sostanza di chi in essa è riprodotto”.
Tra il 1473 ed il 1477, sotto il pontificato di Sisto IV della
Rovere (1471-1484), venne fatta edificare sul fianco destro della Basilica di
San Pietro, al posto di una precedente cappella palatina, una Cappella poi denominata
Sistina, ancora oggi sede dei conclavi e delle cerimonie solenni. Realizzato
da Giovannino de' Dolci su disegno di Baccio Pontelli, questo edificio di forma
rettangolare internamente diviso in due sezioni da una transenna, è stato
progettato, secondo alcuni storici dell'arte, come una riproduzione del Tempio
di Salomone, così come viene descritto nel I Libro dei Re. In effetti
è un'aula bipartita rettangolare (1 Re 6, 1-36), le sue misure sembrerebbero
corrispondere a quelle dell'antico Tempio di Gerusalemme e alcuni degli affreschi
(come la doppia iscrizione di Sisto IV e di Salomone, presenti nell'affresco
del Perugino che ha in primo piano la “consegna delle chiavi”) convalidano
questa ipotesi ideale. Bisogna anche considerare che, in epoca rinascimentale,
il Tempio salomonico era talvolta ritenuto simbolo dell'universo e modello per
eccellenza della Chiesa.
La decorazione interna, tipicamente rinascimentale, divide le pareti dei lati
lunghi in tre fasce: quella inferiore con delle finte cortine, quella mediana
con le Storie di Mosè e di Gesù ed, infine, la fascia superiore
con ventotto nicchie conchigliate con figure di pontefici.
Gli affreschi della fascia mediana illustrano da un lato le Storie di Mosè,
sul lato destro dando le spalle alla parete del Giudizio Universale, fronteggiate,
dall'altro, da altrettante Storie di Gesù. I due cicli iniziavano nella
parete occupata ora dal Giudizio Universale di Michelangelo con il Ritrovamento
di Mosè e la Nascita di Cristo.
Si concludevano con due affreschi, andati perduti per il crollo di una parete,
con la “disputa per il corpo di Mosé” e con la “Resurrezione”.
Questi ultimi due affreschi furono poi rifatti da Matteo da Lecce e da Hendrik
van den Broeck.
Gli affreschi della Sistina furono commissionati dallo stesso Sisto IV il 27
ottobre 1481. La decorazione della Cappella Sistina venne conclusa entro il
15 marzo 1482 e fu inaugurata con una cerimonia pubblica il giorno dell'Assunzione
del 1483.
Tramite la comparazione della struttura del luogo sacro con il Tempio di Salomone,
Sisto IV intendeva mettere la Chiesa in diretto confronto con l'antichità
ebraica per evidenziarne al contempo il debito di eredità ma soprattutto
il compimento nel Nuovo, sviluppando ed evidenziando tale parallelismo nel ciclo
di affreschi che si stende lungo le pareti dove si specchiano episodi della
vita di Mosè e di Gesù, secondo il tema della 'concordanza' tra
i due Testamenti.
Il 'titolo' da noi riportato nei pannelli, tradotto dal latino, è quello
che fin dalle origini accompagna, sulla modanatura in marmo che corre al di
sopra degli stessi affreschi, ogni singola scena per spiegarne il significato.
I numeri evidenziano le diverse scene rappresentate con le indicazioni dei versetti
cui si riferiscono.