«Fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene» (Rm 12,9). La lettera ai Romani, nel presentare
l’atteggiamento del cristiano dinanzi alla cultura del proprio tempo, ripete le parole del primo
scritto paolino, la prima lettera ai Tessalonicesi: «Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è
buono, astenetevi da ogni specie di male» (1 Ts 5,21-22).
Dove è immediatamente evidente la presenza nella vita del bene e, insieme, la coscienza che anche il male
è all’opera. L’invito a non conformarsi «alla mentalità di questo
secolo» (Rm 12, 2) indica ulteriormente la serietà della questione del discernimento che si
impone a partire dalla presenza di Cristo nel mondo.
Ha scritto una volta lo psicoanalista C. G. Jung che «con lo spirito del tempo non è lecito
scherzare: esso è un credo a carattere completamente irrazionale, ma con l’ingrata
proprietà di volersi affermare quale criterio assoluto di verità, e pretende di avere per sé
tutta la razionalità. Lo spirito del tempo si sottrae alle categorie della ragione umana. Esso agisce su
basi inconsce esercitando una suggestione preponderante sugli spiriti più deboli e trascinandoli con
sé. Pensare diversamente da come si pensa oggi genera sempre un senso di fastidio e dà
l’impressione di una cosa non giusta; può apparire persino una scorrettezza, una morbosità,
una bestemmia» (da “Realtà dell’anima”).
Quanto è necessario allora esercitare un vigile discernimento fra quelli che sono i “segni dei
tempi”, secondo la nota espressione evangelica ripresa dal Concilio Vaticano II, e quello che è
lo “spirito del tempo”, la “mentalità del secolo”, secondo il linguaggio
paolino!
Paolo nel cogliere la permanenza della presenza del bene si rivolge all’uomo in quanto tale, prima che alle
singole culture da lui prodotte. Nella lettera ai Romani si sofferma sulla dimensione religiosa che
appartiene al cuore umano (Rm 1,19-20). L’animo umano, pur non essendo in grado di giungere al mistero
della croce di Cristo con le proprie forze, poiché questo è possibile solo a partire dalla
rivelazione di Dio, manifesta l’apertura dell’uomo all’Infinito.
Paolo afferma così implicitamente che la ricerca di Dio, la nostalgia di Dio presente nel cuore umano,
è una delle caratteristiche più proprie dell’uomo che ne manifesta la sua dignità
altissima.
In un’intervista rilasciata ad alcune televisioni tedesche nel 2006 il papa Benedetto XVI ha affermato, a
questo proposito, che «l’anima africana e anche l’anima asiatica restano sconcertate di fronte
alla freddezza della nostra razionalità. Proprio la fede cristiana non è un impedimento, ma invece
un ponte per il dialogo con gli altri mondi. Non è giusto pensare che la cultura puramente razionale,
grazie alla sua tolleranza, abbia un approccio più facile alle altre religioni. Ad essa manca in gran
parte “l’organo religioso” e con ciò il punto di aggancio a partire dal quale e con il
quale gli altri vogliono entrare in relazione. Perciò dobbiamo, possiamo mostrare che proprio per la
nuova interculturalità, nella quale viviamo, la pura razionalità sganciata da Dio non è
sufficiente».
L’anelito a Dio è riconosciuto da Paolo come uno degli aspetti più grandi
dell’esperienza umana ed anche nel famoso discorso dell’Areopago, pur fremendo «nel suo spirito
al vedere la città piena di idoli» (At 17,16), inizia la sua predicazione testimoniando che i
cittadini ateniesi sono «in tutto molto timorati degli dèi» (At 17,22).
Ma anche l’esperienza morale, il relazionarsi al bene ed al male, appaiono a Paolo come
straordinarie manifestazioni della dignità nativa dell’uomo, poiché essi hanno pur sempre,
anche nel peccato, «la testimonianza della loro coscienza e dei loro stessi ragionamenti che ora li
accusano ora li difendono» (cfr. Rm 2,15).
Ma «poiché tutti hanno peccato» (Rm 5,11) ecco che sempre, a fianco del bene, la voce del male
fa sentire la sua presenza e cerca di confondersi con il soffio dello Spirito. G. K. Chesterton così
scriverà nei “Racconti” che hanno per protagonista il suo personaggio più famoso, il
prete cattolico inglese padre Brown: «Sono un uomo - rispose padre Brown, gravemente - e perciò
ho il cuore pieno di diavoli».
Proprio questa capacità di leggere il cuore dell’uomo, a partire dal bene e dal male che vi abitano,
sarà la carta vincente delle indagini nelle quali Scotland Yard non riesce a mettere le mani sui peggiori
delinquenti, mentre il piccolo pretino risolve i casi più difficili, offrendo poi spesso al malvivente la
possibilità del ravvedimento. Chesterton commenterà poi che «la Chiesa Cattolica è
la sola capace di salvare l’uomo dallo stato di schiavitù in cui si troverebbe se fosse soltanto
il figlio del suo tempo».
Il rapporto della fede con il tempo si rivela così anceps, nell’epistolario
paolino. Da un lato sempre l’uomo conserva le tracce della sua dignità, del suo desiderio di
Dio, della sua grandezza di cuore, che lo contraddistinguono come colui che è uscito dalle mani del
Creatore, ma, contemporaneamente, ogni singolo uomo porta in sé dei germi di morte penetrati a motivo del
peccato originale e dei peccati che ne sono conseguiti.
Così è anceps l’atteggiamento della fede cristiana dinanzi ad ogni
cultura. In ogni epoca il cristiano cercherà, da un lato, di accogliere, ricevere e valorizzare quegli
elementi che sono propri di ogni cultura e che manifestano nella storia la loro appartenenza a quel bene
originario derivante dalla creazione e dalla presenza dello Spirito nel tempo, mentre, dall’altro,
sottoporrà quella stessa cultura a critica, perché essa venga come rinnovata dall’interno,
perché siano posti in luce e combattuti i suoi elementi di male.
In questo senso non corrisponde a verità l’affermazione che il cristianesimo paolino o successivo a
lui si è semplicemente ellenizzato – analoghe espressioni potrebbero orientare in vista di una
ebraicizzazione o di una occidentalizzazione o di una orientalizzazione del cristianesimo – ma piuttosto la
storia della Chiesa mostra che è stata la grecità, la latinità, così come
l’ebraicità o l’africanità, a cristianizzarsi.
Supremo è, per Paolo, il riferimento a Cristo. È alla sua luce e sotto la sua grazia che si
manifesta ciò che è conforme e ciò che è difforme dal vangelo. Come nessuna cultura
è povera di doni dinanzi a Cristo, così nessuna cultura è esente da un male dalla quale deve
essere purificata attraverso un faticoso rinnovamento interiore. La ricchezza della fede consiste così nel
fatto che essa è capace di accogliere ed insieme rinnovare le culture più diverse pur rimanendo
pienamente se stessa.