Il brano seguente è tratto dal volume di E. Charpentier, Per leggere l'Antico Testamento, Borla, Roma. Ci è stato suggerito da Carlo Ancona.
Puro, impuro sono per noi nozioni morali. Nella Bibbia, come in tutte le altre religioni, sono invece nozioni assai vicine a quelle di tabù o di sacro. Si è "impuri" quando si entra a contatto con una potenza misteriosa, che può essere buona o cattiva. Bisogna allora praticare un rito che "purifica", per sfuggire al contagio di tale potenza. Certe malattie, per esempio, possono rendere l'uomo impuro perché si pensa che, in tal modo, egli sia sotto l'influenza di demoni. Al contrario, il contatto con Dio può rendere "impuro". Così appena qualche tempo fa, si poteva leggere persino nei libri liturgici cattolici questa rubrica: "Dopo la comunione, il sacerdote purifica il calice" (con un lino chiamato "purificatoio"). Questo calice era, insomma, diventato "impuro" (in senso morale) per aver contenuto il sangue di Cristo? No! Era divenuto "sacro", perché era entrato nell'ambito divino e la sua "purificazione" era un rito di "desacralizzazione" che permetteva di farne, di nuovo, un certo uso profano. La donna che ha avuto un rapporto sessuale deve anch'essa "purificarsi". Ci si può domandare se non si tratti, anche qui, di un rito di "desacralizzazione": poiché è entrata in contatto con Dio, sorgente di vita, donando la vita, o comunque entrando nella sfera sessuale ad essa legata, deve passare attraverso un rito per poter riprendere di nuovo la sua esistenza profana. La questione del puro e dell'impuro è molto complessa e assai discussa tra gli specialisti. Le semplificazioni rischiano sempre di falsare la realtà. Tuttavia possiamo ritenere almeno alcuni punti:
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