Prima dell’editto di Milano del 313 con il quale Costantino concesse la libertà di culto, i
cristiani si riunivano in case private chiamate domus ecclesiae; in esse si incontravano e celebravano
l’eucarestia e gli altri sacramenti, ivi i catecumeni ricevevano la catechesi e poi la mistagogia e la
formazione successiva, e sempre lì i poveri erano accolti e aiutati.
Costantino non solo autorizzò pubblicamente il culto cristiano, ma anche promosse e sovvenzionò la
costruzione della prima basilica cristiana in Roma (e, dopo di essa, anche delle basiliche sulle tombe dei
martiri in Roma e sulle memorie cristiane in Terra Santa).
La basilica che fu inizialmente dedicata al Salvatore, solo in un secondo momento verrà dedicata anche a
San Giovanni Battista e a San Giovanni Evangelista e sarà popolarmente chiamata San Giovanni in Laterano.
Fu Papa Gregorio Magno (590-604) che aggiunse la dedicazione al Battista, precursore del Salvatore. Lucio II
(1144-1145) la dedicò anche a San Giovanni evangelista (una leggenda romana vuole che quest’ultimo
sia venuto a Roma e qui avrebbe subito il martirio, in un calderone di olio bollente, presso l’attuale
tempietto di San Giovanni in Oleo nei pressi di Porta Latina, se un intervento miracoloso non lo avesse fatto
uscire indenne dall’olio, permettendogli così di tornare in Efeso, per morire lì in
vecchiaia).
Il nome Laterano le deriva dal fatto di essere edificata sulla tenuta della famiglia dei Plauzi Laterani, a cui
apparteneva Fausta, moglie di Costantino. Dagli scavi sotto la basilica risulta che la tenuta era occupata dalla
caserma degli Equites singulares, la guardia privata dell’Imperatore, fu consacrata da Papa
Silvestro il 9 novembre 318 e la costruzione si protrasse fino alla metà del secolo.
È la prima chiesa pubblica cristiana e la prima basilica cristiana ufficiale che nasce non sopra memorie
storiche, ma, nel cuore dell’Impero romano, come annuncio e proclama della verità centrale del
cristianesimo: Gesù Figlio di Dio è il Salvatore dell’umanità. In essa, per la prima
volta, tutti i cristiani di Roma, poterono riunirsi insieme al loro vescovo.
Da allora è la cattedrale di Roma, il luogo in cui il vescovo di Roma, il Papa, ha la sua cattedra quale
segno del suo insegnamento, del suo magistero e della sua presidenza. È per questo che possiede un titolo
unico al mondo. È la "Sacrosancta lateranensis ecclesia omnium urbium et orbis ecclesiarum mater et caput
– La santissima chiesa lateranense, madre e capo delle chiese di tutte le città e del mondo",
come è scritto alla base di un pilastro alla sinistra dell’ingresso, circondata da una corona di
alloro. Un’epigrafe più antica, medioevale – che si trova ora in frammenti nel chiostro
– riporta le stesse espressioni. Sicuramente era inserita alla base dell’architrave del portico
medioevale, ma non è certo che fosse incisa sin dalle origini sul portico primitivo.
Un evento che è importante rievocare, nella visita giubilare alla basilica lateranense, è il
concilio di Nicea nel quale Costantino ebbe un ruolo primario. Fu, infatti, l’imperatore in persona a
convocarlo per l’anno 325, a Nicea, l’odierna Iznik, vicino a Nicomedia che era ancora la capitale
dell’Impero d’Oriente (è nel 330 che Costantino fonderà la nuova capitale
Costantinopoli), e la residenza di Costantino.
Il dibattito – nato fra Alessandro, patriarca di Alessandria d’Egitto, sostenuto dal suo diacono e
futuro successore Atanasio, ed un suo presbitero di nome Ario – verteva sull’identità di
Gesù. Ario sosteneva che affermare la divinità del Figlio volesse dire intaccare il monoteismo,
l’unicità di Dio. Per lui l’unico modo di restare fedeli al monoteismo era quello di
professare che il Padre non aveva da sempre generato il Figlio, ma che il Figlio aveva avuto un inizio, quello
della sua creazione.
Il concilio, in cui il Papa Silvestro fu rappresentato da due presbiteri romani, affermò contro Ario, che
il Figlio era consustanziale al Padre:
Noi crediamo... in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, nato unigenito dal Padre, cioè dalla sostanza del padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, nato, non fatto, di una sola sostanza col Padre; per mezzo di lui furono create tutte le cose in cielo ed in terra.
Il Credo di Nicea, terminato il concilio, fu certamente proclamato solennemente nella basilica Lateranense. La dedicazione della basilica al Salvatore è del 324, proprio nel cuore delle polemiche cristologiche di quegli anni.
Lo sviluppo della residenza Papale in Vaticano non ha mai eliminato, nei secoli, la centralità della
basilica del Laterano, come cattedrale del papa e della diocesi di Roma. Dopo l’elezione papale, la presa
di possesso di ogni nuovo pontificato avviene con l’insediamento sulla cattedra di San Giovanni.
Piuttosto si è accentuato, soprattutto negli ultimi pontificati, la valenza della basilica come luogo
della cura che il papa ha proprio per la sua diocesi di Roma, mentre San Pietro visibilizza la cura papale verso
le chiese di tutto il mondo. Annesso alla basilica si è, infatti, sviluppato il Vicariato, quale luogo del
servizio diretto esplicitamente ai cristiani della città e della chiesa di Roma. Il Laterano è
luogo precipuo, quindi, per comprendere il grande dono del ministero episcopale, voluto da Cristo per la sua
Chiesa.
Fu Giovanni XXIII a scegliere nuovamente il palazzo del Laterano, come il centro della vita della Diocesi di
Roma. Così si espresse:
Oh! Se il papa, vescovo di Roma, raccogliendo gli uffici di tutta l’amministrazione diocesana presso questa sua cattedrale basilica... potesse radunare qui, con più grande larghezza di respiro, tutta o quasi, l’organizzazione della Diocesi di Roma!
Paolo VI continuò questa intuizione e, con la Costituzione Apostolica Vicariae Potestatis del 1977,
riorganizzò la vita del Vicariato e insistette sul ruolo del Papa come vescovo di Roma, chiedendo alla
Diocesi di Roma di "non intraprendere alcunchè di importante prima di averlo riferito a noi".
In un discorso del 1975, tenuto nella basilica lateranense, ricordava ancora lo stato di desolazione degli
edifici, precedente alla svolta di Giovanni XXIII:
Io mi ricordo che la prima volta che venni a Roma (avevo 8 anni e mezzo) si fece con la mia famiglia una escursione fino a San Giovanni in Laterano; ricordo ancora benissimo il senso di desolazione che mi sorprese in quella grande casa, tetra, chiusa, abbandonata d’intorno...e mi dissero: questa è la mater et caput...Ricordo poi tutte le volte che, venuto a Roma, giovane studente, appena detta la santa messa, avevo occasione di passare davanti a quell’edificio, bello ma cadente: lo si vedeva dalle finestre e dalle porte chiuse, dall’impossibilità d’entrare. Ricordo anche il senso di disagio che mi metteva la stessa basilica di San Giovanni: la sera era come penetrare in una caverna, senza luce; cinque navate buie e paurose a chi osava inoltrasi. E sempre, fino da allora, i ragazzi e i giovani sognano: da qui bisogna ridare vita alla chiesa romana.
Con il pontificato di Giovanni Paolo II ed il ministero di Vicario del card. Ruini la basilica è divenuta
sempre più, come nei primi secoli di fondazione, il centro della vita della diocesi. Qui si è
celebrato il secondo sinodo romano (il primo era stato opera di Giovanni XXIII), voluto espressamente dal papa
Giovanni Paolo II, qui hanno avuto luogo gli incontri della missione cittadina di Roma, e, con sempre maggior
regolarità, si svolgono le celebrazioni liturgiche della diocesi e gli incontri diocesani.
La basilica e gli annessi palazzi hanno così ritrovato il loro senso originario, e la loro funzione
è oggi chiaramente leggibile per chi vi si reca in pellegrinaggio.
Le due basiliche di San Pietro e di San Paolo sono basiliche sepolcrali, edificate fuori le mura della
città, luoghi della memoria del martirio dei due apostoli. San Giovanni è, invece, la casa della
Chiesa di Roma. Fu costruita, come abbiamo visto, come la prima basilica dove tutti i cristiani romani potessero
riunirsi, e da allora è stata la cattedrale, il luogo dove il vescovo di Roma presiede alla sua
comunità Diocesi. Qui il presbiterio romano celebra il giovedì santo e la consacrazione dei sacri
olii col suo vescovo, il Papa; qui sono da lui ordinati i sacerdoti romani; qui la chiesa di Roma si incontra con
lui.
Quest’anno, per la prima volta nella storia, Giovanni Paolo II aprirà la Porta Santa di questa sua
cattedrale nei secondi vespri del Natale. Ha chiesto che contemporaneamente tutti i vescovi aprano le porte
giubilari delle loro cattedrali, nelle diocesi del mondo. Questo simbolo forte ed esplicito sottolineerà
che, attraverso la porta giubilare del perdono, si entra nella Chiesa, nella comunità dei salvati, e che
questa Chiesa è costituita in ogni Diocesi del mondo dove i vescovi presiedono alle loro chiese locali. Il
segno esprimerà insieme la comunione col Papa e la realtà di Chiesa di ogni Diocesi.
Con profondità Paolo VI, celebrando sul sagrato di San Giovanni il Giubileo della Chiesa di Roma, disse:
Facciamo attenzione al duplice significato di questa parola "Chiesa". Chiesa significa, innanzi tutto, in questa circostanza, l’edificio sacro, davanti al quale ci troviamo. Questo edificio è insignito del titolo di basilica, cioè di edificio regale, titolo attribuito fin dai primi tempi del cristianesimo, alla casa destinata al culto sacro per la comunità gerarchicamente costituita. È da notare questa essenziale funzione dell’edificio religioso nel cristianesimo, quella cioè di accogliere nel suo interno il popolo orante, a differenza degli edifici sacri pagani, nei quali solo coloro ch’erano destinati a funzioni sacerdotali potevano entrare, mentre la folla rimaneva fuori, donde la qualifica di "profana", cioè di gente che non era ammessa ad entrare nel tempio, e sostava, mentre si svolgeva il rito sacro, davanti al tempio stesso, al fanum, che era piuttosto che un aula per il popolo, un’edicola dedicata alla divinità…
A noi preme ora notare come l’edificio sacro prese comunemente la qualifica di "chiesa", cioè di comunità cristiana che in quell’edificio aveva il suo luogo di riunione e di culto. L’onore perciò tributato all’edificio, e fu onore particolare fin dai primi anni della vita pubblica riconosciuta alla religione cristiana, si riverberò sulla comunità che lo aveva costruito; e l’uno e l’altra furono chiamati, e ancora oggi lo sono: chiesa. Chiesa l’edificio, chiesa la comunità; l’uno per l’altra, restando a questa seconda, la comunità, la pienezza di significato e di finalità.
Onoriamo dunque nella basilica del Santissimo Salvatore, detta comunemente di San Giovanni in Laterano, commemorando la sua originaria destinazione, cioè la sua "dedicazione", al culto cattolico e alla dimora primaria del vescovo di Roma, il Papa, successore dell’apostolo Pietro, e perciò pastore della Chiesa universale; onoriamo, fratelli e figli carissimi, questa santa Chiesa Romana: santa per la sua origine apostolica e per la sua vocazione missionaria e santificatrice; santa per la testimonianza di eroismo e di fede, che essa nutrì e propose al mondo ad esempio ed a conforto; santa per la sua ferma e perenne adesione al Vangelo e alla missione di Cristo nella storia e nella vita di questa Sede Apostolica, che è in Roma, e di quante Chiese, sorelle e figlie, le furono unite nella fede e nella carità; santa per la sua destinazione escatologica, di guida dei suoi figli cattolici e degli uomini tutti, che ne accolgono la parola di verità e di amore, verso i destini ultimi dell’umanità sulla terra; e santa perché vuole essere prima, anche celebrando questo Giubileo, a riconoscere il proprio dovere di penitenza e il proprio bisogno di riconciliazione con Dio e con gli uomini.
Il pellegrinaggio alla basilica lateranense è occasione di memoria dell’altissimo onore di essere stati accolti nella Chiesa. Visitandone il battistero, il primo battistero pubblico in Roma, rievocheremo i sacramenti del battesimo e della cresima, inizio e conferma della vita in Cristo; celebrando l’eucarestia nella basilica riceveremo il nutrimento eucaristico: sono i tre sacramenti con cui la Chiesa "inizia", partorisce e nutre i suoi figli. La Chiesa è veramente Madre che genera alla vita divina. Essa trasmettendoci tutto ciò che essa è e crede, ci unisce a Cristo e al suo mistero pasquale. La Lumen Gentium ha così parlato della stupenda necessità della Chiesa:
Il Santo Concilio insegna, appoggiandosi alla sacra Scrittura e alla Tradizione, che questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza, perché il solo Cristo, presente in mezzo a noi nel suo Corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza, ed Egli stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Mc 16, 16; Gv 3, 5), ha insieme confermata la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano per il battesimo come per una porta. Perciò non possono salvarsi quegli uomini i quali, pur non ignorando che la Chiesa cattolica è stata da Dio, per mezzo di Gesù Cristo, fondata come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare.
La teologia giubilare, esplicitata da Giovanni Paolo II nella Incarnationis Mysterium, ricorda come il "tesoro della Chiesa" venga da Cristo:
ma poiché noi apparteniamo a Lui, anche ciò che è nostro diventa Suo e acquista una forza che risana…
La Rivelazione insegna che, nel suo cammino di conversione, il cristiano non si trova solo. In Cristo e per mezzo di Cristo la sua vita viene congiunta con misterioso legame alla vita di tutti gli altri cristiani nella soprannaturale unità del corpo mistico. Si instaura così tra i fedeli un meraviglioso scambio di beni spirituali, in forza del quale la santità dell’uno giova agli altri ben al di là del danno che il peccato dell’uno ha potuto causare agli altri. Esistono persone che lasciano dietro di sé come un sovrappiù di amore, di sofferenza sopportata, di purezza e di verità che coinvolge e sostiene gli altri. È la realtà della "vicarietà", sulla quale si fonda tutto il mistero di Cristo. Nondimeno fa parte della grandezza dell’amore di Cristo non lasciarci nella condizione di destinatari passivi, ma coinvolgerci nella sua opera salvifica e, in particolare, nella sua passione. Lo dice il noto brano della lettera ai Colossesi: "Do compimento a ciò che manca ai patimenti di Cristo nella mia carne a favore del suo corpo che è la Chiesa" (1, 24)…Pregare per ottenere l’indulgenza significa entrare in questa comunione spirituale e quindi aprirsi totalmente agli altri. Anche nell’ambito spirituale, infatti, nessuno vive per se stesso. E la salutare preoccupazione per la propria anima viene liberata dal timore e dall’egoismo solo quando diviene preoccupazione anche per la salvezza dell’altro. È la realtà della comunione dei santi, il mistero della "realtà vicaria", della preghiera come via di unione con Cristo e con i suoi santi.
Nel testamento di Paolo VI possiamo leggere le ultime parole che esprimono ancora l’amore e la dedizione dovute alla Chiesa e la fede nella comunione tra la Chiesa celeste e quella terrestre:
Prego il Signore che mi dia di fare della mia prossima morte dono d’amore alla Chiesa. Potrei dire che sempre l’ho amata; fu il suo amore che mi trasse fuori dal mio gretto e selvatico egoismo e mi avviò al suo servizio; e che per essa, non per altro, mi pare d’aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse; e che io avessi la forza di dirglielo, come una confidenza del cuore, che solo all’estremo della vita si ha il coraggio di fare... Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla. Anche perché non la lascio, non esco da lei, ma più e meglio con essa mi unisco e mi confondo: la morte è un progresso nella comunione dei santi... O uomini, comprendetemi; tutti vi amo nell’effusione dello Spirito Santo, ch’io, ministro, dovevo a voi partecipare. Così vi guardo, così vi saluto, così vi benedico. Tutti... Amen. Il Signore viene. Amen.
Il pellegrinaggio alla Basilica di San Giovanni in Laterano può avere inizio procedendo attraverso la Porta Santa, anticamente detta Porta Aurea, così come la Basilica stessa Lateranense, Constantiniana et Aurea. La liturgia di apertura della suddetta e l’approfondimento del segno di essa presero avvio storicamente proprio nella Basilica Lateranense. Come Giovanni Paolo II si è espresso:
Al pellegrinaggio si accompagna il segno della porta santa, aperta per la prima volta nella Basilica del Santissimo Salvatore in Laterano durante il Giubileo del 1423. Essa evoca il passaggio che ogni cristiano è chiamato a compiere dal peccato alla grazia. Gesù ha detto: "Io sono la porta" (Gv 10, 7), per indicare che nessuno può avere accesso al Padre se non per mezzo Suo. Questa designazione che Gesù fa di se stesso attesta che Egli solo è il Salvatore inviato dal Padre. C'è un solo accesso che spalanca l’ingresso nella vita di comunione con Dio: questo accesso è Gesù, unica e assoluta via di salvezza. Solo a Lui si può applicare con piena verità la parola del Salmista: "È questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti" (Sal 118 [117], 20). L'indicazione della porta richiama la responsabilità di ogni credente ad attraversarne la soglia. Passare per quella porta significa confessare che Gesù Cristo è il Signore, rinvigorendo la fede in Lui per vivere la vita nuova che Egli ci ha donato. È una decisione che suppone la libertà di scegliere ed insieme il coraggio di lasciare qualcosa, sapendo che si acquista la vita divina (cfr. Mt 13, 44-46).
Nell’atrio la Porta Santa è l’ultima a destra, non quella centrale, ma la più stretta,
la porta dell’ovile, attraverso la quale saremo condotti alla redenzione, ci dice infatti Gesù: "se
uno entra attraverso di Me sarà salvo" (Gv 10, 9). È il nostro ingresso nella "dimora di Dio con
gli uomini", la Chiesa viva che ci concederà l’indulgenza per i nostri peccati.
Il Papa che istituì il rito di apertura della Porta Santa nella Basilica Lateranense fu Martino V
Colonna, in occasione del Giubileo del 1423, indetto secondo la scadenza che considera la vita di Cristo, quindi
33 anni dopo il 1390, data del precedente Giubileo. È sepolto in basilica nella confessio, davanti
l’altare maggiore in un sepolcro bronzeo.
Il gesto di Martino V sarà ripetuto dai suoi successori fino a che, durante i Primi Vespri di Natale del
1499, Papa Alessandro VI Borgia istituì il rituale definitivo con l’apertura della Porta Santa in
San Pietro, demandando ai Cardinali Legati quella delle altre basiliche patriarcali, inaugurando così
l’Anno Santo del 1500 e affermando definitivamente il grande simbolo giubilare.
Procedendo all’interno della Basilica vediamo oggi quello che è l’assetto donatole dal
Borromini sotto il Pontificato di Papa Innocenzo X Pamphilj (1644-1655), secondo un progetto ideale ben preciso
del pontefice, seguito da un’altrettanto originale immagine stilistica dell’architetto. Innocenzo X
desiderava il restauro di San Giovanni per l’occasione ravvicinata ed improrogabile del Giubileo del 1650,
con l’intenzione di trattare la basilica costantiniana come una grandiosa reliquia. Egli infatti impose al
Borromini di mantenerne la "primitiva forma", conservandone le cinque navate ed il soffitto. Le nuove pareti
diventavano così telai di sostegno alle antiche: la Chiesa attuale, rinnovandosi nel suo insieme, doveva
sostenere e celebrare la Chiesa originaria.
Il Papa affidò la sovrintendenza dei lavori al camerario Virgilio Spada il quale scrisse: "si è
già dato principio alla restaurazione per mantenerla quanto sarà possibile nella sua primitiva
forma e abbellirla".
E ancora:
onde convien dire, doversi alla basilica Vaticana e Lateranense i titoli di Capo e Madre delle Chiese dell’universo, a questa come rappresentante la Chiesa apostolica e militante, a quella come capo e prima sede del primo vescovato e come prima di tutte le cattedrali del mondo.
Lo Spada scelse come architetto Francesco Borromini e al termine della costruzione così commentò il
suo lavoro: "con ragione credo che si possa applicare a questa fabrica, quelle parole di Aggeo profeta…
parlando del Tempio di Salomone rinnovato".
L’ampia navata centrale vede 5 grandi arcate per lato – che raggiungono il secondo registro –
alternarsi a 6 nicchioni sormontati da altrettanti stucchi. I pilastri che sostengono le arcate inglobano le
antiche colonne architravate, in marmo giallo, della basilica costantiniana. L’ultimo registro ha 8
finestroni accostati ad ovali decorati ad olio. L’architetto avrebbe desiderato sostituire il soffitto
ligneo con una volta ma rispettò il volere del papa, e ne mantenne quindi l’antico aspetto a
lacunari che risale al 1562, richiesto da Pio IV a Daniele da Volterra. Così come conservò il
prezioso pavimento che nel 1425 Papa Martino V aveva commissionato ai maestri Cosmati, i quali inserirono lo
stemma della colonna, proprio della famiglia gentilizia Colonna, al centro della geometria del pavimento.
Nelle navate laterali, queste con soffitto a volta, aprì delle finestre, mentre nelle navatelle, ancora
più basse, pose dei cherubini a sostegno di piccole volte fittizie.
Proprio i cherubini che popolano le volte e i pilastri, le melagrane che adornano i capitelli e le palme che
decorano le volte, i pilastri, le semi colonne che formano ghirlande intorno agli ovali, richiamano il tempio di
Salomone.
Ricoprì le pareti del tempio con sculture e incisioni di cherubini, di palme e di boccioli di fiori, all’interno e all’esterno. (1 Re 6,29). Fece melagrane su due file intorno al reticolato per coprire i capitelli sopra le colonne (1 Re 6,18).
Le colombe sopra i tabernacoli e nella volta d’ingresso oltre a commemorare il papa Pamphilj ricordavano
l’intento di una nuova pax romana, e si ricollegavano idealmente alla raffigurazione dello Spirito
Santo nell’antico mosaico dell’abside.
I nicchioni laterali solo nel 1700 vennero riempiti con le statue dei 12 apostoli da allievi del Bernini.
All’iconografia del Tempio di Gerusalemme si collega così quella della Nuova Gerusalemme: "Le mura
della città poggiano su 12 basamenti, sopra i quali sono i 12 nomi dei 12 Apostoli dell’Agnello"
(Ap. 21,14).
Gli ovali in cui Borromini aveva lasciato il muro a vista, come reliquia della chiesa antica, vennero ricoperti
nel 1718 da dipinti rappresentanti i profeti. I bassorilievi a stucco, che secondo le intenzioni del Borromini
sarebbero dovuti essere provvisori e divennero invece definitivi, illustrano storie bibliche.
A partire dal transetto sulla sinistra, questi sono i temi: Adamo cacciato dall’Eden, Le
reliquie dei viventi salvate nell’arca, Il sacrificio di Isacco, Giuseppe venduto,
Mosè che conduce gli Ebrei fuori dall’Egitto, Giona nel ventre del pesce, e di fronte
come parallelo tra l’Antico e il Nuovo Testamento: Il buon ladrone accolto in Paradiso, Il genere
umano rigenerato nel Battesimo, Cristo che porta la croce, Cristo venduto, Cristo discende
agli inferi, La Resurrezione.
L’iconografia evidenzia non solo i rimandi fra l’Antico e il Nuovo Testamento, ma anche il legame
fra la vita di Cristo e la Chiesa, da Lui voluta, che accoglie gli uomini, come l’arca di Noè che
conduce alla salvezza, passando per l’acqua, segno della morte e resurrezione che avvengono nel
Battesimo.
Dirigendoci poi verso il terzo pilastro della navata destra, possiamo ammirare un frammento del famoso
affresco, detto della Loggia delle benedizioni, raffigurante il neo papa Bonifacio VIII
nell’atto di prendere possesso della sede Lateranense il 23 gennaio 1295. Questo affresco era parte di un
gruppo di tre dipinti – gli altri due raffiguravano Il battesimo di Costantino e
L’edificazione del Laterano. Ormai scomparsi, erano originariamente collocati su di un lato
dell’antica Loggia delle Benedizioni e, insieme agli affreschi del Sancta Sanctorum di cui poi
parleremo, sono al centro di una disputa che vorrebbe portare a Roma invece che a Firenze la paternità di
una nuova fase della pittura in Italia, tanto da essere ancora controversa l’attribuzione a Giotto o al
Cavallini. Fu infatti in questi anni che la produzione figurativa legata alla corte papale e l’evento
giubilare del 1300 concorsero a costituire il momento di massima progressione della cultura artistica romana di
quegli anni.
L’affresco della loggia fu commissionato da Papa Caetani tra il 1297 e il 1298, probabilmente per
affermare con forza la legittimità della sua elezione contestata dai Colonna, tanto che ai suoi lati si
riconoscerebbero il Cardinale Matteo Orsini, suo sostenitore, e Papa Celestino V, suo predecessore che
liberamente abdicò, dopo aver istituito la celebre perdonanza della città de L’Aquila.
È interessante ricordare la cerimonia del possesso, che continua ancora oggi. Ciascun pontefice neoeletto
deve prendere possesso della sua cattedrale, la basilica Lateranense in qualità di vescovo di Roma, con
rituale solenne diverso nei secoli.
L’affresco viene tuttavia da alcuni ancora interpretato come l’indizione del primo Giubileo da parte
di Papa Bonifacio VIII, il Giubileo del 1300. Infatti nel Capodanno del 1300 una folla aveva invaso Roma
nell’attesa di una sicura perdonanza, in un’ansia di rinnovamento spirituale, che convinse il papa ad
indire il Giubileo il 16 febbraio del 1300, dal Laterano.
Il transetto paleocristiano vide il suo totale rinnovamento sotto il pontificato di Clemente VII, in
occasione del Giubileo del 1600, donandogli il suo aspetto manierista che possiamo ammirare tuttora. Giacomo
della Porta diresse il rifacimento architettonico, e il disegno della decorazione a tarsie marmoree e a
bassorilievi. Il Cavalier d’Arpino ne curò la decorazione con statue, dorature e dipinti di grandi
artisti di scuola manierista sotto forma di arazzi raffiguranti le storie di Costantino: Il sogno, La
conversione, La donazione della Basilica a Papa Silvestro e La costruzione della Basilica.
All’interno dell’altare del Sacramento, sulla sinistra del transetto, è custodita,
protetta da una teca, un frammento che la tradizione vuole sia una parte della mensa dell’ultima cena del
Signore Gesù, la cena dell’istituzione dell’eucarestia.
Possiamo scorgere nella cappella del Crocifisso, nel braccio destro del transetto, un frammento della
pietra tombale dell’umanista e canonico lateranense Lorenzo Valla, lì sepolto. Egli dimostrò
essere leggendaria la famosa "donazione di Costantino".
Al centro del transetto si trova l’altare papale in stile gotico, che, nonostante aggiunte e
modifiche subite nei secoli, rimane il fulcro dell’architettura basilicale. Al suo interno è
custodito l’altare di legno sul quale la tradizione narra che celebrò lo stesso San Pietro. Papa
Urbano V durante la cattività avignonese decise di rispondere al lamento dei fedeli riguardo alle
condizioni fatiscenti della cattedrale e, recatosi a Roma, commissionò nel 1368 un nuovo ciborio a
Giovanni di Stefano, dove potessero essere custoditi i preziosi reliquiari con le teste di san Pietro e san Paolo
cesellati da Giovanni di Bartolo (furono poi distrutti per pagamenti dovuti a Napoleone a causa del trattato di
Tolentino e oggi sostituiti da copie). Le reliquie degli Apostoli che erano state conservate fino ad allora nel
Sancta Sanctorum furono così trasferite nel ciborio, alla vista di tutti.
Le dodici pitture che circondano il ciborio, opera quattrocentesca di Antoniazzo Romano e della sua scuola,
raffigurano La Crocifissione, Gesù Buon Pastore, La Vergine con il Bambino, e
L’incoronazione della Vergine, circondati da diversi Santi e Sante.
Possono anch’esse essere lette in chiave ecclesiologica: la Chiesa che nasce sotto la croce dal costato
trafitto di Cristo, la Chiesa protetta da Cristo buon pastore che la raduna e offre la vita per lei, Maria madre
di Dio e primizia della Chiesa, Maria che nella sua ascensione e incoronazione prefigura il destino escatologico
dei cristiani.
Addossata alla parete, dietro l’altare, Nicolò IV sistemò una nuova Cattedra papale
dove riconosciamo l’iconografia di Cristo vincitore sul Male, raffigurato da quattro figure demoniache ai
suoi piedi: aspide, basilisco, leone e drago, in esplicito riferimento al Salmo 91, 13: "Camminerai su aspidi e
vipere, schiaccerai leoni e draghi. Lo salverò perché a me si è affidato; lo esalterò
perché ha conosciuto il mio nome".
È chiara l’intenzione di sottolineare il ministero papale, il suo essere vicario di Cristo. Questa
cattedra medioevale è ora nel chiostro, come la precedente del V secolo, ma l’antica predella
raffigurante i quattro animali è ancora al centro dell’abside.
Il presbiterio e l’abside che noi oggi vediamo a corona della basilica, sono arretrati rispetto
all’antica struttura; nel 1884 infatti, Leone XIII giudicando il coro troppo angusto per essere degno della
Cattedrale di Roma, ne richiese l’ampliamento all’architetto Francesco Vespignani, figlio del
più famoso Virginio. Secondo i discutibili criteri di intervento artistico ottocentesco fu allora
necessario eseguire un rifacimento del mosaico duecentesco mantenendone invariata l’iconografia, ma
corrompendone irrimediabilmente la dimensione stilistica.
Il mosaico era stato commissionato da Papa Niccolò IV (1288-1292), primo frate francescano ad essere
eletto papa, il quale volle far realizzare da Jacopo Torriti un "restauro innovativo" dell’antica opera
musiva del V secolo.
La sommità del catino absidale vede al centro il busto di Cristo Salvatore, con un serafino in alto e
quattro angeli per lato, tutto su sfondo blu a nuvole multicolori. La tradizione vuole che il volto di Cristo
riprenda l’immagine miracolosa acheropita, cioè non dipinta da mano d’uomo, ma direttamente da
Dio, apparsa nella primitiva basilica lateranense.
Al centro, su sfondo di tessere d’oro, campeggia la croce gemmata con un tondo raffigurante il
Battesimo di Cristo all’incrocio delle braccia. La croce è pervasa dalla grazia sotto aspetto
d’acqua, che si diffonde dallo Spirito Santo raffigurato dalla colomba. Alla sommità del monte
paradisiaco su cui è piantata, la croce fuoriescono i quattro fiumi del Paradiso che abbeverano cervi ed
agnelli, e danno vita al Giordano dal quale traggono vita ogni sorta di uccelli e di pesci, insieme agli esseri
umani. Alle pendici del monte si ergono le mura ingemmate della Gerusalemme celeste protette dall’arcangelo
Michele, sulle cui due torri dorate sono gli apostoli Pietro e Paolo. La simbologia della creazione si coniuga
così col suo compimento finale e il mosaico collega l’albero della vita alla croce, il Paradiso alla
Gerusalemme celeste, lo Spirito che aleggiava sulle acque allo Spirito donato dal corpo trafitto di Cristo,
l’acqua dei quattro fiumi paradisiaci all’acqua donata dalla Chiesa nel battesimo.
Alla destra della croce la Vergine intercede per il Papa Niccolò IV inginocchiatogli accanto, di
dimensioni più piccole, cui segue, sempre in dimensioni ridotte, San Francesco accompagnato dai Santi
Pietro e Paolo; alla sinistra il Battista, che completa la deesis, è seguito dal piccolo
Sant’Antonio e dai Santi Giovanni Evangelista e Andrea.
La base della calotta ci mostra nove Apostoli e due piccole figure in abito francescano che ritraggono Jacopo
Torriti, l’artista del mosaico, e l’aiuto Jacopo da Camerino, inseriti negli spazi ricavati dai
quattro finestroni a sesto acuto.
Conclude la decorazione l’iscrizione in cui Niccolò IV si firma committente dell’opera del
Torriti.
È interessante notare come quest’ultimo, secondo le esigenze del papa, sia intervenuto innovando
l’iconografia precedente: l’inserimento dei due santi francescani (Francesco e Antonio) e quindi
"moderni", accanto alla deesis, manifesta come anche le nuove spiritualità, i nuovi movimenti
medioevali che sorsero a rinnovare la Chiesa, appartengano a quell’ininterrotto fluire dello Spirito Santo,
e come esso continui poi in ogni momento della storia. I due santi sono così ritratti, solo pochi decenni
dopo la loro morte, nel mosaico della chiesa cattedrale di Roma. Per sottolineare il significato simbolico
dell’opera Niccolò IV fece apporre un’epigrafe (la troviamo ora murata a fianco della porta
della sacrestia), in cui fa riferimento esplicito al sogno di Innocenzo III, raccontatoci da San Bonaventura. Il
papa dopo aver visto in sogno San Francesco nell’atto di sorreggere la Chiesa, simboleggiata dal Laterano,
che era sul punto di crollare, ne confermò la regola, capace di proporre un rinnovamento alla Chiesa di
allora.
Nel Testamento che San Francesco scrisse due anni prima della sua morte possiamo vedere la novità
della sua fraternità ecclesiale e come venne a presentarla al papa proprio nel complesso lateranense:
E dopo che il Signore mi donò dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io con poche parole e semplicemente lo feci scrivere, e il signor papa me lo confermò.
Insieme alla coscienza della innovazione della sua proposta ecclesiale, Francesco afferma nel Testamento anche la fedeltà alla vita ordinaria e alla tradizione della Chiesa:
E il Signore mi dette tanta fede nelle chiese, che così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, in tutte le Tue chiese che sono nel mondo intero e Ti benediciamo, poiché con la Tua santa croce hai redento il mondo. Poi il Signore mi dette e mi dà tanta fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a causa del loro ordine, che se mi dovessero perseguitare voglio ricorrere ad essi. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie dove abitano, non voglio predicare contro la loro volontà. E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori, e non voglio in loro considerare il peccato, poiché in essi io vedo il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dell’Altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo Corpo e Sangue Suo che essi soli consacrano ed essi soli amministrano agli altri.
Usciti dalla basilica di San Giovanni è possibile visitare il vicino Battistero Lateranense, il
primo ufficiale della Chiesa, modello per tutti gli altri d’Italia.
Benché sia fantasiosa la narrazione del battesimo di Costantino amministrato dal papa Silvestro I nel
Laterano, si sa con certezza che l’imperatore volle personalmente che, tra il 320 e il 325, a fianco della
basilica sorgesse il monumentale battistero. La leggenda di tale regale battesimo è raffigurata
all’interno del battistero stesso, nel bassorilievo in bronzo del XVII secolo posto sulla vasca battesimale
come rovescio del battesimo di Cristo nel Giordano, come anche negli affreschi del transetto della basilica
lateranense; nel ciclo pittorico medievale della vicina chiesa dei Santi Quattro Coronati in Roma, ed è
declamata nella scritta sistina alla base dell’obelisco nella piazza di San Giovanni in Laterano. Tuttavia,
Costantino, che si era dimostrato favorevole verso i cristiani accolse il battesimo solo in punto di morte,
nell’anno 337, ricevendo il sacramento per mano del vescovo Eusebio di Nicomedia, contrario per altro, alla
definizione dogmatica del primo concilio ecumenico di Nicea.
Il battistero lateranense appare come una derivazione di costruzioni romane a pianta centrale, spesso con cupola
(vedi il Tempio di Vesta, il Pantheon, la Tomba di Cecilia Metella, il Tempio di Minerva Medica, il Mausoleo di
Augusto e quello di Santa Costanza). Per la sua realizzazione si ricorse all’adattamento del
nymphaeum dell’area termale esistente in loco, appartenente alla Domus Faustae, di forma
circolare con nicchie affiancate da grandi colonne, come hanno mostrato gli scavi del 1925 e del 1929.
La costruzione fu successivamente rimaneggiata nel secolo V da Sisto III (432- 440), il papa che
edificherà la basilica di Santa Maria Maggiore, al quale si deve la pianta ottagonale che ancora esiste.
L’ottagono richiama simbolicamente la Pasqua, l’ottavo giorno, in cui trova definitiva realizzazione
la redenzione, come compimento del primo giorno, quello della creazione.
Varcata la soglia dell’attuale ingresso verso la piazza, l’interno del battistero appare subito nel
suo insieme, mostrando in terra il grande stemma con le api del casato di Urbano VIII (1623-1644) cui si devono
gli affreschi ancora visibili.
Il battistero presenta intorno al centrale fonte, dove i catecumeni erano battezzati per immersione, otto
colonne con capitelli ionici e corinzi alternati, le quali lo isolano dal deambulatorio, il corridoio circolare
più esterno. Il raccordo tra le parti è ottenuto con un soffitto in legno policromo con fregi,
simboli e quattro figure intagliate: Gesù Salvatore, la beata Vergine Assunta, San Giovanni Battista e San
Giovanni evangelista. Sull’architrave di gusto classico, possiamo leggere gli splendidi versi con cui papa
Sisto III parlò del battesimo, distinguendo il peccato originale (crimen patrium)
dall’attuale (crimen proprium), ambedue cancellati dall’acqua del battesimo:
Nasce da questo seme divino un popolo da santificare
che lo Spirito fa nascere da quest’acqua fecondata.
Immergiti, peccatore, nel sacro fiume per essere purificato.
L’acqua restituirà nuovo quello che avrà accolto vecchio.
Non c’è più distanza tra coloro che rinascono,
una sola fonte, un solo Spirito, una sola fede (li) uniscono.
La madre Chiesa partorisce verginalmente in quest’acqua
i figli che concepì alla morte.
Se vuoi essere innocente purificati in questo lavacro
sia che ti opprima la colpa paterna (di Adamo), sia la tua.
Questa fonte è la vita e salva tutto il mondo,
prendendo principio dalle ferite di Cristo.
Sperate nel regno dei cieli voi rinati a questa fonte.
La vita felice non riceve coloro che sono nati una volta.
Né qualunque numero o forma dei propri peccati atterrisca:
chi è nato a questo fiume sarà santo.
Lungo il deambulatorio corrono cinque affreschi del XVII secolo con il testo latino che li spiega:
In alto, tutt’intorno, ricorrono tondi affrescati tra piccoli geni festanti con i mezzi busti di papa
Urbano VIII e di Costantino accanto alle sette chiese da lui volute: San Pietro in Vaticano, San Paolo sulla via
Ostiense, San Lorenzo al Verano, i Santi Pietro e Marcellino in via Merulana, Santa Croce in Gerusalemme e il
battistero Lateranense.
Si possono invece ammirare, lungo il tiburio ottagonale in legno dorato sorretto da piccole colonne di marmo
bianco con capitello ionico, otto tele di Andrea Sacchi, oggi sostituite da copie; queste raffigurano:
l’Apparizione dell’Angelo a Zaccaria, la Visita di Maria a Santa Elisabetta, la
Nascita del Battista, la Circoncisione del bambino, il Battista nel deserto, la Predicazione
del Battista, il Battesimo di Gesù, la Decollazione di San Giovanni Battista. Sopra il
tiburio poggia, a sua volta, la cupola a spicchi con finestre ovali, fregi dorati e lanterna sovrastante.
Diversi oratori circondano il magnifico monumento battesimale. Le Cappelle di San Giovanni Evangelista e di
San Giovanni Battista furono edificate alla fine del secolo V da papa Ilaro (461-468), come ringraziamento ai
due santi per lo scampato pericolo corso durante lo pseudo-concilio di Efeso del 449, manovrato
dall’eretico Eutiche. L’architrave di ingresso della cappella dedicata a San Giovanni,
l’evangelista che più è penetrato nel mistero della divinità e
dell’umanità del Figlio, reca l’iscrizione dedicatoria: "Al suo liberatore il beato Giovanni
evangelista, Ilaro, servo di Dio", e la citazione giovannea: "Diligite alterutrum (amatevi gli uni gli
altri)".
Ilaro, diacono, era stato inviato dal papa Leone Magno come suo delegato a Efeso, città giovannea, per
contrastare Eutiche. Quest’ultimo affermava che Cristo non è consostanziale con noi, con
l’umanità, ma che, una volta avvenuta l’incarnazione si può affermare solo la natura
divina di Cristo. Il cosiddetto "latrocinio di Efeso" del 499 sembrò segnare la vittoria della posizione
monofisita (che afferma una sola natura di Cristo) di Eutiche. La tradizione cattolica della Chiesa riuscì
invece, due anni dopo nel concilio di Calcedonia, a confutare la posizione monofisita, perché negava la
reale umanità di Cristo, e ad affermare la presenza in Lui dell’unica Sua persona divina nelle due
nature, integre e complete, senza mescolanza, trasformazione, separazione o divisione. Succeduto a Leone Magno,
come papa Ilaro costruì appunto le cappelle del battistero lateranense.
Merita una visita la Cappella di S. Venanzio, iniziata da Giovanni IV Dalmata (640-642) e completata dal
suo successore papa Teodoro (642-649). La cappella fu pensata per accogliere le reliquie dei martiri dalmati
Venanzio e Domnione. Il mosaico del catino absidale ha al centro Gesù Salvatore e sotto di Lui la Sua
Chiesa, con al centro la Vergine orante, a destra San Pietro con l’asta crociata, San Giovanni Battista,
San Domnione, Papa Giovanni IV; a sinistra San Paolo con il libro in mano, San Giovanni evangelista, San Venanzio
e Teodoro che offre la costruzione. Ai loro lati altri otto santi. È la Chiesa intera, celeste e terrestre
che prega il suo Signore. In alto i simboli dei quattro evangelisti e a lato le due città di Betlemme e
Gerusalemme cinte da mura e torri gemmate, altri simboli ecclesiologici.
Nell’originario ingresso, il pronao biabsidato, trova invece posto la Cappella dei santi martiri
Cipriano e Giustina con un mosaico del secolo V a racemi, con un emiciclo con l’Agnello, quattro
colombe e piccole croci gemmate, e la Cappella delle Sante vergini Rufina e Seconda martirizzate durante
la persecuzione di Valeriano.
Il battistero lateranense è detto anche San Giovanni ad fontem per l’acqua da cui i
catecumeni acquistano la vita, o anche San Giovanni ad vestes per le nuove vesti di colore bianco che i
battezzati indossano come segno dell’essersi rivestiti in Cristo, portandole fino alla domenica in
Albis, la domenica appunto delle vesti bianche.
È Cristo la fonte dell’indulgenza che raggiunge, attraverso il battesimo donato dalla Chiesa, gli
uomini. Coloro che sono stati santificati nelle acque battesimali possono partecipare alla misericordia divina.
Il Nuovo Testamento annuncia che il battesimo cristiano rende possibile l’essere "crocifissi" e
"consepolti" con Cristo, per "conrisorgere" con Cristo, incorporati a Lui nella Chiesa, attraverso la
rigenerazione operata dallo Spirito che fa morire l’uomo vecchio, servo del peccato, e dà vita
all’uomo nuovo, libero da esso.
Ignorate che quanti siano stati battezzati in Cristo Gesù siano stati battezzati nella sua morte? Siamo stati dunque sepolti con Lui per mezzo del battesimo nella morte, affinché come Cristo risorse da morte così anche noi camminiamo in novità di vita (Rom. 6, 3-4).
Con Lui siete stati sepolti insieme nel battesimo, in Lui siete anche stati risuscitati insieme per la fede nella potenza di Dio. Con Lui Dio ha dato vita anche a voi che eravate morti per i vostri peccati, annullando il documento scritto del vostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli (Col. 2, 12-13).
Possiamo affacciarci ora verso il Portico Settentrionale, sulla piazza di San Giovanni in Laterano.
Dobbiamo l’attuale assetto di questa parte del complesso, detta Campo Lateranense, a papa Sisto V.
Egli concepì un progetto urbanistico in cui Roma venne identificata come città santa,
l’altera Jerusalem, e l’arte fu mezzo privilegiato con cui comunicare questo messaggio. In
quest’ottica intervenne nella ristrutturazione della città, tanto da celebrarla con
l’indizione dei Giubilei straordinari del 1585 e del 1590, ormai entrati nella storia.
Fino a quel momento il Campo si presentava come un vasto museo all’aperto di sculture e resti
dell’antica Roma. Al centro della Piazza si ergeva il monumento e questre a Marco Aurelio, che il
papa fece trasferire in Campidoglio; parti di un distrutto "Colosso" si appoggiavano su archi e colonnette e
così altre statue antiche; la stessa struttura del Patriarchio era romana, inoltre la basilica era
circondata per tre lati dalle Mura Aureliane. Sisto V desiderò allora caratterizzare in maniera cristiana
quel luogo ancora troppo pagano: nel suo intervento radicale ripristinò il Portico Settentrionale,
sostituì la statua equestre con un obelisco sormontato dalla Croce, con il significato simbolico di
trionfo nel cuore dell’antichità pagana, infine inserì la Cappella del Sancta
Sanctorum in un edificio a sé stante, trasferendovi al di sotto la Scala Santa e costruendo
così un grandioso reliquiario.
La Facciata Settentrionale della basilica è da allora più monumentale con l’aggiunta
di un portico e di una Loggia delle Benedizioni. L’ingresso a Nord, sebbene sia secondario, è
però quello orientato verso il cuore della città, il più fruibile dai fedeli, identificato
spesso come stilizzazione della basilica stessa, tanto che la si vorrebbe riconoscere nel prospetto a 2 torri che
inquadra la figura dell’Ecclesia scolpita sulla porta di bronzo, fatta realizzare nel 1195 da
Celestino III per il Patriarchio, e ora nel battistero.
Il 10 agosto 1588 l’obelisco più antico e più alto di Roma – e, come
affermò il Mercati, degno della basilica madre di tutte le chiese – sormontato dalla Croce, venne
innalzato al centro di piazza San Giovanni in Laterano. Costruito da Tutmosis III, innalzato poi da Tutmosis IV,
fu portato a Roma da Costanzo II, che lo raccolse dal porto di Alessandria, dove era stato già trasportato
da suo padre Costantino nel desiderio non realizzato di trasferirlo a Roma.
Costanzo vi fece incidere sulla base un poema in onore alle vittorie di Costantino e in difesa del
Cristianesimo, poema ormai perduto. Crollato in seguito a scorribande dei Goti, fu rinvenuto spezzato in 3 parti
nel 1587. Domenico Fontana lo dotò di una base in marmo sorretta da 2 antichi leoni.
Il Palazzo Lateranense fu costruito ex novo, in sostituzione dell’antico Patriarchio, nelle sue
forme rinascimentali dal Fontana per divenire una sede degna del vescovo di Roma.
Nel 1589 Domenico Fontana realizzò l’edificio che custodisce al suo interno la cappella papale del
Sancta Sanctorum, accessibile attraverso il passaggio sulla Scala Santa.
La Scala santa era lo scalone d’onore del Patriarchio e fu spostata gradino per gradino in una sola
notte, per diventare con Sisto V l’accesso privilegiato al Sancta Sanctorum. La tradizione racconta
come Sant’Elena, madre di Costantino, fece togliere dal Palazzo di Pilato a Gerusalemme i gradini della
scala su cui Gesù era salito e disceso due volte nel giorno della sua passione, bagnandola con gocce del
suo sangue. Sant’Elena l’avrebbe poi donata a papa Silvestro e lui l’avrebbe collocata davanti
al Patriarchio.
In cima alla Scala, la raffigurazione di Cristo crocifisso, che come dalla sua cattedra dona il suo
insegnamento. I fedeli percorrono in ginocchio i ventotto gradini marmorei ricoperti in legno di noce.
Salita la Scala ci troviamo davanti alle grate del Sancta Sanctorum, l’antica cappella papale.
Originariamente la cappella era più ampia e aveva l’ingresso di fronte all’altare, dove ora
sono le tre finestrelle per l’adorazione dall’esterno.
Il nome della cappella, deriva dal tempio di Gerusalemme. Il Santo dei Santi (forma di superlativo assoluto
semitica per dire il Santo per eccellenza) era il luogo più protetto all’interno del tempio di
Gerusalemme, il luogo sul quale Dio aveva posto il Suo sguardo e nel quale solo il Sommo Sacerdote e solo una
volta all’anno poteva accedere.
La nostra cappella, detta anche cappella di San Lorenzo, deve il suo appellativo di Santo dei Santi soprattutto
per le numerose reliquie in essa conservate.
Fu papa Nicolò III che fece scrivere sull’architrave sopra l’altare:
Non est in toto sanctior orbe locus.
Non c’è in tutto il mondo un luogo più santo di questo.
La nostra cappella era così ricca di reliquie santissime, da essere la più venerata di Roma. Vi
è documentata la presenza delle reliquie delle teste dei Santi Pietro e Paolo – poi trasferite nella
basilica – fondamenta apostoliche della Chiesa di Roma che, come scrisse Leone I (440-461) fanno dei Romani
"un popolo eletto di stirpe divina".
Erano qui conservate anche le reliquie dei due martiri e diaconi, San Lorenzo e Santo Stefano, nonché la
testa di sant’Agnese, una delle prime martiri romane, cui era molto devota Santa Costanza, figlia di
Costantino.
Ma l’immagine più sacra è la pala d’altare del Sancta Sanctorum, quella
di Cristo Salvatore, chiamata Acheropita, cioè non dipinta da mano d’uomo. Si racconta
infatti che quando San Luca evangelista, che la tradizione vuole pittore, si accinse a dipingerla la trovò
completa, prima ancora di cominciare. La tavola risale probabilmente al V secolo ed è ormai ridotta ad
un’ombra.
Recenti restauri hanno riportato al loro primitivo splendore le pitture ed i mosaici commissionati da Papa
Niccolò III Orsini tra il 1277 ed il 1280, per ridecorare la Sancta Sanctorum. L’intento
di questo papa, nell’ideare la "nuova" cappella, si dimostra fortemente unitario ed il suo progetto
stilistico-culturale di tradizione e rinnovamento ben si identifica con l’intento di rendere sempre
più Roma centro della cristianità. Questo disegno si può ben dire una costante nelle
committenze non solo romane dell’Orsini, il quale persino ad Assisi, nel cantiere che vedeva la presenza
del toscano Cimabue nell’abside e nel transetto, fece affrescare le regioni evangelizzate – prima fra
tutte Roma seguita da Gerusalemme, Corinto ed Efeso – a sottintendere l’universalità del
messaggio cristiano ed al contempo il servizio dell’autorità papale.
Corona l’aula una volta le cui quattro vele accolgono i simboli dei quattro evangelisti raffigurati
secondo l’antica convenzione iconografica, le cui fonti sono il profeta Ezechiele e l’Apocalisse.
Questa tradizione raffigura Matteo con un angelo, Marco con un leone, Luca con un toro e Giovanni con
un’aquila.
Le quattro lunette delle pareti – ognuna delle quali accoglie due scene separate da una finestrella
– sono invece abbellite da affreschi che erano stati attribuiti da alcuni critici al Cimabue (presente a
Roma intorno al 1270), prima che l’ultimo restauro svelasse il loro debito alla corrente della pittura
romana monumentale di ispirazione gotica influenzata dal cantiere assisiate. Essi sono dunque di un pittore
probabilmente romano, affiancato da aiuti, cui fu assegnato il compito di decorare con storie di santi gli otto
riquadri ricavati nelle lunette.
Iniziando dalla parete dell’altare, vediamo sulla sinistra il papa Niccolò III accompagnato da
Pietro e Paolo, quest’ultimo mentre presenta il modellino del Sancta Sanctorum a Cristo, raffigurato
sulla destra assiso sul trono celeste in atto di accogliere il dono.
La parete alla destra del presbiterio, accoglie i due riquadri con la crocifissione di San Pietro e la
decapitazione di san Paolo, raffigurati secondo la consueta iconografia (vedi i capitoli sulle basiliche
di San Pietro e San Paolo).
Nella parete di fronte all’altare possiamo ammirare i due affreschi rappresentanti il Martirio di Santo
Stefano e il Martirio di San Lorenzo. Il diacono Santo Stefano morì primo martire lapidato da
membri del sinedrio di Gerusalemme accusato per la sua fede nel Messia (At 7, 2-56). La tradizione racconta che
il suo corpo, rinvenuto a Gerusalemme nel 415, sia stato traslato a Roma per essere collocato accanto a quello di
San Lorenzo, diacono romano, come poi vedremo nel capitolo sulla basilica a quest’ultimo dedicata. Nella
venerazione romana i due diaconi sono sempre venerati insieme, similmente a Pietro e Paolo.
I due pannelli a sinistra del presbiterio ricordano il Martirio di Sant’Agnese ed il Miracolo di
San Nicola. L’affresco del martirio di Sant’Agnese mostra la giovane vergine che viene decapitata
dopo che il suo corpo ha miracolosamente resistito alle fiamme del rogo apprestato per il suo martirio. La
Legenda Aurea racconta che la giovane rifiutò la corte di un giovane prefetto romano, che si
ammalò. Il padre convocò la giovanissima fanciulla ordinandole di offrire sacrifici agli dei romani
per guarire il figlio. Al suo deciso rifiuto seguì il martirio che l’affresco descrive.
L’unico episodio che non mostra un martirio ma un miracolo è quello dedicato a San Nicola. Vescovo
caritatevole, è raffigurato nel momento in cui porta, di notte, una borsa di denari ad un nobile
gentiluomo decaduto, perché possa aiutare le figlie ridotte a mal partito. L’inserimento di questi
due santi nel programma iconografico fu certamente voluto da Niccolò III per ricordare un’altra
testimonianza della santità romana (Agnese) e per omaggiare il santo di Bari del quale aveva preso il
nome.
Per capire il significato storico di questo ciclo ci aiuta uno storico dell’arte, A.Tomei, secondo il
quale
la scelta dei soggetti iconografici, concentrata sulle scene di martirio dei santi, sottolinea con evidenza la volontà da parte del pontefice di riaffermare l'importanza della tradizione apostolica quale indiscutibile fondamento dell'autorità papale. Particolare interesse dal punto di vista storico riveste anche la scena raffigurante l'offerta a Cristo del modellino del Sancta Sanctorum da parte di Niccolò III; è stato infatti osservato che una scena analoga, a mosaico, si trovava sull'arco trionfale dell'antica basilica vaticana e mostrava l'imperatore Costantino accompagnato da san Pietro nell'atto di presentare a Cristo il modello dell'edificio. Sembra trattarsi di un riferimento preciso al restauro delle basiliche costantiniane promosso da Niccolò III, in quanto simbolo tangibile di restaurazione dell'idea imperiale e cristiana di Roma.
Decorano a mosaico la volta a botte del presbiterio le immagini dei santi Pietro, Paolo, Nicola, Agnese, Lorenzo e Stefano, ed un medaglione con il busto di Cristo sorretto da quattro angeli la cui immagine arcaica ricorda quella del Cristo Acheropita. È da notare come l’utilizzo delle tessere a mosaico servì non solo per non discostarsi da una tecnica di abbellimento che aveva caratterizzato le maggiori basiliche romane fino ad allora, ma anche e soprattutto per dare maggiore enfasi all’area in cui erano custodite le reliquie e la miracolosa "icona portatile" del Salvatore. Per quanto riguarda gli esecutori, la critica sembra propensa ad attribuire i mosaici del presbiterio agli stessi Cosmati autori del rivestimento marmoreo dell’intera cappella.