IL TESTO MASORETICO

Il confronto dei manoscritti e delle antiche versioni ci mostra che il testo della Bibbia, di trascrizione in trascrizione, è arrivato fino a noi sostanzialmente integro, ma con numerose varianti accidentali; appunto per valutare tali varianti e arrivare al testo critico, è necessario conoscere la storia della trasmissione del testo.
A un primo stadio, che possiamo chiamare di libera trascrizione, seguì, ad iniziare dal I sec. d. C., uno stadio di unificazione del testo. Gli scribi scelsero gli esemplari da loro ritenuti migliori, fecero eventualmente dei confronti e ne ricavarono un testo definitivo, che si sforzarono di ricopiare con la massima fedeltà, facendo sparire tutti gli altri esemplari non conformi al testo così fissato.
Attorno al testo degli scribi, che già avevano diviso i libri in versetti e li avevano contati, si formò tutta una complessa tradizione (in ebraico masôr? ) sul modo di leggere il testo, che era di sole consonanti. I Masoreti, cioè gli specialisti di quella lettura, tra il VI e il X sec. d. C., fissarono per iscritto questa tradizione e in primo luogo inventarono diversi sistemi per indicare, tramite punti e piccoli segni, le vocali e gli accenti delle parole, lasciando intatta la loro grafia consonantica.
Così sorse il testo masoretico , quale si trova nelle comuni edizioni della Bibbia ebraica.

IL PERIODO DEI SOFERIM

Sono detti soferim (letteralmente “contatori”) i rabbini e gli scribi che, dal I al VI secolo, si dedicarono a contare il numero di parole e di versetti del testo biblico per vigilare sull'autenticità del testo nei manoscritti. Vedi, per esempio, Lv 8, 8 dove viene scritto nel margine “la metà della torah secondo i versetti”, per indicare il versetto centrale della Torah. Inoltre facevano delle osservazioni su alcuni testi difficili per stabilire una lettura “giusta” e ortodossa. I loro commenti testuali tendevano a spiegare, o almeno a indicare, parole o espressioni che creavano difficoltà oppure proponevano alternative, lasciando intatto il testo consonantico. Sei indicazioni, che ritroviamo ancora oggi nel successivo testo masoretico, vengono fatte risalire a loro:

  1. I “punti straordinari”: sono 15 punti, segnalati con alcuni puntini sopra lettere o parole, per indicare che i soferim avevano dubbi sul testo (es. Is 44, 9).
  2. Il “nun inverso”: sono 9 punti in cui gli scribi vogliono probabilmente indicare la necessità di invertire 2 versetti (es. Nm 10, 34-36).
  3. Il “sebir” (dall'aramaico “supporre”). Sono 350 passi in cui si segnala che ci si aspetterebbe una parola migliore che è indicata a margine (es. Gen 19, 8).
  4. Il “qere-ketib”, cioè “detto-scritto”. Indica che la parola è scritta in un modo, ma deve essere letta in un altro (es. Gs 6, 7).
  5. Il “non c'è altro”, indica gli “apax legomena”, cioè le parole o espressioni che, ricorrendo una sola volta, sono di difficile traduzione.
  6. I “tiqquné soferim” o “emendazioni degli scribi”. Sono 18 punti in cui gli scribi propongono emendamenti del testo per non mancare di rispetto a Dio. Per esempio in Genesi 18, 22 si legge “Abramo stava ancora dinanzi al Signore”. Prima dell'intervento dei soferim che indicano in questo punto un cambiamento, si può supporre che un tempo si leggesse “Il Signore stava dinanzi ad Abramo”, il cui significato poneva dei problemi, poiché il “superiore” sarebbe dovuto stare di fronte all' “inferiore”.

Queste tecniche, usate dagli scribi, ci mostrano l'atteggiamento di totale rispetto del testo consonantico che, anche se non viene compreso, non viene mai cambiato.


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