E noi non possiamo non comprendere la Pasqua, innanzitutto, che come evento
dell'amore Trinitario, centro di tutto ciò che esiste.
“Come il Padre ha amato me” (Gv 15, 9): è il Padre che, per amore, chiede
al Figlio di donare la sua vita. Per amore non solo degli uomini, ma per l'amore stesso che ha
per Lui, il Figlio. L'amore esige, chiede, perché l'altro sia fino in fondo ciò
che è e si consumi nel dono completo.
Ed il Figlio ama il Padre da cui è amato e mandato. Il suo sacrificio pasquale sulla
croce è realizzazione in terra dell'abbandono e dell'amore eterno che il Figlio ha verso
il Padre: “Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre
mi ha comandato” (Gv 14, 31). E' la realtà dell' “amore più
grande” che non da tregua al cuore dell'uomo, fino a che non arrivi al dono di
sé.
Sarebbe allora un grave errore vedere nella resurrezione solo qualcosa fatto per gli uomini.
Essa è di nuovo la realtà dell'amore del Padre che solleva il Figlio dal letto di
morte. E' un amore che non solo da inizio, ma che porta a compimento. Il Figlio è
riconosciuto dal Padre nell'eternità ed in ogni passaggio della sua esistenza storica,
nelle proclamazioni del Battesimo al Giordano e della Trasfigurazione, nell'evento della
Resurrezione - “Dio lo ha resuscitato dai morti!” (At 3, 15). E' il motivo della
grande nostalgia del cuore umano che sempre chiede di essere riconosciuto, dopo essere stato
generato, confermato, dopo essere stato inviato, accompagnato, dopo esser partito.
Ma il Padre ed il Figlio non solo si amano scambievolmente. Essi pure amano insieme. E' la
presenza dello Spirito Santo, è il mistero dell'eterna fecondità della pericoresi
trinitaria – annuncio segreto che non esisterà mai vero amore umano che non sia
generativo, fecondo di nuova vita. Il cerchio non si chiude nell'amore del Padre verso il
Figlio e del Figlio verso il Padre. Dal loro amore “procede” lo Spirito Santo
nell'eternità e la Pentecoste nella storia. La Pasqua è centro perché
lì, nel dono dello Spirito Santo, ha inizio la Chiesa ed il tempo, da allora, si
protende con essa verso il domani, verso la Gerusalemme celeste, realtà non diversa
dalla stessa Chiesa, bensì suo compimento pieno.
Veramente non possiamo parlare della Pasqua, senza parlare della Trinità!
Tutta la storia della salvezza, raccontataci dalla Bibbia, è
cresciuta verso questo vertice di realtà. Agli insipienti che affermano che Gesù
non sia stato cosciente di essere il Figlio, l'unico Figlio, il diletto Figlio, la Chiesa
risponde proprio raccontando la Pasqua. E' proprio sulla spianata del Tempio, nei giorni che
precedono e causano la croce, che Gesù parla ancora in parabole. I sinottici ricordano
la prima raccontata al Tempio in quegli ultimi giorni di importanza straordinaria,
verità di tutto ciò che Gesù più vuole sia accolto e compreso.
In Mc 12, 1- 12 e paralleli si snoda il racconto del padrone della vigna che inviò un
servo, poi un altro, poi altri ancora, a chiedere conto, a testimonianza del suo amore per la
fecondità fruttifera di questa vigna. Ma il cuore della parabola è più in
là. Non è in gioco soltanto che la vigna – il popolo, quel Tempio, la vita
umana stessa – non sia proprietà degli uomini, che anzi hanno ricevuto tutto solo
in affidamento e ne debbono rendere conto, ma, soprattutto che al padre, dopo tanta cura per la
sua vigna, sia rimasto solo uno, il figlio prediletto! Tanti servi, tanti inviati, giudici e
re, messaggeri e profeti –e fra essi anche Giovanni il Battista – aveva mandato
alla sua vigna. E' da ultimo, che ha deciso di inviare il suo Unico e prediletto Figlio.
“Avranno rispetto per mio figlio”, si era detto fra sè! Straordinaria
è la memoria lucana che ben comprende il senso di questa parabola. Il Padre fa seguire
alla domanda che medita tra sé e sé – “Che devo fare?”,
cioè, potremmo dire: “Le ho provate tutte, come posso ancora dargli una
chance?” – la risposta: “Manderò il mio unico figlio; forse di lui
avranno rispetto”.
Ecco la chiara coscienza della identità di Gesù che sa di essere assolutamente
diverso da tutti coloro che il Padre ha inviato prima di Lui.
E' l'annunzio del contenuto della fede. Se anche nessuno vivesse la verità, essa resta
la verità. Bisogna averlo questo coraggio della verità. Non è
perché Gesù è accolto che diviene il Figlio. Egli è il Figlio,
anche se tutti lo buttassero fuori dalla sua vigna. L'uomo, a volte, ha come paura della
verità, pensa che essa possa poi essere costrizione, imposizione schiavizzante. E', in
realtà, vero l'opposto. E' proprio nell'assenza della verità che l'uomo vive
nell'arbitrio e diviene dittatore o servo ed il messaggio dell'evangelo si annacqua in
seduzione, confezione di prodotto suadente, gadget, simpatia superficiale che cerca di
conquistare l'uomo. La verità sola crea quella distanza, quel distacco che ti obbliga a
riflettere, a decidere. La verità precede, viene prima dell'adesione dell'uomo. La
pericope si conclude con la constatazione. “Avevano capito che aveva detto quella
parabola contro di loro”. E' una parola detta al cuore del problema ed al cuore
dell'ascoltatore. Ma non è proprio questa l'opera dell'amore: appellarsi alla
libertà dell'altro, perché l'altro possa vedere la verità sua e della
realtà?
E' proprio nella passione che abbiamo la rivelazione più alta nella stessa bocca di
Gesù del suo essere Figlio. Nella proclamazione altissima dinanzi al sommo sacerdote
(che domanda “Sei tu il Cristo, il Figlio del Dio benedetto?”): “Io lo
sono!”. Nella preghiera del Getsemani dell'Abba, Padre. Nelle preghiere sulla croce:
“Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” e “Padre, perdona loro,
perché non sanno quello che fanno”.
Ecco il centro della storia della salvezza! Ecco il Figlio! Colui “per mezzo del quale
sono tutte le cose” è finalmente in mezzo a noi.
Proprio per il dono totale ed irrevocabile del Figlio la Pasqua diviene la
fine dell'antico culto e l'inizio del nuovo. Sarebbe possibile vedere tutto questo da
molteplici prospettive. Vogliamo qui presentarne una sola, a chiarificazione ed introduzione:
è l'annuncio del nuovo Tempio.
In Mc 11, 11, l'unico luogo che sembra interessare Gesù, a Gerusalemme, è
proprio il Tempio (e questo ben prima del vangelo di Luca che, come sappiamo, lo ha come punto
di riferimento costante). Le due azioni sembrano addirittura coincidere: Gesù
entrò a Gerusalemme, Gesù entrò nel Tempio. Immediata segue una frase solo
apparentemente misteriosa: “Dopo aver guardato ogni cosa attorno, uscì”.
Soffermiamoci un istante a riflettere sul significato della presenza del Tempio nell'Antica e
nella Nuova Alleanza, con l'aiuto delle meditazioni che d.Umberto Neri pronunziò nel
pellegrinaggio dei preti e seminaristi di Roma, in Terra Santa nel 1990 [1] :
La questione dei templi: per capire il ruolo del tempio nella tradizione di Israele occorre
un attimo ricomprendere tutta l'antropologia e tutta la teologia di Israele, quindi ricondursi
all'idea originaria. Mi baso sui testi della tradizione rabbinica, evidentemente, per questo,
ma la Scrittura li legittima totalmente. Corrispondono questi testi ad una lettura oggettiva
dell'Antico Testamento ...
L'uomo è stato creato come essere colloquiante con Dio. E il paradiso è il
luogo di questo colloquio con Dio. E la cacciata dal paradiso, più che come in una
lettura non corretta dal punto di vista teologico e spirituale spesso fatta fra di noi, vista
come grave di conseguenze per il faticare dell'uomo, per la sua stessa morte, è vista
come la catastrofe in quanto allontanante dal luogo dell'incontro personale con Dio. La
restitutio quindi dell'uomo, la redenzione dell'uomo, dell'umanità, la storia della
salvezza si disegna tutta come un ritorno al luogo della communio con Dio, della comunione
edenica… Ci sono dei testi numerosissimi nei quali si parla delle diverse generazioni che
si succedono alla prima generazione quella di Adamo, come generazione nella quale la Shekinah
si allontana di un gradino, poi di un altro, poi di un altro, poi di un altro, poi di un altro
fino al punto supremo dell'allontanamento che è costituito dalla generazione della
separazione, della dispersione, la generazione della Torre di Babele, l'ultimo grado di
separazione. E poi i riavvicinamenti progressivi che iniziano con la storia di Abramo. La
storia di Abramo è la storia del ritorno, dunque di questo riabbassarsi della Shekinah,
della dimora della Gloria di Dio, al livello dell'uomo, in modo da riavvolgere l'uomo e
ricomprenderlo nella communio. Questo è il discorso. Quindi il viaggio di Abramo verso
la terra che Dio gli indicherà, è il viaggio con cui Abramo inizia la
riconduzione dell'uomo alla communio con Dio. E' per questo che, arrivato nella terra, -
“questa è la terra” - comincia subito a costruire degli altari. Non è
soltanto una presa di possesso, ma è la qualifica della terra come il luogo nel quale si
può ritrovare il colloquio con Dio, e dal quale è legittimo innalzare a Dio la
supplica e nel quale è giustificato attendere da parte di Dio la benedizione....
Gesù “guardando ogni cosa intorno”, manifesta di essere il vero
responsabile di ogni rapporto sacramentale con Dio. Egli è il signore del Tempio,
è colui che viene a prenderne possesso, è colui che ha il diritto sul quel luogo,
perché ne ha la potestà sacramentale!
Ed ecco che il giorno dopo, nuovamente, incorniciato dall'episodio del fico sterile,
Gesù torna a Gerusalemme e di nuovo l'unico luogo menzionato è il Tempio:
nient'altro gli interessa, ma attraverso quell'interesse è in gioco tutto il rapporto di
Dio con gli uomini!
E' il secondo ingresso, al v. 11, 15 nel Tempio. Marco sottolinea che non vengono cacciati da
Gesù solo i “venditori” di oggetti, ma anche i “compratori” e
chiunque “portasse cose attraverso il Tempio”! E' la manifestazione non tanto della
malizia morale di chi guadagnava sulle offerte, ma della fine, del compimento di un modo di
vivere il dialogo con Dio. Dio manifesta che il suo amore non si può acquistare! Che il
trasportare cose in suo nome, non è motivo della comunione fra l'uomo e Dio. Viene il
momento in cui l'unico sacrificio gradito a Dio è la vita del suo stesso Figlio, Figlio
offerto e non acquistato, da accogliere e non da costruire.
Marco, con le sue sottolineature, ci manifesta l'unitaria comprensione della Chiesa apostolica
nei confronti della realtà di Cristo, nuovo Tempio. Citiamo ancora d.Umberto Neri:
Il testo a questo riguardo più significativo, che però ha degli elementi altrove inconfutabilmente corretti, corrispondenti, è il capitolo II del Vangelo di Giovanni, dove Gesù dice, dopo avere scacciato i venditori dal tempio: “Distruggete questo Tempio ed io in tre giorni ne riedificherò un altro”. Non per protestare contro lo sfruttamento dei poveri!. Non ha motivo per protestare contro le classi abbienti che sfruttavano i poveri facendo fare loro offerte al Tempio – ecco allora commentari che parlano in questo modo di un Gesù come riformatore sociale che scaccia i creditori dal tempio! Non si possono dire cose di questo genere - credo che anche a lui interessasse che i poveri non fossero sfruttati. Ma non lo fa certamente per quello! Lo fa per dichiarare finita ormai la liturgia, con un gesto profetico, la liturgia del Tempio! E' sostanzialmente conclusa. Conclusa perché? La giustificazione è data dopo. “Quale segno fai per scacciare questi venditori e per ripulire il Tempio in modo che non si possano fare più sacrifici, non ci sono più animali, venditori ecc. tutto questo ordine di celebrazioni non c'è più?” La giustificazione: “Distruggete questo Tempio ed io in tre giorni ne riedificherò un altro e uno nuovo e non manufatto”. E i discepoli non capirono, ma capirono soltanto dopo che alludeva al Tempio del suo corpo. Allora il nuovo Tempio! Il Tempio non è distrutto, il Tempio è sostituito. Nessuna delle realtà dell'Antico Testamento è distrutta, sono tutte sostituite Tutte sostituite, tutti i sacramenta “veteris Legis” sono ripresi nei sacramenti “novae Legis” altrimenti sarebbe un impoverimento colossale invece non è così. Tutto, tutto! E il Tempio stesso è ripreso perché c'è un luogo solo donde salgono a Dio le preghiere gradite, l'unico mediatore tra Dio e gli uomini, l'unico luogo sul quale è aperto il cielo, l'unico luogo sul quale si posa lo sguardo compiaciuto di Dio, il luogo anzi in cui dimora corporalmente la pienezza della divinità che è il corpo del Cristo. Il corpo del Cristo è il nuovo Tempio. Ugualmente essenziale tanto l'antico, anzi ancor più essenziale, perché nessuna preghiera può innalzarsi a Dio se non per Dominum nostrum Jesum Christum, Tempio. E questo nuovo Tempio è il Tempio messianico, è il corpo stesso glorificato del Cristo, verificato come Tempio nuovo anche da ciò che Giovanni per esempio fa osservare sull'acqua che scaturisce dal fianco trafitto del Cristo, che è l'acqua che sgorga dal lato destro del tempio di Ezechiele, il Tempio messianico, ed è l'acqua del sacrificio che sgorga continuamente dal Tempio, come già in Zaccaria 12–13.
Segue subito dopo la splendida pericope di Mc 11, 27-33. E' il terzo giorno,
ed è la terza volta che Gesù va diritto al Tempio e “si aggirava” in
esso. Non solo ne ha cacciato gli altri, ma egli vi “resta”. E' il suo luogo,
è il “suo” Tempio. Chi cerca Dio deve ora passare attraverso di Lui. Subito
“i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani” si accorgono – a differenza di
commentatori moderni! – che Gesù sta affermando la sua
“autorità”, che Gesù sta chiedendo che sia riconosciuto il suo essere
da Dio.
“Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l'autorità di
farlo?”. Come puoi dichiarare decaduto ciò che Dio ha stabilito?
La Pasqua non è così solo preparata, annunciata, fin dai
primordi della storia della salvezza, ma si proietta in ogni epoca a venire, fino alla parusia,
fino al ritorno del Cristo nella gloria. E' luogo di nascita della novità cristiana. E'
solo la dimenticanza della rilevanza del tema della Chiesa che porta talvolta ad affermazioni
come: “Nulla è cambiato dalla Pasqua nella storia degli uomini, tutto procede come
prima!” L'annuncio pasquale, invece, dà vita alla primizia, al pegno, alla Chiesa.
Essa è voluta e amata, come splendidamente dicono i primi capitoli della Lumen Gentium,
non solo dal Figlio e dallo Spirito Santo, ma è pensata dal Padre stesso, prima della
creazione del mondo.
Ci soccorre, a livello iconografico, la rappresentazione medioevale del Crocifisso, che bene
interpreta la fede cattolica. Nelle Croci medioevali è manifesto che la salvezza giunga
a noi attraverso la Chiesa. Maria e Giovanni sono sempre ai lati del Cristo in croce, a
rappresentare tutta la Chiesa. Al loro fianco la figura di una seconda donna, nuovamente la
Chiesa stessa, che raccoglie in una coppa il sangue (è l'ordine dei sacramenti, che
nasce dal costato trafitto del Cristo, da cui sgorgano sangue e acqua, eucarestia e battesimo).
E solo quando il simbolismo passa in secondo piano, che, nell'evoluzione della rappresentazione
pittorica, il sangue viene raccolto da coppe tenute da angeli e portato verso il cielo oppure
scende semplicemente sul corpo del Trafitto e sul legno della croce. Senza questa coscienza
ognuno sembra accogliere singolarmente lo zampillo del sangue che sgorga e Maria e Giovanni
divengono solo memoria di un dolore. In un Crocifisso di Lucas Cranach a Wittenberg, ad
esempio, il sangue cade direttamente sulla testa del pittore, fra Giovanni Battista e
Lutero.
La Pasqua è centro perché è il momento della nascita della Chiesa, che
rende presente l'opera del Risorto in ogni luogo ed ogni tempo.
Anche l'eternità è nuova, dopo l'evento pasquale. L'uomo, nei
secoli e nelle differenti culture, aveva sognato o temuto l'eternità, l'aveva immaginata
come prolungamento della vita di questa terra o come dissolvimento della realtà
individuale.
Solo ora, dopo la Pasqua, essa si manifesta come comunione con il Risorto ed, in Lui, con la
Trinità. Quel vino “che sarà bevuto nuovo nel regno di Dio” rimanda
all'immagine del banchetto eterno del Cristo e dei suoi eletti.
L'Inferno appare nella sua spaventosa e gelida solitudine come estremo ed eterno rifiuto di
qualsiasi comunione e amore, come totale isolamento di chi si chiude all'amore di Dio e del
fratello e non vuole nemmeno sentire la parola del perdono – e la Chiesa prega, su invito
dello stesso Signore, perché nessuno vi possa avere dimora eterna.
Il Purgatorio manifesta la serietà dello svelamento operato dalla rivelazione della
pienezza dell'amore del Cristo. Dinanzi al suo totale e perfetto amore saranno un giorno
manifeste tutte le mancanze, i peccati, le occasioni di bene rifiutate e trascurate – ed
in terra nascoste agli occhi altrui – ma il dolore provocato dalla loro manifestazione,
punizione redentiva e purificatrice, sarà trasfigurato nell'abbraccio dell'amore del
Cristo che, con gli immensi meriti del sacrificio della croce, salverà.
Il Paradiso sarà la celebrazione piena della comunione di Cristo con gli uomini. Non ci
sarà più matrimonio, non perché l'amore scomparirà, ma
perché la carità stessa di Dio sarà tutta in tutti. Il Signore e l'Agnello
stessi (Ap 21, 22) saranno il Tempio.
Ecco la Pasqua, non evento isolato ed erratico, ma senso e pienezza del mistero umano e divino
del vivere.
d.Andrea Lonardo
[Nota 1] I testi integrali di quelle meditazioni, unitamente a quelle di d.Giuseppe Dossetti che si alternarono alle prime, sono on-line con il titolo Irremovibili dalla speranza del Vangelo, nella sezione I luoghi della Bibbia e della storia della Chiesa.