Ogni pellegrinaggio cristiano sottolinea la verità, l'evento della Rivelazione. Si va in un luogo
perché proprio lì, e non altrove, il Padre ha compiuto la salvezza. Quel "lì" vuol
soprattutto indicare che non è ideologia, non è speculazione, non è ideale, per quanto
bello, ciò che la Chiesa chiede sia creduto. Deve essere creduto, perché è. Deve essere
creduto perché è avvenuto, nel mistero della libertà di Dio. Una "geografia della salvezza"
è coessenziale alla "storia della salvezza". Anche essa esprime la libera scelta del dono del rivelarsi di
Dio. D'altro canto, a differenza di un pellegrinaggio feticistico, il pellegrinaggio cristiano afferma che
ovunque si celebri l'eucarestia, si annunzi la Parola, ovunque si celebri il sacramento della Riconciliazione,
ovunque si trovi la viva voce e il gesto della Chiesa si incontra la presenza viva del Signore risorto. È
per questo che ogni Giubileo si è caratterizzato anche attraverso la proposta di luoghi da visitare,
concentrando l'attenzione ora su di uno ora su di un altro aspetto del mistero cristiano. Nella bolla di
indizione del Giubileo dell'Anno 2000 Incarnationis Mystenurn, Giovanni Paolo II insiste sul ruolo unico
di Roma e della Terra Santa:
"Il Grande Giubileo dell'Anno 2000 sarà un evento che verrà celebrato contemporaneamente a Roma e
in tutte le Chiese particolari sparse per il mondo, e avrà, per così dire, due centri: da una parte
la Città, ove la Provvidenza ha voluto porre la sede del successore di Pietro, e dall'altra, la Terra
Santa, nella quale il Figlio di Dio è nato come uomo prendendo la nostra carne da una vergine di nome
Maria (cfr. Lc 1, 27). Con pari dignità e importanza il Giubileo sarà pertanto celebrato, oltre che
a Roma, nella Terra a buon diritto chiamata "santa" per aver visto nascere e morire Gesù Quella Terra, in
cui è sbocciata la prima comunità cristiana, è il luogo nel quale sono avvenute le
rivelazioni di Dio all'umanità."
Un unico disegno provvidenziale lega l'apparire del mistero nascosto nei secoli in Terra Santa e la
presenza e il martirio di Pietro e Paolo nella città di Roma, un unico disegno che continua nella viva
Tradizione della Chiesa di ogni tempo. La proposta del pellegrinaggio giubilare indica le mete che la fede della
Chiesa ha compreso essere, nei secoli, tappe decisive della geografia e della storia della salvezza. In Roma il
primo Giubileo del 1300 ha sottolineato l'importanza delle due basiliche sorte sui corpi martirizzati dei santi
Pietro e Paolo. Il Giubileo del 1350 vi aggiunse la basilica Lateranense, cattedrale della Chiesa di Roma. Nel
Giubileo del 1390 con la basilica di Santa Maria Maggiore vennero così ad essere incluse negli itinerari
giubilari quelle che erano già le quattro basiliche patriarcali. Nel nostro secolo, nei due Giubilei
straordinari della Redenzione del 1933 e del 1983, prima la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, poi anche le
catacombe divennero mete proposte per la loro rilevanza nell'esprimere la realtà dell'evento della
salvezza. Il Giubileo dell'Anno 2000 allarga ancora l'attenzione, includendo per la prima volta la basilica di
San Lorenzo fuori le Mura ed il santuario del Divino Amore. L'itinerario filippino delle Sette Chiese non
è mai stato un itinerario giubilare. La relazione fra san Filippo Neri e il Giubileo va vista piuttosto
nell'attenzione che il santo dedicò all'accoglienza dei pellegrini che affluivano a Roma, come afferma la
bolla Incarnationis Mysterium:
"[Durante i Giubilei] non sono mancati abusi e incomprensioni, ma le testimonianze di fede autentica e
carità sono state di gran lunga superiori. Lo attesta in modo esemplare la figura di san Filippo Neri che,
in occasione del Giubileo del 1550, diede inizio alla "carità romana" come segno tangibile
dell'accoglienza verso i pellegrini."
Per la prima volta, nel Giubileo dell'Anno 2000, le Sette Chiese vengono indicate, anche se insieme ad altre,
come mete giubilari. Il presente lavoro vuole essere un contributo rivolto sia ai cristiani di Roma sia ai
pellegrini, per penetrare, attraverso una presentazione di questi luoghi, nel "trascendente segreto" della Chiesa
di Roma.
Riportiamo la prefazione al volume:
L'intuizione cristiana che la debolezza, e la relazione che consegue alla debolezza, più che la forza o
l'efficienza o la competenza, siano rivelative dell'identità personale caratterizza il punto di vista, dal
quale Jean Vanier contempla la vita umana. Anche in questa breve riflessione, sul fenomeno dei movimenti nella
Chiesa, lo sguardo è lo stesso. Anche la debolezza, con il bisogno di relazione che la accompagna,
è, potremmo dire, criterio di ecclesialità dei movimenti, dei cammini e delle comunità. La
debolezza proietta un fascio della sua luce anche sul difficile problema dell'unità dei cristiani.
Come "ogni uomo è una storia sacra", così, con la stessa delicatezza, queste poche righe guardano
alla storia dei nuovi movimenti e comunità. La coscienza e l'esperienza delle varie tappe, dalla nascita
all'evoluzione, dalla presenza all'assenza del fondatore, dalla Chiesa locale alla Chiesa universale, che ogni
comunità attraversa, diviene prezioso strumento per discernere le luci e le ombre, spesso presenti insieme
e non escludentesi.
Un ringraziamento particolare ad Alessia Martinez e ad Annarita Cattaneo, che hanno curato la traduzione e
l'ultima revisione del testo.
Andrea Lonardo
Il volume, che comprende
anche la meditazione pronunciata da Jean Vanier nella parrocchia di Santa Melania il 26 marzo scorso, è
così introdotto da d. Andrea Lonardo: I piccoli hanno bisogno che tutti i cristiani crescano
nell'unità. Nella comunione trovano la casa dove abitare e dove portare il loro dono. Nelle divisioni
pagano il prezzo più alto. Se non possiamo ancora condividere la stessa eucarestia, essi, i deboli, coloro
che hanno una intelligenza meno sviluppata, i portatori di handicap, ci invitano a sedere tutti insieme almeno a
mensa con loro. Non potrebbero capire, se rifiutassimo il loro invito. Il Signore li dona a noi ed il loro grido
per l'unità è un appello. Attraverso di loro, il Signore ci invita insieme. Il quotidiano
"Avvenire" ha dedicato un'intera pagina al volume. Ne riportiamo un brano: Questo testo è il frutto della
mia esperienza all'Arca e a Fede e Luce. Abbiamo iniziato a camminare nell'ecumenismo per rispondere alle
necessità delle persone con un handicap accolte all'interno delle nostre comunità e che
appartengono a differenti tradizioni cristiane e religiose. Queste persone ci hanno chiamato a scoprire come
aiutarle a integrarsi pienamente nella vita comunitaria, approfondendo la loro personale tradizione, e a scoprire
anche come celebrare alcune feste tutti insieme, come una sola famiglia. In questo cammino ci siamo spesso resi
conto dei nostri limiti e abbiamo commesso degli errori, ma abbiamo anche scoperto la gioia di camminare insieme
come pellegrini verso la terra dell'unità (...). Negli incontri ecumenici, è doloroso che gli
anglicani e i protestanti non possano ricevere la comunione al momento di una Eucaristia cattolica o ortodossa,
soprattutto quando le loro Chiese accolgono tutti i credenti alla mensa del Signore. E' doloroso per i cattolici
e gli ortodossi vedere che la loro Chiesa rifiuta la comunione a delle persone alle quali essi sono legati da
amicizia e comunione di cuori (...). Può essere doloroso essere testimoni di un ecumenismo "selvaggio",
privato della Parola di Dio, della teologia e delle regole delle nostre Chiese, un ecumenismo animato più
dalle emozioni che da una ricerca della verità e della volontà di Dio. Può essere doloroso
sentirci criticati dalla nostra stessa Chiesa che ci vede come degli infedeli in procinto di perdere
l'integrità della nostra fede, sotto l'influsso di persone di altre religioni. Può essere molto
doloroso gettare dei ponti fra le Chiese. E' un cammino di solitudine (...). Se questa strada verso
l'unità è dolorosa, insicura, piena di incertezza, di momenti di dubbio e di solitudine, è
anche una strada molto bella quando vediamo delle persone appartenenti a diverse confessioni cristiane
ritrovarsi, pregare insieme, cercare insieme Gesù e il suo Vangelo di pace (...).
Jean Vanier è nato in Canada nel 1928. Ufficiale di marina, insegnante di filosofia prima di dedicarsi
alla vita comune con portatori di handicap. Fonda nel 1964 la comunità dell'Arca, dove condividere la vita
con handicappati mentali. L'Arca oggi conta comunità in 26 paesi e 2.200 membri. Fede e Luce, presente
anche nella nostra comunità, è una emanazione dell'Arca per vivere l'amicizia con famiglie con
problemi di handicap.