26/7 VI meditazione di Neri, omelia nella basilica dell’Annunciazione


Non si può parlare in questo luogo senza una grande trepidazione, soprattutto del mistero che qui si è compiuto e davanti al quale tremano i cieli e la terra. Soprattutto non si può parlare di questo mistero senza intimamente essere presi da timore santo ed essere come soggiogati dalla potenza di Dio e sentirsi tali e balbettare, perché questo è l’evento unico che si è compiuto e che risolve tutta la storia del mondo e che esprime tutto l’amore di Dio e che rivela, quindi, adeguatamente e totalmente il suo nome, il nome di Dio.

Vi dirò soltanto alcune cose, non molte, basandomi sul testo che è stato di nuovo proclamato, un testo santissimo e stupendo, così dolce, così misterioso dell’Evangelo dell’Annunciazione. Prendo le mosse da una osservazione elementare che concerne la struttura di questo testo. E’ molto semplice. C’è il saluto dell’Angelo: “Ave, piena di grazia” – è bene tradurre così, come sapete - “Il Signore è con te”. Poi c’è la domanda della Madonna che non capisce bene il senso di questo saluto – lo dice il testo - e la risposta dell’Angelo che spiega il saluto. Credo indiscutibile che la struttura del testo sia questo. Dunque il discorso dell’Angelo che segue alla domanda della Madonna, meglio alla perplessità espressa nel testo da parte della Madonna - “E si domandava che senso avesse”, “potapòs”, “che senso avesse tale saluto” - la risposta dell’Angelo spiega le parole del saluto. Non parola per parola, non facendo seguire ad una parola la sua spiegazione, ma nel complesso, nella globalità, le tre parole del saluto sono spiegate dall’Angelo. “Salve” – Ave. “Piena di grazia”. E “il Signore è con te”. Perché non si equivocasse.

Ave. Ave! Non è un semplice convenzionale “salve”. Anche il nostro tradurre così, che evidentemente non è modificabile ormai dopo tanti secoli di venerabile, santa e dolcissima traduzione cristiana, non rende. Non rende! L’Angelo lo spiega bene. Che cosa vuol dire che t’ho detto: “Ave”, “kaire”, “gioisci”. E’ il grande annuncio della gioia, il grande. Quello che avete preparato con il canto che abbiamo insieme eseguito, entrando in questa grande celebrazione liturgica, perché è stato questo il momento in cui il Signore ha messo fine alle lacrime, ha messo fine al pianto, ha messo fine alla schiavitù, ha messo fine alle tenebre. “Gioisci, gioisci figlia di Gerusalemme, esulta grandemente figlia di Sion, perché il Signore viene e il tuo sposo in mezzo a te è un eroe vittorioso. Gioisci”. E’ l’annuncio della grande gioia messianica che a Maria è dato di ascoltare per prima. E’ lei che, per prima, ascolta l’annuncio dell’evangelo, che così si chiamerà proprio perché è il buon annuncio, l’annuncio della pace, l’annuncio della gioia che il Cristo risorto porterà ai suoi. E’ anticipato in questa grande proclamazione che agli orecchi di Maria è stato dato di intendere. La schiavitù è finita, è finita l’attesa. Ormai Dio ha affermato e afferma e realizza il suo dominio, il suo giudizio, la bellezza, la santità dei suoi giudizi di misericordia. Gioisci! Ecco Maria comincia a capire. Comincia a capire che cosa voleva dire quell’annuncio e quale gioia sarà stata la sua.

“Piena di grazia”, riempita di grazia. Vuol dire assai di più che non la formula che immediatamente si ricollega con questa parola: “Hai trovato grazia davanti a Dio”. Anche questo vuol dire, ma assai di più. Anche Noé trovò grazia davanti a Dio e quanti sono stati così salutati nel corso della storia della salvezza! Tu sei l’oggetto di un compiacimento pieno, totale di Dio, sei riempita del compiacimento di Dio, della dolcezza infinita del suo sguardo che si posa su di te e che in te perfettamente si compiace. Piena di grazia. Perché, si compiace così di te il Signore? Certo per quello che il Signore di te ha fatto, per quello che tu ora, per opera di Dio sei, ma enormemente di più per quello che tu divieni ora, per opera di Dio. “Ecco, concepirai e partorirai un figlio ed egli sarà chiamato il figlio dell’Altissimo”. E la grazia che Maria trova è lo sguardo amante e compiaciuto di Dio che si posa sul suo Unigenito, posto nel grembo di Maria. Va tutto visto, questo saluto, proiettato alla realtà che è annunciata e che si compie in Maria. Senza escludere ovviamente, è chiaro, sono totalmente d’accordo con voi e con l’esegesi tradizionale, che ben mette in rilievo questo elemento, ciò che già in Maria il Signore, per predisporla a questo grande dono, aveva compiuto. Ma la linea prevalente è ciò che si compirà. Ti spiego io perché sei piena di grazia, ti spiego io! L’amore con cui Dio ti guarda è l’amore infinito ed eterno con cui guarda il suo Figlio, generato prima di tutti i tempi, che è in te. In un solo sguardo l’Onnipotente abbraccia e carezza te e il suo figlio. “Piena di grazia”. Di quale creatura si può dire così? Capite come questo va enormemente al di là dello stesso immacolato concepimento di Maria e della stessa ricchezza di grazia di cui era adornata Maria. E’ che porta il figlio! E’ questa la sua pienezza, è la pienezza del suo grembo che attira inevitabilmente la totalità dell’amore di Dio che la avvolge. “Sia il tuo sguardo posato su questa casa giorno e notte”, aveva pregato Salomone nel consacrare il tempio. Ma quale sguardo? Rispetto a quello che Dio posava sul Tempio dove non poteva abitare, come sottolinea il medesimo testo del Libro dei Re e del Libro delle Cronache, “perché possono forse le dimore che io ti ho edificato contenere te, che i cieli e i cieli dei cieli non possono contenere, abiti tu forse in questa casa?” Questo dubbio di Salomone, anzi questa constatazione di Salomone, è smentita ora da Dio, perché Dio abita. “Pose dimora in mezzo a noi”. Ha posto dimora in lei, nel suo grembo, Dio. Quindi la pienezza di grazia è l’infinita pienezza di amore con cui Dio accoglie, investe, l’Unigenito che ama totalmente come ama totalmente se stesso perché è Lui, dall’eternità a eternità. E Maria è coinvolta, è implicata in questo sguardo, in questo compiacimento, in questa dolcezza, in questa gloria. “Piena di grazia”.

E poi: “Il Signore è con te”. L’aveva detto il Signore anche – ricordate - apparendo nell’Angelo a Gedeone: “Il Signore è con te.”. Gedeone aveva detto: “Bene, è con me il Signore, si veda dunque! Se il Signore è con me, come mai i madianiti ci trattano in questo modo e saccheggiano tutti i nostri beni e devastano le nostre campagne, se il Signore è con me?” Può essere in tanti modi il Signore “con” noi e si mostrò con Gedeone, nella forza della sua vittoria. Ma qui, il Signore spiega in che modo, mediante la voce dell’Angelo, il Signore è con Maria. E’ il senso vero dell’evento: “Concepirai e partorirai un figlio”. E’ con lei. Davvero lì. E’ davvero unito a lei, per cui non fa nessuna contraddizione, ma è veramente la stessa cosa ciò che è detta nella prima lettura: “E chiamerai il suo nome Emmanuele”. Dio è con noi. Con noi! Non solo con la potenza della sua opera, non solo Dio fattosi presente in mezzo a noi. E’ anche più forte per certi versi se interpretata in questo modo - e mi pare che così debba interpretarsi, (rispetto a) quella che potrebbe sembrare la prima lettura ragionevole del “E il Verbo si fece carne e pose la sua dimora in mezzo a loro”. Nemmeno soltanto in mezzo a noi, in modo che noi siamo strappati alla nostra solitudine, perché qui, in mezzo a noi, c’è Dio, che con noi cammina, che a noi parla, che ci ascolta, che ci vede, che ha risolto la sua inaccessibilità nella prossimità più inaudita dell’essersi posto in mezzo a noi, compagno del nostro cammino, nostro fratello. E’ enormemente di più! E’ con te! Con te nel tuo seno, con te, carne della tua carne, con te, ossa delle tue ossa.

“E tu sei - come la canta stupendamente l’inno Akathistos della Madonna - tu sei il talamo delle nozze divine”. Così è con te! Unendosi nella tua carne, in te, attraverso di te, alla carne di tutta l’umanità e facendosi con noi un solo essere, Lui che ha abbandonato il padre e la madre ed ha aderito alla sua sposa, la Chiesa, diventando con essa una sola carne. Ha abbandonato il Padre, senza lasciare il seno paterno, come commentano i padri della chiesa – “Sono venuto dal Padre e sono sceso nel mondo” - e ha abbandonato la madre, la Sinagoga, come commentano sempre i padri, per aderire alla sua sposa, la Chiesa raccolta da Israele e dalle genti e diventare con essa - perché questo è il punto - una sola carne. “E saranno i due una carne sola”. Il Signore è con te. Ecco dunque il tuo sposo. E’ un mistero nuziale, il mistero dell’incarnazione. Ed è, difatti, nella qualifica nuziale dell’evento che culmina la promessa di ciò che il Signore compirà  “il tuo sposo viene” - ed è quindi nella consumazione di queste nozze che deve culminare la nostra riflessione, la nostra meditazione, la nostra comprensione, del mistero del Cristo presente in mezzo a noi, dell’evento della nostra salvezza, le nozze. Siamo una sola carne con Dio. Chi è con il Signore diventa un solo spirito con lui. “Per cui non io vivo, ma il Cristo vive in me”, cosa che ha tutt’altra dimensione di quella semplicemente etica della imitazione, della raffigurazione, della rappresentazione del Cristo e che ha un significato essenzialmente ontologico: è il Cristo il mio soggetto, io sono unito a lui, come membro unito al corpo. “E diventiamo tutti un solo corpo, quando mangiamo di questo unico pane” - nonostante tante interpretazioni sociologizzanti che si danno oggi in canti o in commenti di questo testo - come sapete bene, vuol dire: siamo il solo corpo, siamo trasferiti nel corpo personale glorificato del Cristo. Un solo corpo! Il Signore è con te! Questo è l’evento.

Allora io non sono più io. Allora io sono morto, allora io sono stato sostituito, io sono stato assunto, io sono stato unito per sempre a colui che per sempre è il capo della Chiesa. Da cui fluisce anche in me, come in ogni membro della Chiesa, continuamente la vita, la grazia, l’amore e su cui si posa, con compiacimento eterno, l’amore di Dio, perché il Signore è, così, con noi. Questa è la realtà del cristianesimo che è espressa, manifestata e realizzata attraverso l’evento che oggi noi in questa celebrazione non soltanto ricordiamo, ma nel quale oggi noi, con questa celebrazione, ci immergiamo per rendercene sempre più partecipi. “E’ con noi”. In questo modo il Cristo ha rapito tutta la nostra vita e questo evento cambia totalmente le coordinate. Tutta l’interpretazione della nostra esistenza diventa diversa, così totalizzante, così assolutamente diversa che non possiamo sottrarci a questo furto che il Signore fa. E’ veramente un ladro. Di che? Di noi, del nostro io, della nostra persona. Non ci siamo più. Non siamo più noi. Noi siamo morti. “Uno solo è morto, dunque tutti sono morti”, ma uno solo è venuto dal seno del Padre e tutti noi siamo in lui ed è lui il nostro io più profondo che ci guida, che ci assume, che ci chiama, che ci vivifica.

Il nostro destino è il suo ormai, poiché siamo lui. E’ per questo che com-patiamo, come è per questo che siamo con-glorificati. E resta ormai che “quelli che vivono, non vivono più per se stessi - che non sono più - ma per colui che per loro è morto e risorto” - che è il Cristo, che è il loro essere più profondo, il cuore del loro cuore, la loro vita, la loro realtà. Il resto è vanità, il resto è illusione, il resto è ipotesi non verificata, anzi smentita da Dio, con questa scelta che egli fa.

A questo punto si capisce anche che cosa vuol dire il “sì”. “Sì, si faccia di me, secondo la tua parola”. Come che cosa vuol dire anche per noi: “Come avverrà questo?” E’ lo Spirito Santo che compie in noi questo mistero, è il sì che dobbiamo dire, è l’accettazione di questa trasformazione totale di tutto l’orizzonte della nostra vita e dell’essere del nostro essere, che il Signore ci chiede. A Israele, sul Sinai, chiese: “Farai queste cose, ubbidirai?” E Israele rispose: “Abbiamo sentito e vogliamo fare”, a una sola voce, l’unica voce della colomba. A noi il Signore chiede di dire con un’unica voce, la voce della sposa, la voce della colomba perfetta, unica - è la voce di tutti noi fatta della perfetta unanimità del nostro consenso – “Sì, sì, noi abbiamo udito e faremo, ma si faccia di me secondo quello che tu hai detto”. Non ci chiede tanto di fare, quanto prima di tutto di accogliere, di accettare, di dire sì a questa nuova vocazione che ci è data, la vocazione celeste, e a questa nuova realtà che di noi ha fatto, incomprensibile tuttora ai nostri occhi, perché ancora noi, a noi stessi, non appariamo. Ma saremo manifesti soltanto quando egli, il capo del quale siamo membra, egli stesso, che è noi, si manifesterà nella gloria.


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