RICORDANDO P.BRUNO HUSSAR
A 5 ANNI DALLA MORTE (tpfs*)
Una vita a servizio del dialogo ebraico-cristiano e della pace fra arabi ed ebrei
di Andrea Lonardo


"Lasciate che mi presenti: sono un prete cattolico, sono ebreo. Cittadino israeliano, sono nato in Egitto, dove ho vissuto 18 anni. Porto quindi in me quattro identità: sono veramente cristiano e prete, veramente ebreo, veramente israeliano, e mi sento pure, se non proprio egiziano, almeno assai vicino agli arabi, che conosco e che amo". Così p.Bruno Hussar iniziò il suo intervento in una riunione presieduta dal noto rabbino-scrittore Abraham Heschel, a New York, nel 1967. E’ lui stesso che lo rivelò nello splendido libro autobiografico Quando la nube si alzava...., edito nel 1983, tradotto in italiano, per i tipi della Marietti, da suor Mariangela Della Valle, pioniera in Italia del dialogo ebraico-cristiano.
P.Bruno è morto, all’età di 85 anni, l’8 febbraio del 1996.
La sua storia personale lo ha portato a comprendere che il rispetto non nasce, come spesso si pensa, dall’indifferenza religiosa, ma dall’approfondimento delle radici della propria fede e da una conoscenza dell’altrui identità, attraverso il rapporto diretto e l’amicizia.
Questa la sua singolare storia. Nato in Egitto, ebreo da genitori ebrei, non ricevette da loro un’educazione religiosa. Per questo la scoperta del cristianesimo coincise, per lui, con l’adesione alla fede. Durante l’occupazione nazista della Francia prese coscienza di appartenere al popolo ebraico, quando si rifiutò di dichiarare di non essere ebreo. Dovette scappare, ma scoprì che "la mia fede cristiana non mi dispensava dal condividere la sorte dei miei fratelli ebrei".
Sopravvissuto, divenne domenicano nel 1945.
Nel 1950 il suo provinciale, p.Avril, propose a lui, perché ebreo di nascita, di partire per Israele, per sondare la possibilità di aprire, a Gerusalemme, un centro di studi sull’ebraismo analogo al Centro di Studi Islamici dei domenicani del Cairo. Fu un invito profetico.
Dopo alcuni anni di grandi difficoltà arrivarono i frutti. L’Ordine decise la fondazione della Casa Sant’Isaia. Si aggiunsero a lui p.Marcel Dubois, che diventerà poi professore e addirittura decano della Facoltà di filosofia dell’Università Ebraica di Gerusalemme a Monte Scopus, e p.Jacques Fontaine, che frequentò i corsi del ministero del Turismo israeliano ed iniziò i famosi itinerari a piedi ed in jeep chiamati BST (Bibbia sul terreno), che sono stati la scuola biblica di migliaia di giovani francesi.
Ma l’evento più importante fu certamente la rinascita di una chiesa di lingua e di cultura ebraica. Sulla parete di fondo della basilica di S.Sabina in Roma un mosaico del V secolo reca l’immagine di due donne. Sono, come dice l’iscrizione latina, l’Ecclesia ex gentibus e l’Ecclesia ex circumcisione, l’unica chiesa formata dai cristiani provenienti dal paganesimo e dai cristiani provenienti dall’ebraismo. Da allora non era più esistita una chiesa ebraica. P.Hussar fu il primo a celebrare messa in lingua ebraica (inizialmente con l’eccezione del canone in latino), quando, nel febbraio 1957, ricevette l’autorizzazione del card.Tisserant.
La comunità porta ora il nome di Opera di S.Giacomo apostolo. E’ presente a Gerusalemme, Tel Aviv, Haifa e Beersheva. Ad essa presiede oggi un vicario episcopale del Patriarca Cattolico Latino di Gerusalemme S.Ecc. Michel Sabbah.
Divenne evidente che, da un punto di vista cristiano, un ebreo che riconosceva in Gesù il Messia, non era un "convertito" che doveva lasciare l’ebraismo, ma piuttosto un ebreo che trovava compimento all’attesa d’Israele.
P.Hussar partecipò, come esperto, ai lavori del Concilio Vaticano II, invitato dal card. Bea. Il suo contributo alla stesura del paragrafo della Nostra Aetate sull’ebraismo fu tale che, sette giorni dopo, ricevette la cittadinanza d’Israele, che aveva atteso per anni.
Venne poi il 1967, con l’occupazione dei territori, e si aggravarono, negli anni, le tensioni e le violenze. P.Bruno sentì che il Signore lo chiamava a sognare ancora. Bisognava creare un luogo di convivenza dei due popoli, ebrei ed arabi, e delle tre religioni, ebraismo, cristianesimo ed islamismo. Solo questa condivisione fraterna avrebbe permesso di superare le immense distanze. Nacque, anche questa volta dopo anni di attesa e di lavoro, il villaggio Nevè Shalom/Wahat as-Salam, vicino al monastero di Latroun, a fianco dell’autostrada che porta a Gerusalemme. L’espressione in ebraico ed arabo significa "oasi di pace", l’oasi che il Signore promette in Isaia 32, 18. Il villaggio è costituito da famiglie arabe ed ebree che vivono ed educano i figli insieme. Negli anni è divenuto un punto di riferimento, in Israele, tramite le sessioni della "scuola della pace", un programma educativo che viene proposto soprattutto alle classi scolastiche, "perché anche la pace è un’arte, che non si improvvisa, ma deve essere insegnata... Gerusalemme: la radice di questo nome comporta due significati: shalom = pace, e shalem = intero, perfetto, uno. Nella logica biblica, il nome esprime l’essere stesso di colui che lo porta e la sua vocazione. Gerusalemme dovrebbe essere dunque la città dell’unità e la città della pace."
Le suore di Sion, che hanno visitato p.Bruno negli ultimi giorni della sua vita, ricordano alcune delle sue ultime parole in ebraico: "ani sameach", io sono felice. Da giovane aveva studiato ingegneria, aveva progettato ponti e strade; si ritrovava ad essere al termine della sua vita "un costruttore di ponti" fra gli uomini (così amava definirsi).
Ci tornano in mente le parole del Qaddish, la preghiera ebraica che si dice per i morti: "Il grande Nome del Signore sia magnificato e santificato nel mondo che Egli in futuro rinnoverà... e farà rivivere i morti... e lodato e glorificato e innalzato e magnificato ed esaltato ed elevato e celebrato il Nome del Santo, benedetto Egli sia, al di là di tutte le benedizioni, le lodi, i canti e le consolazioni che si dicono nel mondo. E dite: Amen".


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