“Vedi come si amano”. Romani 16 e le conoscenze di Paolo a Roma
di Andrea Lonardo

Pubblichiamo un articolo scritto da Andrea Lonardo per la rubrica “Paolo a Roma” del sito www.romasette.it

Il Centro culturale Gli scritti (19/1/2009)


Il fenomeno Facebook – il gesuita Spadaro in un recente articolo pubblicato sulla Civiltà cattolica afferma che l’8,5 per cento della popolazione italiana ha un profilo Facebook – manifesta insieme il desiderio di relazioni che sempre caratterizza l’essere umano e l’utopia che esse possano realizzarsi semplicemente nella virtualità del flusso telematico.

Il capitolo finale della lettera ai Romani, il famosissimo capitolo 16, presenta Paolo che, 2000 anni fa, conosce realmente fra le cento e le centocinquanta persone abitanti in una città che non ha ancora mai visitato. Sono, infatti, nominati diciassette nomi di uomini, sette nomi di donne, più due delle quali non compare il nome, più cinque gruppi di persone che si riuniscono nelle case di alcuni di loro.

Afferma il prof. Penna, nell’ultimo volume appena uscito del suo commentario alla lettera ai Romani, che le lettere dell’antichità contenevano ovviamente spesso saluti a terze persone, ma il numero massimo di esse attestato è nella lettera papiracea di una certa Diodora che, scrivendo ad un certo Valerio Massimo, lo prega di dare i suoi saluti a sei persone. La lettera ai Romani è così la lettera che contiene il maggior numero di persone da salutare in tutta l’antichità classica, superando di gran lunga il numero di sei.

Delle persone nominate Paolo sottolinea innanzitutto la loro attività evangelizzatrice. Febe, probabilmente la latrice della lettera ai Romani, la prima ad essere nominata, è definita “diacono della chiesa di Cencre” (Rm 16,1), dove “diacono” è da intendersi nella sua forza espressiva di servitrice. Paolo chiede ora ai romani di assistere Febe, come lei “ha protetto molti ed anche me stesso” (Rm 16,2).

Si parla poi di Maria “che ha faticato molto per voi” (Rm 16,6). Poi di Andronico e Giunia, “apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me” (Rm 16,7). Qui Paolo mostra di conoscere un ulteriore significato del termine “apostolo”: se egli sa bene che il ruolo dei Dodici è unico (cfr. ad esempio, 1 Cor 15,5), tuttavia utilizza il termine anche per altri missionari della prima generazione, forse appartenenti ai settantadue di cui parla l’evangelista Luca o agli “stranieri di Roma” presenti il giorno di Pentecoste. Andronico e Giunia potrebbero, forse, essere stati i primi evangelizzatori della comunità romana.

Si accenna poi ad Urbano, “nostro collaboratore in Cristo” (Rm 16,9), a Trifena e Trifosa che “hanno lavorato per il Signore” (Rm 16,12), poi a Perside che ha, anch’essa, “lavorato per il Signore” (Rm 16,12). Si ripetono i verbi che indicano il collaborare, il lavorare, l’affaticarsi per il vangelo e la sua diffusione, per il servizio dei fratelli. Se, nel capitolo 16, il numero degli uomini citati è maggiore, si sottolinea maggiormente il ruolo evangelizzatrice delle donne: sette donne e cinque uomini sono detti faticare nel Signore. Anche la persecuzione è stata motivo di fatica: Aquila e Priscilla “hanno messo in gioco il loro collo per la mia vita” (Rm 16,4), con riferimento alla possibilità della decapitazione che era riservata ai cittadini romani, mentre Apelle “ha dato buona prova in Cristo” (Rm 16,10).

Si sottolinea di alcuni l’essere punto di riferimento, anche per aver messo a disposizione la propria casa come luogo delle riunioni liturgiche e catechetiche. Sono citati subito dopo Febe, all’inizio del capitolo, Aquila e Priscilla “miei collaboratori in Cristo Gesù” (Rm 16,3) e “la comunità che si riunisce nella loro casa” (Rm 16,5), così quelli della casa di Narciso “che sono nel Signore” (Rm 16,11), Asincrito, Flegonte, Erme, Patroba, Erma “e i fratelli che sono con loro” (Rm 16,14), Filogolo e Giulia, Nereo e sua sorella e Olimpias “e tutti i credenti che stanno con loro” (Rm 16,15).

Soprattutto, emerge la fraternità che lega i cristiani di Roma e Paolo. La fede cristiana genera un nuovo tipo di relazioni. Non esiste più solo l’amore sponsale o amicale (vedi Aquila e Priscilla o i “diletti” Ampliato e Perside), ma viene esaltato pure il legame che unisce i fratelli in Cristo. Febe è definita “nostra sorella” (Rm 16,1), “fratelli” vengono chiamati coloro che sono con Asincrito e gli altri (Rm 16,14), “credenti” coloro che sono con Filogolo e gli altri (Rm 16,15). Tutti insieme sono “santi” (Rm 1,7) e “chiamati” (Rm 1,6) da Gesù Cristo (chiesa, ekklesia, deriva dal termine greco che indica l’essere chiamati da Dio, l’essere kletoi).

Questa fraternità si esprime in un tipico gesto che caratterizzerà da allora la fraternità nelle comunità cristiane: “salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo” (Rm 16,16). Lo scambio della pace, attraverso quel bacio santo, sarà il segno di una relazione di amore nata in Cristo che tutti abbraccia. La fraternità ecclesiale si pone come realtà che contraddistingue i credenti in Cristo. Essa viene offerto al mondo come segno che invita alla fede. Come ricorda Tertulliano, questa era l’espressione di stupore che sorgeva nei pagani che per la prima volta venivano in contatto con i cristiani: “Vedi come si amano fra loro e sono pronti a morire l’uno per l’altro” (Apologetico, XXXIX,7).

N.B. Per l’appartenenza di Rm 16 alla lettera ai Romani, contro la tesi che propone di considerarlo un biglietto inviato alla chiesa di Efeso, cfr. su questo stesso sito Paolo ed i cristiani di Roma: Rm 16 appartiene alla lettera ai Romani, di Romano Penna. Per un approfondimento sulla presenza delle donne in Rm 16, cfr. su questo stesso sito Paolo apostolo e le donne nella Chiesa. Febe (Rm 16,1-2) e Lidia (At 16,11-15.40), di Pino Pulcinelli.


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