Presentiamo on-line, per il progetto Portaparola, l’articolo apparso su Avvenire del 20/1/2008. Il testo è la trascrizione della lectio tenuta da S.Em. il cardinal Carlo Maria Martini il 3 gennaio 2008, presso la Hebrew University di Gerusalemme.
Il Centro culturale Gli scritti (22/1/2008)
Dall’inizio desidero dirvi di non aspettarvi da me una lezione formale. Io sono troppo
avanti negli anni per questo tipo di esercizio, e per molto tempo ho lasciato il regolare contatto con la letteratura
scientifica. Dunque, posso solo offrirvi alcuni pochi pensieri che mi aiutano nella preghiera quotidiana. Per
questa ragione, pur tenendo come sottofondo l’intera problematica dell’intercessione, il mio preciso
oggetto sarà la preghiera di intercessione. Mi baso in particolare su due scritti che costituiscono la mia
principale fonte di ispirazione: la Bibbia Ebraica o Tanach e il Secondo Testamento, chiamato anche il Nuovo
Testamento.
Desidero iniziare con le parole di Gesù tratte dall’Evangelo di Luca (Lc 10,21): «Ti ringrazio,
o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agl’intelligenti
e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così è piaciuto a te».
Testi simili a questo si trovano anche nella Tanach, precisamente in Isaia 29,14: «Perirà la
sapienza dei suoi sapienti e scomparirà l’intelligenza degli intelligenti», o in Isaia 19,11-12:
«Certamente stolti sono i prìncipi di Tanis, i più sapienti dei consiglieri del faraone formano
un consiglio stupido. Come potete dire al faraone: 'Io sono discepolo dei sapienti, discepolo di antichi regnanti'?
Dove sono dunque i tuoi sapienti? Ti annuncino e facciano conoscere ciò che progettò il Signore degli
eserciti a proposito dell’Egitto».
Dietro a queste istanze vi è una opposizione: da una parte, il dotto e il sapiente che pretendono di capire
e, dall’altra, i piccoli e i fanciulli che sono immagine del popolo pronto ad accettare le cose del regno di
Dio con la semplicità di un bambino. Nel suo duro linguaggio Paolo afferma: «Poiché, infatti,
nel disegno sapiente di Dio, il mondo non conobbe Dio con la sapienza, piacque a Dio di salvare quelli che credono
con la stoltezza della predicazione» (1 Cor 1,21).
Con questa distinzione in mente, consideriamo dapprima il sapiente ed il dotto. Penso che la
preghiera di intercessione è tra le cose che queste persone sono inclini a considerare come insignificanti e
persino assurde. Anche noi a volte apparteniamo a questa categoria, quando pensiamo che la preghiera di intercessione
rimanga come sospesa nell’aria senza produrre frutto, o quando la consideriamo di seconda classe, come
devozionale, da compiersi semmai nei ritagli di tempo.
Certamente il dotto ed il sapiente non obbietteranno al primitivo significato latino del termine
«intercedere», che è «camminare nel mezzo», pronto ad aiutare ciascuna delle due parti
o ad interporsi in favore di una di loro.
Potrebbero anche non obbiettare all’intercessione compiuta da una persona verso un preciso uomo o donna o
gruppo di persone. Vi sono molti esempi in questo, nell’antica letteratura ed altrettanto nella Bibbia.
Là, ad esempio, Giuseppe domanda al capo dei coppieri del re d’Egitto di ricordarsi di lui quando costui
sarà uscito di prigione ed a parlare in suo favore al Faraone (Gen 40,14) (il capo dei coppieri
dimenticò poi di compiere ciò quando fu liberato e reintegrato nel suo lavoro!).
Un uomo ed una donna possono parlare a nome di un altro uomo, o donna che sia, ad una terza persona affinché
quest’ultima cambi i propri progetti e una sapiente intercessione può aiutare a trovare e a compiere
una giusta decisione o a rovesciare una decisione sbagliata.
Ma Dio non pone in essere decisioni sbagliate, e quindi, quando noi veniamo alla preghiera di intercessione
(cioè «stare alla presenza di Dio per un’altra persona») domandiamo forse a Lui di
intervenire e modificare la situazione di quell’uomo o donna? Qui il sapiente e il dotto pongono molte
obbiezioni. Come può Dio essere mosso a cambiare il suo modo di pensare e correggere una decisione sbagliata?
La mente di Dio non è forse immodificabile dall’inizio? Notiamo che questa obbiezione può essere
portata a riguardo di ogni preghiera di petizione, ma essa diventa molto forte nel caso dell’intercessione, che
è preghiera di petizione per altri.
Infatti Dio generalmente dona un aiuto con la libera collaborazione della persona interessata. Quale può
essere allora il senso dell’intrusione di altre persone?
Ma contro il sapiente e il saggio stanno i piccoli, che ricevono dall’alto il dono
dell’intercessione e danno grande valore a questo atteggiamento che è lo stare davanti a Dio per
altri. Esso è presente in molti esempi biblici, da Abramo che pregò per scongiurare la punizione di
Sodoma (Gen 18,22-32), a Mosè che intercedette per l’intero popolo di Israele (Es 32,11-13), ed anche
per un solo individuo come sua sorella Miriam (Nu 12,13); da Samuele che, nonostante l’avvenuta rottura col
popolo, promise di continuare ad intercedere per esso (1 Sam 12,23), a Davide che pregò per la vita di suo
figlio (2 Sam 12,16-17); da Amos che pregò il Signore Dio di perdonare Giacobbe perché 'egli è
così piccolo' (Amos 7,1-6), a Geremia che disse al popolo di pregare per il benessere della città in
cui erano stati deportati (Ger 29,7) e così in molte altre situazioni. Se noi potessimo considerare anche la
letteratura intertestamentaria, questi esempi si moltiplicherebbero.
Questa attitudine la sento personalmente di grande interesse perché, dopo molti anni dedicati allo studio e
all’insegnamento e a un ministero pubblico, ho deciso di vivere gli ultimi giorni della mia vita qui, a
Gerusalemme, in una incessante intercessione per i bisogni delle mie sorelle e dei miei fratelli della Chiesa di
Milano, che ho avuto l’onore di servire come Arcivescovo per più di ventidue anni, e per tutto il mondo
e specialmente per le persone con le quali vivo, ricordando le parole dell’apostolo Paolo: «I giudei
prima, e poi i greci». La preghiera di intercessione è dunque la mia prima priorità, la mia
principale quotidiana occupazione. Come allora io posso praticarla se è considerata insignificante ed
anche assurda?
Penso che questa sera siamo chiamati ad entrare nel cuore dei piccoli e degli umili, nel cuore cioè della
grande intercessione che abbiamo menzionato or ora, cosicché possiamo intravedere quanto essi hanno compreso
del valore di questa preghiera.
Parto dallo scritto di una giovane ragazza ebrea, Etty Hillesum, morta ad Auschwitz nel 1943
all’età di ventinove anni. All’inizio degli orrori della Shoah, quando ormai regnava confusione e
terrore fra gli Ebrei in Olanda riguardo alla loro sorte, il giorno 11 di luglio del 1942 (quel giorno era Shabbat),
ella scrisse nel suo Diario: «Se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare
Dio». E il giorno successivo, di domenica, ella scrive una lunga preghiera nel suo diario, oltre ad altri
pensieri: «Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non
posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non
puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dovere aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi... Sembra che tu non
possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita… E quasi
ad ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere
fino all’ultimo la tua casa in noi».
Etty Hillesum scrisse questa pagina quando viveva il difficile passaggio dall’ateismo alla fede e scopriva a
poco a poco lo sconosciuto volto di Dio. Ma queste parole, che possono creare sospetto alle menti formate in
teologia, contengono una grande verità: Dio vuole farci attenti al nostro prossimo. Dio vuole non solo
chiamarci alla solidarietà, la quale è definita come «un accordo generale tra tutte le persone di
un gruppo o tra gruppi differenti poiché hanno un comune scopo» (cf. Longman, Dictionary of
Contemporary English). Dio vuole molto più di questo, egli desidera un reale interessarsi degli uni per
gli altri, un aversi a cuore, ad immagine della cura di Dio per ognuno di noi. Egli è sempre pronto a
porre ad ognuno di noi il primordiale interrogativo che fu posto a Caino: «Dov’è tuo fratello
Abele?» (Gen 4,9).
Per questo il Signore spesso non mostra il suo volto, ma splende nell’aiuto dato ad un altro. Ciò
è chiaramente espresso nella parabola dell’ultimo giudizio, nel vangelo di Matteo (25,31.46), dove il
Signore dice a quelli che hanno aiutato il prossimo: «Tu l’hai fatto a me» (25,40). Egli è
presente in ogni opera amorevole, in tutti i gesti di perdono, nell’impegno di coloro che lottano contro la
violenza, l’odio, la carestia, la sofferenza e via di seguito.
Come dice Sant’Agostino: «Non rattristatevi o lamentatevi perché nasceste in un tempo dove non
potete più vedere Dio nella carne. Egli infatti non ti tolse questo privilegio. Come egli dice: Qualunque cosa
voi fate ai miei fratelli, l’avete fatta a me». Coloro che hanno il dono dell’intercessione
vedono la luce di Dio nel volto di ogni essere umano. In altre parole noi possiamo dire che costoro considerano il
mondo come una grande rete di relazioni (nel linguaggio dei computers il web), dove ciascuno è dipendente
dagli altri.
Tutto ciò è espresso con forza nelle parole dello staretz Zosima, una delle figure chiave del
capolavoro di Dostoevskij, I fratelli Karamazov. Queste sono le parole di padre Zosima: «Amate il popolo
di Dio. Noi non siamo più santi della gente del mondo perché siamo venuti qui e ci siamo chiusi fra
queste mura, ma anzi chiunque è venuto qui, già per il fatto di esserci venuto, ha riconosciuto in se
stesso di essere peggiore della gente del mondo e di ogni uomo sulla Terra… E quanto più a lungo
vivrà un monaco fra le sue quattro mura, tanto più profondamente dovrà rendersene conto.
Poiché in caso contrario non valeva la pena che venisse quaggiù. Ma quando riconoscerà non solo
di essere peggiore di tutta la gente del mondo, ma anche di essere colpevole di fronte a tutti gli uomini, sulla
Terra intera, di tutti i peccati universali e individuali, solo allora sarà raggiunto il fine della nostra
unione. Giacché sappiate, miei cari, che ciascuno di noi è colpevole di tutto e per tutti sulla
Terra, questo è indubbio, non solo a causa della colpa comune originaria, ma ciascuno individualmente, per
tutti gli uomini e per ogni uomo sulla Terra. Questa consapevolezza è il coronamento della vita di un
monaco e anzi di ogni uomo sulla Terra. Poiché i monaci non sono uomini diversi dagli altri, ma sono
soltanto come dovrebbero essere tutti sulla Terra. Unicamente allora il nostro cuore si abbandonerà a un amore
infinito, universale, che non conosca mai appagamento. Allora ciascuno di noi avrà la forza di conquistare con
il suo amore il mondo intero e di purificare con le proprie lacrime tutti i peccati…».
Ed egli così conclude: «Non siate superbi. Non siate superbi con i piccoli, non siate superbi
nemmeno con i grandi. Non odiate chi vi respinge e disonora, chi vi ingiuria e calunnia. Non odiate gli atei,
né i cattivi maestri e i materialisti, neppure i malvagi fra loro – per non parlare dei buoni
giacché ve ne sono molti di buoni, specialmente ai nostri tempi. Ricordateli così nella vostra
preghiera: 'Salva, o Signore, tutti coloro per i quali nessuno prega, salva anche quelli che non ti vogliono
pregare'. E aggiungete anche: 'Non per orgoglio ti prego, o Signore, perché anch’io sono un vile peggio
di tutto e di tutti…'».
Certamente questa interdipendenza, questa profonda e necessaria interconnessione, per cui ognuno di noi è
vincolato a tutti gli altri, è una profondo mistero spirituale, che sarà manifestato nella sua pienezza
nell’ultimo giorno, quando la realtà di questo mondo sarà resa chiara a tutte le nazioni; quando
– ricordando le parole del profeta Isaia – il Signore «distruggerà su questo monte il velo
posto sulla faccia di tutti i popoli» (Is 25,7), allora noi potremo capire quanto tutto è stato
tessuto e tenuto insieme dal Signore di tutti e che noi abbiamo formato insieme un grande web di relazioni
reciproche.
Oggi noi siamo chiamati a riconoscere poco alla volta questa mutua appartenenza, che caratterizza tutti i nostri
atti, secondo il comandamento: «Tu amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lev 19,18). Noi siamo chiamati
ad osservare questo comandamento non solo attraverso le nostre azioni, ma anche nella preghiera di intercessione.
Come spiegare ciò? Abbiamo visto che Dio stesso mostra nella Bibbia quanto egli abbia a
cuore la preghiera di intercessione.
Ma in questa preghiera noi non stiamo tentando di cambiare la mente di Dio. Secondo la comune interpretazione
teologica, il significato della preghiera di petizione e di quella di intercessione, non è di ottenere un
cambiamento della volontà di Dio, ma di far sì che la creatura abbia parte ai doni di Dio. Dio ci
concede di desiderare quanto egli vuole donarci.
Ma noi abbiamo notato che vi è molto di più. Vi è il fatto di una mutua
responsabilità, che deve essere espressa non solo attraverso l’agire, ma anche per mezzo della
preghiera. Dio ci vuole gli uni per gli altri, egli desidera che mostriamo per gli altri interesse, compassione,
carità, mutuo aiuto, amore in ogni cosa. Dio vuole creare una grande unità
nell’umanità, attraverso l’essere gli uni per gli altri, come Lui è misteriosamente in se
stesso un perpetuo dono di sé.
Così una piena comunione è realizzata tra gli esseri umani. Coloro che possono fare qualcosa per gli
altri nel senso fisico, materiale, sono chiamati a farlo. Tutti gli altri sono invitati a unire la loro preghiera in
una grande intercessione. Perciò la risposta soddisfacente riguardante la necessità della preghiera
di intercessione sta nel mistero del piano di Dio, che vuole questa profonda comunione tra tutti i suoi figli. E Dio
lo vuole perché egli è così, colui che dà se stesso, che ha cura degli altri, che li ama
fino alla morte (cf. Gv 13,1).
Certamente l’intercessione presuppone che la persona che la compie sia accetta al Signore, sia in un certo
qual senso suo amico, come è detto di Abramo, a cui Dio non volle nascondere nulla di quanto stava per fare
(cf. Gen 18,17). L’intercessore è qualcuno che sceglie di vivere secondo il progetto di Dio, che spera
fermamente che esso si verifichi anche negli altri. È una persona che ha cura realmente dei suoi fratelli
e delle sue sorelle e desidera che essi vivano secondo la volontà di Dio.
Perciò la presenza di molti intercessori è anche un mezzo per realizzare una comunità che
corrisponda al piano di Dio e promuovere il lavoro di riconciliazione tra individui, popoli, culture e religioni
e tra l’uomo e il suo Dio. Queste sono alcune delle ragioni per cui mi sento inclinato alla preghiera di
intercessione. Naturalmente so bene che la mia preghiera è molto povera, pigra, spesso piena di distrazioni.
Ma non di meno la considero come un piccolo rigagnolo, che fluisce dentro il grande fiume che è
l’intercessione della Chiesa e delle persone buone di tutta l’umanità.
Questo grande fiume di intercessione fluisce e si immerge, per me come cristiano, nel grande oceano
dell’intercessione di Cristo, che «vive sempre per intercedere» a nostro favore (cf. Eb 7,25;
Rom 8,34). Così la mia piccola intercessione è parte di un grande oceano di preghiera in cui il mondo
viene immerso e purificato.
Lo stesso grande scrittore della fine del diciannovesimo secolo che ho citato prima, Dostoevskij, ci ha dato nello
stesso libro una commovente descrizione della preghiera di intercessione. Lo staretz Zosima dice a un giovane:
«Ragazzo, non scordare la preghiera. Nella tua preghiera, se è sincera, trasparirà ogni volta un
nuovo sentimento e una nuova idea che prima ignoravi e che ti ridarà coraggio; e comprenderai che la
preghiera educa. Rammenta poi di ripetere dentro di te, ogni giorno, anzi ogni volta che puoi: 'Signore, abbi
pietà di tutti coloro che oggi sono comparsi dinanzi a te'. Poiché a ogni ora, a ogni istante
migliaia di uomini abbandonano la loro vita su questa Terra e le loro anime si presentano al cospetto del Signore e
quanti di loro lasciano la Terra in solitudine, senza che lo si venga a sapere, perché nessuno li piange
né sa neppure se abbiano mai vissuto. Ma ecco che forse, dall’estremo opposto della Terra, si leva
allora la tua preghiera al Signore per l’anima di questo morente, benché tu non lo conosca affatto
né lui abbia conosciuto te. Come si commuoverà la sua anima, quando comparirà timorosa dinanzi
al Signore, nel sentire in quell’istante che vi è qualcuno che prega anche per lei, che sulla Terra
è rimasto un essere umano che ama pure lei. E lo sguardo di Dio sarà più benevolo verso
entrambi, poiché se tu hai avuto tanta pietà di quell’uomo, quanto più ne avrà Lui,
che ha infinitamente più misericordia e più amore di te. Egli perdonerà grazie a
te».
Possiamo ora sintetizzare ciò che abbiamo cercato di dire.