La grande venerazione per la figura di San Lorenzo inizia subito dopo il suo martirio avvenuto nel periodo delle
grandi persecuzioni dei cristiani, nel III secolo dopo Cristo. Nel 254 salì al trono l’imperatore
Valeriano. In un primo momento sembrò tornata la pace dopo la persecuzione di Decio (250). "La casa
dell’imperatore è piena di cristiani", ci riporta Dionigi, allora vescovo di Alessandria
d’Egitto. Poi, improvvisa la svolta, che portò all’arresto di Dionigi (che sarà poi
liberato da una sommossa popolare); alla morte per decapitazione di Cipriano; vescovo di Cartagine, in Africa; e
a nuovi martiri romani.
Con un primo editto, del 257, si condannavano all’esilio, tutti i membri della gerarchia ecclesiale, se
non avessero compiuto le cerimonie romane, l’ossequio alle divinità dell’Impero.
Vengono inoltre confiscati i beni, e, si afferma che i cristiani "non debbono riunirsi per il culto, non debbono
usare i loro cimiteri".
La persecuzione si rivolge agli honestiores, ai cristiani di alto rango, ormai molto presenti nella
società. È infatti nel III secolo che i cristiani cominciano ad essere molto presenti nelle classi
alte della popolazione. Se non venerano le divinità pagane debbono essere esiliati, dopo la confisca dei
beni.
A Roma vengono martirizzati prima papa Sisto II con 4 diaconi, il 6 agosto 258, sorpresi in un cimitero. Il 10
agosto è la volta del martirio del diacono Lorenzo. Fu sepolto sulla via Tiburtina, nel luogo in cui
Costantino farà erigere la basilica di San Lorenzo.
Un documento che precede di pochissimi anni il martirio di san Lorenzo, una lettera di Cornelio, papa subito
dopo la persecuzione di Decio – lettera conservataci da Eusebio di Cesarea – ci informa della
presenza a Roma di 46 preti, 7 diaconi, 7 suddiaconi, 42 accoliti, 52 fra lettori ostiari ed esorcisti, e 1500
fra vedove e poveri aiutati dalla comunità. È uno dei rarissimi documenti che quantifica la
gerarchia ecclesiale presente a Roma nei primi secoli del cristianesimo.
Dunque, nel giro di pochi giorni, 5 dei 7 diaconi della chiesa di Roma vengono uccisi per il nome del
Signore.
Dalla storia della Chiesa emerge l’importanza del diaconato. Lorenzo e gli altri diaconi avevano la
responsabilità della cura dei 1500 fra poveri e vedove aiutati dalla comunità cristiana. Per questo
era affidata loro anche la responsabilità dell’amministrazione dei beni e dei cimiteri. Non è
casuale che alcuni papi di questo periodo siano scelti non fra i presbiteri, ma direttamente dal gruppo dei
diaconi, quindi ordinati presbiteri e consacrati vescovi. È un segno della rilevanza assunta da questo
ministero.
Una tradizione successiva, riassunta nella medioevale Legenda Aurea di Jacopo da Varazze mostra, come in
un simbolo, il motivo della venerazione popolare immensa che la figura di Lorenzo suscitò a Roma, subito
dopo il martirio:
Giunsero al tribunale, e lì riprese l’interrogatorio sul tesoro; Lorenzo chiese una sospensione di
tre giorni, e Valeriano gliela concesse, ponendolo sotto la custodia di Ippolito. Lorenzo approfittò dei
tre giorni per raccogliere poveri, zoppi e ciechi e li presentò all’imperatore al palazzo
sallustiano e disse: "Ecco questi sono i nostri tesori: sono tesori eterni, non vengono mai meno, anzi crescono.
Sono distribuiti a ciascuno, e tutti li hanno: sono le loro mani a portare al cielo i tesori".
La tradizione arricchisce il dato certo del martirio, descrivendone la modalità. Lorenzo fu arso vivo su
di una graticola e, nell’iconografia successiva, è sempre rappresentato con tale graticola al suo
fianco, segno della sua testimonianza suprema.
È perciò la caritas nel suo pieno significato teologale che viene testimoniata da Lorenzo.
Lorenzo muore, con il papa e gli altri diaconi, confessando che la caritas stessa è il Dio di
Gesù Cristo, quella stessa carità che aveva condiviso in ogni giorno del suo ministero, nel
servizio dei poveri.
Pochi anni dopo nel 260, Valeriano, sarà preso prigioniero dai persiani. Gallieno emanerà il
cosiddetto "editto di restituzione", probabilmente nel 262, che restituità cimiteri e luoghi di culto ai
cristiani. Ne abbiamo testimonianza, per Alessandria nel 264. Da allora, fino all’ultima persecuzione in
cui cadranno martiri Cecilia, Agnese, Sebastiano, martiri importantissimi, ma di cui non c’è rimasta
una memoria storica attendibile, il cristianesimo sarà religio licita, nell’impero
romano.
Un ultimo particolare aiuta a comprendere la forza della testimonianza della Chiesa di Roma, in quei duri anni.
Proprio nello stesso anno 258, solo alcune settimane prima del martirio di Sisto e dei suoi 5 diaconi, fu fissata
e celebrata – la notizia è della Depositio martyrum, documento degli anni 320/30, che tratta
di una trentina di martiri e della loro venerazione nella liturgia – per la prima volta in Roma la festa
dei santi Pietro e Paolo fissata per il 29 giugno. Il calendario la chiama la festa dei Santi Pietro e Paolo
ad catacumbas, perché celebrata probabilmente alle catacombe di San Sebastiano, dove erano state
traslate e riunite le reliquie degli apostoli Pietro e Paolo. Essa entrerà, da allora, nel calendario
liturgico della Chiesa.
Lorenzo fu sepolto in crypta nel cimitero su cui ora sorge la basilica. Per primo Costantino fece erigere
una piccola chiesa – poi ampliata e infine distrutta – a fianco del cimitero, a monumentalizzare il
luogo. Papa Pelagio II (578-590) sbancò il colle su cui si trovava il cimitero, che stava per franare, e
costruì una basilica con scale interne per permettere l’accesso diretto alla tomba del martire. Papa
Onorio III (1216-1227) ne aggiunse un’altra a quella di Pelagio, ma comunicante con essa, per cui, entrando
oggi, attraversiamo prima la basilica medioevale e giungiamo poi a quella pelagiana. Onorio invertì anche
l’orientamento basilicale, per cui per vedere l’arco trionfale pelagiano dobbiamo recarci dietro
l’altare maggiore.
La bolla Incarnationis Mysterium è la prima in cui compare la proposta di recarsi in
pellegrinaggio alla basilica di San Lorenzo, anche se da sempre è stata meta di pellegrinaggio.
Soprattutto la visita alle Sette Chiese, promossa da San Filippo Neri, ha conservato in epoca moderna la
centralità di questo luogo. Ma, come abbiamo già notato, il pellegrinaggio filippino non è
mai entrato a far parte integrante della proposta giubilare.
Lorenzo ha vissuto, come ministro ordinato, come diacono, quella carità che è segno centrale nella
proposta del Giubileo dell’Anno 2000, ed ha testimoniato col sangue del martirio la sua fede nel Signore.
In Lorenzo è possibile contemplare quella unità teologale indissolubile di fides e
charitas, la "fede che opera per mezzo della carità" (Gal 5, 6). Il martirio di san Lorenzo non
è un aggiunta esteriore al suo ministero di servizio, come se la fede si aggiungesse alla carità.
L’amore è tale proprio nella sua valenza teologale di testimonianza del vangelo del Signore
Gesù, che solo permette una visione nuova dei fratelli, che trasfigura sia lo sguardo di chi si rivolge al
povero sia la persona stessa che è nel bisogno rendendola quasi un sacramento del Figlio di Dio.
L’offerta della stessa vita nel martirio è dono ultimo che corona il dono quotidiano degli attimi
della vita nella fede e nell’amore.
La Tertio Millennio Adveniente ha così mostrato l’unità della vita morale del
cristiano, indicando insieme alcuni atteggiamenti e proposte che ne divengono lo stimolo e la verifica:
La carità, nel suo duplice volto di amore per Dio e per i fratelli, è la sintesi della vita morale del credente. Essa ha in Dio la sua scaturigine e il suo approdo. In questa prospettiva, ricordando che Gesù è venuto ad "evangelizzare i poveri" (Mt 11, 5; Lc 7, 22), come non sottolineare più decisamente l’opzione preferenziale della Chiesa per i poveri e gli emarginati? Si deve anzi dire che l’impegno per la giustizia e la pace in un mondo come il nostro, segnato da tanti conflitti e da intollerabili disuguaglianze sociali ed economiche, è un aspetto qualificante della preparazione e della celebrazione del Giubileo. Così, nello spirito del Libro del Levitico (25, 8-28), i cristiani dovranno farsi voce di tutti i poveri del mondo, proponendo il Giubileo come un tempo opportuno per pensare, tra l’altro, ad una consistente riduzione, se non proprio al totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di molte Nazioni. Il Giubileo potrà pure offrire l’opportunità di meditare su altre sfide del momento quali, ad esempio, le difficoltà del dialogo fra diverse culture e le problematiche connesse con il rispetto dei diritti della donna e con la promozione della famiglia e del Matrimonio.
La lettera del papa fa riferimento anche agli aspetti sociali e strutturali inerenti alla carità e alla
povertà. La basilica di San Lorenzo ci ricorda la presenza sacramentale del diaconato che caratterizza
strutturalmente la chiesa nell’animazione della carità. A tale testimonianza ci richiamano i
documenti recenti sul diaconato, dal Concilio Vaticano II in poi. Alla figura di san Lorenzo, come poi vedremo,
la basilica unisce la testimonianza del diacono e protomartire della stessa santo Stefano le cui spoglie
sarebbero state traslate a Roma e riunite a quelle del diacono romano, la testimonianza di San Giustino filosofo
animato dalla carità intellettuale e martire, anche lui sepolto in età antica nella basilica.
Persino un grande statista italiano, Alcide De Gasperi riposa qui.
In questo luogo siamo invitati ad accogliere l’invito del papa nella bolla Incarnationis Mysterium,
a quel "segno della misericordia di Dio, oggi particolarmente necessario, quello della carità, che apre i
nostri occhi ai bisogni di quanti vivono nella povertà e nell’emarginazione".
Altresì a livello personale la proposta giubilare di annunziare "un anno di grazia e di misericordia" si
traduce, per la prima volta nella storia, nella proposta di compiere pellegrinaggi ad personam come vie
per ottenere l’indulgenza. Il giubileo può essere celebrato, come scrive la bolla,
in ogni luogo, se si recheranno a rendere visita per un congruo tempo ai fratelli che si trovino in necessità o difficoltà (infermi, carcerati, anziani in solitudine, handicappati, ecc.) quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro (cfr. Mt 25,34-36).
Introduce alla chiesa il portico opera dei Vassalletto, una delle più importanti famiglie dei
marmorai romani, detti anche Cosmati, attivi a Roma e nel Lazio nel XII e XIII secolo. Sopra l’architrave
corre un fregio cosmatesco con mosaici in gran parte distrutti nel bombardamento del quartiere di san Lorenzo
durante la seconda guerra mondiale nel 1943. Sono sopravvissuti solo l’Agnello entro un clipeo, simbolo del
Cristo che offre se stesso, e la scena della presentazione a san Lorenzo di Pietro da Courtenay, incoronato nella
basilica imperatore latino di Costantinopoli dal papa Onorio III nel 1217.
Il nartece, il cui accesso è scandito dal ritmo sereno delle colonne, è decorato da
affreschi duecenteschi. La tradizione vuole che, essendo imperatore Giustiniano I, le reliquie di santo Stefano,
ritrovate a Gerusalemme nel 415, siano state traslate in Roma e deposte a fianco di quelle di san Lorenzo. I due
corpi dei santi diaconi riposerebbero così l’uno a fianco dell’altro. Gli affreschi dipingono,
in parallelo, le storie dei due martiri, a sinistra quella di Lorenzo e, a destra, quella di Stefano. Le parti
iconografiche leggendarie si basano sul racconto della Leggenda Aurea, che già abbiamo incontrato
più volte.
Sulla parete frontale, a destra della porta di ingresso alla basilica, troviamo dipinta la storia del martire
Lorenzo in tre file ognuna con sei riquadri. Nella prima in alto vediamo:
Nella seconda, la fila centrale, troviamo:
Nella terza linea, in basso, vediamo:
Sulla parete frontale, a sinistra della porta d’ingresso, in parallelo alla storia di san Lorenzo troviamo
la storia del diacono e primo martire cristiano Stefano. Anche questa storia è presentata in tre linee di
sei riquadri.
Nella prima in alto vediamo:
Nella seconda fila, al centro, troviamo:
Nella terza linea, in basso, notiamo:
Nella due pareti laterali sono, invece, descritti miracoli – attribuiti a santo Stefano dopo la sua morte
– in favore dell’imperatore Enrico II (1002-1024) e di papa Alessandro II (1061-1073).
Nel nartece, a sinistra, è situata la tomba di Alcide De Gasperi, opera dello scultore Giacomo
Manzù. Sostare dinanzi alla tomba del grande statista italiano, che diede un contributo decisivo nel
condurre l’elettorato cattolico a scegliere la democrazia, nel referendum sulla forma istituzionale, e poi
a guidare l’intero Paese nel difficile cammino della ricostruzione fisica e morale, dopo la seconda guerra
mondiale, ci permette di ricordare, proprio nella basilica di San Lorenzo, che, come si espresse Paolo VI, "la
politica è una delle forme più alte di carità".
Nella navata incontriamo i due amboni, tra i più belli conservati a Roma, opera dei maestri
cosmati nella prima metà del XIII secolo. Quello di sinistra, detto dell’Epistola perché
riservato alla lettura dei testi biblici non evangelici, è semplice, in marmo chiaro, con una lastra di
porfido da un lato. Quello che lo fronteggia, adibito alla proclamazione del Vangelo, affidata, dove possibile al
diacono, appare più ricco ed ornato di marmi colorati. Accanto all’ambone e sostenuto da due leoni
ruggenti si trova il bellissimo candelabro per il cero pasquale, ornato da un mosaico a spirale. Alla luce
del cero pasquale appena acceso dal nuovo fuoco benedetto nella notte di Pasqua, il diacono canta
l’Exultet, l’annuncio della resurrezione del Signore Gesù.
Oltre gli amboni alcuni gradini conducono al presbiterio. Nella cripta sottostante troviamo, al centro, un
altare dietro il quale vi è la tomba dei Santi Lorenzo, Stefano e Giustino. È questo il
centro della basilica, idealmente punto di unione delle due chiese, quella onoriana e quella pelagiana, da cui
è costituita quella attuale.
Qui la Chiesa fa memoria, secondo la tradizione, oltre che di Lorenzo e Stefano anche di san Giustino martire e
della sua "carità intellettuale". Giustino nacque in Samaria, agli inizi del secondo secolo. In
gioventù frequentò maestri appartenenti a diverse correnti filosofiche e cercò presso
ciascuno di loro la verità. Giunse infine al cristianesimo, "la sola filosofia degna". Stabilitosi a Roma
si dedicò alla stesura delle sue Apologie, indirizzate all’imperatore Antonino Pio, e del Dialogo
con Trifone. Nei suoi scritti racconta la celebrazione dell’eucarestia nel secondo secolo dopo Cristo,
scrivendo come la partecipazione al nutrimento eucaristico sia lievito all’aiuto reciproco dei cristiani.
Infatti, dopo la spartizione del cibo sacramentale, sono raccolte le offerte. Così testimonia la Prima
Apologia: "Ciò che è raccolto è consegnato a colui che presiede ed egli assiste gli orfani,
le vedove, i malati, i poveri, i carcerati, gli stranieri di passaggio, insomma soccorre tutti coloro che sono
nel bisogno".
Ma soprattutto Giustino si definì, e fu, filosofo, e questa sua proclamazione ha una grande importanza
nello sviluppo del pensiero cristiano. Quest’ultimo da una parte, a partire da lui, prenderà dalla
riflessione profana gli strumenti concettuali necessari per chiarire la dottrina cristiana; dall’altro
presenterà il messaggio evangelico come la risposta agli interrogativi dell’intelligenza umana, come
punto d’arrivo alla sete di conoscenza. Giustino non disprezzerà la filosofia, ma pretenderà
di rivelare alla filosofia la verità propria della filosofia stessa. "La filosofia è realmente un
bene molto grande e prezioso agli occhi di Dio, al quale solo essa ci unisce e conduce, e sono veramente uomini
di Dio coloro che si dedicano alla filosofia".
Giustino fu il primo a formulare una teologia della storia cristocentrica. Solo in Cristo si trova la pienezza
della verità:
"La nostra dottrina supera ogni insegnamento umano perché noi abbiamo il Logos in tutta la sua
interezza in Cristo".
Le verità oscure e incomplete dei filosofi precedenti erano, invece, semi del Logos:
Tutto ciò che di buono in ogni tempo hanno affermato e trovato filosofi e legislatori, è stato realizzato dalle loro ricerche e intuizioni grazie a una porzione di Logos… poiché non conobbero il Logos nella sua interezza. Infatti ciascuno di loro, secondo la porzione di Logos divino seminale, parlò bene vedendo ciò che aveva affinità con quello.
Giustino darà la sua testimonianza estrema con il martirio avvenuto a causa di un imperatore, pure lui
filosofo, Marco Aurelio, tra il 163 e il 167.
Nel presbiterio alle spalle dell’arco (verso l’interno) possiamo osservare il mosaico
dell’arco trionfale che va cronologicamente situato verso il VI secolo. La scena fu voluta da papa
Pelagio II (579-590). L’unica parte superstite dell’antica decorazione musiva rappresenta il tema
della Maiestas. Cristo benedicente e con la croce è al centro su un globo azzurro, il mondo; alla
sua destra san Paolo che introduce santo Stefano con il libro aperto, e sant’Ippolito, il quale offre la
corona del martirio con le mani coperte. Alla sinistra del Cristo vediamo san Pietro che introduce san Lorenzo
con il vangelo aperto alle parole del Magnificat, "disperse i superbi, dette ai poveri" ed il pontefice
Pelagio che offre la basilica. In basso, ai lati, Gerusalemme e Betlemme, dalle mura gemmate. Di fronte alla
ieraticità delle figure del Cristo e dei Santi, il papa Pelagio viene rappresentato con caratteri di
maggiore evidenza naturalistica e più piccolo, perché più "moderno" rispetto ai santi
raffigurati.
In fondo alla navata destra sta la cappella di San Tarcisio, nella quale è sepolto Papa Pio IX.
Nei sotterranei sono conservate le fondamenta della basilica Costantiniana, le cui epigrafi e i cui resti sono
posti nel chiostro databile all’XI secolo, che sorge sul fianco destro dell’attuale basilica. Esso
è, insieme con il campanile e un’altra torre retrostante, l’ultimo resto di quello che era
l’aspetto della Laurenziopoli medievale, una vera e propria fortezza sorta in difesa delle reliquie
custodite nella basilica.