30/7 XII meditazione di Neri, sull’Assunzione


In questo luogo ricordiamo l’evento della definitiva e più alta glorificazione di Maria, il suo passaggio dalla umiliazione del suo corpo mortale alla glorificazione del corpo, reso perfettamente conforme all’immagine del corpo della gloria del Figlio che aveva portato nel seno e accompagnato lungo il sentiero di umiliazione della sua vita, fino all’umiliazione suprema della sua croce. E i testi che sono stati letti, particolarmente il testo dell’evangelo, sul quale unicamente vorrei con voi con grande semplicità, secondo che mi darà il Signore, un poco soffermarmi, non lesinano espressioni di stupore ammirato, né formule di glorificazione nei confronti di Maria. Di lei, la fanciulla della Galilea alla quale giunse il saluto dell’angelo e che noi ricordiamo ancora come proclamata così giustamente, in modo così profondo - come nessuna interpretazione che prescinda dal più intimo significato di questa parola può rendere - “kekaritomene”, piena di grazia, perché su di lei - abbiamo già contemplato insieme - s’è posato lo sguardo di Dio con la stessa infinita intensità, con la stessa totale pienezza d’amore, con cui Dio guarda il suo unigenito, nel suo seno – “hai trovato grazia”. Amata nell’unico atto d’amore con cui Dio ama il suo Figlio, perché il suo Figlio s’è fatto presente nel suo seno, è diventato con lei una sola carne, carne della sua carne, ossa delle sue ossa, vita della sua vita.

Dicevo, il testo del vangelo che ora si è letto non risparmia formule glorificanti in modo vertiginoso. La Madonna! “Benedetta fra le donne, benedetto il frutto del “tuo” seno”. Ma è l’evento stesso che qui è narrato che la glorifica come noi non avremmo mai saputo fare, mostrando come colei che per prima - così avevamo riflettuto insieme - aveva ricevuto l’annuncio e la proclamazione della pace, della pace messianica – “Kaire”, “rallegrati o piena di grazia” - portando per prima questo stesso saluto, shalom, pace, “Kaire”, alla sua cugina, ne porta anche tutto il frutto nuovo, tutta la pienezza, tutto il significato inaudito e tutta la potenza e l’efficacia suprema che consiste nella trasmissione mediante questo solo saluto, il saluto messianico, dalla sua bocca, dello Spirito Santo.

“All’udire la voce del tuo saluto il bimbo ha sussultato di gioia nel mio seno”. Lo Spirito Santo investe il Battista che è ancora nel grembo di Elisabetta e ne fa un profeta ed egli è pieno dell’esultanza profetica e nell’esultanza profetica annunzia, a suo modo, danzando di gioia. L’esultanza di tutta l’umanità, di tutto Israele, di ogni creatura per la venuta infine del Salvatore! E poi ancora, nelle parole stesse non solo di Elisabetta che proclama Maria “madre del suo Signore”, ma nelle parole stesse di Maria, ci sono formule - ripeto - vertiginose di glorificazione: “Mi chiameranno beata tutte le generazioni”, “Il potente ha fatto in me cose grandi e mi ha guardato”. E’ l’espressione stessa della sua gioia e della sua esultanza nuova: “La mia anima magnifica il Signore e il mio spirito ha esultato, esulta, in Dio mio Salvatore”. C’è quanto di più grande una creatura può dire di se stessa.

Eppure questo fatto che noi qui contempliamo, nel quale qui ribadiamo la nostra fede della glorificazione suprema di Maria anche con il suo corpo; e queste parole estasianti e allucinanti forse di glorificazione di una creatura non devono farci dimenticare che la gloria spetta solo a Dio. E non sono fatte per farcele dimenticare; sono anzi il modo migliore per poterci condurre a ribadire e a riproclamare di nuovo che solo a Dio spetta la gloria, solo a Lui l’onore, solo Lui è grande, solo Lui è santo, solo Lui è potente, Lui solo è. “Ascolta Israele, il Signore il tuo Dio è uno solo”, uno solo! E la possibilità di custodire intatto nelle nostre comunità cristiane, ma prima ancora ovviamente - il problema è sempre quello - nella nostra coscienza, nel nostro intelletto e nel nostro stesso cuore, il mistero di Maria per poterlo trasmettere, per farne motivo di edificazione, di conforto, di luce, di fede e di speranza, è che ci sia in essa la compresenza dei due elementi: la dichiarazione forte, non trepidante, di quanto il Signore ha reso grande lei e, insieme, proprio per questo, a motivo di questo, il ribadimento che la grandezza conviene solo a Lui il Signore, che solo a Lui è la gloria, che solo suo è l’onore. Maria non può essere assolutamente sentita - come ci si accusa di fare - come un’alternativa rispetto al “soli Deo gloria” e quanto più la diciamo grande, tanto più diciamo grande il Signore che l’ha glorificata e la diciamo grande solo per dire che grande è Dio che l’ha fatta bella, luminosa e gloriosa. Solo per questo. E’ a Lui che spetta tutto, perché è Egli solo.

Il testo ce lo fa capire, come il primo aspetto, anche questo secondo aspetto in termini di una bellezza e di una dolcezza incredibile. Lei, la kekaritomene, la piena di grazia, lei fatta una sola carne con il Verbo di Dio, che in lei e da lei ha assunto la carne, oggetto di questo sguardo di infinita dolcezza e di potenza d’amore da parte del Padre, lei “subito dopo” - non è interposto nulla – “e l’angelo si allontanò da lei e alzatasi Maria in quei giorni se ne andò con zelo nella regione montuosa in una città di Giuda”. Subito si alza, non si ripiega sulla propria grandezza, non si ripiega sulla propria gloria, non fa della propria glorificazione un velo per la malizia, direbbe il Nuovo Testamento, perché questo sarebbe stato se si fosse ripiegata su di sé a contemplare se stessa, nel dire: “Io sono grande, io sono bella, io sono divina, io sono ormai senza peccato, io sono al di sopra, in questo momento, di qualsiasi altra creatura che c’è nel mondo, io sono la cerniera della storia dell’umanità, sono al centro di questa storia, sono al centro dell’universo, il cosmo intero gira intorno a me, e le stelle brillano per me e per me il sole risplende, veramente”. Ma non s’è fermata a dire questo. Non ha detto nulla di tutto questo. S’è alzata ed è andata. E come risulta così chiaramente dal versetto 56 - “e rimase con lei circa tre mesi” - se ne andò per servire nella carità. Tutta questa gloria è in qualche modo dimenticata - no, non dimenticata, non trascurata, Maria mostra di sapere quanto è grande - ma immediatamente tradotta nel servizio di carità di una sorella che aveva bisogno. Volontario servizio - non è chiamata. Come mostrare meglio che ha dimenticato se stessa? E così è la gloria del credente, perché sia glorificato Dio solo, da cui solo viene ogni bene. Il credente è glorificato, ma non deve neppure odorare il profumo della propria gloria e non deve distogliere un attimo il suo sguardo da Dio che lo glorifica e che lo ama. Mai su se stesso! Non dire: “Io sono senza peccato, (…), io sono il tutto, io sono l’infinito, come tanto insistono - scusate se richiamo un attimo i discorsi che in altra sede, durante queste giornate, si fanno - come tanto insistono che si faccia con forza componendo litanie lunghissime di questa autoglorificazione. I testi che vengono da un’altra parte, non dal Giordano, ma da un altro fiume. Non da questo mondo, in cui Dio personale, unico, è, ma da un altro, in cui tutto è (…) e sono composti testi litanici infiniti, sterminati, di autoglorificazione.

E il vertice dell’esperienza spirituale dell’uomo è fatto consistere nel suo convincersene totalmente a furia di ripeterlo: “Io sono questo, io sono Dio”. C’è un abisso tra questo alzarsi e correre di Maria e quell’altra prospettiva, quell’altro modo. E poi le parole stesse della sua glorificazione, quelle pronunciate da altri, da Elisabetta, sono, a questo riguardo, così belle. “E donde a me questo, che la madre del mio Signore venga a me?”. Sono tutte, per così dire, da vedersi in modo che l’ultimo termine illumina il precedente. Tu sei la madre del mio Signore e la tua gloria consiste nel fatto che il tuo, il mio Signore abita in te ed è portato da te. “Benedetta sei tu fra le donne”. Perché? “Perché benedetto è il frutto del tuo seno”. Tu sei benedetta per la benedizione che porta il tuo seno e che è personalmente il mio Signore che abita in te. Per quanto riguarda te personalmente in che cosa consiste la benedizione? Come è coerente con tutto il racconto dell’Annunciazione che ha preceduto quello che dice al versetto 45, “Beata che hai creduto che ci sarebbe stato compimento alle parole che a te sono state dette dal Signore”, e basta! Il tuo vanto, la tua gloria, il tuo merito - si può anche parlare di questo - il motivo per cui noi dobbiamo glorificare te, anche - ed è vero - è solo questo: “Tu hai creduto, hai detto sì, beata te che hai creduto”. Non dice beata te per la tua virtù, non dice beata te per la tua intelligenza, non dice beata te per la tua generosità, non dice beata te per la forza del tuo amore. Non dice nulla di tutto questo. Non dice beata te per la tua grandezza, affascinato dalla quale il Signore avrebbe creato in te questo prodigio. Non dice questo, perché non è vero! “Beata te che hai creduto”. E’ l’unica cosa che ci spetta: credere. Accettare il dono, come dono puro, accogliere l’elargizione della meraviglia di Dio, dicendo soltanto da parte nostra: “Sì”. Come ha detto lei, si faccia in me secondo la tua parola. Le parole della Madonna sono tutte in questo stesso senso. Esprime la sua gioia, la sua esultanza - come abbiamo detto - perché dà gloria a Dio e la gloria di Dio si riflette nella gioia che gli comunica la sua creatura, ed è ben felice di essere stata scelta così.

Sia benedetto Dio che mi ha scelta, sia benedetto Dio che mi ha amata e sono contenta di essere amata. Non si ritrae timidamente, non si nasconde per una falsa umiltà, che nasconderebbe in fondo l’orgoglio. Accetta, dice il suo sì totalmente, il sì anche al fatto che paradossalmente Dio, l’infinito, l’eterno e il santo, ha amato ed ama lei, ha scelto e sceglie lei ed è contenta di questo. E’ il sì totale, è il si vero, sincero, totalmente esplicitato a Dio. Ma poi è la proclamazione precisa di che cosa ha costituito il motivo della scelta da parte di Dio di lei. Non si potrebbe tradurre correttamente: “Perché ha guardato all’umile sua serva”. No, non all’umile sua serva! “Ha guardato alla piccolezza della sua serva”. Io ci tengo moltissimo che la traduzione a questo punto sia a calco, letteraria. Ha guardato la piccolezza. Questo ha guardato. E il motivo formale della scelta di Dio è la piccolezza, non la grandezza, ha guardato la piccolezza e guardando la piccolezza ha scelto me. Ciò per cui Dio mi ha scelta è la piccolezza, così almeno dice la Madonna. Ed è vero e Dio si compiace di scegliere ciò che è piccolo, e Dio si compiace di scegliere ciò che non è, e Dio si compiace di scegliere ciò che è infermo, perché nessuna creatura davanti a Lui si glori. La piccolezza è il motivo della scelta, è l’oggetto diretto della scelta, che comporta la scelta di chi è piccolo. Ma ripeto: la motivazione formale è la sua stessa piccolezza, non altro. E poi la grande celebrazione di Dio: Dio, salvatore, potente, santo, questo rosario di nomi, questa serie di proclamazioni della grandezza dell’Unico, della santità dell’Unico, della potenza del Solo. E l’inserimento immediato dell’evento che in lei si è compiuto nel contesto che lo giustifica e che lo provoca e in ordine al quale questo stesso evento si è compiuto, che è il contesto della salvezza di tutti. Io sono un momento - e un momento essenziale, la cerniera, e il momento capitale e il punto in cui gira tutto, ed è vero - ma del grande evento salvifico che si è compiuto per tutti, del giudizio di Dio che si compie per tutti, per tutti i piccoli della terra, per tutti gli umili, per tutti gli affamati, per tutti coloro che subiscono ingiustizia e che si compie di rovescio contro i superbi, gli oppressori, i ricchi, quelli che sono pieni e quelli che sono sazi. Come Maria si vede inserita nel grande dramma della redenzione e nell’evento supremo che coinvolge tutto l’universo e che coinvolge tutta la storia! E’ per questo che tutte le generazioni la diranno beata, perché tutte le generazioni in lei e per lei sono benedette e la benedizione che si è posata su di lei trabocca su tutte le generazioni, è per tutti coloro che temono Dio. “Tutti i secoli”, al versetto 50, “e la sua misericordia, di generazioni in generazioni, per coloro che lo temono”. E poi questo evento che riguarda tutti è semplicemente il compimento delle promesse di Dio, è la manifestazione della sua fedeltà ad Israele. Perché mi ha guardato? Perché sono piccola. E perché a questo punto ha voluto guardare sulla terra per cercare la dimora degna, cioè non tale da oscurare con la propria pretesa grandezza o da dare illusione da poter dare a questo riguardo illusioni all’uomo - è per questo che ha scelto ciò che c’è di più piccolo sulla terra e di più umile in questo senso oggettivo sulla terra per il suo Figlio - perché l’ha fatto a questo punto? Perché si è ricordato. Di che cosa? Di sé, della sua promessa. Si è ricordato di Abramo, ma non perché Abramo valesse, ma perché ad Abramo aveva detto: “Mi ricorderò”. Si è ricordato del suo nome e per amore del suo nome ha salvato. Si è ricordato della sua parola e per fedeltà a questa stessa parola, che egli stesso aveva pronunciato, è intervenuto, perché Dio solo è. Si è ricordato della propria misericordia verso i nostri padri. Dio solo opera per amore di se stesso, per fedeltà al suo nome, per non mancare alla propria parola e sceglie ciò che c’è di più piccolo, facendolo immenso, perché così si ammiri la grandezza del suo dono, che da ciò che non è, ricava ciò che è e glorifica ciò che è più piccolo perché da questa glorificazione si riconosca l’opera gratuita, immensa, di Colui che solo è glorioso, solo è potente, solo è santo. E Maria è il luogo privilegiato in cui questo paradosso si compie e in cui questa rivelazione dell’operazione efficace di Dio che trasforma - non passa accanto alla sua creatura, la trasforma, la coinvolge, la assume, la glorifica. Maria è il luogo privilegiato in cui quest’operazione di glorificazione di Dio appare così totale, così immensa, così pura, da riempire il mondo di stupore e da far sì che tutti dicano: “Sia glorificato Dio che compie grandi cose in me, il cui nome è santo, la cui opera è potente, il cui amore misericordioso è universalmente e indicibilmente salvifico”. La glorificazione anche del corpo della Madonna è semplicemente l’epilogo di questa opera e quindi il vertice di questa rivelazione della unicità di Dio.


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