Cercherò di mettere in chiaro un po’, in questa conversazione iniziale, tutti i limiti che lei, monsignore[1], non può aver considerato e che ritengo onesto presentare subito, per dirvi come potrò collaborare con voi, nella vostra ricerca del Signore.
Io sono vecchio. Dirò anche in modo preciso la mia età. Sono un vecchio. Non nostalgico, questo no. Ma nemmeno sono aggiornato. Non sono aggiornato. Da molto tempo non leggo quasi più nulla, non vedo persona. Sì, lei l’anno scorso mi ha visto, ma è stato forse l’unico, e poi siamo caduti tutti e due in un trabocchetto. Ma, comunque, aggiornamento non ce n’ho, se mai pure l’ho avuto, perché non credo mai di essere stato molto aggiornato. Potrei raccontare molte cose a questo riguardo. Dunque, mettiamo in chiaro che io appartengo all’altro secolo. Voi mi direte che non posso avere 90 anni, ma io sono nato nel 1913 e considero, con una periodizzazione che mi pare abbastanza esatta, che il mondo sia cambiato un anno dopo la mia nascita, e cioè nel 1914. Si è avuta una grande svolta della mentalità, della cultura, dei rapporti fra gli uomini, fra le nazioni e dentro la Chiesa. Quindi sono nato un anno prima di questa grande rivoluzione che è cominciata nel 1914.
Ho ricordi infantili vivissimi. Ricordo cose dei miei due anni, con molta chiarezza. Ho vissuto quindi, con una certa partecipazione, la prima guerra mondiale, e ho vissuto anche i residui del mondo di prima, della “belle époque”, che appunto nel 1914 è finita, e il travaglio della guerra e del dopo-guerra. Per darvi dei parametri, mentre facevo la terza elementare, nel 1921, è nato il Partito Comunista Italiano, al Congresso di Livorno. Già pochi mesi dopo, io ho ricevuto un premio dell’Amministrazione Comunale del mio paese, un paese di 4.000 abitanti, che era un premio scolastico con una grande epigrafe del Sindaco comunista, uno dei primi sindaci comunisti dell’Italia, del mio paese, il quale paese ha avuto l’onore singolare di essere citato in un discorso - citato formalmente - in un discorso come esempio di grande solidarietà internazionale da Lenin nel 1921.
Ho attraversato il periodo conseguente e, nella fine di ottobre del ‘22, io andavo al ginnasio - avevo 9 anni o poco più - andavo al ginnasio nei giorni della Marcia su Roma. Quindi tutta la mia adolescenza, la mia maturazione umana e anche una parte notevole della mia giovinezza, è passata sotto il fascismo. Nel 1943, nel luglio, esattamente il 12 luglio, io sono venuto a Roma, con la mia valigetta, a portare al Ministero della Pubblica Istruzione, i libri e i titoli per il concorso universitario che si chiudeva in quei giorni, il 15 luglio. Il 16 luglio è avvenuto il bombardamento di Roma, il 25 luglio la caduta del fascismo. Quindi il coinvolgimento, senza volere e senza sapere, quasi, proprio portato dalle circostanze, nella resistenza.
Nella resistenza mi sono trovato accanto - pur divergendo per tanti motivi ideologicamente e, per tante scelte, nella prassi - i miei compagni di elementari al paese, i quali - mentre io facevo l’università, mi laureavo e preparavo il concorso universitario - hanno fatto pure loro l’università, l’università di partito, in galera, nelle galere fasciste o nell’esilio.
Dopo due anni di partecipazione alla resistenza ed alla vita partigiana, mi sono trovato - adesso è inutile raccontare episodi che però sono molto significativi - mio malgrado, senza volerlo, senza saperlo, nel luglio di questi giorni, nel ‘45, cioè 45 anni fa, vice-segretario politico della Democrazia Cristiana, io che quasi non ero nemmeno iscritto alla Democrazia Cristiana. Quindi ho vissuto una stagione politica nazionale. Ho visto le fatiche della ricostruzione, dell’assestamento politico, della instaurazione di quello che tanti dicono e chiamano “il regime democristiano”. Prima della scadenza, però, della legislatura me ne sono andato.
Cos’era successo nel frattempo? Non la causa, dico, ma gli altri eventi che sono alle mie spalle: la decolonizzazione in quasi tutto il mondo e specialmente nei grandi Paesi asiatici, particolarmente nell’India e qui, in tutto il Medio Oriente, bruciata in qualche anno. E poi cos’era accaduto? La guerra del Vietnam, prima di Corea, la singolare sconfitta del colosso americano e quasi contemporaneamente, nel ‘48, la conclusione della lunga marcia di Mao e l’ascesa al potere, in tutta la grande Cina, del comunismo. Ho ancora sotto gli occhi la scena di Togliatti, nel famoso doppio petto blu, che fece il discorso per la conquista della Cina che voleva poi dire - come chiaramente disse e formalmente disse - l’avvento del comunismo mondiale.
Nel 1952 ho lasciato la vita politica, salvo una breve parentesi amministrativa, che mi è stata imposta per obbedienza, nel ‘56. Conclusa poi anche quella, con il mio ritiro, ancor più formalmente definitivo, e con il sacerdozio pochi mesi dopo. Un sacerdozio molto singolare (questo lo dico anche per dire i miei limiti). Non ho fatto neanche un giorno di seminario e sono diventato prete da laico, in sei mesi, quindi sono un prete tuttora molto acerbo, mai maturato. Capite quindi quali ripercussioni! E questi eventi e queste circostanze troppo particolari! Però, nel 1962 - anche quello accaduto del tutto a mia insaputa e fuori da ogni mia previsione - sono andato al Concilio. Prima in un modo quasi clandestino - il Card. Suenens mi chiamava il “partigiano del Concilio” - però ho vissuto tutto il Concilio dal di dentro, fino alla conclusione del Concilio nel ‘65. E poi il post-concilio, le difficoltà sperimentate - non diciamo la parola “crisi”, perché potrebbe essere equivocata - dalla Chiesa nel periodo susseguente. Se volete post-hoc, non propter-hoc. Ma comunque difficoltà ce ne sono state e se ne portano ancora le conseguenze.
Nel frattempo Mao è morto, come tutti gli uomini. Tanti libretti rossi che si vedevano in mano ed in tasca ad ogni uomo! Dico questo senza ironia, per dire le cose che sono accadute nella mia vita, alle mie spalle, in questo lungo, ma particolarmente mirato, forse, arco della mia vita - io non so se il Signore ha proprio avuto in vista di farmi vivere in questa età dalla “belle époque” per così dire, a questi giorni. Mao è morto - fra l’altro ho una mia nipote, che adesso è in una nostra comunità, la quale era in Cina proprio in quegli anni e insegnava italiano all’università di Pechino. Era andata in Cina per scelta politica - cose che accadono. Ed ha visto - era il secondo anno che viveva in Cina - ed è andata a fare omaggio alla salma di Mao. La successione in questi nemmeno 20 anni di comunismo cinese… oggi non si può ancora dire cos’è la Cina di oggi. Certo non è quella che sognava Togliatti!
Poi si arriva ai nostri giorni. Il 1989, con tutto quello che è accaduto: la liquidazione del comunismo europeo. Mi chiederete con che senso dico queste cose. Non con il senso di un anticomunista, perché non lo sono mai stato, anzi sono stato molte volte sospettato di andare a braccetto con i comunisti, ma in verità era un sospetto infondato. Non lo sono mai stato. Ho preso posizione di fronte a loro a viso aperto, ho convissuto un anno intero con Togliatti, nella prima sottocommissione della Costituente, ed eravamo proprio vis-à-vis come sono con questi dirimpettai miei. C’eravamo io, La Pira, Moro e di là Togliatti, la Nilde Iotti, Basso. Siamo stati amici. Alla fine della sottocommissione abbiamo fatto una cena, per iniziativa di La Pira, tutti insieme. Però anche quello è ormai alle mie spalle. Da molti anni che cosa penso del comunismo? Scusate se prendo un minuto del vostro tempo preziosissimo per queste cose. Da molti anni penso che non è stato quel pericolo per l’uomo e per la Chiesa che si è tanto pensato e che talvolta si continua a pensare. Gli eventi mi hanno dato ragione. Considero altri pericoli molto più grandi e molto più consistenti e certamente molto più tenaci e molto più durevoli. Poche settimane fa leggevo un articolo di Boff sul Regno-Documenti, dopo esser stato in Germania Est ed avere discusso con gli ex-comunisti al governo, discusso, parlato, invitato nelle università a parlare. Mi facevano un po’ impressione gli argomenti, gli argomenti con cui questo teologo cercava di dimostrare che sì il comunismo reale è finito, ma che tuttavia l’idea comunista, soprattutto nei paesi in via ancora di sviluppo, come si dice, ha un suo avvenire, avrà di certo una sua stagione, una sua realtà, una sua stagione e una sua realtà che coinvolge la chiesa e che, come dimostrerebbe a suo giudizio quello che è avvenuto appunto in Germania Est, in Polonia ed in tutti i paesi comunisti del centro Europa, implica un intervento politico della Chiesa, una partecipazione della Chiesa. Non sto a ripetere l’argomento, però, nel sottofondo dell’articolo si vede bene che anche per lui il comunismo di cui parla è una sostanza social-democratica. Un po’ un Occhetto sud-americano - non è che ignoro i problemi, sapete, non li ignoro, anche i problemi della chiesa sudamericana. Tra l’altro con tutte queste traversie, ho avuto un’amicizia molto calda, molto sentita, con un uomo appunto che è nella chiesa sudamericana. Non è della chiesa sudamericana, perché è un apolide, Ivan Illic - Collegio Capranica - di cui ho seguito tutta la vicenda e un poco, per quanto ho potuto, gli sono stato anche vicino e l’ho anche aiutato. Però non credo che quello sia il vero problema oggi. I veri problemi sono altri, c’è anche quello, cioè, guardando alla sostanza della tesi boffiana, quello che è un vero problema è il problema di un assetto - e qui condivido le sue affermazioni, che la fine del comunismo reale nei paesi in cui era stato instaurato, non deve fare rallegrare troppo. Questo pensiero è anche nell’Enciclica di Paolo VI per la commemorazione del 70°, 80° - non mi ricordo più - della “Rerum Novarum”. Lo diceva già Paolo VI che c’era da temere un vuoto, più vuoto di quello lasciato, che poteva lasciare o provocare il comunismo. I veri problemi sono altri e c’è il caso che vengano un pochino fuori nei discorsi che faremo insieme in questi giorni. Comunque certo, credo di sì, che la Chiesa non si debba troppo rallegrare, anche se ci sono ragioni, per certi aspetti, di rallegrarsi.
Capite che un uomo che ha sulle spalle l’avere vissuto attraverso eventi di questo tipo, non può essere altro che vecchio. Perché sono troppi. Un vecchio che non rimpiange niente, che ringrazia il Signore di averlo fatto vivere e di averlo fatto considerare, attraversare esperienze tali, e di potere guardare - non con una pretesa di giudizio, ma con una certa quale conclusione - una vicenda di questo tipo, così larga, così tra l’altro involgente e coinvolgente, un po’ tutto il mondo.
Credo che, nel corso dei discorsi che faremo, salteranno fuori, per dritto o per rovescio, tutti quelli che io considero i veri problemi del futuro, del presente e del futuro. Io avrei finito. In un certo senso per questa sera avrei finito. Naturalmente sono a vostra disposizione, se volete, dopo questa specie di elenco, fare delle domande. Vi posso precisare alcune cose, come per lo meno le ho constatate e le ho vissute io.
Domanda: Possiamo cogliere anche l’occasione, siccome stiamo andando a cena, per fissare per domani. Il padre mi dicono che non ha problemi di mattino...
Dossetti: Ah, io no! Ma voi li avete, sarete stanchi dopo tre ore (di viaggio)!
Domanda: Dovremmo recuperare, ecco noi domani dovremmo partire di qui alle 8.
[1] Si riferisce a mons. Giuseppe Mani, allora rettore del Pontificio Seminario Maggiore di Roma, organizzatore del pellegrinaggio.